Giustizia amministrativa: sui criteri di riparto della competenza esecutiva tra giudice di prime cure e giudice d'appello

NOTA

La sentenza in rassegna si sofferma sui criteri per l’applicazione dell’art. 113 co. 1, c.p.a., in tema di ripartizione della competenza esecutiva tra giudice di prime cure e giudice d’appello.

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N. 02183/2013REG.PROV.COLL.

N. 10313/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso in ottemperanza n. 10313 del 2011, proposto da
Olivieri costruzioni s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avv.ti Nino Matassa e Rosa Volse, ed elettivamente domiciliato, unitamente ai difensori, presso Alfredo Placidi in Roma, via della Cosseria n. 2, come da mandato a margine del ricorso introduttivo;

contro

Comune di Rodi Garganico, in persona del sindaco legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Vito Aurelio Pappalepore, ed elettivamente domiciliato, unitamente al difensore, presso Antonia De Angelis in Roma, via Portuense n. 104, come da mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta;

per l’esecuzione

della decisione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, n. 3331 del 1 giugno 2011;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Rodi Garganico;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2013 il Cons. Diego Sabatino e uditi per le parti gli avvocati Nino Matassa e Vito Aurelio Pappalepore;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso iscritto al n. 10313 del 2011, Olivieri costruzioni s.r.l. propone giudizio per l’ottemperanza alla decisione del Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quarta, n. 3331 del 1 giugno 2011 con la quale è stato respinto il ricorso proposto dal Comune di Rodi Garganico contro la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Puglia, sezione terza, n. 2023 del 17 agosto 2009 che, a sua volta, aveva accolto il ricorso proposto da Olivieri costruzioni s.r.l., inizialmente rivolto a conseguire il risarcimento del danno patito in relazione alla procedura espropriativa originata dall’approvazione, con delibera del 24 marzo 1988, del progetto per la realizzazione di un parco giochi per l’infanzia e successivamente, a seguito dell’atto di motivi aggiunti depositato in data 14 gennaio 2009, mirato anche ad ottenere la restituzione del fondo, a titolo di risarcimento in forma specifica.

L’attuale ricorrente, evidenziando, da un lato, la mancata esecuzione della sentenza de qua e, dall’altro, come la sentenza di questa Sezione, pur respingendo l’appello, abbia di fatto modificato il contenuto precettivo della decisione di primo grado, chiede a questo Consiglio di accogliere il ricorso, dettando le modalità per la soddisfazione integrale della sua pretesa.

Il Comune costituito ha invece sottolineato la competenza funzionale del giudice di prime cure, stante il dato inequivocabile del rigetto dell’appello.

All’udienza in camera di consiglio del 19 febbraio 2013, il ricorso è stato discusso e assunto in decisione.

DIRITTO

1. – Il ricorso è inammissibile.

2. – La presente decisione, che ben potrebbe essere motivata con una stringata analisi del contenuto dell’art. 113 comma 1 del codice del processo amministrativo, permette alla Sezione di svolgere un’analisi più ampia del tema del giudizio di ottemperanza, per come si è venuto a configurare nel periodo più recente, con un excursus più ampio che tenga conto dell’evoluzione data dall’entrata in vigore del codice stesso e delle sue prime applicazioni giurisprudenziali, fino a giungere all’approdo determinato dalla sentenza dell’Adunanza plenaria n. 2 del 15 gennaio 2013.

La scelta operata discende dalla necessità di inquadrare il tema qui in esame, ossia quello dell’individuazione del giudice funzionalmente competente all’ottemperanza, in un contesto che travalichi il mero fatto interpretativo delle norme cogenti e si presenti idoneo a cogliere i mutamenti del quadro di riferimento complessivo del processo amministrativo.

In via preliminare, rileva la Sezione come, a un esame comparatistico appena allargato all’ambito europeo, il sistema nazionale di controllo sull’esecuzione amministrativa della decisione giurisprudenziale si connoti, contrariamente a quanto talvolta viene accampato, da caratteri di estrema incisività e pervasività, caratteri che culminano nel particolare potere del giudice italiano di sostituirsi integralmente all’amministrazione, in proprio o tramite la figura del commissario ad acta. Ed è sintomatico notare come anche in sistemi giuridici a noi limitrofi, spesso utilizzati anche dalla dottrina come punti di riferimento o esempi di soluzione dei problemi operativi della giustizia, non si riscontri una tale incisività. Ne sono esempio, tra gli altri, gli strumenti a disposizione del giudice francese (le “astreintes”) o di quello tedesco (lo “Zwangsgeld”) che, seppur diversi per struttura e disciplina, sono omogenei nel senso di porsi all’esterno dell’azione amministrativa, dando vita ad una sanzione indiretta, di tipo economica propulsiva (simile a quella che ora anche il codice del processo amministrativo prevede all’art. 114 comma 4 lett. e), ma non consentono mai al giudice di entrare nei meccanismi decisionali del soggetto pubblico.

