Contratti della P.A.: sui presupposti per la risoluzione per grave inadempienza nella concessione di lavori pubblici in project financing

NOTA

La sentenza in rassegna si sofferma sui presupposti per la risoluzione del contratto pubblico per inadempimento (nella specie, concessione di costruzione e gestione di lavori pubblici), con particolre riferimento all’individuazione degli estremi dell’inadempimento e della non scarsa importanza del medesimo, ex art. 1455c.c. (nella specie, l’inadempimento non privo di scarsa importanza pe il Comune appellato è stato ravvisato nella violazione dei termini per la presentazione del progetto esecutivo da parte del concessionario a ciò tenuto ai sensi della convenzione nonché nella presentazione di un progetto esecutivo carente e lacunoso).

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N. 02061/2013REG.PROV.COLL.

N. 02483/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2483 del 2012, proposto da:
G.I.S. Gestione Impianti Sportivi & Tempo Libero s.r.l., in persona del legale rappresentante in carica, rappresentata e difesa dagli avv. Sergio Dal Pra’ e Luigi Manzi, con domicilio eletto presso l’avv. Luigi Manzi in Roma, via F. Confalonieri, 5;

contro

Comune di Martellago, in persona del sindaco in carica, rappresentato e difeso dagli avv. Primo Michielan e Salvatore Di Mattia, con domicilio eletto presso l’avv. Salvatore Di Mattia in Roma, via F. Confalonieri, 5;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. VENETO, SEZIONE I, n. 01724/2011, resa tra le parti, concernente accertamento inadempimento convenzione per realizzazione e gestione impianto natatorio – risarcimento danni.

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Comune di Martellago;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 22 marzo 2013 il Cons. Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti e uditi per le parti gli avvocati Reggio D’Aci, per delega dell’Avv. Manzi, e Michielan;

FATTO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sez. I, con la sentenza n. 1724 del 22 novembre 2011, riuniti i ricorsi di primo grado n. 00385/2010 e n. 00101/2011, ha respinto il primo (ricorso n. 385/2010), proposto da G.I.S. s.r.l., per l’accertamento della violazione dei principi contrattuali di buona fede e correttezza, con riferimento alla convenzione in data 3.6.2002, e comunque l’inadempimento della convenzione stessa da parte del Comune di Martellago; ed accolto il secondo (ricorso n. 101/11), proposto dal detto Comune, per l’accertamento dell’intervenuta risoluzione ipso iure della convenzione in data 3.6.2002 per grave inadempimento di G.I.S. s.r.l. ex artt. 1453 e 1454 c.c. ovvero per la pronuncia di grave inadempimento di G.I.S. ai sensi degli artt. 1453 e seguenti c.c. e 140, comma 6, D.P.R. n. 554/1999, nei sensi ed entro i limiti indicati in parte motiva, con conseguente condanna della società G.I.S. (attuale appellante) al pagamento delle somme indicate in motivazione a favore del Comune di Martellago (convenuto in appello), a titolo di risarcimento dei danni subiti, oltre a rivalutazione monetaria ed interessi legali dal dovuto al saldo.

Il TAR fondava la sua decisione rilevando, sinteticamente, che, a fronte della disposta risoluzione contrattuale dichiarata dal Comune di Martellago in conseguenza dell’accertato inadempimento degli obblighi convenzionali, assunti con convenzione del 30 giugno 2002 per la realizzazione e gestione di un impianto natatorio sito in località Maerne di Martellago, da parte della società G.I.S., quest’ultima aveva avviato in sede civile, e quindi riassunto davanti al TAR, un giudizio volto all’accertamento dell’illegittimità del comportamento tenuto dal Comune, contrario ai principi di correttezza e buona fede, in quanto basato su presupposti insussistenti circa l’inosservanza dei termini per la presentazione del progetto esecutivo dell’opera da realizzare e soprattutto circa l’inadeguatezza ed insufficienza dei contenuti del progetto esecutivo presentato; carenze in ogni caso colmabili mediante il ricorso all’attività di integrazione, illegittimamente e colpevolmente negata dall’Amministrazione.

