Mansioni superiori e retribuzione: il Cds ribadisce la propria consolidata giurisprudenza

NOTA

Il Consiglio di Stato ribadisce la propria consolidata giurisprudenza secondo cui l’espletamento di mansioni superiori non ha alcuna rilevanza giuridica e/o economica (resa in fattispecie ante 1998).

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N. 03639/2011 REG.PROV.COLL.

N. 06414/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6414 del 2006, proposto da:
Zerilli Adriano, rappresentato e difeso dall’avv. Giulio Pizzuti, con domicilio eletto presso Giulio Pizzuti in Roma, via Ottorino Lazzarini, n. 19;

contro

Ministero dei trasporti e della navigazione, Gestione Commissariale Governativa delle Ferrovie Appulo-Lucane (ora Ferrovie Appulo – Lucane S.r.l.) rappresentato e difeso dall’avv. Gaetano Di Muro, con domicilio eletto presso l’avv. Mario Fiandanese in Roma, via Attilio Friggeri, n. 82;

per la riforma della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA, SEZIONE III TER, n. 3861/2005, resa tra le parti, concernente INQUADRAMENTO NEL II LIVELLO “RUOLO UFFICI”

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 maggio 2011 il Cons. Gabriella De Michele e uditi per le parti gli avvocati Pizzuti e Di Muro;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO e DIRITTO

Con atto di appello n. 6414/06, notificato in data 1.7.2006, il geom. Adriano Zerilli impugnava la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio, Roma, sez. III ter, n. 3861/99 del 17.5.2005 (che non risulta notificata), con la quale veniva respinto il ricorso dal medesimo proposto per il riconoscimento del proprio diritto ad essere inquadrato, a decorrere dal 1983, nel II livello “ruolo uffici” della Gestione Commissariale Governativa Ferrovie Appulo-Lucane e Autoservizi Integrativi, con la qualifica di Capo Ripartizione, nonché per l’accertamento del conseguente diritto alle differenze retributive maturate, al trattamento di fine rapporto e a quello di quiescenza, con relativi oneri accessori.

Nella citata sentenza si affermava che il ricorrente – in servizio, all’atto del collocamento a riposo, come Capo Ufficio di III livello, ma secondo lo stesso investito per oltre quindici anni di funzioni superiori – non avrebbe avuto titolo ai rivendicati benefici economici e di carriera per le seguenti ragioni:

a) inapplicabilità nel caso di specie dell’art. 18, comma 1 del r.d. 8.1.1931, n. 148 (implicante diritto alla promozione in caso di svolgimento per oltre sei mesi di funzioni superiori), in assenza di tutti i necessari presupposti (incarico da parte del Direttore Generale, vacanza del posto in organico e inesistenza dell’obbligo di ricoprire il posto stesso mediante concorso);

b) irrilevanza in via di principio in materia di pubblico impiego – per giurisprudenza consolidata – delle funzioni superiori svolte in via di fatto, ai fini sia economici che della progressione in carriera.

In sede di appello, l’interessato contestava l’assenza delle condizioni, di cui al precedente punto a), essendo stati prodotti in giudizio numerosi atti, concernenti l’assegnazione al medesimo di compiti di grande rilevanza e responsabilità, con funzioni anche esterne di rappresentanza dell’Amministrazione; quanto meno nel triennio 1995/1997, inoltre, il dipendente in questione avrebbe svolto i compiti propri dei precedenti responsabili dell’Ufficio Patrimoniale – Immobiliare – Espropriazione, con conseguente indiscutibile esistenza di un posto in organico, che almeno dal 1995 sarebbe stato assegnato formalmente allo Zerilli, già di fatto investito delle medesime funzioni dal 1980; in vigenza del ricordato art. 18 r.d. n. 148/1931, pertanto, il predetto funzionario avrebbe avuto diritto alla promozione, non risultando peraltro mai banditi concorsi per la copertura del posto di cui trattasi; non potrebbe negarsi, infine, anche l’applicabilità del secondo comma dell’art. 18 r.d. n. 148/1931, che prevede, in caso di reggenza di un posto di livello più elevato rispetto alla qualifica posseduta, una indennità pari alla differenza fra quanto percepito e lo stipendio inerente alla qualifica del grado superiore. Avrebbe poi dovuto essere applicato, quanto meno, il principio dell’indebito arricchimento, risultando innegabile il “depauperamento del ricorrente” in corrispondenza “del maggiore impegno ed assunzione di responsabilità, ma anche delle spese…necessariamente comportate dal fatto di rappresentare la Gestione”.

