Pubblico impiego: archiviazione penale e avvio del procedimento disciplinare

NOTA

Con il parere in rassegna, la Sezione Prima esprime l’avviso che nell’ipotesi di emissione di decreto di archiviazione del giudice delle indagini preliminari, nei confronti di soggetto appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza, pur non essendo possibile applicare, ai fini dell’avvio dell’azione disciplinare, un termine di decadenza perentorio come quello previsto per la sentenza dall’art. 9, co. 6, D.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, deve farsi riferimento alla regola generale – desumibile dall‘art. 103, D.P.R. 10 gennaio 1957 n. 3 – in base alla quale l’Amministrazione deve procedere a un‘istruttoria in tempi ragionevoli e che, una volta acquisita la conoscenza qualificata, deve procedere subito alla contestazione (la Sezione sottolinea che il procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi enucleati dell’ordinamento, deve essere sempre avviato a ridosso dell’acquisizione della notizia configurabile come illecito disciplinare).

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Numero 01972/2012 e data 24/04/2012

REPUBBLICA ITALIANA

Consiglio di Stato

Sezione Prima

Adunanza di Sezione del 26 ottobre 2011

NUMERO AFFARE 03834/2011

OGGETTO:

Ministero dell’interno.

Applicazione dei termini fissati dall’art. 9, comma 6, del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737 per l’avvio dell’azione disciplinare connessa a un procedimento penale concluso con decreto di archiviazione. Richiesta di parere.

LA SEZIONE

Vista la relazione prot. n. 333-A.U.C./-D del 18 luglio 2011, con la quale il Ministero dell’interno – Dipartimento della pubblica sicurezza – ha chiesto il parere del Consiglio di Stato sull’affare consultivo in oggetto;

esaminati gli atti e udito il relatore Consigliere Elio Toscano;

Premesso

1. Il Ministero dell’interno ha posto il quesito se, nel caso di procedimento penale nei confronti di appartenente all’Amministrazione della pubblica sicurezza concluso con provvedimento di archiviazione, trovi applicazione l’art. 9, comma 6, del d.P.R. 25 ottobre 1981, n. 737, che prevede che l’azione disciplinare debba essere esercitata entro 120 giorni dalla pubblicazione della sentenza oppure entro 40 giorni dalla notificazione della stessa all’amministrazione, quando dal procedimento penale emergano fatti o circostanze che rendano l’interessato passibile di sanzione disciplinare.

2. Espone l’Amministrazione richiedente che la norma trova applicazione nei casi in cui il procedimento penale sia stato definito con sentenza di condanna per fatti per i quali non sia ipotizzabile in sede disciplinare la destituzione dal servizio, con sentenza di non doversi procedere (ex artt. 529 e 531 c.p.p.) o con sentenza di assoluzione (ex art. 530 c.p.p.).

Nel caso, invece, del decreto di archiviazione (art. 409 c.p.p.), secondo l’orientamento seguito dalla giustizia amministrativa. negli ultimi anni, trattandosi di pronuncia non assimilabile, per ragioni formali e sostanziali, alla sentenza e mancando l’indicazione di un esplicito termine nel d.P.R. n. 737 del 1981, si applica, in virtù del rinvio operato dall’art. 31 di detto d.P.R., l’art. 103 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (Testo unico dello statuto degli impiegati civili dello Stato), il quale statuisce che il procedimento disciplinare deve essere avviato tempestivamente.

Al suddetto orientamento si oppone una recente pronuncia del Consiglio di Stato (Sez. VI, 29 dicembre 2010, n. 9552) nella quale si afferma che, nel caso di decreto di archiviazione per infondatezza della notizia di reato, l’azione disciplinare, che “assuma a base gli stessi fatti scrutinati dal giudice agli effetti penali …non può che avere, come termine iniziale per il suo avvio, quello fissato dalla legge in 120 giorni dalla conclusione della vicenda penale”.

