Giustizia amministrativa: divieto di estensione del giudicato e ordinanza cautelare

NOTA

Con la sentenza in rassegna la Sezione VI ritiene che l’art. 41, comma 6, D.L. 30 dicembre 2008, n. 207, recante divieto di estensione soggettiva del giudicato in materia di impiego alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, non ostaalla decisione della P.A. di adottare atti amministrativi di autotutela per conformare la lex specialis originaria ai princìpi – tra questi, in particolare, la par condicio e il favor partecipationis – enunciati da pronunce cautelari del giudice amministrativo.

Nella specie, la P.A , dopo aver indetto una procedura di selezione per il passaggio dalle varie posizioni economiche dell’area B alla posizione economica iniziale dell’area C (la posizione C1), aveva corretto – mediante bandi integrativi – l’originaria disciplina dei requisiti di ammissione alla procedura al fine di adeguarla ai principi enunciati dal giudice amministrativo – in sede cautelare – nei ricorsi proposti contro l’originaria lex specialis della procedura.

Il Collegio accoglie il ricorso in appello del Ministero e annulla la sentenza di prime cure che, in accoglimento del gravame, aveva annullato i bandi integrativi rilevando la violazione del divieto di estensione soggettiva del giudicato amministrativo.

Osserva, in particolare, la Sezione che l’esplicazione della potestà di autotutela in presenza di pronunce cautelari non può trovare ostacolo nelle norme che vietano l’estensione soggettiva del giudicato in materia di impiego alle dipendenze della P.A., poiché nella suddetta ipotesi non ricorre la ratio preminente del divieto legislativo, consistente nel contenimento della spesa in relazione a decisioni idonee a riconoscere la fondatezza di spettanze di carattere patrimoniale.

A giudizio del Collegio, la finalità che informa il divieto di estensione soggettiva non può, infatti, essere estesa anche “alle ipotesi (quale quella all’origine dei fatti di causa) in cui l’estensione degli effetti delle pronunce cautelari non risultava in alcun modo idonea a determinare pregiudizi finanziari a carico dell’amministrazione ma, al contrario, a consentire l’esplicazione dei principi, riconducibili all’imparzialità e buon andamento, di par condicio e favor partecipationis.”.

Osserva altresì il Collegio che, in un caso come quello in esame, è necessario operare un “bilanciamento fra – da un lato – l’esigenza di salvaguardare l’equilibrio finanziario delle amministrazioni pubbliche e – dall’altro – l’esigenza di non sacrificare oltre quanto ragionevole e necessario il perseguimento di finalità di pari livello costituzionale, quali i richiamati princìpi del favor participationis e della par condicio (ambedue riferibili ai canoni di buon andamento ed imparzialità di cui all’articolo 97, Cost.)“.

A tali considerazioni, il Collegio aggiunge anche la constatazione, di indole più generale, secondo cui “le disposizioni in tema di divieto di estensione del giudicato non impediscano all’amministrazione (in ipotesi quali quelle all’origine dei fatti di causa) di procedere a una complessiva rivalutazione dei diversi interessi pubblici e privati nella specie coinvolti, ben potendo essa procedere all’adozione di provvedimenti di autotutela quante volte riconosca l’illegittimità degli atti oggetto di ritiro e l’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino di un quadro di regole conformi al diritto. Si tratta, a ben vedere, della applicazione al caso concreto delle generali regole in tema di esercizio dell’autotutela amministrativa, da ultimo trasfuse nelle previsioni degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della l. 241 del 1990.“.

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N. 02409/2012REG.PROV.COLL.

N. 06068/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6068 del 2011, proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro, legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

contro

I signori X. Y e altri, rappresentati e difesi dall’avvocato Alfredo Ferretti, con domicilio eletto presso la Segreteria della Sesta Sezione del Consiglio di Stato in Roma, piazza Capo di Ferro, 13

per la riforma

della sentenza del T.A.R. Lazio – Roma, Sez. II-quater, 11 gennaio 2011, n. 1383;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio dei signori X. Y. e altri;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 gennaio 2012 il Cons. Claudio Contessa e uditi per le parti l’avvocato dello Stato Bolelli e l’avvocato Ferretti;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue

FATTO

Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali riferisce che con decreto direttoriale in data 24 luglio 2007 (attuativo della previsione di cui all’articolo 15 del C.C.N.I. 1998/2001) fu indetta una procedura di selezione per il passaggio dalle varie posizioni economiche dell’area B alla posizione economica iniziale dell’area C (la posizione C1).

