Contratti della P.A.: sull'onere della riserva

NOTA

La sentenza in rassegna si occupa della portata dell’onere delle riserve in relazione all’indisponibilità del registro di contabilità da parte dell’appaltatore nonché degli estremi che deve assumere il comportamento dell’appaltante per essere incompatibile con la volontà di eccepire la decadenza del diritto dell’appaltatore di far valere le riserve.

Sulla tempestività delle riserve

Al riguardo, la sentenza – ribadita la propria giurisprudenza consolidata in ordine alla ratio ispiratrice della disciplina delle riserve e alla portata generalizzata dell’onere delle riserve, afferma che:

– la riserva generica, che sia stata iscritta in un documento diverso dal registro di contabilità, come nel caso del verbale di ripresa dei lavori, soggiace alla medesima regola dettata per quella iscritta nel registro di contabilità, perchè questa possa assolvere la funzione sua propria, ditalché, anche in tal caso, l’esplicitazione della riserva è soggetta al termine indicato nel R.D. n. 350 del 1895, art. 54 trascorso il quale opera la decadenza ivi prevista;

la materiale indisponibilità del registro di contabilità, che è custodito dalla direzione dei lavori, non esonera l’appaltatore, che abbia formulato un riserva generica, dall’onere di esplicitarla nel termine di legge, se del caso con atto scritto di data certa anche diverso dal registro di contabilità, giacchè proprio l’indisponibilità di questo ha indotto la corte a chiarire che la successiva esplicazione della riserva, se di fatto non può essere eseguita nel registro di contabilità, perchè la sua compilazione è rimessa all’iniziativa dell’appaltante, deve aver luogo mediante tempestiva comunicazione all’ Amministrazione con apposito atto scritto.

Nella specie, la Cassazione ha ritenuto corretta la decisione della Corte di merito, che aveva dichiarato la decadenza della società appaltatrice, sul rilievo che quest’ultima aveva posto la riserva generica nel verbale di ripresa dei lavori e, in seguito, mediante lettera raccomandata aveva esplicitataonel dettaglio la riserva, ancorché dopo la scadenza del termine di decadenza, e quindi in modo inefficace.

Sugli atti stragiudiziali incompatibili con la volontà di eccepire la decadenza del diritto dell’appaltatore di far valere le riserve

La sentenza si è occupata anche della possibilità di rinvenire rinuncia a far valere la decadenza da riserva in una raccomandata indirizzata dall’appaltante/società concedente (non alla società appaltatatrice ma) alla società concedente in cui si esprimeva un parere favorevole alla società appaltatrice.

A giudizio della Cassazione, la sentenza della Corte di merito è sul punto meritevole di cassazione, dovendo la questione giuridica essere valutata alla stregua del principio secondo cui la decadenza dal diritto è impedita dal riconoscimento del diritto da parte del debitore, che è ravvisabile qualora il comportamento di questi sia incompatibile con la volontà di far valere successivamente la decadenza (art. 2966 c.c.).

La Cassazione ha, quindi, rinviato al giudice di merito per valutare se nella dichiarazione contenuta nella suddetta missiva è rinvenibile un comportamento incompatibile con la volontà poi manifestata nel giudizio, di voler opporre la decadenza del diritto dell’appaltatore di far valere le riserve.

* * *

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

PATERLINI COSTRUZIONI S.P.A. (p.i. (OMISSIS)), (già F.lli Paterlini Costruzioni s.p.a.) quale capogruppo dell’Associazione Temporanea di Imprese F.lli Paterlini Costruzioni spa e Colombo Costruzioni spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TERENZIO 7, presso l’avvocato TITOMANLIO RAFFAELE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato BERETTA ERNESTO, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FINTECNA – FINANZIARIA PER I SETTORI INDUSTRIALE E DEI SERVIZI S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), già Servizi Tecnici spa in liquidazione, in persona del Direttore generale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA P.L. DA PALESTRINA 47, presso l’avvocato GEREMIA RINALDO, che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;

