Edilizia: sull'incongruenza tra la superficie assentita e quella assentibile in base al PRG

NOTA

La decisione in rassegna conferma la sentenza di prime cure che aveva ritenuto legittimo il provvedimento di annullamento d’ufficio di un permesso di costruire per la realizzazione di un complesso commerciale direzionale (rilasciato in ambito di pianificazione attuativa ad iniziativa privata), in ragione della macroscopica incongruenza rilevata ra la superficie assentita e quella assentibile sulla base del vigente PRG e delle norme tecniche attuative.

A giudizio del Collegio, la discrasia è originata dalla formulazione della relazione tecnica da parte dei tecnici incaricati dalla società appellante, che nel computo delle superfici di progetto anziché riferirsi all’unico parametro rilevante e pertinente (la “superficie edificabile”) analiticamente descritto nelle sue misurazioni, unico a rilevare nella verifica del rispetto degli indici si era riferita a un parametro (la “superficie lorda di progetto“) del tutto irrilevante e fuorviante avuto riguardo al contesto pianificatorio, alla scelta espositiva ed al tenore delle norme regolamentari.

Da segnalare il passaggio della motivazione in cui il Collegio – ai fini di interpretare l’atto pianificatorio in applicazione dei noti criteri civilistici (in primis, l’art. 1366 c.c.) – sottolinea che l’affidamento rilevante ai fini ermeneutici non è solo quello del privato ma anche quello della P.A.: si legge in motivazione che “(…) l’interpretazione degli atti amministrativi soggiace alle stesse regole dettate dall’art. 1362 e ss. c.c. e che pertanto, oltre alla fondamentale interpretazione letterale, il giudice, nel ricostruire l’intento dell’Amministrazione ed il potere che essa ha inteso esercitare in base al contenuto complessivo dell’atto, deve seguire il principio di buona fede ex art. 1366 c.c. individuando gli effetti degli atti amministrativi in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere (da ultimo, Consiglio Stato, sez. V, 05/09/2011, n. 4980). La regola ermeneutica è stata richiamata dalla giurisprudenza pressoché esclusivamente a tutela del ragionevole affidamento ingeneratosi in capo al privato, destinatario dell’atto amministrativo equivocamente formulato, in relazione ad un’opzione esegetica ad egli favorevole. Ma non vi sono ragioni dogmatiche o normative che inibiscano l’applicazione del criterio in direzione opposta, in favore dell’amministrazione, ciò ovviamente quando l’atto amministrativo presupponga una previa o contestuale manifestazione volitiva del privato sulla cui interpretazione l’amministrazione ha ragionevolmente posto affidamento. Anche in tale ipotesi il principio di buona fede ex art. 1366 c.c. impone al Giudice di vagliare, nell’ambito della complessiva vicenda procedimentale, l’atto di impulso o di adesione derivante dal coinvolgimento del privato, e di interpretare i contenuti dell’atto amministrativo conclusivo – momento di esternazione di una volontà che si è formata sulla base di un processo cognitivo, evidentemente condizionato dai contenuti della partecipazione privata – secondo il significato ragionevolmente fatto proprio dall’amministrazione.”.

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N. 03385/2012REG.PROV.COLL.

N. 04138/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4138 del 2011, proposto da:

Grillo Centro Affari Srl, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli avv. Mario Sanino, Tonino Cellini, Francesco Castiello, con domicilio eletto presso Francesco Castiello in Roma, via Giuseppe Cerbara, 64;

contro

Comune di Martinsicuro in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dall’avv. Pietro Referza, con domicilio eletto presso Antonio Ruggiero Bianchi in Roma, via Leonardo Greppi 77;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. ABRUZZO – L’aquila – Sezione I n. 00021/2011, resa tra le parti, concernente parziale annullamento del permesso di costruire per realizzazione di un complesso commerciale direzionale in villa rosa – risarcimento danni

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Martinsicuro;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 maggio 2012 il Cons. Giulio Veltri e uditi per le parti gli avvocati Mario Sanino e Antonio Ruggero Bianchi in sostituzione di Pietro Referza;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

La società appellante otteneva, nell’ottobre del 2005, un permesso di costruire per la realizzazione di un complesso direzionale-commerciale.

