Sulla distinzione tra termini ordinatori e termini perentori

Numero 02552/2011 e data 24/06/2011

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Seconda

Adunanza di Sezione del 23 febbraio 2011

NUMERO AFFARE 03910/2009

OGGETTO:

Ministero della Difesa.

Ricorso straordinario al Presidente della Repubblica proposto dal sig. Sebastiano Rago, per l’annullamento del decreto n. 34/1, emesso in data 4 settembre 2009 dal Ministero della Difesa, con il quale non è stata riconosciuta dipendente da causa di servizio l’infermità “cardiopatia ipertensiva”.

LA SEZIONE

Vista la relazione, senza data e protocollo, con la quale il Ministero della Difesa ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sul ricorso straordinario in oggetto;

esaminati gli atti ed udito il relatore-estensore, cons. Nicolò Pollari;

ritenuto quanto riferito dall’Amministrazione nella menzionata relazione;

PREMESSO:

Con istanza del 17 marzo 2003 il ricorrente ha chiesto che fossero riconosciute dipendenti da causa di servizio le infermità “cardiopatia ipertensiva” e “discopatia D11-D12 L4-L5-S1″.

Con processo verbale mod. AB n. 1112 del 12 marzo 2003 redatto dalla Commissione medica ospedaliera di Bari ha ascritto l’infermità “cardiopatia ipertensiva” alla tabella A, 8^ cat. a decorrere dal 31 agosto 2002.

In data 7 giugno 2005 il Comitato di verifica per le cause di servizio, con parere n. 14703/2004, ha giudicato l’infermità “cardiopatia estensiva” non dipendente da causa di servizio. Conseguentemente, l’Amministrazione ha emesso il decreto avversato con il ricorso straordinario in oggetto.

Il ricorrente deduce i seguenti motivi di diritto:

– violazione di legge, e in particolare, dell’articolo 6, comma 7, del D.P.R. n. 461/2001.

Il sig. Rago si duole del fatto che il verbale redatto dal Servizio Sanitario Regionale di Bari sarebbe pervenuto al Comitato di verifica dopo oltre 5 anni, nonostante fosse previsto il termine di 15 giorni.

– violazione di legge, e in particolare, dell’articolo 11, comma 2, del D.P.R. n. 461/2001.

Il ricorrente evidenzia che il Comitato di verifica si è pronunciato oltre un anno dopo dalla richiesta pervenuta dal Ministero della Difesa, quando avrebbe dovuto pronunciarsi “entro 60 giorni dal ricevimento degli atti”.

Il Ministero riferente, nelle proprie controdeduzioni, eccepisce l’infondatezza del gravame “in quanto diretto sostanzialmente a censurare il merito di atti che sono espressione di discrezionalità tecnica, comportando gli stessi un potere di valutazione dei fatti alla stregua di conoscenze scientifiche che sono sottratti in via generale al sindacato di legittimità”.

Quanto alla violazione dei termini procedurali, l’Amministrazione riferente, richiama il consolidato principio giurisprudenziale secondo il quale tali termini hanno una natura meramente ordinatoria.

CONSIDERATO

Il ricorso è infondato.

Preliminarmente, tuttavia, occorre sottolineare come appaiono del tutto inconferenti le eccezioni formulate dall’Amministrazione riferente, nella parte in cui viene rilevata l’infondatezza del gravame “in quanto diretto sostanzialmente a censurare il merito di atti che sono espressione discrezionalità tecnica …”. Il ricorrente, in realtà, si limita a dedurre la violazione di norme per il mancato rispetto dei termini previsti dalla D.P.R. n. 461/2001.

Venendo, quindi, ai motivi dedotti nel ricorso straordinario, questo Collegio non può fare a meno di rimarcare il grave ritardo con il quale l’Amministrazione è pervenuta a definire la pratica del ricorrente, che è suscettibile di essere valutato in altre sedi ai fini dell’eventuale ristoro del pregiudizio sofferto dall’istante.

Tuttavia, le doglianze non possono essere accolte.

Come noto, in linea generale, il termine è considerato perentorio, se un determinato atto o un’attività devono essere compiuti entro il lasso temporale di scadenza del termine stesso, di guisa che se il termine non viene rispettato, quell’atto o quell’attività, pur se eventualmente posti in essere, risultano inutili, con conseguente applicazione di sanzioni e produzione di effetti sfavorevoli. Ciò in quanto il termine perentorio obbliga inderogabilmente il compimento di un’attività in quel determinato lasso di tempo al fine di fornire certezza all’attività stessa. Il termine ordinatorio, invece, viene così qualificato se alla sua inosservanza non sono previste sanzioni decadenziali o comunque effetti sfavorevoli. La funzione di questo termine è semplicemente quella di ordinare un’attività amministrativa, indirizzandola verso determinate procedure ed esiti; perciò, il non rispetto del termine non comporta il verificarsi di decadenze e l’applicazione di sanzioni.

Normalmente, si parla di termine con carattere perentorio, quando la legge (o anche un atto promanante da un’Autorità all’uopo autorizzata dalla legge medesima) prevede una decadenza al suo spirare; si parla invece di termine con carattere ordinatorio in tutti gli altri casi (in tal senso, ad esempio: Cons. Stato, Sez. IV, 15 dicembre 2008, n. 6192; Cons. Stato, Sez. V, 17 ottobre 2008, n. 5072; Cons. Stato, Sez. VI, 18 marzo 2003, n. 1415). Pertanto nell’ipotesi in cui il termine non sia espresso come perentorio o ordinatorio, la qualificazione del termine dipende dall’esistenza o meno di sanzioni decadenziali. Ciò risponde ad un “… principio generale dell’ordinamento… secondo cui i termini perentori sono stabiliti dalla legge o da autorità che ne sia da essa espressamente autorizzata e che detta qualificazione deve risultare in modo parimenti espresso…” (Cons. Stato, Sez. VI, 13 novembre 2007, n. 5794).

Orbene, nel caso di specie nessuna qualificazione normativa né alcuna previsione decadenziale risultano espressamente contemplate dalla normativa in esame, di conseguenza, può ragionevolmente desumersi l’ordinatorietà dei termini in essa stabiliti.

Deve, in proposito essere ricordato l’indirizzo giurisprudenziale delle sezioni giurisdizionali del Consiglio di Stato, alla stregua del quale il mancato rispetto del termine previsto dall’art. 2, comma 3, della legge n. 241 del 1990 non è idoneo a determinare l’illegittimità del provvedimento impugnato, trattandosi di termine acceleratorio per la definizione del procedimento, ed atteso che la legge non contiene alcuna prescrizione circa la sua eventuale perentorietà, né circa la decadenza della potestà amministrativa, né circa l’illegittimità del provvedimento adottato (Cons. Stato, Sez. VI, 1 dicembre 2010 n. 8371).

P.Q.M.

esprime il parere che il ricorso debba essere respinto, con assorbimento della domanda di sospensione.

L’ESTENSOREIL PRESIDENTENicolo’ PollariAlessandro Pajno

IL SEGRETARIO