Giustizia amministrativa: art. 21-octies e mancata comunicazione di avvio del procedimento

NOTA

La sentenza in rassegna ritiene applicabile all’attività discrezionale (nella specie si verteva dell’ultimo di una serie di provvedimenti di proroga di una servitù militare per ragioni di sicurezza) l‘art. 21-octies, co. 2, secondo periodo, L. 7 agosto 1990 n. 241, secondo cui il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

Osserva il Collegio che “(…) per pacifica giurisprudenza l’art. 21-octies è applicabile, in parte qua, anche agli atti discrezionali (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. VI, 21 luglio 2011, nr. 4421; id., 7 giugno 2011, nr. 3416; id., 11 maggio 2011, nr. 2795).

Più specificamente, la norma in questione si divide in due parti, la prima delle quali prevede che il provvedimento non sia annullabile quando ricorrano necessariamente i seguenti elementi: violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti; natura vincolata del provvedimento; essere “palese” che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; la seconda parte è relativa ad un tipico vizio procedimentale (violazione dell’obbligo di avvio del procedimento) e prevede che il provvedimento non sia annullabile “qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

In quest’ultima ipotesi, applicabile senza dubbio al caso di specie, non c’è il limite per l’attività vincolata e la norma opera, quindi, anche in caso di attività discrezionale.”.

Nella specie, osserva il Collegio, la prova che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso “(…) emerge dall’inconsistenza stessa delle censure articolate in giudizio, tali da disvelare che l’apporto partecipativo dell’interessata non avrebbe potuto portare ad alcun esito diverso. ” (in particolare, secondo il Collegio, l’interesse (patrimoniale) prospettato dalla ricorrente – ad installare sul fondo investito da servitù militare una distesa di pannelli fotovoltaici – non dimostra alcuna attitudine a prevalere sull’interesse pubblico alla sicurezza perseguito dalla P.A. con il provvedimento impositivo della servitù: “non è affatto detto (né chiarito il perché) dovesse prevalere sull’interesse pubblico alla sicurezza tutelato dall’Amministrazione militare).

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N. 03083/2012REG.PROV.COLL.

N. 06874/2009 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in appello nr. 6874 del 2009, proposto dal MINISTERO DELLA DIFESA, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliato per legge presso la stessa in Roma, via dei Portoghesi, 12,

contro

la signora Teresa Y., rappresentata e difesa dagli avv. Alfredo Codacci Pisanelli e Giandomenico Daniele, con domicilio eletto presso il primo in Roma, via C. Monteverdi, 20,

per l’annullamento,

previa sospensione dell’esecutorietà,

della sentenza resa dal T.A.R. della Puglia, Sezione di Lecce, nr. 955/09, in data 7 maggio 2009, notificata in data 26 maggio 2009.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio dell’appellata signora Teresa Y. e l’appello incidentale dalla stessa proposto;

Viste le memorie prodotte dall’Amministrazione appellante (in data 22 marzo 2012) e dalla appellata (in date 20 marzo e 3 aprile 2012) a sostegno delle rispettive difese;

Vista l’ordinanza di questa Sezione nr. 4859 del 29 settembre 2009, con la quale è stata accolta la domanda di sospensione dell’esecutività della sentenza impugnata;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, all’udienza pubblica del giorno 24 aprile 2012, il Consigliere Raffaele Greco;

Uditi l’avv. Codacci Pisanelli per la appellata e l’avv. dello Stato Melania Nicoli per l’Amministrazione;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Il Ministero della Difesa ha impugnato, chiedendone l’annullamento previa sospensione dell’esecutorietà, la sentenza con la quale il T.A.R. della Puglia ha accolto il ricorso presentato dalla signora Teresa Y. avverso il decreto nr. 267 adottato, in data 20 giugno 2008, dal Comandante in Capo del Dipartimento Militare Marittimo dello Jonio e del Canale d’Otranto di Taranto e degli annessi allegati.

A sostegno dell’appello, ha dedotto violazione del combinato disposto degli articoli 7 e 21-octies, comma 2, della legge 7 agosto 1990, nr. 241 (in relazione alla mancata applicazione da parte del giudice di primo grado dell’art. 21-octies, comma 2 della citata legge, relativo ai c.. “vizi non invalidanti”, il quale escluderebbe l’invalidità del provvedimento impugnato, relativamente al quale è stata omessa la comunicazione di avvio del procedimento).

