Beni culturali e ambientali: diniego di occupazione di suolo pubblico e tutela di beni culturali (mura Pontificie)

NOTA

La sentenza in rasegna ritiene legittimo ildiniego di rinnovo della concessione d’occupazione di suolo pubblico in viale Vaticano, motivato con riferimento alla necessità di rispettare il vincolo indiretto imposto dal D.D. Ministero per i Beni e le Attività culturali 28 ottobre 2011, che prevede che, in una fascia di rispetto di 50 metri nelle aree pubbliche prospicienti le mura pontificie, sono vietate le occupazioni di suolo pubblico mediante l’utilizzo di strutture e attrezzature.

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N. 05061/2014REG.PROV.COLL.

N. 08060/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8060 del 2013, proposto dalla s.r.l. Fe.Ma., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Orazio Castellana, presso il cui studio è elettivamente domiciliata in Roma, via Appiano, n. 8;

contro

Roma Capitale, in persona del sindaco in carica, rappresentata e difesa dall’avvocato Rosalda Rocchi dell’ufficio avvocatura del Comune di Roma, presso il cui ufficio è elettivamente domiciliata in Roma, via del Tempio di Giove, n. 21;
il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, in persona del Ministro in carica, e la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma, in persona del Soprintendente in carica, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso il cui ufficio sono per legge domiciliati in Roma, via dei Portoghesi, n. 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO, ROMA Sez. II ter, n. 6756/2013, resa tra le parti, concernente il diniego di rinnovo di una concessione di occupazione di suolo pubblico;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Roma Capitale, del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per il Comune di Roma;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 giugno 2014 il Consigliere Doris Durante;

Uditi per le parti gli avvocati Orazio Castellana ed Enrico Maggiore e l’avvocato dello Stato Fabio Tortora;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Con il ricorso n. 10264 del 2012, proposto al Tribunale Amministrativo per la Regione Lazio, la s.r.l. Fe.Ma. chiedeva l’annullamento della determinazione dirigenziale del 6 novembre 2012, emessa da Roma Capitale – Municipio XVII, di diniego di rinnovo della concessione di occupazione del suolo pubblico in Roma, viale Vaticano, n. 100, nonché degli atti presupposti, tra i quali, segnatamente, il decreto del 28 ottobre 2011 del Ministero per i Beni e le Attività culturali, direzione regionale per i Beni culturali e paesaggistici del Lazio con cui era stato disposto il divieto di occupazione di suolo pubblico mediante installazione di strutture e attrezzature in una fascia di 50 metri dalle Mura Pontificie e del parere della Soprintendenza per i Beni architettonici e paesaggistici del Comune di Roma.

Il ricorso era affidato ai seguenti motivi:

a) violazione delle norme sul procedimento con riferimento all’art. 45 del d. lgs. n. 42 del 2004 e all’art. 17, comma 3, del d.P.R. n. 233 del 2007;

b) eccesso di potere per difetto di istruttoria e dei presupposti; difetto di motivazione; violazione dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza, con riferimento al limite generale della fascia di rispetto di 50 metri dalle mura pontificie ed alla minima incidenza prospettica dell’occupazione di suolo pubblico in questione;

c) eccesso di potere per difetto dei presupposti per illegittimità derivata;

d) eccesso di potere per contraddittorietà con analoghi atti e pareri emessi in precedenza;

e) eccesso di potere per travisamento con riferimento alla non rispondenza degli elaborati allo stato dei luoghi;

f) difetto di istruttoria e di motivazione in relazione alla delibera di consiglio comunale n. 119 del 2005;

g) eccesso di potere per disparità di trattamento, risultando concesse analoghe occupazioni di suolo pubblico in zone adiacenti e in piazza Risorgimento.

2.- Il TAR Lazio con la sentenza n. 6756 del 9 luglio 2013 respingeva il ricorso, compensando le spese di giudizio.

3.- Con l’atto di appello in esame Fe.Ma. s.r.l. ha impugnato la sentenza del TAR n. 6756 del 2013, di cui chiede l’annullamento o la riforma, riproponendo in veste critica i motivi dedotti con il ricorso di primo grado.

Resistono in giudizio Roma Capitale e le amministrazioni statali.

Le parti hanno depositato memorie difensive e di replica e, alla pubblica udienza del 10 giugno 2014, il giudizio è stato trattenuto in decisione.

4.- L’appello è infondato e va respinto.

5.- Il diniego di rinnovo dell’occupazione di suolo pubblico con tavolini e sedie dell’area antistante e a ridosso del muro del fabbricato al civico 100 di viale Vaticano, in cui ha sede l’esercizio di somministrazione di alimenti e bevande della s.r.l. Fe.Ma., è stato adottato con determinazione dirigenziale di Roma Capitale, a seguito del parere della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il Comune di Roma del 7 agosto 2012.