Il giudizio di ottemperanza si presenta quindi come uno strumento molto particolare nel panorama dei modi di controllo sull’adempimento dell’amministrazione al dictum giurisprudenziale, e tale è stato mantenuto dal legislatore anche nel quadro della riforma del giudizio amministrativo, data con il D.Lgs. n. 104 del 2 luglio 2010. La particolarità è data dalla struttura del processo che, come riconosciuto pacificamente (si veda da ultimo Consiglio di Stato, ad. plen., 15 gennaio 2013 n. 2; Consiglio di Stato, sez. VI, 28 marzo 2012 n. 1845), non è assimilabile al giudizio di esecuzione proprio del processo civile, perché contiene sia elementi di quel tipo di giudizio, sia elementi del giudizio di cognizione, almeno in riferimento alle sentenze amministrative.

Tale struttura non è stata contestata in sede di predisposizione del nuovo codice del processo amministrativo né avrebbe potuto esserlo. In effetti, l’unico modo per incidere sulla struttura ancipite del giudizio di ottemperanza sarebbe stata quella di radicare tutti i profili decisori nella fase di cognizione e quindi attribuendo una natura meramente esecutiva al giudizio in esame. Tuttavia, una tale decisione, dalle conseguenze sistematiche imprevedibili, avrebbe comportato non solo una rimodulazione processuale, ma anche una rivisitazione sostanziale dei poteri dell’amministrazione. Per cogliere le difficoltà, sempre in via comparativa, è ben vero che il legislatore ha ampliato e in parte tipizzato il sistema delle azioni, sulla scorta del modello tedesco, ma è anche vero che sono rimasti fuori dalla riforma gli strumenti più incisivi che in quell’ordinamento consentono un’esecuzione snella e scevra di ulteriori aspetti decisionali (ed in particolare, la sospensione pressoché generalizzata dell’atto amministrativa incisivo della sfera giuridica del privato dal momento della proposizione del giudizio amministrativo – § 80 Verwaltungsgerichtsordnung; la possibilità riconosciuta alla parte, tramite la “Folgenbeseitigungsanspruch”, di chiedere al giudice della cognizione di indicare i modi di rimozione degli effetti provvisoriamente determinati dal provvedimento illegittimo – § 113 VwGO; l’impossibilità dell’amministrazione di procedere ad una nuova rivalutazione del fatto se non in presenza di elementi determinati – § 153 VwGO).

3. – In questo quadro, caratterizzato dal perdurare della citata doppia natura, quale prezzo imposto per conservare i preziosi caratteri di effettività e incisività dello strumento, sono emersi ulteriori profili critici del giudizio di ottemperanza, sorti dalla necessità di indagare il rapporto tra questa fase e il comportamento successivo dell’amministrazione. In particolare, è emerso il difficile inquadramento in questa seconda fase, quella post giudizio, tra la riedizione dell’azione amministrativa e i mezzi di tutela giudiziaria offerti al privato e ciò non tanto sulla scorta di una carenza normativa di strumenti di protezione, quanto per le difficoltà concrete per la sua realizzazione. In quest’ambito, l’ordinamento ha evidenziato una linea di tendenza caratterizzata dalla progressiva riduzione delle energie impiegate per la soluzione dei problemi processuali per concentrare invece le risorse disponibili negli aspetti sostanziali delle questioni sottoposte. Un lucido esempio di tale tendenza è certamente nella parabola della traslatio iudicii, ora divenuta istituto di carattere positivo dopo l’elaborazione giurisprudenziale (dalle sentenze della Corte di cassazione, sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109 e della Corte costituzionale, 12 marzo 2007, n. 77 fino all’art. 59 della legge 18 giugno 2009 n. 69 e all’art. 11 del codice del processo amministrativo). Ed è pure in quest’ambito che si colloca la sentenza del Consiglio di Stato, ad. Plen., 15 gennaio 2013 n. 2 che, esplicitamente, si propone di risolvere “questioni che attengono, in primo luogo, all’esigenza di conferire adeguata effettività alle sentenze del giudice amministrativo e, al contempo, alla necessità, da un lato, di contenere in tempi ragionevoli la risposta giurisdizionale e, dall’altro, di evitare inutili duplicazioni di accesso alla tutela giurisdizionale stessa”.

