Edilizia e urbanistica: sulle condizioni per la qualificazione di pregio di un immobile

NOTA

La sentenza in rassegna si pronuncia sulle condizioni per la qualificazione di pregio di un immobile – ai sensi dell’allegato n. 1 al D.M. 31 luglio 2002, emanato in attuazione dell’art. 3, co. 13, D.L. 25 settembre 2001 n. 351, convertito nella L. 23 novembre 2001 n. 410 – e sulle situazioni che incidono sulla permanenza di tale qualificazione.

Nella specie, in estrema sintesi, il Collegio ritiene che un immobile situato in zona paesaggisticamente tutelata è qualificabile come immobile di pregio e che tale qualificazione è suscettibile di perdere solo qualora versi in condizioni di effettivo degrado, superabili non già mediante semplici inteventi di manutenzione (ordinaria o straordinaria) bensì in esito a interventi di restauro, risanamento conservativo o ristrutturazione.

Il Collegio, nel confermare la sentenza di prime cure, osserva che L’immobile de quo rientra in una zona tutelata ai sensi della legge n. 1497 del 1939, sulla quale è stato apposto il relativo vincolo con decreto del Ministero della pubblica istruzione in data 14 maggio 1956, e tale considerazione è di per sé sufficiente a qualificare gli immobili che in tale area ricadono come di pregio, a nulla valendo, contrariamente a quanto pretendono gli appellanti, né le attuali condizioni del paesaggio, né l’epoca di costruzione successiva all’imposizione del vincolo (circostanza, quest’ultima, smentita dagli stessi appellanti, nel descrivere le caratteristiche dell’edificio “costruito nel 1946”, come, del resto, risulta dalla verificazione disposta dal Tar).

La collocazione dell’edificio in area paesaggisticamente vincolata ai sensi della legge n. 1497 del 1939 ne comporta infatti, ai sensi dell’allegato 1, punto 1, del decreto ministeriale 31 luglio 2002, recante “i criteri ai quali si conforma l’attività dell’Osservatorio e dell’Agenzia del territorio nella definizione degli immobili di pregio”, la qualificazione come pregiato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2012).

Solo in presenza di situazioni tali da comportare l’effettivo degradodell’immobile verrebbe meno la qualificazione di pregio (per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2008, n. 4694).

Tale situazione si verifica, secondo l’art. 26, commi 5 e 6, d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, per gli immobili “che si trovano in stato di degrado e per i quali sono necessari interventi di restauro e di risanamento conservativo, ovvero di ristrutturazione edilizia”, e pertanto non inseriti nei decreti ministeriali degli immobili di pregio.

Come ha chiarito la giurisprudenza (per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3340), la nozione di degrado rilevante ai fini che ne occupano implica una situazione oggettiva del bene tale da renderlo inidoneo all’originaria destinazione abitativa per condizioni d’igienicità, sicurezza e assetto strutturale, con ogni ovvia conseguenza in ordine all’agibilità (e, quindi, all’inabitabilità e all’immediato sgombero) dell’unità immobiliare.

Quello di cui si discute non versa nelle condizioni suddette: lo stesso verificatore incaricato dal Tar ha rilevato che sull’immobile “non si sono rilevati segnali che possano lasciar intendere problemi statici o dissesti in atto”; i pavimenti alla veneziana, seppur vetusti, risultano degradati solo in piccole porzioni; gli infissi esterni sono vetusti ma sostituibili; il distacco degli intonaci è episodico; i termosifoni sono allacciati alle condutture principali mediante tubazioni a vista; gli impianti idrico e di riscaldamento sono vetusti; le facciate esterne presentano porzioni di intonaco che si sono distaccate e hanno necessità di manutenzione straordinaria.

Trattasi, all’evidenza, di conseguenze della risalenza temporale della costruzione e della insufficiente manutenzione ordinaria, alle quali è dato ovviare mediante interventi non certo di restauro, risanamento conservativo ovvero di ristrutturazione edilizia, come definiti dalle lettere c) e d) dell’art. 31, comma 1, legge n. 457 del 1978, poi trasfusi nell’art. 3, lettere b) e c), d.p.r. n. 380 del 2001 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 31 luglio 2009, n. 4840).”.

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N. 04755/2012REG.PROV.COLL.