Nel 2010, il Comune di Martinsicuro annullava in autotutela il permesso di costruire, a motivo di una rilevata (anche a seguito dell’avvio di una indagine penale) macroscopica incongruenza tra la superficie assentita, e quella assentibile sulla base del vigente PRG e delle norme tecniche attuative.

La società insorgeva dinanzi al TAR Abruzzo dolendosi, innanzitutto, della mancata considerazione del Piano particolareggiato ad iniziativa privata del 2000 e soprattutto della successiva variante del 2003. Quest’ultima, contemplante allegati progettuali che ne fanno parte integrante, consentiva l’intervento edilizio in misura pressoché raddoppiata, in deroga ai parametri delle NTA. La predetta variante non era mai stata annullata.

Lamentava inoltre l’assenza dei presupposti per ricorrere all’autotutela anche in considerazione dell’edificazione delle opere e del lungo tempo trascorso dal rilascio del titolo.

Il Giudice di primo grado ha respinto il ricorso evidenziando come l’oggetto della variante del 2003 fosse essenzialmente la sistemazione viaria; per altro verso, come l’indicazione circa il raddoppio della superficie edificabile, indicato nelle tavole allegate, non fosse affatto intelligibile ed in ogni caso proponibile in assenze di una modifica delle NTA. Quanto al rispetto dell’art. 21 nonies della legge 241/90 ha osservato che l’affidamento del privato avrebbe potuto rilevare, al più, nella seconda fase del procedimento, ossia al momento in cui l’amministrazione dovrà scegliere se ingiungere la demolizione o applicare la sanzione pecuniaria, ex art. 38 dPR 380/2001.

Ha interposto appello la società titolare del complesso edilizio.

L’appellante insiste nell’efficacia dirimente della variante, nella sua avvenuta approvazione e nel suo mancato annullamento, ritenendo che il giudice abbia di fatto disapplicato un atto non impugnato, senza averne i poteri non trattandosi di una fonte normativa. Ribadisce, in ogni caso, l’insussistenza dei presupposti per l’annullamento in autotutela avuto riguardo allo stato della costruzione ed al lungo periodo trascorso.

Si è costituita l’amministrazione spiegando difese. Le parti hanno scambiato memorie e repliche in vista dell’udienza di discussione ad ulteriore svolgimento delle relative tesi difensive.

La causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 15 maggio 2012.

DIRITTO

1. Il nocciolo della questione risiede nella natura e negli effetti della variante, oltre che nell’analisi del sindacato operato dal Giudice di primo grado, stigmatizzato dall’appellante quale frutto di un’inammissibile disapplicazione provvedimentale.

La variante al piano particolareggiato del 2000 è stata approvata con deliberazione consiliare n. 80 del 16/10/2003, atti ancora efficaci in quanto mai rimossi.

2. Secondo l’appellante, la variante avrebbe avuto l’effetto di consentire l’edificabilità in misura pressoché raddoppiata rispetto al pregresso Piano particolareggiato ed alle vigenti NTA. Il permesso di costruire avrebbe legittimamente assentito quanto già autorizzato dalla variante, sicchè, in mancanza di provvedimenti di annullamento che investano, a monte, la variante, il permesso sarebbe da considerare legittimo, e conseguentemente, l’autotutela non legittimamente azionata.

Il sindacato incidentale del giudice di prime cure che ha ritenuto la variante di portata meramente “viabilistica”, come tale non modificativa né derogatoria degli indici edilizi fissati dall’art. 35 delle NTA, si sarebbe risolto in una sostanziale disapplicazione, non consentita al giudice amministrativo in relazione ad atti, come quello di specie, che non hanno natura normativa.

3. La censura, pur suggestiva, non può in tali termini essere condivisa.

Il Giudice di prime cure, a ben vedere, lungi dall’accertare in via incidentale l’illegittimità della variante, ha esaminato la vicenda procedimentale che l’ha preceduta, il dibattito consiliare e le stesse motivazioni delle delibere consiliari di adozione e di finale approvazione della stessa, ricavandone argomenti esegetici idonei ad escludere dai contenuti deliberativi avvenute modifiche o deroghe agli indici di edificabilità, secondo un percorso ermeneutico guidato dalla griglia normativa e dalla lettera della deliberazione, oltre che ispirato al principio di buona fede.