Nel parere è richiamato il decreto del 28 ottobre 2011, emanato dal Ministero per i Beni e le Attività culturali – Direzione regionale, in base al quale, in una fascia di rispetto di 50 metri nelle aree pubbliche prospicienti le mura pontificie, sono vietate le occupazioni di suolo pubblico mediante l’utilizzo di strutture e attrezzature.

6.- Con il primo motivo di appello la società Fe.Ma., con riferimento al decreto del 28 ottobre 2011, emanato dal Ministero per i Beni e le Attività culturali – Direzione regionale, lamenta la violazione del procedimento delineato dall’art. 45 del d. lgs. n. 42 del 2004 e dall’art. 17, comma 3 del d.P.R. n. 233 del 2007, il quale stabilisce che il Direttore regionale “detta su proposta delle competenti soprintendenze di settore, prescrizioni di tutela indiretta ai sensi dell’art. 45 del Codice”.

Ad avviso dell’appellante, in base alle norme citate, le Direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici possono imporre misure di tutela indiretta, fra cui rientrano le distanze, solamente su proposta della competente Soprintendenza, che nel caso difetterebbe.

Inoltre, l’appellante deduce che non potrebbe svolgere funzione di proposta il decreto ministeriale del 3 giugno 1986, come erroneamente ritenuto nella sentenza impugnata, anche perché il d.m. del 3 giugno 1986 fu emanato sotto la precedente legislazione, mentre la sequenza procedimentale dovrebbe risultare regolare e completa ai sensi della normativa vigente.

6.1- La censura così riassunta va respinta.

Il decreto ministeriale del 28 ottobre 2011 riproduce con alcune modifiche quanto già disciplinato con decreto del Ministero dei Beni culturali e ambientali del 3 giugno 1986 (c.d. decreto Galasso).

In entrambi i provvedimenti, al punto 3 e nell’art. 1, viene considerato “il rilevante interesse artistico… delle Mura pontificie”, è stata ravvisata “la necessità di garantire alle aree ed ai beni di cui ai precedenti punti 1, 2, 3, condizioni ambientali e di uso conformi alle esigenze di decoro, integrità e visibilità..” ed è stato stabilito che “in una fascia di cinquanta metri nelle aree prospicienti le mura medesime…sono vietate le occupazioni di suolo pubblico mediante l’installazione di strutture ed attrezzature, anche temporanee e precarie, destinate all’esercizio delle attività commerciali..”.

Prescindendo dalla normativa primaria di riferimento, che nel ‘decreto Galasso’ era costituito dalla legge n. 1089 del 1939, mentre nel successivo decreto ministeriale è il d. lgs. n. 42 del 2004, il decreto ministeriale del 1986 è stato per intero confermato dalle disposizioni del decreto del 2011.

Ne consegue che il divieto di occupare il suolo pubblico con strutture ed attrezzature anche temporanee e precarie, comprese quelle ambulanti, destinate all’esercizio di attività commerciali nella fascia di 50 metri dalle mura pontificie è vigente ed efficace sin dal decreto ministeriale del 3 giugno 1986, che individuava e disciplinava i luoghi oggetto della tutela indiretta, rispetto al quale il decreto del 2011 ha reiterato le misure di tutela.

In conclusione, deve ritenersi che, essendo competente ad adottare le disposizioni in materia di tutela indiretta il direttore regionale ed essendo il procedimento di vincolo indiretto un procedimento ad avvio d’ufficio il cui impulso risale al decreto del Soprintendente di settore del 3 giugno 1986 di imposizione del vincolo, non occorreva un nuovo atto di impulso procedimentale, essendo rimaste immutate le enunciate esigenze di tutela.

Del resto, quando si susseguono provvedimenti di tutela del patrimonio artistico e storico, con un primo provvedimento che impone misure di tutela ed un secondo provvedimento che ne integra il contenuto, per la parte riportata nell’atto successivo vi è la sua mera novazione formale e non occorre che sia rinnovato il relativo procedimento.

7.- Non sussiste il dedotto vizio di eccesso di potere per difetto di istruttoria, dei presupposti, di motivazione, nonché dei criteri di proporzionalità e ragionevolezza dedotto con il secondo motivo di appello.

La scelta di fissare in 50 metri dalle mura pontificie la fascia di rispetto, attiene ad una valutazione di merito o in limine di discrezionalità tecnica, come tale sindacabile solo ab estrinseco ed in presenza di elementi sintomatici di esercizio disfunzionale del potere amministrativo (cfr. per tutte, Cons. Stato n. 4872 del 2012).