Nella sua formulazione iniziale, il bando della procedura stabiliva requisiti minimi differenziati di accesso per i dipendenti a seconda delle varie posizioni di provenienza (precisamente: 5 anni per gli appartenenti alla posizione economica B3, 7 anni per gli appartenenti alla posizione B2 e 9 anni per gli appartenenti alla posizione B1).

La lex specialis della procedura venne, quindi, impugnata in sede giurisdizionale da alcuni dipendenti, i quali lamentavano l’illegittimità del richiamato criterio di accesso differenziato in relazione alle diverse posizioni economiche di provenienza.

A seguito di alcuni pronunciamenti in sede giurisdizionale e di un parere reso dal proprio Ufficio legislativo, il Ministero ha emanato gli atti impugnati in primo grado, attraverso i quali:

– venivano emanati bandi integrativi i quali disponevano la riapertura dei termini per la presentazione delle domande, introducendo, altresì, un criterio unico di accesso per tutti gli appartenenti all’area B, pari a nove anni di anzianità (circolare 21 luglio 2009, n. 207);

– veniva chiarito che il requisito dei nove anni poteva essere raggiunto anche sommando i singoli periodi di servizio prestati nelle diverse posizioni economiche dell’area B (circolare 15 settembre 2009, n. 20);

– veniva stabilito che “sono fatte salve sia le domande di tutti coloro che sono stati ammessi ai corsi di riqualificazione, sia le domande di tutti coloro che sono stati esclusi per mancanza del requisito dell’anzianità a prescindere che abbiano fatto ricorso o meno”.

In definitiva, con gli atti da ultimo richiamati (e, in particolare, con i bandi integrativi) venivano modificati i requisiti di accesso inizialmente stabiliti e, al contempo, veniva data la possibilità di partecipare a tutti i potenziali candidati i quali, al termine previsto dai bandi iniziali del 2007, non possedevano le anzianità di servizio specificamente indicate per la singola posizione economica, ma possedevano quella complessiva.

I bandi integrativi (e gli atti a questi ultimi connessi) venivano impugnati dinanzi al T.A.R. del Lazio da alcuni dipendenti inquadrati nella posizione economica B3 super, i quali ne lamentavano sotto diversi profili l’illegittimità e ne chiedevano la riforma (ricorso n. 9861/2009).

Con l’ordinanza n. 5951/2009, il Tribunale adìto respingeva l’istanza di sospensione cautelare dei provvedimenti impugnati, ritenendo l’insussistenza del requisito del fumus boni juris.

Tuttavia, l’ordinanza in questione veniva riformata da questo Consiglio di Stato, il quale osservava che l’Amministrazione non avesse tenuto conto del comma 6 dell’articolo 41 del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207, in tema di divieto di estensione soggettiva del giudicato in materia di impiego alle dipendenze di amministrazioni pubbliche.

Con la pronuncia oggetto del presente appello, il T.A.R. del Lazio accoglieva i ricorsi dinanzi richiamati e, per l’effetto, annullava i bandi integrativi adottati in relazione alla procedura selettiva per cui è causa.

La sentenza in questione veniva gravata in sede di appello dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, il quale ne chiedeva la riforma articolando un unico complesso motivo di censura.

Secondo il Ministero, in particolare, il T.A.R. avrebbe omesso di considerare che la scelta di adottare bandi integrativi non potesse essere riguardata solo attraverso l’angolo visuale del generale divieto di estensione soggettiva dei giudicati in materia di impiego pubblico.

Al contrario, il Tribunale avrebbe dovuto considerare che la richiamata scelta (tradottasi nella modifica, in senso maggiormente conforme a legge, dei requisiti di accesso inizialmente stabiliti e nella sostanziale riapertura dei termini di partecipazione) giungesse all’esito di una nuova valutazione in ordine alla complessiva vicenda e che essa rappresentasse l’espressione di un potere ampiamente discrezionale, esercitato dall’amministrazione tenendo in adeguato conto i diversi interessi nella specie coinvolti.

Dal punto di vista effettuale, poi, la scelta in parola aveva fatto sì che potessero accedere alla selezione tutti i soggetti comunque in possesso di requisiti di accesso che la stessa giurisprudenza aveva ritenuto maggiormente conformi a legge. Inoltre, l’estensione aveva riguardato unicamente i soggetti che avevano presentato domanda di partecipazione alle procedure nel 2007 e che fossero titolari, a quella data, dei necessari (e più ampi) requisiti di anzianità, “indipendentemente dal fatto che poi avessero proposto ricorso” (pag. 14 del ricorso in appello).

Inoltre, il T.A.R. avrebbe dovuto considerare che le determinazioni nella specie adottate dall’amministrazione risultassero, altresì, legittime in quanto pienamente conformi al principio del favor participationis alle procedure selettive.