Resiste la signora Y., la quale, oltre ad opporsi con diffuse argomentazioni all’accoglimento dell’appello, ha appellato la medesima sentenza in via incidentale riproponendo come segue gli ulteriori motivi di impugnazione di primo grado rimasti assorbiti nella sentenza di accoglimento:

I) violazione di legge per contrasto con l’art. 5 della legge 24 dicembre 1976, nr. 898, così come modificata dalla legge 2 maggio 1990, nr. 104, e con l’art. 13 del d.P.R. 17 dicembre 1979, nr. 780; eccesso di potere per violazione e vizi del procedimento (in relazione all’errata applicazione del procedimento di pubblicità e notifica del decreto di proroga delle servitù militari);

II) violazione di legge per contrasto con l’art. 13 del d.P.R. nr. 780 del 1979, con gli artt. 3 e 5 del decreto ministeriale 8 agosto 1996, nr. 690 e con l’art. 7 della legge nr. 241 del 1990; eccesso di potere per disparità di trattamento (con riferimento alla mancata comunicazione di avvio del procedimento e violazione del principio del contraddittorio);

III) violazione di legge per contrasto con gli artt. 3, 5, 6 e 10 del d.m. 690 del 1996 e con l’art. 8 della legge nr. 241 del 1990; eccesso di potere per violazione e vizi del procedimento (in relazione alla mancata comunicazione del responsabile del procedimento, omessa indicazione del termine di conclusione del procedimento e del luogo dove poter prendere visione degli atti);

IV) violazione di legge per contrasto con l’art. 3 della legge nr. 241 del 1990 e con l’art. 4 del d.m. nr. 690 del 1996; eccesso di potere per violazione e vizi del procedimento (in relazione all’assunta insufficienza della motivazione del provvedimento);

V) violazione dell’art. 7, commi 1 e 12, della legge nr. 898 del 1976 (con riferimento al mancato pagamento delle indennità relative al periodo 2003-2007 all’appellante incidentale da parte dell’Amministrazione militare);

VI) richiesta di risarcimento dei danni subiti a causa dell’illegittimo decreto di proroga della servitù militare per cui è causa;

VII) in via gradata, istanza di rideterminazione del perimetro di asservimento, previo esperimento di una consulenza tecnica d’ufficio;

VIII) in via ulteriormente gradata, eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 7 della legge nr. 898 del 1976 con riferimento all’art. 42 Cost. (relativamente alla parte della norma in cui non si prevede, anche per i terreni agricoli, un indennizzo annuo congruo, rapportato al valore di mercato del bene, per le limitazioni subite).

All’esito della camera di consiglio del 29 settembre 2009, la Sezione ha accolto l’istanza cautelare formulata dall’amministrazione appellante.

Le parti hanno affidato a memorie l’ulteriore svolgimento delle rispettive tesi.

All’udienza del 24 aprile 2012, la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. La signora Teresa Y. è comproprietaria di un fondo agricolo sito nel Comune di Mesagne in contrada “Epifani”, su parte del quale il Ministero della Difesa ha istituito, con decreto nr. 134 dell’8 novembre 1978 del Capo del Dipartimento Militare Marittimo dello Jonio e del Canale d’Otranto di Taranto, una servitù militare a protezione dell’opera denominata “Deposito Munizioni di Mesagne”.

Tale servitù militare è stata reimposta dapprima con decreto nr. 109 del 1986 nonché, successivamente, con decreto nr. 47 del 1993 e da allora prorogata senza soluzioni di continuità con i decreti nr. 153 del 1998 e nr. 778 del 2003 (con il quale, inoltre, il perimetro della servitù è stato ridotto dagli originari mq 312.367 agli attuali mq 151.283), fino al decreto nr. 267 del 2008, oggetto del ricorso di primo grado proposto dalla sig.ra Y..

Nell’accogliere il gravame, il T.A.R. della Puglia ha ritenuto assorbente, rispetto agli altri motivi articolati dalla ricorrente, la (incontestata) mancata comunicazione di avvio del procedimento da parte del Comando in Capo del Dipartimento M.M. dello Jonio e del Canale di Otranto di Taranto nei confronti della sig.ra Y., sulla scorta dell’assunto che l’accoglimento della suddetta censura inibirebbe l’esame delle altre, stante l’invalidità dell’istruttoria svoltasi in carenza della comunicazione stessa.

Avverso la richiamata sentenza del T.A.R. pugliese, è insorta l’Amministrazione soccombente con l’appello oggi all’esame della Sezione.