Le valutazioni in ordine all’esistenza di un interesse culturale particolarmente importante di un immobile, tali da giustificare l’apposizione del relativo vincolo diretto sul bene e indiretto sui beni circostanti con il conseguente regime, costituiscono espressione di un potere di apprezzamento essenzialmente tecnico, espressione di una prerogativa propria dell’amministrazione dei beni culturali nell’esercizio della funzione di tutela del patrimonio e che può essere sindacata solamente per incongruenza e illogicità di rilievo tale da far emergere l’inattendibilità o l’irrazionalità della valutazione.

Queste situazioni non ricorrono nel caso in esame, in cui, peraltro la controversia è limitata all’ampiezza della fascia di rispetto di 50 metri e alla sua misurazione, che non avrebbe considerato la particolarità delle singole diramazioni e segmenti delle mura, la allocazione del bar in zona fronti stante le mura e marginale, sì da non alterare il prospetto visivo.

Contrariamente a quanto ha dedotto l’appellante, ritiene la Sezione che le contestate misure di tutela risultano ictu oculi ragionevoli e perfettamente corrispondenti all’esigenza di tutelare le mura vaticane, il cui pregio è universalmente riconosciuto.

8.- In ordine alle censure di incompleta o erronea rappresentazione dello stato dei luoghi, non può che ribadirsi quanto affermato nella sentenza impugnata, atteso che il Direttore generale è pervenuto alla determinazione censurata dopo essersi rappresentati “i punti di visuale prospettica” del bene tutelato, avendo di mira “la necessità di garantire al bene …condizioni ambientali e di uso conformi alle esigenze di decoro, integrità e visibilità”.

La fascia di tutela di 50 metri, oltre ad essere stata individuata in base a scelte di merito, è stata determinata avendo una accurata rappresentazione dello stato dei luoghi e del bene da tutelare, tenuto conto del particolare pregio architettonico del bene da tutelare, in coerenza con la finalità del vincolo indiretto, di consentire una visibilità complessiva del bene oggetto di vincolo diretto.

Peraltro, le scelte di tutela indiretta, per espressa previsione di legge, comportano la possibilità di imporre il rispetto di determinate distanze e misure a tutela dei beni oggetto di tutela diretta e possono comportare anche il divieto di edificazione nelle aree circostanti o vincoli di destinazione, avendo presente la conservazione del bene oggetto del vincolo e la preservazione da danni conseguenti all’uso improprio dell’area contigua.

Tra tali limiti, vi sono quelli finalizzati al decoro dell’ambiente che si traducono in misure finalizzate al mantenimento del contesto privo di attività e funzioni incompatibili con la storia, la dignità e le caratteristiche del monumento oggetto di tutela diretta.

La fascia di rispetto di cinquanta metri, quindi, tenuto conto della consistenza della cornice ambientale e della necessità di consentire la visione unitaria delle mura pontificie, non risulta illogica o irragionevole.

9.- Quanto esposto evidenzia anche l’infondatezza dell’asserita carenza istruttoria.

Come correttamente evidenziato nella sentenza impugnata, il provvedimento ministeriale è stato oggetto di accurata istruttoria e di adeguata motivazione, anche per relationem, avendo di mira il provvedimento non solo la totale visibilità delle mura pontificie dalla strada o dalla vicina scalinata, ma anche l’integrità e il decoro dell’ambiente circostante e del sito monumentale che sarebbero alterati dalla presenza in prossimità di tavolini e sedie all’esterno dei numerosi bar e ristoranti limitrofi.

In conclusione il divieto imposto con il decreto del 1986 e con quello del 2011 costituiscono strumenti adeguati e proporzionati alla tutela del decoro, integrità e visibilità del sito di rilevante pregio culturale, ove si consideri che, peraltro, le Mura pontificie sono state dichiarate ‘Patrimonio Unesco’.

Dal 1980, il centro storico di Roma, le proprietà extraterritoriali della Santa Sede nella città e la Basilica di San Paolo fuori le Mura sono stati infatti inseriti nella lista del ‘Patrimonio Mondiale Unesco’ e nel 1990 vi è stata l’estensione ai beni compresi entro le mura di Urbano VIII, coincidente con la città storica.

L’amministrazione, peraltro, sin dal decreto ministeriale del 1986 non ha modificato le proprie valutazioni, ritenendo quelle sottese al decreto ministeriale del 1986 idonee e sufficienti a tutelare e valorizzare il patrimonio culturale dei beni storici esattamente individuati già nel decreto del 1986.

10.- E’ infondato l’appello anche per quanto attiene l’impugnazione del provvedimento di Roma Capitale per vizi propri.

Ad avviso della società appellante, la determinazione dirigenziale di diniego di occupazione di suolo pubblico sarebbe illegittima per eccesso di potere, illogicità e contraddittorietà con i precedenti atti e pareri emessi dall’amministrazione.