3.1. Per una maggiore intelligenza della decisione giova partire dai parametri e dagli indici edilizi descritti e adottati dalle NTA e dal regolamento di esecuzione per le zone a destinazione direzionale/commerciale.

Gli indici presi a riferimento dal regolamento di esecuzione sono la “superficie di comparto” che è quella complessiva della zona da sottoporre alle previsioni dello strumento urbanistico attuativo; la “superficie fondiaria edificabile” del comparto che è quella misurata al netto delle zone destinate alla viabilità dal P.R.G. e delle strade realizzate o da realizzare, destinate al pubblico transito, che siano previste all’interno dell’area dallo stesso piano regolatore generale; l’ “indice di utilizzazione territoriale” che esprime la massima superficie edificabile dell’edificio per ogni metro quadro di superficie fondiaria (Ut). Quest’ultima esprime cioè, in relazione alla superficie di comparto, il quantum delle superfici in concreto realizzabili (Se).

Coma debba essere, nel dettaglio, intesa e misurata la “massima superficie edificabile”, lo chiariscono i punti 1.5.1 e 1.5.2. del regolamento edilizio: “E’ la superficie risultante dalla somma delle superfici lorde di tutti i piani, fuori ed entro terra, qualunque ne sia la destinazione d’uso; essa va misurata sul perimetro esterno del pavimento, compreso la proiezione orizzontale dei muri, ad esclusione del vano scala (nella misura massima di mq. 18,00 di superficie utile), vani ascensori e montacarichi, servizi tecnologici ed impianti (centrali termiche, cabine elettriche), e garages di altezza interna netta massima di mt. 2,40”- “Rimangono tuttavia esclusi dal computo della superficie edificabile: gli spazi non interamente chiusi perimetralmente anche se coperti quali logge, balconi, porticati a piano terra, questi ultimi entro i limiti di superficie del 20% dell’area occupata dell’edificio (Ao); – i locali al piano terra purché di altezza non superiore a mt. 2,40 o, in alternativa, quelli interrati, anche se parzialmente (comunque non emergenti in nessun punto oltre mt. 2,40 della linea esterna del terreno), e a condizione che siano mantenuti entro l’ingombro di superficie coperta delle parti di edificio sovrastante e destinati (come pertinenze) ai ripostigli, cantine, garages e simili, entro il limite di superficie utile abitabile residenziale e/o diversa destinazione (direzionale, commerciale, turistica, ecc.)…….”.

3.2. Ciò chiarito sul piano definitorio e prescrittivo, può ora valutarsi la concreta situazione del comparto ove l’iniziativa edificatoria è stata inserita. Gli indici sono i seguenti:

Superficie di comparto = 41.015 mq

Ut = Indice di utilizzazione territoriale = 3.000 mq/ha

Dall’applicazione dell’indice Ut al parametro della “superficie di comparto” si ricava il limite della “superficie edificabile” (Se) che è pari a 12.304 mq.

3.3. Questi in effetti sono gli indici, i parametri ed i dati contenuti nella relazione tecnica del Piano particolareggiato ad iniziativa privata del 2000 (in particolare la relazione prevedeva, a fronte di una superficie edificabile (Se) di 12.304, una superficie di progetto di 11.600 mq).

La relazione tecnica della variante, sempre di iniziativa privata, approvata nel 2003, ribadisce nelle premesse il limite del superficie edificabile (Se) di 12.304 mq. ma poi, anziché utilizzare il parametro della superficie di progetto, utilizza quello della “superficie lorda di progetto” e lo quantifica in mq 24.316,45.

3.4. Su questa circostanza occorre soffermarsi, perché essa è a base del contenzioso.

Il regolamento edilizio non contiene ulteriori definizioni di dettaglio di indici e parametri che abbiano riguardo alla concreta progettazione, e del resto ciò è comprensibile, poiché una volta definita normativamente la nozione di superficie edificabile, le ulteriori specificazioni circa il netto o il lordo, legate allo spessore dei muri e tramezzi, sono questioni progettuali che non rilevano ai fini del rispetto dell’indice regolamentato della “superficie edificabile” (che si ribadisce è “la superficie risultante dalla somma delle superfici lorde di tutti i piani, fuori ed entro terra, qualunque ne sia la destinazione d’uso; essa va misurata sul perimetro esterno del pavimento, compreso la proiezione orizzontale dei muri, ad esclusione del vano scala (nella misura massima di mq. 18,00 di superficie utile), vani ascensori e montacarichi, servizi tecnologici ed impianti (centrali termiche, cabine elettriche), e garages di altezza interna netta massima di mt. 2,40…”).