2. Tanto premesso, l’appello è fondato e, pertanto, meritevole di accoglimento.

3. Con l’unico motivo di gravame, parte appellante si duole dell’erroneità della sentenza di primo grado, la quale non ha considerato che l’art. 7 della legge 7 agosto 1990, nr. 241, di cui si assume la violazione da parte dell’Amministrazione, deve essere coordinato con il successivo art. 21-octies, introdotto dalla legge 11 febbraio 2005, nr. 15, il quale pone un’eccezione alla invalidità comminata dalla precedente disposizione relativamente ai provvedimenti non preceduti dalla comunicazione di avvio del procedimento.

3.1. E’ palese la fondatezza dell’appello dell’Amministrazione, potendo legittimamente essere invocato, nella specie, l’art. 21-octies, comma 2, della legge nr. 241 del 1990, e quindi predicarsi l’irrilevanza della omissione della comunicazione di avvio del procedimento amministrativo.

3.2. Come correttamente rilevato anche dal giudice di prime cure, l’art. 7 della legge nr. 241 del 1990 ha sancito il principio della partecipazione del privato al procedimento amministrativo, stabilendo espressamente che “ove non sussistano ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento, l’avvio del procedimento stesso è comunicato, con le modalità previste dall’articolo 8, ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti ed a quelli che per legge debbono intervenirvi”, consentendo così al soggetto coinvolto dall’agire amministrativo di avere conoscenza dell’avvio di un procedimento destinato a sfociare in un provvedimento che produrrà effetti nei suoi confronti.

Questi principi sono stati recepiti dal d.m. 8 agosto 1996, nr. 690, che, in relazione ai provvedimenti dei dipartimenti militari marittimi, ha riportato all’art. 5 il testo dell’art. 7 della legge nr. 241 del 1990.

Tuttavia, l’art. 21-octies della medesima legge, nell’introdurre la categoria dei c.d. “vizi non invalidanti”, ha previsto al secondo comma che “non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell’avvio del procedimento qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

Al riguardo, del tutto inconferenti sono gli opposti rilievi in ordine alla natura discrezionale, e non vincolata, dell’attività condotta dall’Amministrazione, circostanza questa che, a detta dell’appellata, renderebbe inapplicabile al caso di specie l’eccezione prevista dall’art. 21-octies, sulla base della considerazione che, stante la discrezionalità dell’atto, l’omissione della comunicazione di avvio del procedimento determinerebbe l’invalidità del provvedimento stesso per difetto di istruttoria.

Sebbene la natura non vincolata del provvedimento di cui si discute non sia revocabile in dubbio, va rilevato che per pacifica giurisprudenza l’art. 21-octies è applicabile, in parte qua, anche agli atti discrezionali (cfr. ex plurimis Cons. Stato, sez. VI, 21 luglio 2011, nr. 4421; id., 7 giugno 2011, nr. 3416; id., 11 maggio 2011, nr. 2795).

Più specificamente, la norma in questione si divide in due parti, la prima delle quali prevede che il provvedimento non sia annullabile quando ricorrano necessariamente i seguenti elementi: violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti; natura vincolata del provvedimento; essere “palese” che il contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato; la seconda parte è relativa ad un tipico vizio procedimentale (violazione dell’obbligo di avvio del procedimento) e prevede che il provvedimento non sia annullabile “qualora l’amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato”.

In quest’ultima ipotesi, applicabile senza dubbio al caso di specie, non c’è il limite per l’attività vincolata e la norma opera, quindi, anche in caso di attività discrezionale (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 14 aprile 2008, nr. 1588).

Tale norma, dunque, pone in capo all’Amministrazione l’onere di dimostrare, in caso di mancata comunicazione dell’avvio, che l’esito del procedimento non poteva essere diverso.

Nel caso di specie, come correttamente argomentato dall’appellante, la prova de qua emerge dall’inconsistenza stessa delle censure articolate in giudizio, tali da disvelare che l’apporto partecipativo dell’interessata non avrebbe potuto portare ad alcun esito diverso.

Più precisamente, la deduzione da parte dell’appellata della possibilità di installazione di pannelli solari sul fondo gravato dalla servitù militare, oltre che non documentata, corrisponde a un mero interesse patrimoniale della stessa, che non è affatto detto (né chiarito il perché) dovesse prevalere sull’interesse pubblico alla sicurezza tutelato dall’Amministrazione militare.

Inoltre, del tutto inconferente si appalesa il fatto, pure dedotto dall’appellata e confermato dall’Amministrazione, che nei precedenti decreti fosse stato modificato (in senso riduttivo) il perimetro dell’area assoggettata a servitù: detta circostanza, che di per sé non vuol dire nulla, non dimostra, infatti, che sussistevano i presupposti per ulteriori riduzioni nel caso di specie.