Il Ministero non ritiene condivisibile l’assimilazione in quanto:

a) il termine di avvio previsto dall’art. 9, comma 6, del d.P.R. n. 737 del 1981 è strettamente correlato all’accertamento del fatto operato dalla sentenza, mentre il decreto di archiviazione non assume valore di cosa giudicata e non esclude la possibilità di riapertura delle indagini;

b) il decreto di archiviazione è adottato in carenza di contraddittorio;

c) la sentenza è soggetta a pubblicazione, con conseguente fissazione di un termine certo per l’eventuale decorrenza dell’esercizio dell’azione disciplinare, mentre tale riscontro non sussiste per il decreto di archiviazione, che può essere sconosciuto persino all’interessato;

d) non vi è obbligo in capo all’autorità giudiziaria. di comunicare il decreto all’amministrazione.

Considerato

3. Premette la Sezione che il quesito posto dal Ministero dell’interno può riassumersi nell’interrogativo se il termine di decadenza fissato dal legislatore per l’esercizio della potestà disciplinare nel caso di sentenza definitivamente pronunciata dal giudice penale debba applicarsi anche in presenza di decreto di archiviazione, mancando sul punto una specifica previsione legislativa.

La questione rileva in diritto sotto più profili, dal cui approfondimento possono trarsi gli elementi utili a sciogliere il quesito.

Nell’avvio del percorso ragionativo, la Sezione ritiene che occorra verificare innanzitutto se nell’ordinamento giuridico vigente la responsabilità disciplinare sia soggetta a prescrizione.

Sul punto viene in evidenza che l’imprescrittibilità della responsabilità disciplinare è considerata dalla giurisprudenza costituzionale (cfr. Corte Cost. n. 145 del 1976) e amministrativa (Cons. St., Sez. IV, 26 maggio 2006, n. 3161) come una vera e propria regola generale, accolta nel Testo unico, di cui al d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 sugli impiegati civili dello Stato ed estesa, in forza di rinvii normativi, a tutti i pubblici dipendenti non contrattualizzati, sia civili, sia militari.

Al riguardo rileva che nell’art. 97, secondo comma, di detto Testo unico si prevede espressamente che il procedimento disciplinare possa riguardare fatti per i quali l’impiegato sia stato prosciolto in sede penale. Se a ciò si aggiunge che nel vecchio codice di procedura penale la prescrizione era una delle cause di proscioglimento, risulta confermata sotto il profilo sistematico la contrapposizione tra l’imprescrittibilità dell’illecito disciplinare e la prescrittibilità del reato.

Tuttavia, nel sistema delineato, la mancanza di prescrizione dell’illecito disciplinare è controbilanciata dalla previsione di estinzione della potestà disciplinare se non esercitata nel termine di decadenza, in modo da fissare un equilibrio tra le esigenze di tutela del prestigio dell’istituzione, verso cui l’azione disciplinare è protesa, e la necessità di evitare che l’interessato sia esposto al procedimento disciplinare sine die.

È ciò che in effetti prevede l’art. 9, sesto comma, del d. P.R. n. 737 del 1981, allorché dispone, riferendosi al vecchio codice di procedura penale (aspetto su cui si tornerà più avanti), che “Quando da un procedimento penale, comunque definito, emergono fatti e circostanze che rendano l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza passibile di sanzioni disciplinari, questi deve essere sottoposto a procedimento disciplinare entro il termine di giorni 120 dalla data di pubblicazione della sentenza, oppure entro 40 giorni dalla data di notificazione della sentenza stessa all’Amministrazione”.

4. Spostando, quindi, l’attenzione sulla potestà disciplinare, è principio generale che il suo esercizio presuppone una conoscenza certa dei fatti rilevanti ai fini disciplinari. E’, altresì, un dato incontrovertibile che la conoscenza è da ritenersi qualificata in presenza di una sentenza del giudice penale, ma nella maggior parte dei casi insufficiente se la stessa è connessa a un provvedimento di archiviazione. A ciò deve aggiungersi che l’inidoneità del fatto a ledere l’interesse pubblico tutelato dalla norma penale non esclude la lesione dell’interesse disciplinare.