Si costituivano in giudizio i resistenti vittoriosi in primo grado come in epigrafe specificati, i quali concludevano nel senso della reiezione del gravame.

All’udienza pubblica del 10 gennaio 2012 il ricorso veniva trattenuto in decisione.

DIRITTO

1. Giunge alla decisione del Collegio il ricorso in appello proposto dal Ministero per i beni e le attività culturali avverso la sentenza del T.A.R. del Lazio con cui è stato accolto il ricorso n. 9861 del 2009 proposto da alcuni dipendenti i quali avevano partecipato a una procedura selettiva per il passaggio dall’area B all’area C e, per l’effetto, sono stati annullati gli atti con cui il Ministero aveva, nei fatti, riaperto i termini per la presentazione delle domande.

2. L’appello è fondato.

2.1. Come si è anticipato in narrativa, il fulcro del thema decidendum consiste nello stabilire se la scelta dell’amministrazione di adottare bandi integrativi volti a conformare le regole concorsuali ai princìpi delineati da alcune pronunce cautelari si ponga o meno in contrasto con il principio del divieto di estensione soggettiva del giudicato di cui al comma 6 dell’articolo 41 del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 207.

2.2. Al riguardo il Collegio ritiene di premettere una valutazione di ordine sostanziale, la quale prescinde dalla soluzione da dare al quesito dinanzi formulato sub 2.1.

Si ritiene infatti che, sotto l’aspetto sostanziale, l’operato dell’amministrazione sia condivisibile e conforme a canoni di buona amministrazione per la parte in cui si è scelto di applicare le previsioni in tema di procedure di passaggio di area di cui all’articolo 15 del contratto collettivo integrativo per il quadriennio 1998-2001, nel senso di fissare un requisito di anzianità unico e onnicomprensivo al livello di area e non differenziato in relazione alle singole posizioni economiche.

Si osserva al riguardo che la scelta inizialmente operata dall’amministrazione [secondo cui potevano essere ammessi alla procedura per passaggio d’area unicamente: a) gli appartenenti alla posizione B1 con almeno nove anni di servizio; b) gli appartenenti alla posizione B2 con almeno sette anni di servizio, nonché c) gli appartenenti alla posizione B3 con almeno cinque anni di servizio] era idonea a produrre effetti distorsivi e inconciliabili con i princìpi di ragionevolezza e del favor participationis.

Solo a mo’ di esempio, si osserva che l’applicazione della scelta in parola avrebbe sortito l’effetto di consentire la partecipazione alla procedura a soggetti con poco più di nove anni di servizio nella sola posizione B1, mentre avrebbe impedito la partecipazione a soggetti i quali (in ipotesi) avessero prestato diciotto anni di servizio complessivo, di cui otto nella posizione B1, sei nella posizione B2 e quattro nella posizione B3 (ossia, periodi di prestazione diversi, nessuno dei quali – singolarmente preso – di durata pari a quella minima prevista originariamente dal bando).

2.3. Ora, una volta premesso che la scelta di adottare disposizioni integrative dell’originaria lex specialis risultava in concreto giustificata sulla base dei princìpi di buona amministrazione e del favor participationis (prima ancora che sulla base del generale canone di ragionevolezza), occorre domandarsi se la scelta in tal modo operata dall’amministrazione si ponesse in insanabile contrasto con il divieto di estensione soggettiva dei giudicati in materia di impiego pubblico di cui al comma 6 dell’articolo 41 del d.l. 207 del 2008 (e, prima ancora, di cui al comma 132 dell’articolo 1 della legge 311 del 2004).

Pertanto, occorre verificare se la previsione di cui al comma 6 dell’articolo 41, d.l. 207, cit. debba essere intesa di guisa tale da impedire l’esercizio di un potere di autotutela concretatosi nell’adozione di disposizioni integrative della lex specialis della procedura e finalizzato a conformarne le statuizioni a quanto statuito da alcune pronunce giurisdizionali di carattere cautelare.

Più in generale, occorre esaminare i rapporti fra – da un lato – il divieto di estensione soggettiva del giudicato di cui al d.l. 207, cit. e – dall’altro – i limiti all’esercizio del potere di autotutela (in specie, nella materia dei concorsi pubblici, in cui è particolarmente avvertita la necessità di garantire i princìpi del favor participationis e della par condicio fra i candidati).

2.4. Ebbene, ad avviso del Collegio l’operato dell’amministrazione (concretatosi, come si è detto, nell’adozione di disposizioni integrative della lex specialis, in senso conforme alle richiamate pronunce cautelari) risulta esente dai lamentati profili di illegittimità.