4. Passando ad esaminare i motivi assorbiti nella sentenza di primo grado e riproposti dall’appellata con apposito appello incidentale, può agevolmente rilevarsi come gli stessi si appalesino tutti infondati.

5. Privo di pregio risulta essere il primo motivo, con il quale l’appellante incidentale lamenta il ritardo nella comunicazione dell’avviso di deposito dell’atto impugnato, in violazione dell’art. 5 della legge 24 dicembre 1976, nr. 898, così come modificata dalla legge 2 maggio 1990, nr. 104, e dell’art. 13 del d.P.R. 17 dicembre 1979, nr. 780, i quali prevedono, anche per i decreti di proroga delle servitù militari, particolari forme di pubblicità, consistenti nel “deposito per sessanta giorni consecutivi, nell’ufficio di ciascun comune, nel quale sono situati i fondi assoggettati alle limitazioni. Dell’avvenuto deposito e’ data notizia, entro i primi quindici giorni, mediante avviso inserito nel Foglio annunzi legali della provincia e mediante manifesti del comando militare territoriale affissi, in numero congruo, a cura del sindaco, nel territorio del predetto comune. Di tale deposito è effettuata contestuale notifica, tramite i comuni interessati, ai proprietari degli immobili assoggettati alle limitazioni”.

Ebbene, assume l’appellante incidentale che la notifica dell’avvenuto deposito del decreto presso gli uffici indicati dalla legge non sarebbe avvenuta contestualmente, come la norma imporrebbe, ma dopo oltre un mese e mezzo dal deposito stesso.

Va subito rilevato, tuttavia, come detto ritardo non incida sulla legittimità del provvedimento e nemmeno sulla sua efficacia, che – come evidenziato dalla stessa appellata – è fissata al novantesimo giorno dal deposito: la notifica del deposito entro i termini di legge rileva, infatti, unicamente ai fini del decorso del termine per l’impugnazione del provvedimento di proroga della servitù militare per cui è causa, la cui tempestività, in questo caso, non è mai stata messa in discussione, come dimostra il fatto che l’originaria ricorrente ha potuto efficacemente tutelare le proprie esigenze in sede giurisdizionale, ottenendo dal giudice di primo grado l’accoglimento del (tempestivo) ricorso.

Ne deriva l’assoluta inconsistenza del motivo di gravame appena esaminato.

6. Il secondo e il terzo motivo dell’appello incidentale possono essere trattati congiuntamente, attenendo entrambi alla violazione delle garanzie partecipative del privato al procedimento amministrativo.

Più precisamente, con il secondo motivo l’appellante incidentale finisce con il riproporre il difetto di comunicazione di avvio del procedimento da parte dell’Amministrazione militare e, dunque, la violazione dell’art. 7 della legge nr. 241 del 1990, mentre con il terzo motivo deduce la mancata comunicazione del responsabile del procedimento, nonché l’omessa indicazione del termine di conclusione del procedimento e del luogo dove poter prendere visione degli atti, vale a dire la violazione dell’art. 5, comma 2 del d.m. nr. 690 del 1996, il quale rinvia all’art. 8 della legge nr. 241 del 1990, che elenca gli elementi che devono essere contenuti nella comunicazione di avvio del procedimento.

In relazione ai suddetti motivi possono riproporsi le osservazioni articolate con riferimento all’appello dell’Amministrazione militare, valendo anche per essi il rilievo dell’applicabilità dell’art. 21-octies, comma 2 della legge nr. 241 del 1990: per espressa previsione della suddetta disposizione, infatti, la mancata comunicazione di avvio del procedimento e, conseguentemente, la mancata indicazione delle informazioni che la stessa deve contenere, non determinano l’invalidità del provvedimento qualora lo stesso, anche in caso di intervento degli interessati, non avrebbe potuto essere diverso da quello di fatto adottato, come efficacemente dimostrato dall’Amministrazione.

Per gli stessi motivi dell’accoglimento dell’appello principale, vanno, dunque, all’opposto, respinti il secondo e il terzo motivo dell’appello incidentale.

7. Va disatteso anche il quarto motivo dell’appello incidentale, relativo al difetto di motivazione del provvedimento di proroga della servitù militare impugnato in primo grado.

La motivazione di cui si discute può, infatti, considerarsi a tutti gli effetti idonea e sufficiente, anche in considerazione del carattere parzialmente riservato delle disposizioni nella specie applicate dall’Amministrazione militare, la quale ha elaborato il progetto per la proroga della servitù militare per cui è causa nel rispetto delle “Norme Tecniche per l’imposizione delle limitazioni di cui alla legge 24 dicembre 1976, nr. 898, sulla nuova regolamentazione delle servitù militari e successive modificazioni”, approvate con decreto interministeriale dei Ministri della Difesa e dell’Interno del 23 aprile 1996, pubblicazione che ha classifica di segretezza “Riservato”.