Se, quindi, il legislatore – come già evidenziato – aveva previsto l’esercizio dell’azione disciplinare nel caso di proscioglimento per prescrizione, l’intervento disciplinare non può essere precluso in presenza del decreto di archiviazione. Va, però, tenuto presente che gli elementi conoscitivi che possono trarsi dal decreto di archiviazione ai fini della comprensione dei fatti sottostanti, nel caso di esso l’Amministrazione abbia notizia, dipendono dal contenuto del provvedimento, che, nella sua forma più semplice, la c.d. “archiviazione de plano”, può essere privo di sufficienti riferimenti fattuali, oltre a caratterizzarsi comunque per l’assenza di qualsiasi contraddittorio tra i soggetti interessati all’esito del procedimento e per una dialettica cartolare essenziale tra pubblico ministero e giudice.

La concreta possibilità che gli elementi conoscitivi risultino insufficienti per l’esercizio della potestà disciplinare e la già evidenziata insussistenza di un obbligo per il pubblico ministero di comunicare all’amministrazione di appartenenza del soggetto indagato l’intervenuto provvedimento di archiviazione fanno sì che possano rendersi indispensabili specifici accertamenti da parte dell’amministrazione stessa per acquisire gli elementi necessari per verificare la rilevanza disciplinare del comportamento tenuto dal dipendente.

Risulta evidente, quindi, che non è possibile, in caso di archiviazione, applicare i termini decadenziali previsti dall’art. 9, comma 6, del d.P.R. n. 737 del 1981, non essendo possibile stabilire, anche soltanto in via presuntiva, il momento in cui si concretizzano i presupposti per l’esercizio della potestà disciplinare.

Tuttavia, per quanto sopra esposto, l’interesse dell’Amministrazione a ristabilire l’ordine disciplinare violato deve essere bilanciato con l’interresse, pure rilevante, del dipendente a non essere esposto sine die all’azione disciplinare.

Al riguardo, sovvengono i criteri e i principi generali che presiedono l’azione disciplinare, enucleati dalla giurisprudenza amministrativa, la quale ha evidenziato che, con la locuzione “subito” utilizzata nell’art. 103 del T.U. sugli impiegati civili dello Stato, riferita alla contestazione degli addebiti, il legislatore ha inteso riferirsi “non ad un termine prestabilito e vincolante, ma ad un termine ragionevole e non dilatorio, da valutare secondo il caso concreto, entro il quale il procedimento disciplinare deve essere iniziato dall’Amministrazione, tenendo conto degli accertamenti preliminari e delle verifiche che il fatto rilevante disciplinarmente comporta” (Consiglio Stato , sez. IV, 27 novembre 2010 , n. 8284).

Nell’ipotesi dell’archiviazione, quindi, pur non essendo possibile applicare ai fini dell’avvio dell’azione disciplinare un termine di decadenza perentorio come quello previsto nel caso della sentenza, non può che farsi riferimento alla regola generale in base alla quale l’Amministrazione deve procedere a un‘istruttoria in tempi ragionevoli e che, una volta acquisita la conoscenza qualificata, deve procedere subito alla contestazione.

5. A sostegno della tesi esposta sovvengono ulteriori argomentazioni che possono trarsi dall’orientamento prevalente della giustizia amministrativa sul sistema dei rapporti tra il procedimento disciplinare e quello penale, alla luce dei criteri formali fissati dal vigente codice di procedura penale, che distingue tra azione penale in senso proprio e fase preprocessuale delle indagini preliminari.

Infatti, il richiamo a nozioni o istituti processuali, contenuto nelle normative risalenti, quali appunto il T.U. n. 3 del 1957 e il d.P.R. n. 737 del 1981, deve essere interpretato alla luce dell’evoluzione del rito penale, nel quale oggi la soggezione al processo (e cioè l’acquisto della veste di imputato) non deriva dall’esperimento delle indagini preliminari, né dall’iscrizione nel registro degli indagati, ma dalla richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero e dagli altri atti con i quali il pubblico ministero chiede al giudice di decidere sulla pretesa punitiva, con la conseguente assunzione della qualità di imputato del soggetto al quale è contestato il reato.

Al riguardo, occorre considerare che la disposizione dettata dall’art. 9, comma 6, del d. P.R. n. 737 del 1981 in tema di esercizio dell’azione disciplinare in presenza di un “procedimento penale, comunque definito” concerne l’articolazione procedurale e strutturale dell’iter disciplinare a carico dell’appartenente all’Amministrazione della pubblica sicurezza e non la qualificazione della portata di atti giurisdizionali (sentenze o decreti), del tutto esterni rispetto al procedimento disciplinare pur se rilevanti per il suo avvio.