Per il TAR, quanto al primo ricorso, è stato osservato che la società concessionaria, attuale appellante, avrebbe dovuto predisporre il progetto esecutivo, onde poi procedere all’avvio dei lavori, entro il termine di trentasei mesi dalla delibera con la quale il progetto definitivo era stato approvato (quindi entro trentasei mesi a decorrere dal 30 giugno 2002, ossia entro il 30 giugno 2005); nell’imminenza della scadenza e a fronte dell’inerzia della concessionaria, l’Amministrazione comunale ha emanato la determina n. 256/2005 con la quale ha individuato due scadenze temporali che l’attuale appellante avrebbe dovuto rispettare, a pena di decadenza, con riguardo alla presentazione del progetto esecutivo (29 aprile 2005) ed all’avvio dei lavori (24 maggio 2005), pena la risoluzione della convenzione e l’escussione della polizza fideiussoria; l’attuale appellante ha presentato il progetto esecutivo oltre il primo dei due termini assegnati, ossia in data 16 maggio 2005, dichiarandosi comunque pronta all’avvio dei lavori.

Il TAR ha ancora rilevato che l’Amministrazione ha tratto la conseguenza, oggetto di contestazione, della risoluzione ipso iure della convenzione, in applicazione dell’art. 1454 c.c. e dell’art. 129 del D.P.R. n. 554/1999, esclusa ogni possibilità di integrazione del suddetto progetto nelle parti considerate carenti.

Il TAR ha ritenuto che le ragioni addotte dall’Amministrazione siano state corrette, giustificando l’avvenuta risoluzione contrattuale, tenuto conto del fatto che la disposta risoluzione è stata determinata non solo dall’inosservanza dei termini, asseritamene perentori, stabiliti dal Comune con la determina sopra ricordata, bensì anche in ragione della carenza della documentazione a corredo del progetto esecutivo presentato.

Il TAR ha utilizzato le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio (CTU) resa nell’ambito del giudizio civile, con specifico riguardo alle rilevate carenze documentali, così respingendo le istanze istruttorie avanzate da entrambe le parti in causa, finalizzate ad espletare una nuova CTU o ad acquisire prove testimoniali; dalle risultanze della perizia depositata dal CTU nominato dal giudice istruttore (G.I.) del Tribunale di Venezia, emerge in termini oggettivi che il progetto elaborato dall’attuale appellante non risultava corredato della documentazione necessaria, così come prescritta dalla normativa in materia, per poter essere considerato dall’Amministrazione e quindi validato al fine di consentire l’avvio dei lavori; si trattava non di mere insufficienze dei dati presentati, bensì di vere e proprie mancanze di dati che hanno particolare rilevanza ai fini della completezza della progettazione nella fase esecutiva, rendendo illegittima qualsiasi ipotesi di integrazione della documentazione presentata, correttamente denegata dall’Amministrazione.

Per il TAR, inoltre, il versamento della cauzione provvisoria ha la funzione di caparra confirmatoria ossia di garanzia per la serietà dell’impegno contrattuale assunto; il solo fatto dell’inadempimento contrattuale è giusta ragione per provvedere all’incameramento da parte del creditore non soddisfatto della somma messa a disposizione a titolo di garanzia dal debitore, quale risarcimento dovuto ex se per la mancata prestazione, salva in ogni caso la possibilità di dimostrare e quindi ottenere il risarcimento del maggior danno derivante dall’inadempimento.

Quanto al secondo ricorso, avente natura sostanzialmente riconvenzionale e proposto dal Comune odierno appellato, ha ritenuto il TAR di poter accogliere parzialmente le relative richieste, utilizzando in parte qua le risultanze della perizia resa in sede civile, con particolare riguardo al computo dei costi sostenuti dal Comune per l’iniziale affidamento dei lavori di realizzazione dell’impianto natatorio, nonché a quelli relativi alla successiva attività posta in essere con l’indizione di una nuova gara per l’individuazione del soggetto cui affidare il compito di realizzare l’impianto, pur se di dimensioni diverse e più contenute per quanto riguarda i servizi complementari, rispetto a quello originario, non giunto a buon fine.

Secondo il TAR, è possibile risarcire in primo luogo l’Amministrazione comunale delle somme spese con riguardo all’attività inerente la procedura di affidamento a favore di G.I.S., non giunta a buon fine; quindi, computato l’intero costo documentato dal Comune comprensivo anche delle spese relative alla risoluzione della convenzione, ha riconosciuto la somma di € 24.374,72.

Analogamente, per quanto riguarda i costi successivi alla risoluzione e correlati all’espletamento della nuova gara, il TAR ha riconosciuto la somma di € 24.227,68.

A tali somme il TAR ha aggiunto il costo (pari ad € 23.000,00), sostenuto direttamente dal Comune, relativo alla messa in sicurezza della linea del metanodotto interferente sull’area interessata dall’intervento, onere che era stato previsto a carico dell’esecutore e che invece è stato sopportato dall’Amministrazione comunale.