N. 06603/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6603 del 2011, proposto dai signori Matarese Luigi, Commare Michele, Longini Giuseppe, Gambini Luca, Sampoli Laura, Lambiase Francesco, Morbidi Lucia ved. Angiolini, Picchioni Livio, Vichi Vasco, Gatti Mario, rappresentati e difesi dall’avvocato Gabriele De Paola, presso lo stesso elettivamente domiciliati in Roma, via Giulia di Colloredo, 46/48;

contro

-Ministero dell’economia e delle finanze, Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Ministero per i beni e le attività culturali in persona dei rispettivi Ministri in carica, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro – INAIL in persona del presidente in carica, in proprio e quale procuratore della società di cartolarizzazione degli immobili pubblici
–SCIP srl, rappresentato e difeso dagli avvocati Vincenzo Pone e Riccardo D’Alia, con domicilio eletto presso l’ufficio legale dell’INAIL in Roma, via IV Novembre 144;
-Consorzio G1 in persona del presidente in carica, rappresentato e difeso dagli avvocati Marco Feroci e Mara Curti, presso il primo elettivamente domiciliato in Roma, via Cesare Beccaria, 88;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II n. 3413/2011, resa tra le parti, concernente decreto ministeriale 16 settembre 2004, individuativo di ulteriori immobili di pregio e atti relativi alla procedura di vendita di unità immobiliare concessa in locazione.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio delle Amministrazioni intimate;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 3 luglio 2012 il consigliere Roberta Vigotti e uditi per le parti gli avvocati Grollino per delega dell’avvocato De Paola, D’Alia, Feroci e l’avvocato dello Stato Russo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

I signori Matarese, Commare, Longini, Gambini, Sampoli, Lambiase, Morbidi, Picchioni, Vichi e Gatti, inquilini delle unità immobiliari site in Siena, via Tozzi n. 7, già di proprietà dell’Istituto nazionale per le assicurazioni contro gli infortuni sul lavoro (Inail) e successivamente trasferite alla società di cartolarizzazione degli immobili pubblici – Scip, chiedono la riforma della sentenza con la quale il Tar del Lazio ha respinto il ricorso proposto avverso gli atti della procedura in forza della quale detto immobile è stato inserito nell’elenco di quelli di pregio, formalizzato con il decreto ministeriale del 27 settembre 2004.

I) La sentenza impugnata ha respinto il ricorso avendo rilevato che:

– l’attività svolta dall’Amministrazione prima del decreto identificativo degli immobili di pregio, propedeutica all’effettiva dismissione degli immobili pubblici, non postula il rispetto delle norme partecipative di cui all’art. 7 legge n. 241 del 1990;

– l’allegato n. 1 al decreto ministeriale 31 luglio 2002, emanato ai sensi dell’art. 3, comma 13, d.l. n. 351 del 2001, convertito nella legge n. 410 del 2001, ha fissato i criteri sia per l’individuazione degli immobili di pregio, tra i quali quelli collocati nel centro storico individuato in base alle perimetrazioni dei piani regolatori (zona omogenea A), con esclusione sia delle zone degradate e soggette a piani di recupero, sia dei singoli immobili degradati identificabili attraverso un criterio di valore;

– l’art. 3, comma 13, d.l. citato è stato modificato, senza sostanziali innovazioni, dall’art. 26 d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, nel senso che si considerano di pregio gli immobili situati nei centri storici che non siano individuati nei decreti ministeriali come “in stato di degrado e per i quali sono necessari interventi di restauro e di risanamento conservativo, ovvero di ristrutturazione edilizia”; tale disciplina è applicabile ai procedimenti di dismissione, quale quello in esame, non ancora conclusisi con la vendita;

– l’insistenza di un immobile da dismettere in un’area vincolata, senza che possa distinguersi tra vincolo storico-artistico o vincolo paesistico, comporta pertanto la sua qualificazione come di pregio, salvo che operi la deroga per lo stato di degrado, e la sua parificazione, a tali fini, a quelli situati nel centro storico. Tale è la situazione dell’immobile de quo, collocato in zona centrale, prossima al centro storico e sottoposta a vincolo;

– né può ritenersi integrata l’ipotesi derogatoria, posto che non possono essere qualificati come degradati gli edifici che necessitano di interventi di riparazione, rinnovamento o sostituzione delle finiture esterne, che rientrano nel concetto di manutenzione ordinaria, ovvero di interventi di manutenzione straordinaria, quali sono quelli necessari per l’immobile in esame, secondo gli esiti della verificazione disposta in corso di causa;

– in ogni caso, la nozione di immobile degradato va interpretata in senso relativistico, con riferimento alla stato di conservazione proprio delle costruzioni collocate nel centro storico, normalmente risalenti nel tempo;

– l’art. 3, comma 8, comma 13 e comma 20, della legge n. 401 del 2001, che regola la dismissione di beni del patrimonio pubblico in modo da assicurare il differente trattamento di situazioni obiettivamente diverse (immobili di pregio e non) e la fruttuosa vendita di tali beni secondo valori realistici e conformi alle indicazioni di mercato, non è sospettabile di incostituzionalità.

II) La sentenza merita conferma.