Inoltre, non appare condivisibile la tesi che professa una completa assimilazione tra decreto di archiviazione (secondo il vigente c.p.p.) e sentenza di proscioglimento istruttorio(secondo l’abrogato codice di rito). Infatti, il decreto di archiviazione è emesso al termine di un procedimento preordinato all’esercizio della potestà punitiva statale, quando nessuna imputazione è stata formulata non essendo state reperite fonti di prova. Di contro, la sentenza di proscioglimento istruttorio, secondo il rito abrogato, presupponeva l’avvenuta formulazione dell’imputazione, che segnava il limite aldilà del quale l’attività di indagine o preistruttoria del pubblico ministero sfociava nell’istruzione sommaria e, quindi, nel processo. Conseguentemente per ragioni sostanziali, prima ancora che in senso nominalistico, il decreto di archiviazione non è assimilabile ad una sentenza del giudice, né può considerarsi atto conclusivo di un procedimento penale mai iniziato.

6. In conclusione, nell’interpretazione del sesto comma dell’art. 9 del d.P.R. n. 737 del 1981, non si può estendere la portata dell’espressione sentenza, fino a comprendere in essa il decreto di archiviazione, sia pure ai limitati fini di stabilire il termine per iniziare l’azione disciplinare nei confronti degli appartenenti all’Amministrazione della pubblica sicurezza.

Ciò perché:

a) sentenza e decreto di archiviazione sono relativi a fasi di diversa natura del procedimento giudiziario penale;

b) il termine sentenza, di cui “all’art. 9, sesto comma del d.P.R. n. 737 del 1981 non può essere inteso come riferito alla sentenza penale definitiva” (C.d.S., Sez. VI, n. 3151 del 2008), al fine di consentire il rispetto della regola della sospensione del procedimento disciplinare di cui all’art. 11 (“Procedimento disciplinare connesso con procedimento penale. Quando l’appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza viene sottoposto, per gli stessi fatti, a procedimento disciplinare ed a procedimento penale, il primo deve essere sospeso fino alla definizione del procedimento penale con sentenza passata in giudicato.” Il decreto di archiviazione non è per sua natura idoneo a divenire definitivo e non contiene statuizioni o accertamenti processualmente certi (art. 414 c.p.p.);

c) il rilievo del procedimento giudiziario penale sul procedimento disciplinare sorge con l’esercizio dell’azione penale, che ha inizio quando il soggetto indagato acquista la veste di imputato (C.d.S. A.P. n. 1 del 2009). È solo quando viene esercitata l’azione penale nei confronti di un impiegato pubblico che il pubblico ministero deve informare l’autorità da cui l’impiegato dipende (art. 129 norme di attuazione c.p.c.);

d) per quanto riguarda l’azione disciplinare (la giurisprudenza cui si fa riferimento riguarda un magistrato amministrativo) l’emissione del decreto di archiviazione non comporta la decorrenza di un autonomo termine di promovibilità dell’azione disciplinare (C.d.S., Sez. IV, n. 3161 del 2006);

e) dell’emissione del decreto penale può non essere data notizia ad alcuno.

7. Quanto sin qui esposto consente di affermare, in definitiva, che il procedimento disciplinare, nel rispetto dei principi enucleati dell’ordinamento, deve essere sempre avviato a ridosso dell’acquisizione della notizia configurabile come illecito disciplinare. Tale principio generale, espresso dall’art. 103 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 trova applicazione anche nel caso di esercizio della potestà disciplinare a seguito del decreto di archiviazione del giudice delle indagini preliminari, nei confronti di soggetto appartenente ai ruoli dell’Amministrazione della pubblica sicurezza. Alla luce delle considerazioni svolte appare condivisibile la tesi prospettata dalla Amministrazione richiedente.

P.Q.M.

nei termini suesposti è il parere.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

Elio Toscano Giuseppe Barbagallo

IL SEGRETARIO

Giovanni Mastrocola