Inoltre, per il TAR, considerato che, rispetto ai costi necessari alla realizzazione dell’opera, il decorso del tempo (2002-2008) ha sicuramente inciso sulla loro entità, può essere riconosciuta la spettanza della differenza relativa al costo di costruzione versato nel 2008 rispetto a quello individuato per il 2002 e quindi una somma pari ad € 113.620,52.

Per il TAR, invece, non può essere imputata a G.I.S. la maggiore somma che il Comune si è impegnato a corrispondere al nuovo concessionario, per tutta la durata della concessione trentennale (pari ad € 90.000,00 per 29 anni, per un ammontare complessivo di € 2.610.000,00), al fine di assicurare allo stesso l’introito necessario a rendere remunerativa la gestione dell’impianto e deve tenersi conto dell’avvenuto incameramento della polizza fideiussoria, depositata da G.I.S. al momento della sottoscrizione della convenzione, il cui ammontare è pari al 10% del valore dell’opera, per un valore di € 223.685,84, quale diretta conseguenza della risoluzione per inadempimento.

Pertanto, ha concluso il TAR, oltre alla somma già messa a disposizione quale polizza fideiussoria (pari ad € 223.685,84), la società G.I.S. dovrà provvedere a versare a favore del Comune di Martellago la somma complessiva di €185.222,92, cui andranno aggiunti la rivalutazione monetaria e gli interessi legali dal dovuto al saldo.

L’appellante contestava la sentenza del TAR, riproponendo nella sostanza le tesi del ricorso in primo grado, sostenendo:

– l’insussistenza dei presupposti della risoluzione ipso iure della convenzione ai sensi degli artt. 1453 e 1454 c.c. e l’erroneo richiamo agli artt. 1453 e 1454 c.c. (e comunque l’insussistenza dei presupposti anche degli artt. 119 e 140, comma 5, D.P.R. n. 554/1999); motivazione erronea in quanto perplessa; error in iudicando;

– l’insussistenza dei presupposti della risoluzione per grave inadempimento ex artt. 1453 e 140, comma 6, D.P.R. n. 554/1999; difetto di motivazione; extrapetizione; error in indicando; violazione dell’art. 11, comma 6, c.p.a.; error in procedendo; insussistenza dell’elemento soggettivo della responsabilità di G.I.S.; motivazione contraddittoria;

– il difetto del nesso eziologico e l’insussistenza dei danni lamentati dal Comune di Martellago, motivazione carente, infrapetizione, error in iudicando;

– contestazioni sulle singole voci di danno riconosciute all’Amministrazione; sull’incameramento della polizza e sulla quantificazione, nonché sui danni ulteriori;

– contestazioni sulla condotta del Comune di Martellago e sui danni subiti da G.I.S.. s.r.l.; motivazione insufficiente; error in iudicando.

L’appellante chiedeva l’accoglimento dell’appello e, quindi, del suo ricorso di primo grado e la reiezione del ricorso di primo grado proposto dal Comune.

Si costituiva l’Amministrazione intimata chiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza pubblica del 22 marzo 2013 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

Ritiene il Collegio, in via preliminare, di dover sinteticamente ripercorrere gli antecedenti di fatto alla vicenda oggetto del presente giudizio.

La vicenda trae origine da una procedura di project financing in esecuzione del programma triennale comunale per la realizzazione di opere pubbliche, approvato con deliberazione del Consiglio Comunale n. 40 del 9 giugno 2000, nel quale era prevista la realizzazione e gestione di un impianto natatorio.

All’uopo, venivano approvate la proposta avente ad oggetto la realizzazione e gestione dell’impianto natatorio, la bozza di convenzione ed il progetto preliminare presentati da G.I.S. s.r.l., attuale appellante, ed in data 3 giugno 2002 veniva stipulata la convenzione per la concessione dei lavori pubblici relativi alla costruzione e gestione di tale impianto natatorio, nella quale veniva integralmente riportato il contenuto dello schema di convenzione proposto da G.I.S. s.r.l., approvato dal Comune di Martellago.