L’immobile de quo rientra in una zona tutelata ai sensi della legge n. 1497 del 1939, sulla quale è stato apposto il relativo vincolo con decreto del Ministero della pubblica istruzione in data 14 maggio 1956, e tale considerazione è di per sé sufficiente a qualificare gli immobili che in tale area ricadono come di pregio, a nulla valendo, contrariamente a quanto pretendono gli appellanti, né le attuali condizioni del paesaggio, né l’epoca di costruzione successiva all’imposizione del vincolo (circostanza, quest’ultima, smentita dagli stessi appellanti, nel descrivere le caratteristiche dell’edificio “costruito nel 1946”, come, del resto, risulta dalla verificazione disposta dal Tar).

La collocazione dell’edificio in area paesaggisticamente vincolata ai sensi della legge n. 1497 del 1939 ne comporta infatti, ai sensi dell’allegato 1, punto 1, del decreto ministeriale 31 luglio 2002, recante “i criteri ai quali si conforma l’attività dell’Osservatorio e dell’Agenzia del territorio nella definizione degli immobili di pregio”, la qualificazione come pregiato (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 6 maggio 2008, n. 2012),.

Solo in presenza di situazioni tali da comportare l’effettivo degrado dell’immobile verrebbe meno la qualificazione di pregio (per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 30 settembre 2008, n. 4694).

Tale situazione si verifica, secondo l’art. 26, commi 5 e 6, d.l. n. 269 del 2003, convertito nella legge n. 326 del 2003, per gli immobili “che si trovano in stato di degrado e per i quali sono necessari interventi di restauro e di risanamento conservativo, ovvero di ristrutturazione edilizia”, e pertanto non inseriti nei decreti ministeriali degli immobili di pregio.

Come ha chiarito la giurisprudenza (per tutte, Cons. Stato, sez. VI, 5 giugno 2006, n. 3340), la nozione di degrado rilevante ai fini che ne occupano implica una situazione oggettiva del bene tale da renderlo inidoneo all’originaria destinazione abitativa per condizioni d’igienicità, sicurezza e assetto strutturale, con ogni ovvia conseguenza in ordine all’agibilità (e, quindi, all’inabitabilità e all’immediato sgombero) dell’unità immobiliare.

Quello di cui si discute non versa nelle condizioni suddette: lo stesso verificatore incaricato dal Tar ha rilevato che sull’immobile “non si sono rilevati segnali che possano lasciar intendere problemi statici o dissesti in atto”; i pavimenti alla veneziana, seppur vetusti, risultano degradati solo in piccole porzioni; gli infissi esterni sono vetusti ma sostituibili; il distacco degli intonaci è episodico; i termosifoni sono allacciati alle condutture principali mediante tubazioni a vista; gli impianti idrico e di riscaldamento sono vetusti; le facciate esterne presentano porzioni di intonaco che si sono distaccate e hanno necessità di manutenzione straordinaria.

Trattasi, all’evidenza, di conseguenze della risalenza temporale della costruzione e della insufficiente manutenzione ordinaria, alle quali è dato ovviare mediante interventi non certo di restauro, risanamento conservativo ovvero di ristrutturazione edilizia, come definiti dalle lettere c) e d) dell’art. 31, comma 1, legge n. 457 del 1978, poi trasfusi nell’art. 3, lettere b) e c), d.p.r. n. 380 del 2001 (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 31 luglio 2009, n. 4840).

Né le deduzioni contenute nell’appello valgono a scalfire siffatta conclusione: la presenza di un cortile interno non configura un elemento di degrado, tale da comportare la necessità di un intervento di risanamento, ma un elemento caratteristico della costruzione; l’umidità e l’infiltrazione di acque meteoriche, il distacco degli intonaci, la vetustà degli infissi sono fenomeni ai quali può essere ovviato mediante interventi di manutenzione, del tutto ovvi per edifici non recenti, così come l’adeguamento degli impianti alle vigenti normative e gli altri inconvenienti denunciati dai ricorrenti.

Altri elementi di preteso degrado (la posizione dei radiatori e le tubazioni a vista) non sono altro che caratteristiche costruttive proprie dell’epoca di realizzazione dell’edificio, di agevole rimedio.

Tutti gli interventi ai quali gli appellanti fanno riferimento sono, quindi, inquadrabili, al più, nella manutenzione straordinaria, intesa, secondo la definizione contenuta nell’art. 3 d.p.r. n. 380 del 2001, come “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici”, e tale è anche la conclusione alla quale è pervenuto il verificatore, condivisa dal Tar e del tutto coerente con le risultanze di fatto.

III) Gli appellanti si dolgono della mancata motivazione sulla censura relativa al ricorrente Mario Gatti, al quale il Consorzio G1 avrebbe fatto una proposta di vendita del tutto illegittima.