MINISTERO DELLE INFRASTRUTTURE E DEI TRASPORTI, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 3233/2009 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 31/08/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/04/2012 dal Consigliere Dott. ALDO CECCHERINI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato BERETTA ERNESTO che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente Fintecna, l’Avvocato GEREMIA RINALDO che ha chiesto l’inammissibilità o rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio che ha concluso per il rigetto del primo motivo,

accoglimento del secondo e terzo motivo, rigetto del quarto motivo assorbito il quinto motivo.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La controversia ha origine dall’esecuzione di un contratto di appalto stipulato 23 giugno 1992 dalla committente Servizi Pubblici s.p.a. (al tempo: Edil.pro), concessionaria del Ministero delle Infrastrutture per l’edificazione della sede del Comando Intermedio dei Carabinieri di Lecco, e l’impresa appaltatrice Paterlini s.p.a., quale impresa mandataria dell’associazione temporanea della stessa impresa con la Colombo Costruzioni s.p.a. I lavori, sospesi per la necessità di una perizia di variante, furono ripresi il 21 giugno 1996, e in calce al relativo verbale l’impresa appaltatrice appose una riserva con la dicitura: “per le ragioni che verranno esplicitate in occasione del primo S.A.L. in registro di contabilità”. Le riserve furono poi esplicitate con raccomandata 24 dicembre 1996.

Terminati i lavori ed eseguito il collaudo, con citazione 2 aprile 1997 l’appaltatrice chiamò l’impresa concessionaria appaltante in giudizio davanti al tribunale di Roma, facendo valere i crediti vantati in relazione alle riserve formulate. Per quel che qui interessa, la controversia si è concentrata su due riserve, quella numero 3, per il riconoscimento dei maggiori oneri e danni rispettivamente derivati e sopportati per la sospensione dei lavori, dell’importo di 3.338.157.558; e la riserva n. 7, relativa agli interessi per ritardati pagamenti da parte della stazione appaltante.

Con sentenza del 2005, il tribunale respinse la richiesta relativa alla riserva n. 3, e ignorò quella relativa alla riserva n. 7.

La Corte d’appello Roma, con sentenza 31 agosto 2009, confermò la decisione di primo grado sul primo punto e rigettò la domanda sul secondo punto. La corte ribadì che l’appaltatrice era decaduta dalla riserva n. 3 per tardività, a norma del R.D. n. 350 del 1895, art. 54; nè ricorreva per l’appaltatore l’impossibilità di procedere a esplicitare la riserva nel registro di contabilità, perchè nulla impediva all’appaltatore di richiedere a tal fine al direttore dei lavori la disponibilità del registro. Quanto alla dedotta rinuncia a far valere la decadenza, il contenuto della raccomandata inviata dalla committente concessionaria all’ amministrazione concedente, in cui si esprimeva un parere favorevole alla società appaltatrice, non costituiva manifestazione di volontà della stazione appaltante diretta all’appaltatore. Pronunciandosi quindi sulla riserva n. 7, la corte, esaminando il prospetto degli interessi prodotto dall’appellante, osservò che l’attrice non aveva dato la prova del ritardo nei pagamenti, non avendo fornito la documentazione dimostrativa delle date in cui la concessionaria aveva incassato i fondi a essa accreditati dall’ amministrazione concedente, Ministero delle Infrastrutture, nè delle date in cui l’appaltatrice aveva ricevuto i singoli pagamenti.

2. Per la cassazione di questa sentenza ricorre la Paterlini s.p.a., quale mandataria dell’associazione temporanea d’imprese per 5 motivi.

Resistono la Fintecnica – Finanziaria per i settori Industriale e dei Servizi s.p.a. (già Servizi Tecnici s.p.a.) e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con separati controricorsi notificati rispettivamente il 26 marzo 2010 e il 7 aprile 2010.

La ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

3. Il primo motivo censura, per violazione o falsa applicazione del R.D. n. 350 del 1895, artt. 54 e 89 il punto dell’impugnata sentenza concernente la tardività della riserva n. 3, relativa ai maggiori oneri sostenuti e ai danni subiti in conseguenza della sospensione dei lavori. Si sostiene che solo la riserva iscritta genericamente nel registro di contabilità deve essere esplicata nello stesso registro entro quindici giorni dall’iscrizione, mentre quella iscritta negli altri documenti deve essere riprodotta nel registro di contabilità nella prima occasione in cui lo stesso è presentato all’impresa per la firma, e nello stesso registro esplicata entro quindici giorni.