La società Ferrovie Appulo Lucane s.r.l. (F.A.L. – già Ministero dei Trasporti – Gestione Commissariale Governativa delle Ferrovie Appulo Lucane), costituitasi anche nella presente fase di giudizio, ribadiva l’insussistenza del rivendicato esercizio di mansioni superiori alla qualifica, nonché della stessa qualifica rivendicata fino al 1989, la mancanza dei presupposti applicativi dell’art. 18 r.d. n. 148/1931 e la non riconoscibilità di differenze retributive fino alla data di entrata in vigore dell’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998 (fatta salva, in ogni caso, l’eccezione di prescrizione, già sollevata in primo grado di giudizio)

Premesso quanto sopra, il Collegio ritiene che l’appello non possa trovare accoglimento.

La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne infatti la nota problematica dello svolgimento di funzioni superiori, rispetto a quelle proprie della qualifica di appartenenza, sotto il profilo del riconoscimento del diritto sia alla formalizzazione del superiore livello professionale di fatto raggiunto, sia al trattamento economico corrispondente alle mansioni svolte.

Sotto il primo profilo, tuttavia, non può che ribadirsi come la pretesa dell’appellante risulti da tempo – per pacifica giurisprudenza – inammissibile, in quanto riferita ad una posizione lavorativa definita con provvedimento autoritativo di inquadramento, quale atto di carattere auto-organizzatorio contestabile entro gli ordinari termini di decadenza, con correlativa posizione di interesse legittimo non suscettibile di azione di accertamento (Cons. St., ad. plen. 20.3.1989, n. 8 e successiva giurisprudenza pacifica; cfr., fra le tante, Cons. St., sez. IV, 17.12.1991, n. 1124 e 17.4.90, n. 279; sez. VI, 10.4.1997, n. 573).

Nella situazione in esame, peraltro, lo stesso espletamento di mansioni superiori non è riconosciuto dalla parte appellata, secondo cui l’attività svolta dal geom. Zerilli sarebbe stata corrispondente alla qualifica rivestita di Assistente, in base alla relativa declaratoria di livello, riferita nelle tabelle allegate alla legge 1.2.78, n. 30 ai “lavoratori che svolgono funzioni richiedenti il possesso di adeguate conoscenze tecniche o teorico-pratiche, necessarie alla soluzione di problemi variabili e complessi, con relativi margini di autonomia, e/o coordinano e controllano l’attività di altri lavoratori”; il dipendente in questione, in possesso di specifiche conoscenze teorico-pratiche come geometra, avrebbe dunque svolto “funzioni di concetto sulla base di direttive di massima, provenienti dai vari funzionari e talvolta dallo stesso Direttore”; quanto sopra, curando “verbali di constatazioni e consegna di aree necessarie per la realizzazione di opere pubbliche e pratiche di sdemanializzazione, nonché altre pratiche analoghe riguardanti la sua specifica competenza tecnica”, di norma sulla base di “promemoria” debitamente controfirmati da un funzionario della stessa azienda e, nella maggior parte dei casi, dallo stesso Direttore Generale”, con piena corrispondenza alle mansioni proprie della qualifica rivestita.

Il Collegio ritiene di poter prescindere, comunque, da ulteriori approfondimenti in ordine alla situazione di fatto, diversamente rappresentata dalle parti, così come ritiene non necessario valutare l’avvenuta interruzione, o meno, dei termini di prescrizione, in quanto le pretese dell’interessato non risultano in alcun caso meritevoli di accoglimento.

Per quanto riguarda infatti, in particolare, la retribuzione delle mansioni superiori alla qualifica di fatto svolte, il Collegio stesso ritiene condivisibile l’indirizzo giurisprudenziale, largamente prevalente per il periodo che qui interessa, che nega in ordine all’espletamento di dette mansioni qualsiasi rilevanza non solo giuridica, ma anche economica. (cfr. in tal senso Cons. St., sez. IV, 29.1.93, n. 119, 22.2.93, n. 203, 14.5.93, n. 536, 30.6.93, nn. 646, 647 e 648; 13.6.94, nn. 492 e 493; sez. V, 23.11.94, n. 1362, 18.1.95, n. 89, 22.3.95, n. 452, 30.4.97, n. 429, 17.5. 97, n. 515, nonché ad. plen. 18.11.99, n. 22).