La circostanza che sia stata in precedenza rilasciata all’appellante la concessione di suolo pubblico per sei mesi, e che la concessione sia stata rinnovata per uguale periodo, non assume rilevanza, essendo stato emesso medio tempore il D.M. del 2011 che ha riproposto, rafforzandolo, il vincolo indiretto e non è stato rilasciato il parere dell’autorità preposta alla tutela dei beni culturali.

Peraltro, la concessione di suolo pubblico non attribuisce al concessionario alcun diritto d’insistenza, né alcuna aspettativa giuridicamente tutelata al rinnovo del rapporto (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 21 maggio 2009, 23 febbraio 2009, n. 1059; 23 luglio 2008, n. 3642).

Invero, la previsione in una concessione della possibilità per l’ente di rinnovo a cadenze determinate integra la potestà di riesame della situazione al momento del rinnovo, sicché ben può l’amministrazione recuperare l’area pubblica a destinazione più rispondente all’interesse pubblico.

Ne consegue che la preponderanza dell’interesse pubblico diretto alla salvaguardia del patrimonio storico culturale può essere rilevata in una motivazione idonea a supportare il diniego di rinnovo di una concessione di suolo pubblico in precedenza rilasciata al privato, essendo recessivo rispetto alla tutela dei beni architettonici della città l’interesse imprenditoriale del privato.

Risultando infondate le censure proposte, non rileva pertanto in questa sede approfondire la questione se l’originaria concessione fosse o meno legittima e se, dunque, potesse far sorgere una posizione meritevole di considerazione in sede amministrativa.

11.- Nel contesto rappresentato, nessun rilievo assume la circostanza sull’asserita irregolarità della documentazione allegata alla richiesta di rinnovo, atteso che, quand’anche la documentazione fosse risultata regolare, il provvedimento non avrebbe potuto avere diverso contenuto, essendo incontestata – e visibilmente rilevabile dalle rappresentazioni fotografiche depositate in giudizio – la prossimità dell’esercizio alle mura pontificie, dal quale dista solamente per il tratto di strada.

12.- Con riferimento all’assunto secondo cui il diniego opposto sarebbe illegittimo, in quanto il parere della soprintendenza sarebbe pervenuto dopo il termine stabilito dalle disposizioni consiliari, la stessa delibera n. 83 del 2010 richiamata dalla appellante esclude il silenzio assenso per atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico, del tutto conforme in ciò alla legislazione in materia.

La giurisprudenza d’altro canto ha univocamente escluso l’operatività del silenzio – assenso con riferimento a procedimenti del genere di quello in esame, in relazione al ritardo del rilascio del parere dell’autorità preposta alla tutela del vincolo culturale, paesaggistico o ambientale.

In particolare, proprio con riferimento all’art. 4 della delibera di consiglio comunale n. 119 del 2005 la giurisprudenza ha precisato che il silenzio assenso non può trovare applicazione, attesa la rilevanza degli interessi coinvolti ed alla cui tutela è preordinato il rilascio del parere della soprintendenza, al quale deve intendersi riferita la ‘clausola di salvezza’ rappresentata dai limiti di cui alla legge generale sul procedimento di cui all’art. 4 bis, comma 3, della deliberazione.

Ciò in linea con l’art. 20, comma 4 della l. n. 241 del 1990 in base al quale “le disposizioni..non si applicano agli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico .

13.- La società appellante assume che il parere della soprintendenza e il provvedimento di diniego sarebbero viziati per disparità di trattamento con atti di occupazioni di suolo pubblico rilasciati ad altri esercizi commerciali.

Le fotografie prodotte in giudizio non sono significative, perché – a quanto risulta – relative ad una manifestazione temporanea autorizzata nella zona durante il periodo natalizio, manifestazione consentita e prevista dal decreto del 1986 che consente l’occupazione temporanea del suolo pubblico in particolari circostanze e per manifestazioni tipiche e caratteristiche dell’ambiente romano e dalla vita cittadina, per cui non è possibile alcun raffronto.

D’altra parte, se anche fosse risultato il rilascio di atti di occupazione in violazione dei decreti ministeriali sopra richiamati, le deduzioni dell’appellante comunque non si sarebbero potute considerare fondate, poiché il profilo di eccesso di potere per disparità di trattamento non si può fondatamente dedurre, quando si indichi come parametro di riferimento una situazione illegale.

14. In conclusione, per le ragioni esposte, l’appello deve essere respinto.

Le spese di giudizio possono essere equamente compensate tra le parti, attesa la peculiarità della controversia.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) definitivamente pronunciando sull’appello n. 8060 del 2013, come in epigrafe proposto, lo respinge.

Spese compensate del secondo grado.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Vito Poli, Consigliere

Francesco Caringella, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere

Doris Durante, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 14/10/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)