Il registro di contabilità, prosegue la ricorrente, non è nella disponibilità dell’appaltatore, e la stazione appaltante, che lo conserva, è obbligata a sottoporlo all’appaltatore – che di conseguenza ha il diritto e l’onere di pretenderlo – soltanto all’atto della sottoscrizione di ciascuno stato di avanzamento lavori.

Il motivo è infondato. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa corte in tema di appalti pubblici, dal combinato disposto del R.D. 25 maggio 1895, n. 350, artt. 16, 54 e 64 e del D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 26 si ricava che l’appaltatore di opera pubblica , ove voglia – non soltanto contestare la contabilizzazione dei corrispettivi effettuata dall’ amministrazione , bensì anche soltanto – avanzare pretese comunque idonee a incidere sul compenso complessivo spettantegli, è tenuto a iscrivere tempestivamente apposita riserva nel registro di contabilità, oppure anche in altri appositi documenti contabili; a esporre, poi, nel modo e nei termini indicati dalla legge, gli elementi idonei a individuare la sua pretesa nel titolo e nella somma; e a confermare, infine, la riserva all’atto della sottoscrizione del conto finale. La ratio legis, che è al fondamento della descritta disciplina, è costituita dall’esigenza che l’ Amministrazione committente conosca, tempestivamente e costantemente, tutti i fattori che possono aggravare il costo dell’opera; e tale ratio opera uniformemente in tutti i casi sopra indicati, indipendentemente dal fatto che la riserva sia stata iscritta nel registro di contabilità o in altri documenti. L’onere della riserva ha infatti la sua ragione d’essere nella tutela della P.A.: questa, nell’esercizio della sua attività discrezionale, deve essere posta in grado di svolgere prontamente ogni necessaria verifica e deve, inoltre, poter valutare, in ogni momento, l’opportunità del mantenimento ovvero del recesso dal rapporto di appalto, in relazione ai fini di interesse pubblico (Cass. 21 luglio 2004 n. 13500).

La riserva generica, che sia stata iscritta in un documento diverso dal registro di contabilità, come nel caso del verbale di ripresa dei lavori, soggiace dunque alla medesima regola dettata per quella iscritta nel registro di contabilità, perchè questa possa assolvere la funzione sua propria, già indicata; e anche in tal caso l’esplicitazione della riserva è soggetta al termine indicato nel R.D. n. 350 del 1895, art. 54 trascorso il quale opera la decadenza ivi prevista.

Da tali considerazioni discende che la materiale indisponibilità del registro di contabilità, che è custodito dalla direzione dei lavori, non esonera l’appaltatore, che abbia formulato un riserva generica, dall’onere di esplicitarla nel termine di legge, se del caso con atto scritto di data certa anche diverso dal registro di contabilità, giacchè proprio l’indisponibilità di questo ha indotto la corte a chiarire che la successiva esplicazione della riserva, se di fatto non può essere eseguita nel registro di contabilità, perchè la sua compilazione è rimessa all’iniziativa dell’appaltante, deve aver luogo mediante tempestiva comunicazione all’ Amministrazione con apposito atto scritto (Cass. 5 maggio 1998 n. 4502): che è, poi, quel che la stessa odierna ricorrente ha concretamente fatto con una lettera raccomandata, ancorchè dopo la scadenza del termine di decadenza, e quindi in modo inefficace.

Resta in tal modo assorbito l’esame dell’altra tesi difensiva svolta nel ricorso, secondo la quale l’obbligo della direzione dei lavori di prestarsi a consentire le iscrizioni nel registro di contabilità nei casi qui considerati, sussisterebbe nei soli casi espressamente previsti dalla legge; tesi che dovrebbe peraltro essere vagliata in relazione al principio, affermato da questa corte, della configurabilità, in capo all’ amministrazione committente, creditrice dell’”opus”, di un dovere – discendente dall’espresso riferimento contenuto nell’art. 1206 cod. civ., applicabile anche nel contratto di appalto pubblico – di comportamento in buona fede (Cass. 29 aprile 2006 n. 10052).

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia poi un vizio di motivazione della sentenza, per aver svalutato – con l’argomento che si trattava di dichiarazione indirizzata a un terzo e contenente un parere di legittimità e non una manifestazione di volontà di rinunciare alla decadenza – la dichiarazione confessoria della Servizi tecnici, contenuta in una raccomandata al ministero trasmessa alla Paterlini, in ordine alla tempestività della riserva, perchè l’appaltatrice non aveva avuto la materiale possibilità iscriverla nel registro di contabilità.