3.5. Nel caso di specie i progettisti hanno adottato, nell’esporre i dati di progetto, la dizione di “superficie lorda di progetto” quantificandola in una cifra sensibilmente ed evidentemente più elevata della superficie edificabile, e ciò hanno fatto senza evidenziare, neanche per implicito, l’eventuale necessità che la variante fosse da ritenersi modificativa dell’art. 35 delle NTA o comunque dichiaratamente derogatoria, generando – questa è la tesi sostenuta dalla difesa dell’amministrazione che ha avuto il conforto del primo giudice – un’ambiguità che ha indotto il Consiglio Comunale a dare per scontato il rispetto dell’indice di edificabilità assegnando all’indicazione, apparentemente incongruente, la valenza di una mera specificazione progettuale.

E’ pur vero, come sottolineato dall’appellante, che le tavole progettuali allegate alla proposta di variante rendevano sufficientemente visibile uno scostamento della nuova proposta edificatoria rispetto a quella originariamente assentita (per superficie occupata, dislocazione, numero dei piani, prospetti, etc,) ma è parimenti evidente che i componenti dell’organo consiliare, che non hanno necessariamente una preparazione tecnica, abbiano finito per dare prevalenza, nel personale processo cognitivo e volitivo, alla relazione tecnico esplicativa, confidando nel rispetto dell’indice di edificabilità – circostanza quest’ultima di natura squisitamente tecnica – in assenza di chiare indicazioni contrarie che deponessero per una deroga o addirittura per una modifica delle NTA.

Si consideri tra l’altro che l’iniziativa del Piano particolareggiato era privata e non pubblica, sicchè doveva apparire, con prognosi postuma, oggettivamente inverosimile che si potesse deliberare su un così profondo scostamento degli indici delle NTA tale da determinare il raddoppio della superficie edificabile. Ed in effetti – come già sottolineato dal primo giudice – i lavori consiliari si sono soprattutto incentrati sulle modifiche all’assetto viario apportate dalla variante al precedente Piano.

3.6. La giurisprudenza ha in proposito affermato che l’interpretazione degli atti amministrativi soggiace alle stesse regole dettate dall’art. 1362 e ss. c.c. e che pertanto, oltre alla fondamentale interpretazione letterale, il giudice, nel ricostruire l’intento dell’Amministrazione ed il potere che essa ha inteso esercitare in base al contenuto complessivo dell’atto, deve seguire il principio di buona fede ex art. 1366 c.c. individuando gli effetti degli atti amministrativi in base a ciò che il destinatario può ragionevolmente intendere (da ultimo, Consiglio Stato, sez. V, 05/09/2011, n. 4980).

La regola ermeneutica è stata richiamata dalla giurisprudenza pressoché esclusivamente a tutela del ragionevole affidamento ingeneratosi in capo al privato, destinatario dell’atto amministrativo equivocamente formulato, in relazione ad un’opzione esegetica ad egli favorevole. Ma non vi sono ragioni dogmatiche o normative che inibiscano l’applicazione del criterio in direzione opposta, in favore dell’amministrazione, ciò ovviamente quando l’atto amministrativo presupponga una previa o contestuale manifestazione volitiva del privato sulla cui interpretazione l’amministrazione ha ragionevolmente posto affidamento .

Anche in tale ipotesi il principio di buona fede ex art. 1366 c.c. impone al Giudice di vagliare, nell’ambito della complessiva vicenda procedimentale, l’atto di impulso o di adesione derivante dal coinvolgimento del privato, e di interpretare i contenuti dell’atto amministrativo conclusivo – momento di esternazione di una volontà che si è formata sulla base di un processo cognitivo, evidentemente condizionato dai contenuti della partecipazione privata – secondo il significato ragionevolmente fatto proprio dall’amministrazione.