In rapporto a quanto sopra, sembra opportuno sottolineare come il quadro normativo di riferimento vedesse – quale principio generale, per i rapporti di lavoro instaurati presso pubbliche amministrazioni – l’affermazione di un vero e proprio diritto del dipendente stesso all’esercizio delle funzioni, inerenti alla qualifica formalmente rivestita (art.31, c.1, d.P.R. n. 3/1957), con ben precise regole per il passaggio a qualifiche funzionali diverse, essendo oggetto di consolidata giurisprudenza – anche prima di esplicitazioni legislative al riguardo – che sia l’immissione nei ruoli dell’Amministrazione, sia il successivo sviluppo della carriera debbano avvenire per concorso, tenuto conto della peculiarità ed indisponibilità degli interessi, inerenti all’attività dei pubblici funzionari (cfr. al riguardo Cons.St., sez. V, 30.4.1997, n. 429).

Il trattamento economico dei dipendenti in questione, inoltre, è correlato ad una capacità di diritto pubblico e non di diritto comune dell’Ente datore di lavoro, con conseguente inderogabilità del medesimo, di modo che il pagamento spettante a titolo di retribuzione può avvenire solo nei modi e con l’entità previsti dalla legge, tenuto conto degli atti di inquadramento nelle qualifiche (Cons. St., sez. V, 9.4.94, n. 272; 18.1.95, n. 89 e 17.5.97, n.515; TAR Toscana, sez. III, 27.9.97, n. 204);

Può essere individuato, in base alle argomentazioni sinora svolte, uno dei più significativi punti di diversificazione fra lavoratori, che operino presso un soggetto pubblico o privato, essendo applicabile solo ai secondi l’art. 2103 cod. civ. – nel testo sostituito dall’art. 13, l. 20.5.70, n. 300, ritenuto inestensibile al rapporto di pubblico impiego (Cons. St., sez. V, 11.1.85, n. 12 e 10.6.82, n. 521; sez. VI, 7.7.81, n. 392; TAR Piemonte, sez. I, 24.5.85, n. 223; TAR Marche, 4.7.85, n. 232; TAR Campania, Napoli, sez. II, 20.10.84, n. 343). La norma sopra indicata, come è noto, attribuisce al dipendente assegnato a mansioni superiori, rispetto a quelle per le quali è stato assunto, non solo il diritto al trattamento economico corrispondente alle mansioni stesse, ma anche la definitiva assegnazione della posizione funzionale più elevata; per i pubblici dipendenti, al contrario, una giurisprudenza a lungo incontrastata ha sempre negato qualsiasi rilievo sia giuridico che economico al cosiddetto mansionismo (cfr., fra le tante, Corte cost. ord. 23.12.87, n. 601; Cons. St., sez. VI, 31.3.87, n.217; V, 5.10.87, n. 604; VI 2.12.87, n. 937; V 10.6.82, n.521; VI 7.7.81, n.392).

Tale diversificazione trova ragione profonda nella sostanziale assenza per gli apparati pubblici del rischio di impresa, con ulteriore sottrazione dell’operato dei funzionari a controlli di efficienza e di efficacia, tali da ostacolare la permanenza in posizioni di responsabilità di addetti, non in grado di assicurare un ottimale espletamento del servizio loro affidato: solo in tempi relativamente recenti, in effetti, tali controlli sono stati previsti (cfr., in particolare, l. 14.1.1994, n. 20 e l. 15.5.1997, n. 127) ma solo in via di principio e senza strumenti attuativi concreti: permaneva quindi – alle date che rilevano, ai fini del presente giudizio – un pressoché totale affidamento delle garanzie, in ordine a quanto sopra, a modalità di selezione di stampo prevalentemente concorsuale, per il reclutamento e la progressione in carriera di personale competente, cui affidare funzioni anche di grande incidenza sugli interessi della collettività.