Anche questo secondo motivo è infondato. La pretesa confessione stragiudiziale, peraltro rivolta a un terzo e pertanto liberamente apprezzabile dal giudice di merito ex art. 2735 c.c., comma 1, seconda parte, aveva a oggetto, secondo quanto si riferisce nello stesso ricorso, un “parere” circa la tempestività della riserva, “avendo l’appaltatore manifestato palesemente le difficoltà riscontrate e l’impossibilità di iscrivere rituali riserve nel registro della contabilità”. La confessione è un mezzo di prova, e come tale non può avere a oggetto se non dei fatti, e precisamente dei fatti sfavorevoli alla parte che le afferma. Nel caso presente, la dichiarazione aveva a oggetto esclusivamente un’opinione giuridica circa la tempestività della riserva, e pertanto non poteva avere efficacia di confessione, anche prescindendo dal fatto che essa era indirizzata alla parte che della tesi sostenuta avrebbe dovuto sopportare le conseguenze economiche, e non propriamente alla parte alla quale la stessa tesi era favorevole. Il fatto sul quale la ricorrente vorrebbe basarsi, invece, è l’impossibilità dell’appaltatore di disporre del registro di contabilità; ma anche questo supposto fatto, come si è visto, non è niente altro che la deduzione tratta da una certa interpretazione delle norme e, se dovesse essere considerato in quanto mero fatto, sarebbe ugualmente irrilevante nel presente giudizio, essendosi già accertato che l’indisponibilità del registro di contabilità non esonerava l’appaltatore dall’adempimento dell’onere posto a pena di decadenza dal R.D. n. 350 del 1895, art. 54.

4. Con il terzo motivo si censura l’impugnata sentenza per aver negato che avesse valore di rinuncia alla decadenza il contenuto della già ricordata raccomandata della società concessionaria, appaltante, all’amministrazione concedente. Si censurano le seguenti affermazione della corte territoriale: la raccomandata “non costituiva una manifestazione di volontà della stazione appaltante diretta all’appaltatore, con la funzione di comunicargli la rinuncia a far valere la decadenza di quest’ultimo dal coltivare la riserva, per la tardività dell’iscrizione. Una comunicazione siffatta, di rinuncia dell’appaltante ad eccepire, diretta all’appaltatore, non vi è mai stata”. La ricorrente si richiama, a questo proposito, alla giurisprudenza di questa corte, che ha affermato il principio per cui la rinuncia alla prescrizione – espressamente prevista dall’art. 2937 cod. civ. – è un negozio unilaterale non recettizio, la cui validità ed efficacia prescinde dalla conoscenza che ne abbia il soggetto interessato (Cass. 15 giugno 2009 n. 13870), e sostiene che il medesimo principio debba trovare applicazione per l’impedimento ad eccepire la decadenza. La censura è fondata nei limiti appresso indicati. L’impedimento a eccepire la decadenza non è regolato dall’art. 2937 c.c., e neppure dall’art. 2944 c.c., norme dettate in tema di prescrizione, bensì dall’art. 2966 c.c. Ne deriva che non sono del tutto pertinenti i richiami della giurisprudenza di questa corte, fatti nel ricorso e anche, dal Procuratore generale, nel corso della discussione orale (sentenze nn. 6203/91 e 6872/97; riguarda invece una fattispecie del tutto diversa, sebbene questa volta in tema di decadenza dalle riserve, il precedente pure richiamato, di Cass. 19 marzo 1991 n. 2934).

In relazione alla norma effettivamente applicabile alla fattispecie, che è appunto l’art. 2966 c.c., questa corte si è espressa univocamente nel senso che il riconoscimento del diritto proveniente dalla persona contro la quale si deve far valere il diritto soggetto a decadenza, laddove si tratti di un termine stabilito dal contratto o da una norma di legge relativa a diritti disponibili, se non è espresso, può essere desunto esclusivamente da un fatto che, avendo quale presupposto l’ammissione, totale o parziale, della pretesa avversaria, sia incompatibile con la volontà opposta (Cass. 10 novembre 2006 n. 24060; 2 maggio 2006 n. 10120; v. anche Cass. 21 maggio 2008 n. 13078).