3.7. Nel caso di specie, la formulazione della relazione tecnica dei tecnici incaricati dalla società appellante era oggettivamente fuorviante, avuto riguardo al contesto pianificatorio, alla scelta espositiva ed al tenore delle norme regolamentari.

Non possono essere condivise le considerazioni dell’amministrazione circa l’atipicità in sé del riferimento al parametro “superficie utile lorda” (SUL) o a quello di identico significato di superficie lorda di pavimento” (SLP) poiché trattasi di definizioni adottate da alcuni regolamenti edilizi ed anche dalla manualistica di settore per descrivere la somma delle superfici lorde di un fabbricato comprese entro il perimetro esterno delle murature di tutti i livelli abitabili o agibili, fuori o dentro terra degli edifici, qualunque sia la loro destinazione d’uso, compresa la proiezione orizzontale dei muri, delle scale fisse e mobili e dei vani degli ascensori.

Rappresenta tuttavia una indicazione irrilevante ed anzi fuorviante in riferimento alle definizioni fatte proprie dal regolamento di esecuzione del comune di Martinsicuro, le quali puntualmente fornivano le coordinate di un parametro – la “superficie edificabile” – analiticamente descritto nelle sue misurazioni, unico a rilevare nella verifica del rispetto degli indici.

Richiamando il concetto di “lordo”, i progettisti hanno fatto erroneamente pensare che fosse una specificazione di una misura che al suo “netto” risultasse comunque rispettoso della “superficie edificabile”.

3.8. La limitata valenza da dare, in ragione di quanto sopra, ai contenuti grafici e progettuali della deliberazione di variante, assunta dall’appellante quale fondamento del proprio ius aedificandi, induce a confermare la sussistenza del primo presupposto dell’autotutela: l’illegittimità del titolo abilitativo.

4. Possono per il resto integralmente confermarsi le statuizioni del primo giudice.

4.1. In ordine al rispetto dell’art. 21 nonies della legge 241/90, è evidente la sussistenza dell’interesse pubblico ulteriore, trattandosi di un macroscopico stravolgimento dell’assetto urbanistico realizzato, rispetto a quello programmato.

4.2. Quanto alla ponderazione dell’affidamento medio tempore ingeneratosi nella società titolare dell’opera, anche a seguito del notevole lasso temporale intercorso al rilascio del permesso al suo annullamento, dirimente appare il tenore dell’art. 38 del dPR 380/2001.

L’applicazione dell’art. 21 nonies è infatti temperata dalla norma di natura speciale, da ultimo citata, a mente della quale “in caso di annullamento del permesso di costruire, qualora non sia possibile, in base a motivata valutazione, la rimozione dei vizi delle procedure amministrative o la restituzione in pristino, il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale applica una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere o loro parti abusivamente eseguite, valutato dall’agenzia del territorio, anche sulla base di accordi stipulati tra quest’ultima e l’amministrazione comunale”.

4.3. Deve ritenersi che la “motivata valutazione” qui non attenga alla mera possibilità tecnica della demolizione, ma proprio ai profili che sostanziano l’affidamento del privato (avanzato stato dell’edificazione, decorso di un ampio intervallo temporale, buona fede dell’istante, etc.) in ragione della genesi dell’abuso, solo ex post qualificabile come tale a causa dell’illegittimità che ha condotto all’annullamento di un titolo abilitativo presuntivamente valido.

Ciò non significa che lo statuto dell’autotutela si atteggi diversamente nella materia dell’edilizia sì che il presupposto del “termine ragionevole” rimanga del tutto obliterato: è solo che in relazione alle valutazioni di ragionevolezza, sia sotto il profilo temporale, che delle conseguenze per i concreti interessi dei destinatari, assume pregnante rilevanza anche la possibilità salvifica, o comunque non demolitoria, assegnata all’amministrazione dall’art. 38 cit., secondo uno schema che “alleggerendo” le conseguenze sanzionatorie al contempo disbosca la via dell’autotutela.

L’appello è in conclusione respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna l’appellante al pagamento in favore dell’amministrazione delle spese della presente fase di giudizio, che forfettariamente liquida in €. 3.000, oltre oneri di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 maggio 2012 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Fabio Taormina, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Guido Romano, Consigliere

Giulio Veltri, Consigliere, Estensore

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/06/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)