Tralasciando gli interessantissimi profili di carattere dogmatico che la sentenza affronta, in questa sede la Sezione ritiene di soffermare la propria attenzione sulla soluzione adottata dal supremo consesso giurisdizionale di questo Consiglio a proposito dei meccanismi d’individuazione del giudice competente e di consequenziale accelerazione della vicenda giudiziaria. In particolare, appare rilevante il passo dove l’Adunanza plenaria afferma: “In via generale può ammettersi che, al fine di consentire l’unitarietà di trattazione di tutte le censure svolte dall’interessato a fronte della riedizione del potere, conseguente ad un giudicato, le doglianze relative vengano dedotte davanti al giudice dell’ottemperanza, sia in quanto questi è il giudice naturale dell’esecuzione della sentenza, sia in quanto egli è il giudice competente per l’esame della forma di più grave patologia dell’atto, quale è la nullità”. Come si vede, una scelta processuale esplicita, di concentrazione della tutela (che peraltro questa Sezione aveva già anticipato, vedi Consiglio di Stato, sez. IV, 16 luglio 2012 n. 4133), che appare funzionale al recepimento delle evocate esigenze di risparmio delle risorse processuali a tutto vantaggio della disamina dei problemi sostanziali.

4. – Come la sentenza del Consiglio di Stato, ad. Plen., 15 gennaio 2013 n. 2 si riferisce ai rapporti tra giudice della cognizione e giudice dell’ottemperanza, indicando una via semplice e agevole di soluzione all’ipotesi di duplicazione dei processi, parimenti appare necessario tracciare uno stesso percorso nei casi in cui debba essere individuato il giudice dell’esecuzione competente, dove si verta delle attribuzioni ripartite tra primo e secondo grado (e ferma la constatazione che, stante la duplice natura dell’ottemperanza sopra evidenziata, non è possibile fissare a priori una competenza funzionale in un giudice determinato, come accade, per rifarsi agli esempi sopra citati, nell’ordinamento tedesco per cui, stante l’esaustività della decisione in fase di cognizione, il giudice competente all’esecuzione è sempre il giudice di primo grado – § 167 VwGO).

La disciplina in materia è contenuta nell’art. 113 comma 1 del codice del processo amministrativo che prevede, sull’attuazione delle sentenze amministrative, che il ricorso vada proposto “al giudice che ha emesso il provvedimento della cui ottemperanza si tratta; la competenza è del tribunale amministrativo regionale anche per i suoi provvedimenti confermati in appello con motivazione che abbia lo stesso contenuto dispositivo e conformativo dei provvedimenti di primo grado”. Com’è evidente, il legislatore, seppur impossibilitato ad attribuire ad un unico giudice le competenze dell’ottemperanza e comunque privilegiando un collegamento tra cognizione e esecuzione tramite il riferimento allo stesso organo, ha fissato un principio di preferenza per il giudice di prime cure, che provvede sia per le decisioni adottate direttamente, sia per i provvedimenti confermati in appello con lo stesso contenuto dispositivo e conformativo dei provvedimenti di primo grado.

Appare quindi alla Sezione come l’ipotesi della competenza del Consiglio di Stato sia del tutto residuale. In particolare, la nozione espressa della legge, ossia quella di “stesso contenuto dispositivo e conformativo”, deve essere intesa in senso molto stretto, onde evitare il pericolo di duplicazione di ricorsi che, come sopra evidenziato, snaturerebbe il percorso di ottimizzazione delle scarse risorse giudiziarie appena esaminato. Per tali ragioni, la Sezione ritiene che l’indicazione del giudice competente debba essere il più chiaramente evincibile dalla decisione ottemperanda, in modo da non lasciare alla parte interessata dubbi esegetici.

In questo senso, il disposto dell’art. 113 comma 1 fornisce indicazioni univoche. In primo luogo, riguardo al contenuto dispositivo, appare ovvio che questo sia rinvenibile dagli indici testuali della parte dispositiva della sentenza, che nel giudizio amministrativo si connota per la sua particolare stringatezza. Ne deriva che, nel caso in cui il dispositivo comporti una statuizione di rigetto sic et simpliciter dell’appello, vi è certamente identità di contenuto dispositivo tra i provvedimenti di primo e secondo grado e quindi con attribuzione della competenza al T.A.R. delle questioni sull’ottemperanza.