La censura di falsa applicazione dell’art. 2937 c.c. è dunque certamente fondata; ma è fondata altresì la censura di disapplicazione dell’impedimento della decadenza derivante dal riconoscimento del diritto, che la corte territoriale ha motivato con riferimento a istituti non applicabili nella fattispecie, quali sono quelli concernenti l’ambito di efficacia dei negozi recettizi.

L’indagine del giudice di merito, una volta esclusa – per le ragioni indicate in motivazione – l’esistenza di un riconoscimento esplicito del diritto dell’appaltatore, si sarebbe dovuta appuntare invece sull’eventuale incompatibilità della dichiarazione contenuta nella raccomandata, a chiunque questa fosse stata indirizzata, con la volontà poi manifestata nel giudizio, di voler opporre la decadenza del diritto dell’appaltatore di far valere le riserve.

Di conseguenza sul punto la sentenza deve essere cassata, con rinvio alla medesima corte distrettuale, che, nel valutare gli elementi allegati in causa dall’appaltatore, applicherà il principio di diritto per il quale, a norma dell’art. art. 2966 c.c., la decadenza dal diritto è impedita dal riconoscimento del diritto da parte del debitore, che è ravvisabile qualora il comportamento di questi sia incompatibile con la volontà di far valere successivamente la decadenza.

5. Con il quarto motivo si denuncia la violazione delle norme in tema di onere della prova. Si deduce, richiamando la giurisprudenza di questa corte, che, se l’inesattezza dell’adempimento denunciata dal creditore è costituita dal ritardo nel pagamento in quanto effettuato oltre il termine stabilito dal contratto o dalla legge, è onere del creditore, allo scopo di conseguire per tale ritardo gli interessi moratori, indicare non solo il giorno di scadenza dell’obbligazione, ma anche quello (successivo) in cui è stato eseguito il pagamento della somma capitale; e, se tale onere venga osservato, compete al debitore dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento. Nella specie risultavano documentalmente, e non erano in discussione, le date dei s.a.l. e quelle dei pagamenti ricevuti dall’appaltatrice.

6. Il motivo è fondato. Dalla motivazione stessa della sentenza, nel punto in cui espone le ragioni del rigetto della domanda concernente la riserva in questione, si apprende che l’appellante aveva prodotto in giudizio un prospetto con l’indicazione delle date di scadenza dei pagamenti e dell’effettiva esecuzione dei pagamenti medesimi. Ciò nonostante, la corte territoriale ha respinto la domanda – sulla quale il primo giudice aveva omesso di pronunciarsi – perchè l’appellante non aveva dimostrato documentalmente l’esattezza delle date indicate nel prospetto. In tal modo il giudice di merito si è posto in contrasto con la giurisprudenza di legittimità che ha affermato, a sezioni unite, il principio di diritto che, nel caso in cui sia dedotto non l’inadempimento dell’obbligazione, ma il suo inesatto adempimento, al creditore istante è sufficiente la mera allegazione dell’inesattezza dell’adempimento, gravando ancora una volta sul debitore l’onere di dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento (Cass. Sez. un. 30 ottobre 2001 n. 13533). Nel caso in esame, in cui l’inesatto adempimento dedotto è il ritardo, la sentenza deve essere cassata sul punto, con rinvio alla medesima corte distrettuale, che applicherò il seguente principio, già enunciato da questa corte (23 febbraio 2004 n. 3579):

In tema di prova dell’inesatto adempimento di un’obbligazione avente per oggetto una somma di denaro, allorquando il creditore deduca che l’inesattezza è costituita dal ritardo nel pagamento in quanto effettuato oltre il termine stabilito dal contratto o dalla legge, è suo onere, allo scopo di conseguire per tale ritardo gli interessi moratori, indicare non solo il giorno di scadenza dell’obbligazione, ma anche quello (successivo) in cui è stato eseguito il pagamento della somma capitale; ove tale onere venga osservato, compete al debitore dimostrare l’avvenuto, esatto adempimento.

7. L’ultimo motivo, concernente il regolamento delle spese contenuto nell’impugnata sentenza, è assorbito dalla cassazione della sentenza con rinvio al giudice di merito.

P.Q.M.

Rigetta i primi due motivi; accoglie il terzo e il quarto motivo e dichiara assorbito il quinto; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in altra composizione.

Così deciso a Roma, nella camera di consiglio delle Sezioni unite della Corte suprema di cassazione, il 16 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2012