In primo luogo, si osserva al riguardo che la stessa litera legis (si tratta del più volte richiamato comma 6 dell’art. 41 del d.l. 207 del 2008, il quale rinvia alla previsione di cui al comma 132 dell’art. 1 della l. 311 del 2004) non chiarisce in modo dirimente se il divieto di estensione soggettiva del giudicato sia riferibile anche a pronunce di carattere cautelare (come nel caso in esame).

Ed infatti, laddove la disposizione da ultimo richiamata fa riferimento a “decisioni giurisdizionali aventi forza di giudicato, o comunque divenute esecutive”, sembra piuttosto riferibile alle sole decisioni avente la forma della sentenza, conformemente alle previsioni di cui al primo comma dell’articolo 33, l. TAR (“le sentenze dei tribunali amministrativi regionali sono esecutive”).

In secondo luogo si osserva che la ratio sottesa alla disciplina in tema di divieto di estensione del giudicato in materia di personale delle amministrazioni pubbliche (in particolare: comma 6 dell’articolo 41 del d.l. 207 del 2008; comma 132 dell’articolo 1 della legge 311 del 2004) è tradizionalmente individuata nell’esigenza di contenimento della spesa in relazione a decisioni idonee a riconoscere la fondatezza di spettanze di carattere patrimoniale (Cons. Stato, V, 14 febbraio 2011, n. 960).

Si tratta, tuttavia, di una finalità che – per evidenti ragioni – non può essere estesa anche alle ipotesi (quale quella all’origine dei fatti di causa) in cui l’estensione degli effetti delle pronunce cautelari non risultava in alcun modo idonea a determinare pregiudizi finanziari a carico dell’amministrazione.

Al contrario, la scelta di conformare l’attività amministrativa al contenuto delle richiamate decisioni cautelari rispondeva ad evidenti (quanto condivisibili) esigenze dettate dai princìpi del favor participationis e della par condicio fra i diversi soggetti versanti in situazioni di fatto equiparabili.

Le determinazioni impugnate in primo grado non hanno comportato una incondizionata riapertura dei termini di presentazione delle domande, ma hanno – più semplicemente – consentito di estendere la partecipazione in favore dei soggetti i quali, al momento ultimo per la presentazione delle domande (2007), erano in possesso dei titoli di partecipazione ritenuti conformi a princìpi di ragionevolezza e coerenza sistemica dalle più volte richiamate pronunce cautelari.

In definitiva, si ritiene che in sede di corretta individuazione della portata applicativa del divieto di cui al più volte richiamato comma 6 dell’articolo 41, si debba operare (in un’ottica di conformità al dettato costituzionale) un accorto bilanciamento fra – da un lato – l’esigenza di salvaguardare l’equilibrio finanziario delle amministrazioni pubbliche e – dall’altro – l’esigenza di non sacrificare oltre quanto ragionevole e necessario il perseguimento di finalità di pari livello costituzionale, quali i richiamati princìpi del favor participationis e della par condicio (ambedue riferibili ai canoni di buon andamento ed imparzialità di cui all’articolo 97, Cost.).

In terzo luogo (e ricollegandosi ai princìpi appena richiamati) deve ritenersi che le disposizioni in tema di divieto di estensione del giudicato non impediscano all’amministrazione (in ipotesi quali quelle all’origine dei fatti di causa) di procedere a una complessiva rivalutazione dei diversi interessi pubblici e privati nella specie coinvolti, ben potendo essa procedere all’adozione di provvedimenti di autotutela quante volte riconosca l’illegittimità degli atti oggetto di ritiro e l’esistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale al ripristino di un quadro di regole conformi al diritto.

Si tratta, a ben vedere, della applicazione al caso concreto delle generali regole in tema di esercizio dell’autotutela amministrativa, da ultimo trasfuse nelle previsioni degli articoli 21-quinquies e 21-nonies della l. 241 del 1990.

Per le ragioni sin qui esposte l’appello in epigrafe deve essere accolto e per l’effetto, in riforma della sentenza oggetto di gravame, deve essere respinto il ricorso di primo grado.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 6068 del 2011, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza oggetto di gravame, dispone la reiezione del ricorso di primo grado n. 9861 del 2009.

Condanna gli appellanti, in solido fra loro, alla rifusione delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 1.500 (millecinquecento), oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 gennaio 2012 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Maurizio Meschino, Consigliere

Claudio Contessa, Consigliere, Estensore

Gabriella De Michele, Consigliere

Silvia La Guardia, Consigliere

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 24/04/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)