Ma, e in secondo luogo, identico discorso può essere fatto anche in relazione al contenuto conformativo. Se, infatti, tale affermazione dovesse intendersi in senso ampio, praticamente tutte le sentenze d’appello, quanto meno perché tese a motivare ex novo sulla base delle censure proposte avverso la sentenza di primo grado e non meramente ripetitive delle censure iniziali, conterrebbero un contenuto conformativo diverso, atteso che l’amministrazione dovrebbe adeguare la propria azione successiva sulla base della lettura delle fattispecie data dal giudice di appello. Proprio in relazione a tale evenienza, la Sezione intende valorizzare il dato di fatto per cui, nella prassi applicativa, è oramai diffusa l’accortezza di introdurre nel dispositivo delle sentenze di secondo grado delle clausole (quali quella di accoglimento in parte o di rigetto con diversa motivazione) che rappresentano chiari indici della lettura data dallo stesso giudice di appello al contenuto della propria decisione. In questi casi, è lo stesso Consiglio di Stato che evidenzia come il contenuto decisionale della sentenza rappresenti un distacco, più o meno profondo, rispetto all’iter argomentativo adottato in prime cure, con le conseguenti implicazioni in sede di competenza per l’ottemperanza.

In questo senso, la Sezione intende prendere atto di (e valorizzare) una prassi applicativa che, anche in rapporto alle conseguenze ordinamentali che deriveranno dall’applicazione diffusa del principio stabilito dalla sentenza del Consiglio di Stato, ad. Plen., 15 gennaio 2013 n. 2, appare utilissima nel risolvere a monte le perplessità sull’individuazione dell’ormai esiziale giudice dell’ottemperanza. Pertanto, il criterio dirimente della competenza andrà ricercato in un indice testuale esplicito, contenuto nel dispositivo della stessa sentenza di secondo grado che, ove semplicemente si limiti a rigettare l’appello, radicherà il giudizio di ottemperanza (o meglio di attuazione della sentenza, nel senso ampio esaminato dalla decisione dell’Adunanza plenaria) presso il T.A.R.. Qualora invece questa parte contenga statuizioni che evidenzino uno scollamento dal percorso motivazionale e conseguentemente dispositivo della decisione gravata, e quindi nei casi in cui appaiano formule come “respinto con diversa motivazione”, allora la competenza per il giudizio di ottemperanza si radicherà presso il Consiglio di Stato.

5. – Sulla base di quanto sopra evidenziato, non può non notarsi come il ricorso proposto sia stato azionato davanti ad un giudice incompetente, dovendosi invece applicare l’art. 113 comma 1 del codice del processo amministrativo, con attribuzione al T.A.R. delle questioni in materia di ottemperanza.

Nel caso in esame, e in disparte la circostanza che la sentenza, confermando il contenuto decisionale della sentenza appellata, abbia solo evidenziato le conseguenze derivanti dall’entrata in vigore del nuovo strumento normativo di cui all’art. 42 bis del codice delle espropriazioni, senza toccare le statuizioni di condanna svolte dal T.A.R., il dispositivo della decisione ottemperanda si limiti a rigettare l’appello, lasciando quindi integro il contenuto volitivo della prima decisione.

Ne deriva che, trattandosi di questione attribuita alla competenza del T.A.R. per la Puglia, questa Sezione non può fare uso degli strumenti processuali indicati nella più volte citata sentenza dell’Adunanza plenaria n. 2 del 2013 (che presuppongono la corretta individuazione del giudice dell’attuazione della sentenza) e deve limitarsi a dichiarare inammissibile il ricorso, in quanto proposto a giudice incompetente.

6. – Il ricorso è quindi inammissibile. Sussistono peraltro motivi per compensare integralmente tra le parti le spese processuali, determinati dalla parziale novità della questione decisa.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta), definitivamente pronunziando in merito al ricorso in epigrafe, così provvede:

1. Dichiara inammissibile il ricorso per ottemperanza n. 10313 del 2011;

2. Compensa integralmente tra le parti le spese del presente grado di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2013, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – con la partecipazione dei signori:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere, Estensore

Raffaele Potenza, Consigliere

Fulvio Rocco, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 18/04/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)