La convenzione prevedeva le seguenti obbligazioni a carico della concessionaria:

a) obbligo di acquisire tutti i pareri e le approvazioni necessarie per l’esecuzione dell’opera e di provvedere a propria cura e spese alla direzione dei lavori;

b) obbligo di predisporre i progetti, definitivo ed esecutivo, completi degli elaborati necessari alla prosecuzione della procedura;

c) obbligo di trasferire a titolo gratuito il diritto di superficie sulle aree oggetto di esproprio in capo alla concessionaria G.I.S., a seguito della registrazione del decreto di esproprio;

d) obbligo di terminare l’esecuzione dei lavori in 400 giorni naturali successivi e continui, a decorrere dalla data del verbale di consegna dei lavori, ed il successivo termine di sei mesi dall’ultimazione dei lavori per l’effettuazione del collaudo;

e) obbligo di costituire una cauzione a garanzia degli obblighi di progettazione, costruzione e gestione. Tale polizza prevedeva, all’art. 1, secondo quanto disposto dalla L. n. 109/1994, che: “l’assicuratore corrisponderà, a semplice richiesta del beneficiario, senza eccezione alcuna, ed entro il termine di trenta giorni dalla ricezione o il minor termine previsto dalla legge, l’indennizzo dovuto in conseguenza dell’inadempienza del contraente, nei limiti del massimale di garanzia”.

Con deliberazione 3 giugno 2002, n. 148 la Giunta Comunale approvava il progetto definitivo depositato da G.I.S. s.r.l., dichiarava la pubblica utilità, urgenza ed indifferibilità delle opere, stabilendo, ai sensi dell’art. 13 della Legge 25 giugno 1865, n. 2359, i termini per l’inizio e per il completamento dei lavori e delle espropriazioni, prevedendo l’inizio dei lavori entro 36 mesi dalla data di adozione della delibera; il termine dei lavori entro i termini stabiliti nel capitolato speciale d’appalto del progetto; l’inizio delle espropriazioni entro 12 mesi dalla data di adozione della delibera; il termine delle espropriazioni entro 60 mesi decorrenti dalla data di adozione della delibera.

Detta deliberazione veniva notificata alla società G.I.S. in data 10 giugno 2002, unitamente al decreto di occupazione ed urgenza del 4 giugno 2002, prot. 15230, n. 69.

A causa della protratta inerzia della concessionaria, il Comune, con determinazione 23 marzo 2005, n. 256, diffidava la concessionaria ad adempiere nel termine essenziale di trenta giorni (con scadenza in data 29 aprile 2005), depositando il progetto esecutivo, assentibile dall’Amministrazione concedente anche come permesso a costruire, per consentire l’inizio dei lavori; con tale determinazione veniva precisato che, decorso infruttuosamente il termine, si sarebbe verificata la risoluzione ipso iure della convenzione, con conseguente escussione della polizza fideiussoria n. 1352291 della società per azioni Viscontea Cofea, ai sensi e per gli effetti dell’art. 1454 c.c., nonché degli artt. 129 e 140, comma 6, del D.P.R. n. 554/1999.

A termine scaduto (ovvero in data 16 maggio 2005) G.I.S. s.r.l. presentava al Comune il “progetto esecutivo”, unitamente all’istanza di permesso a costruire.

Il Responsabile del Settore Gestione del Territorio, con relazione istruttoria del 6 marzo 2005, pur premettendo come fosse già intervenuta la risoluzione del contratto ipso iure per mancato rispetto del termine essenziale assegnato alla concessionaria, esaminava comunque la documentazione e il “progetto esecutivo”, riscontrando che detta documentazione presentata impediva di riconoscere assolutamente come esecutivo il progetto presentato dalla ricorrente; la relazione istruttoria evidenziava profonde lacune e lampanti difformità rispetto al progetto definitivo, nonché vistose incompletezze dei requisiti di legge necessari alla cantierabilità dello stesso.

Veniva, quindi, emanata la delibera della Giunta Comunale 22 giugno 2005, n. 178, che prendeva atto della determinazione del Responsabile di gestione del settore territorio e del parere della Commissione Edilizia, facendone proprie le conclusioni, ritenendo “prevalente l’interesse pubblicistico alla pronta e regolare esecuzione dell’opera in questione, gravemente compromessa dalle rilevate inadempienze alle obbligazioni contrattuali di cui alla convenzione rep. 3170 del 3.06.2002, assunte dalla società concessionaria G.I.S. s.r.l.”.

Con tale delibera veniva risolto il contratto; il Comune di Martellago escuteva, quindi, in esecuzione all’art. 30 legge n. 109/1994 e all’art. 14 del contratto stipulato dalle parti, la polizza fideiussoria stipulata a suo favore dalla Viscontea Coface s.p.a., che corrispondeva la somma di Euro 223.685,84, dopo aver preso atto dell’inadempimento contrattuale da parte di G.I.S. s.r.l..