Sembra in astratto possibile, dunque, che possa avere luogo l’assegnazione a personale di qualifica inferiore di funzioni, corrispondenti a posti di profilo più elevato rimasti privi di titolare, ma solo con contemporanea attivazione (espressamente prescritta ex art. 57, comma 3, d.lgs. n. 29/1993) delle procedure previste per la regolare copertura dei posti stessi.

Nell’attuale sistema normativo, dunque, può sostenersi che lo svolgimento di fatto di mansioni superiori da parte del personale pubblico – per periodi che eccedano una breve reggenza – sia in contrasto con la volontà del datore di lavoro, quale espressa nel sistema normativo stesso: circostanza, quest’ultima, che si ritiene impeditiva del riconoscimento di effetti al rapporto illegittimamente instaurato, nei termini di cui all’art. 2126 cod. civ. (Cons. St., sez. V, ordinanza 6.3.91, n. 220; TAR Toscana, sez. III, n. 204/97 cit.);

Nemmeno appare invocabile nella materia di cui trattasi l’art. 36 della Costituzione, sia per assenza di un diritto soggettivo in rapporto agli atti con cui l’Amministrazione ha proceduto all’organizzazione dei propri uffici, predisponendo la pianta organica ed operando i relativi inquadramenti (Cons. St. sez. V, 11.1.85, n. 12), sia perché detta norma costituzionale pone solo un parametro di riscontro, per verificare che in sede legislativa o regolamentare non siano state operate discriminazioni fra lavoratori, e non sorregge anche la pretesa ad una retribuzione superiore rispetto a quella normativamente spettante (Cons.St., ad. plen. 5.5.78, n. 16 e 4.11.77, n.17; Cons. St. sez. IV, 15.10.90, n. 768; sez. V, 22.3.95, n.452; 24.5.96, n. 587; 30.4.97, n.429; 17.5.97, n.515), sia infine perchè la retribuzione è collegata non solo alla “quantità”, ma anche alla “qualità” del lavoro svolto: requisito, quest’ultimo, che non può essere presunto senza alcun nesso con la riconosciuta idoneità allo svolgimento di una certa prestazione lavorativa e nell’attuale assenza di controlli (TAR Toscana, sez. III, n. 204/97 cit).

Rilevano a quest’ultimo riguardo numerose pronunce della Corte dei conti (cfr. C. conti, sez. II, 23.1.91, n. 58 e 9.10.89, n. 242), secondo le quali l’assunzione, da parte di pubblici dipendenti, di mansioni superiori alla qualifica comporterebbe un danno erariale, non potendo ritenersi utili, per l’Amministrazione, prestazioni lavorative rese in maniera difforme da quella prevista dall’ordinamento. In tale ottica, non possono che ritenersi insussistenti anche i presupposti dell’azione, di cui all’art. 2041 cod. civ.

A non diverse conclusioni conduce anche la disamina dell’art. 57 del d.lgs. n. 29/93, che pur ammettendo il pagamento delle funzioni superiori svolte ribadisce in modo anche più puntuale i principi sopra esposti, con esplicito richiamo alla “responsabilità patrimoniale e disciplinare del dirigente”, che non attivi le procedure previste nei modi dovuti; il citato art. 57 d.lgs. n. 29, comunque, è norma non applicabile al caso di specie, essendone stata inizialmente prevista l’entrata in vigore per ciascuna amministrazione “a decorrere dalla data di emanazione dei provvedimenti di ridefinizione degli uffici e delle piante organiche…e comunque a decorrere dal 31.12.1996”, decorrenza più volte prorogata finché la norma è stata abrogata; successivamente, la materia è stata disciplinata dall’art. 56 del predetto d.lgs., nel testo sostituito dall’art. 25 del d.lgs. 31.30.1998, n. 80 e modificato dall’art. 15 del d.lgs. 29.10.1998, n. 387, con la conseguenza che il riconoscimento in via generale del diritto alle differenze retributive in questione aveva effetto solo a decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. da ultimo citato (poi a sua volta abrogato dall’art. 72 del d.lgs. 30.3.2001, n. 165) e non rileva, quindi, in questa sede, essendo stato l’attuale appellante collocato a riposo nel 1998 (cfr., per il principio, Cons. St., ad. plen., 28.10.2000, n. 10 e 23.2.2000, n. 11).