La censura, di non agevole comprensione, è comunque estranea al thema decidendum delineato con il ricorso, che accomuna tutti gli altri ricorrenti e che ne giustifica la proposizione collettiva; la posizione del signor Gatti, conduttore di unità immobiliare ad uso non abitativo, non lo legittimava infatti a proporre ricorso avverso il decreto ministeriale 16 settembre 2004, riservato ai conduttori di unità immobiliari ad uso abitativo, oggetto principale del ricorso di primo grado proposto dagli altri interessati, nel quale egli ha proposto motivi aggiunti per tutelare la propria posizione. Tali motivi aggiunti sono del tutto inammissibili, dato che presupposto indefettibile di tale strumento processuale è l’identità delle parti originarie.

In ogni caso, la parziale destinazione abitativa dell’unità condotta dal signor Gatti non risulta conforme al contratto di locazione stipulato con l’Inail il 30 gennaio 1996 e alla destinazione certificata a catasto: legittimamente, quindi, l’offerta in opzione inviatagli dal Consorzio G1 ha indicato il prezzo senza l’abbattimento stabilito dal d.l. n. 351 del 2001 unicamente per le unità abitative ad uso abitativo .

IV) Del pari inammissibile è l’eccezione riguardante la mancata procura al Consorzio G1 da parte della società Scip, dato che, comunque, la costituzione dell’Inail anche per tale società, che ha curato la dismissione del patrimonio pubblico, ha sanato eventuali vizi della costituzione in giudizio. Inammissibili sono le eccezioni di carenza di legittimazione a resistere in capo alla società Scip e al Consorzio G1, che, in quanto chiamati in causa con il ricorso di primo grado e con questo in appello, sono senza dubbio legittimati a resistere in giudizio.

V) La sentenza merita conferma anche nella parte in cui respinge il vizio di violazione dell’art. 7 legge n. 241 del 1990: la specificazione, mediante decreti ministeriali, degli immobili ai quali attribuire la qualifica di pregiati (nella specie, avvenuta con il decreto impugnato, del 16 settembre 2004) non postula la previa comunicazione agli interessati, poiché trattasi di attività non provvedimentale, ma meramente dichiarativa e propedeutica all’effettivo esercizio dell’attività amministrativa, che si verifica con l’offerta all’acquisto e con la definizione del prezzo di vendita.

VI) Infine, l’ultimo mezzo dell’appello ripropone la censura principale, già esaminata, relativa alla qualificazione dell’immobile come pregiato e alla correlata stima per la quantificazione del prezzo di vendita. E anche gli altri profili specificamente attinenti alla suddetta stima, che, secondo i ricorrenti, non avrebbe tenuto conto del valore di mercato di altri immobili aventi simili caratteristiche, sono riproduttivi della medesima doglianza, dato che gli edifici da assumere a paragone sarebbero, a giudizio degli appellanti, riconoscibili come degradati.

In ogni caso, il motivo è infondato, posto che la relazione tecnico estimativa dell’Agenzia del territorio, al punto 4.1, sotto il titolo “criteri e metodologia estimativa” espone appunto i criteri, ispirati al metodo sintetico comparativo richiesto dall’art. 3, comma 7, d.l. n. 351 del 2001, conv. nella legge n. 410 del 2001, adottati per determinare, attraverso indagini di mercato, il valore da porre a contenuto dell’offerta.

Le ulteriori considerazioni svolte con l’appello (la mancata attivazione, da parte dell’Inail, delle procedure di definizione stragiudiziale del contenzioso; la manifestazione della volontà dei ricorrenti di acquistare le unità immobiliari ai sensi dell’art. 3 comma 20, legge n. 410 del 2001) non assurgono a rango di motivi d’appello e sono, pertanto, ininfluenti al fine del decidere.

VII) In presenza di una specifica richiesta sul punto, va ancora dato atto dell’improcedibilità dell’appello nei confronti del signor Vasco Viti, deceduto nelle more del giudizio.

In conclusione, per gli altri ricorrenti, l’appello è infondato e va respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.

Le spese del giudizio seguono, come di regola, la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe indicato n. 6603 del 2011, dichiara l’appello improcedibile confronti del signor Vasco Vichi, compensando le relative spese del giudizio; respinge l’appello per il resto e, per l’effetto, conferma la sentenza impugnata.

Condanna il signor Mario Gatti a rifondere alle Amministrazioni intimate le spese del secondo grado del giudizio, nella misura di 6.000 (seimila) euro, oltre IVA e CPA, se dovute, nella seguente proporzione: 1/5 ai Ministeri resistenti, in solidarietà passiva; 2/5 al Consorzio G1; 2/5 all’Inail.

Condanna gli altri appellanti a rifondere le spese del giudizio alle Amministrazioni resistenti, nella medesima proporzione e nella misura di 3.000 (tremila) euro per ognuno di essi, oltre IVA e CPA, se dovute.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 3 luglio 2012 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Aldo Scola, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere, Estensore

Bernhard Lageder, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 07/09/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)