Inoltre, del tutto destituita di fondamento si rivela la tesi della appellata secondo cui occorrerebbe una motivazione diversa per ciascun nuovo decreto: trattandosi di proroga, al contrario, è evidente che, ai fini della conferma del vincolo imposto a presidio dell’opera militare, è sufficiente il semplice persistere dell’interesse pubblico originario.

8. Il quinto e l’ottavo dei motivi dell’appello incidentale meritano una trattazione congiunta, afferendo alla questione delle indennità dovute al privato per la subita limitazione del diritto di proprietà, a causa del vincolo militare gravante sul fondo dell’appellante incidentale.

Più specificamente, con il quinto motivo, l’appellante si duole per il mancato pagamento delle indennità relative al periodo 2003-2007, conseguenti al decreto di proroga nr. 778 del 2003, rilevando la persistenza dell’inadempimento da parte del Ministero della Difesa; con l’ottavo motivo, invece, si eccepisce l’incostituzionalità dell’art. 7 della legge nr. 898 del 1976 per contrasto con l’art. 42 Cost., nella parte in cui non prevede, anche per i terreni agricoli, un indennizzo annuo congruo, rapportato al valore di mercato del bene, per le limitazioni subite, in ciò ravvisando una disparità di trattamento rispetto ai fondi edificabili, relativamente ai quali, al contrario, la stessa Corte costituzionale ha riconosciuto, con la sentenza 13 luglio 2000, nr. 390, che l’indennizzo debba essere commisurato al valore venale del fondo, altrimenti risultando insignificante.

Con riferimento al quinto motivo, va rilevato che esso, oltre a non incidere sulla legittimità del provvedimento qui impugnato, afferendo a una pretesa indennitaria del proprietario inciso dalla servitù, sfugge chiaramente alla giurisdizione del giudice amministrativo: a conferma di ciò, risulta, difatti, che la istante ha proposto autonomo giudizio dinanzi al giudice ordinario.

Ne discende il difetto di rilevanza della questione di legittimità costituzionale articolata col motivo successivo, che investe questioni relative alla quantificazione dell’indennizzo, la cui cognizione pacificamente appartiene al giudice ordinario.

Vanno, pertanto, disattesi, per carenza di giurisdizione del giudice amministrativo, entrambi i motivi di appello esaminati.

9. Va respinta anche la domanda di risarcimento dei danni avanzata pure dall’appellante incidentale, la quale assume di aver subito un grave pregiudizio economico a causa dell’asserita illegittimità del decreto di proroga della servitù militare, il quale avrebbe comportato, come effetto pratico, uno svuotamento del contenuto del diritto di proprietà.

Come già sopra argomentato ampiamente, il provvedimento impugnato è immune da vizi di legittimità e, pertanto, non può accogliersi la domanda di risarcimento dei danni così come proposta.

10. Infine, non può trovare accoglimento neppure l’istanza, proposta in via gradata dalla sig.ra Y., avente ad oggetto la rideterminazione del perimetro di asservimento del fondo di sua proprietà, previo esperimento di una consulenza tecnica d’ufficio diretta ad accertare se ne sussistano i presupposti e se non vengano pregiudicate le esigenze di sicurezza militare.

Può, infatti, agevolmente rilevarsi come la valutazione circa l’estensione del vincolo militare sia stata già correttamente posta in essere ed adeguatamente motivata dall’Amministrazione militare a ciò deputata, il cui operato, dunque, rappresentando l’esplicazione di un potere discrezionale, non può essere sindacato nel merito.

Ne discende la palese inammissibilità della pretesa di parte appellante incidentale a che sia l’organo giurisdizionale, surrogandosi all’Amministrazione, a sovrapporre proprie valutazioni a quelle da essa compiute.

11. In conclusione, alla luce dei rilievi che precedono, s’impone la riforma della sentenza appellata e il rigetto del ricorso di primo grado, con conferma degli atti impugnati dalla ricorrente in primo grado.

12. In considerazione della peculiarità della vicenda esaminata, sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese di entrambi i gradi del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, accoglie l’appello principale e respinge l’appello incidentale e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, respinge il ricorso di primo grado.

Compensa tra le parti le spese del doppio grado del giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 24 aprile 2012 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Raffaele Greco, Consigliere, Estensore

Guido Romano, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 25/05/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)