Per il periodo che qui interessa, la giurisprudenza ha più volte affermato (sia pure con alcune pronunce difformi, rispetto all’indirizzo maggioritario, cui il Collegio intende aderire) che, in materia di pubblico impiego, parametro necessario e obbligatorio per la retribuzione doveva ritenersi la qualifica formalmente posseduta, a prescindere dalle funzioni superiori in ipotesi svolte, anche per esigenze di buon andamento e di certezza dell’assetto organizzativo dell’Amministrazione: quanto sopra, fatte salve esplicite norme derogatorie dei principi enunciati e nei rigorosi termini previsti dal legislatore, senza possibilità di applicazione del ricordato d.lgs. n. 387/98 per il periodo antecedente, sia per gli incarichi formalmente assegnati, sia per quelli svolti in mera via di fatto (cfr. in tal senso Cons. St., sez. IV, 6.3.2006, n. 111314.4.2006, n. 2141, 25.9.2007, n. 4964, 10.4.2009, n. 2232; Cons. St., sez. V, 15.3.2006, n. 1368, 29.3.2006, n. 1594, 13.12.2006, n. 7356, 12.4.2007, n. 1722, 6.12.2007, n. 6254, 4.3.2008, n. 884, 4.3.2008, n. 879; Cons. St., sez. VI, 15.5.2006, n. 2705, 22.8.2006, n. 4933, 10.10.2006, n. 6015, 29.5.2008, n. 2543, 7.10.2008, n. 4816 Cons. giust. amm. sic. 18.2.2008, n. 88).

Non si discosta dai parametri generali illustrati la specifica normativa applicabile al caso di specie (art. 18 r.d. n. 148/1931), disponendo tale normativa la promozione al grado superiore solo in presenza di una formale attribuzione delle funzioni superiori da parte del Direttore dell’Azienda, in corrispondenza di un posto vacante nell’organico e solo per posti non da coprirsi mediante esame o concorso: circostanze, tutte, di cui non risulta la sussistenza nel caso di specie.

L’appellante, infatti, segnala una serie di assegnazioni di compiti, asseritamente di livello superiore a quelli propri della qualifica di provenienza, ma non un vero e proprio atto attributivo delle funzioni rivendicate (peraltro in corrispondenza di una qualifica – quella di Capo Ripartizione – introdotta solo nel 1989); quanto alla vacanza del posto, che sarebbe stato ricoperto dal medesimo appellante, la parte resistente evidenzia – senza puntuali controdeduzioni sul punto – un esubero di personale negli uffici di cui trattasi, salvo situazioni di temporanea scopertura di singole posizioni professionali, poi puntualmente ricoperte con procedura concorsuale (procedura, quest’ultima, seguita nel 1988 anche dal signor Zerilli, che si era collocato al 5° posto ad un concorso per primo Funzionario – terzo livello delle tabelle allegate alla legge n. 30/1978 – senza conseguire poi la qualifica per mancanza di posti in organico nel periodo di validità della graduatoria). Per quanto appunto riguarda la necessità del concorso, d’altra parte, lo stesso art. 18 del più volte citato regolamento prevedeva espressamente che la reggenza non desse diritto alla nomina, là dove l’attribuzione della qualifica superiore richiedesse selezione concorsuale, come previsto in modo in equivoco dall’art. 9 dell’Accordo nazionale di settore del 24.4.1987, secondo cui “le progressioni in carriera avverranno mediante concorso, prova selettiva o prova attitudinale ed esclusivamente per i posti vacanti in organico. I regolamenti aziendali non potranno derogare a quanto disposto nel precedente comma”.

In base alle argomentazioni esposte, in conclusione, il Collegio ritiene che l’appello debba essere respinto; quanto alle spese giudiziali, tuttavia, il Collegio stesso ne ritiene equa la compensazione, data la complessità delle problematiche sollevate, alla data di proposizione del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando, respinge il ricorso in appello indicato in epigrafe.

Compensa le spese giudiziali.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 maggio 2011 con l’intervento dei magistrati:

Rosanna De Nictolis, Presidente FF

Roberto Garofoli, Consigliere

Roberto Giovagnoli, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere, Estensore

Fabio Taormina, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/06/2011

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)