Nel giudizio civile promosso dall’attuale appellante avanti il Tribunale di Venezia per la dichiarazione di illiceità della risoluzione comunale e per il riconoscimento del danno subito, veniva disposta consulenza tecnica d’ufficio sul seguente quesito: “Acquisiti ed esaminati gli elaborati costituenti il progetto definitivo depositato dalla attrice presso il Comune di Martellago in data 24 maggio 2005, nonché il progetto redatto dal Comune in funzione del nuovo bando, esaminati altresì gli atti contrattuale e ogni altro documento prodotto dalle parti, eseguita ogni altra indagine utile, proceda il CTU a:

– valutare la rispondenza degli elaborati costituenti il progetto esecutivo depositato dalla attrice alle previsioni del progetto definitivo;

– valutare la rispondenza e la conformità dei sopradetti elaborati progettuali ai requisiti di cui alla normativa in materia di lavori pubblici ai fini della approvazione, della cantierabilità/eseguibilità e della validazione delle opere in essi previste specificando l’eventuale incidenza causale degli interventi di camiciatura del gasdotto e di rimozione della linea elettrica rispetto alla mancata realizzazione del progetto esecutivo;

– determinare il valore delle attività realizzate dalla attrice e gli oneri da questa sostenuti nella redazione degli elaborati nonché gli eventuali costi tecnico-amministrativi sostenuti dal Comune prima della risoluzione del contratto;

– indicare i costi tecnico amministrativi sostenuti dal comune per l’indizione del nuovo bando comparando gli elaborati del convenuto con le tavole progettuali redatte dalla attrice.

Il consulente d’ufficio concludeva che le variazioni tra progetto definitivo ed esecutivo erano da ritenersi migliorative e rientranti tra quelle che, normalmente, vengono studiate nello sviluppo progettuale tra le due fasi; il consulente precisava poi che il progetto esecutivo presentato da parte attrice risultava mancante di una serie di elementi fondamentali e, in particolare, quanto alla conformità degli elaborati progettuali presentati ai fini della validazione, il consulente accertava la mancanza della documentazione di cui alle lettere a), d), f), h), i) e l) di cui all’art. 47 D.P.R. n. 554/1999.

Nella successiva integrazione peritale il consulente d’ufficio precisava che i documenti mancanti nel progetto esecutivo non erano nemmeno presenti in quello definitivo e che anche le supposte varianti migliorative dovevano essere sottoposte alla validazione ed all’approvazione del progetto esecutivo.

Il Tribunale di Venezia declinava la giurisdizione a favore della giurisdizione amministrativa ed il giudizio veniva riassunto avanti al TAR.

In relazione agli articolati motivi di appello, ritiene il Collegio che gli stessi siano infondati.

Infatti, in primo luogo, costituisce acquisizione dottrinale e giurisprudenziale orami pacifica che nelle controversie attinenti all’esecuzione di opere pubbliche la stazione appaltante e l’impresa possono avvalersi dei rimedi previsti dalla normativa di settore e di quelli previsti dal codice civile, non essendovi alcuna preclusione al riguardo.

In tema di appalto di opere pubbliche, le disposizioni speciali dettate con riferimento alle ipotesi di inadempimento del contratto di appalto (come quelle, esemplificativamente, di cui agli art. 1662, 1667, 1668, 1669 c.c., 35, ultimo comma, d.P.R. n. 1063 del 1962) integrano, senza peraltro sostituirli, i principi generali dettati dal legislatore in tema di mancato adempimento e di risoluzione del negozio di cui agli art. 1453 e seguenti c.c.

Da ciò consegue che tornino ad applicarsi le disposizioni generali di cui agli art. 1453 e 1455 c.c. ove l’imprenditore non possa invocare i più favorevoli presupposti della norma speciale (cfr. Cass., sez. I, 7 luglio 2004, n. 12416).

E’, pertanto, da ritenersi pacifica l’applicabilità dei rimedi previsti dalla legislazione speciale e di quelli civilistici, rimedi che lo stesso Comune appellato ha richiamato nel preambolo della delibera giuntale di risoluzione contrattuale.

Peraltro, deve considerarsi che l’Amministrazione comunale non aveva domandato soltanto l’accertamento dell’intervenuta risoluzione ipso iure del rapporto concessorio, ma anche la pronuncia costitutiva di risoluzione contrattuale (cfr. conclusioni del ricorso n. 101/2011 RG di primo grado).

Osserva inoltre il Collegio che, in punto di inadempimento e non scarsa importanza del medesimo, ex art. 1455 c.c., la sentenza del TAR impugnata è impeccabilmente dettagliata con riferimento all’individuazione dell’inadempimento ed alla sua incidenza sull’intera economia del rapporto.

Il Giudice di primo grado, infatti, ha apprezzato la mancata rispondenza alla normativa di settore del progetto esecutivo di G.I.S. e la sua validabilità e cantierabilità, evidenziando le gravi carenze documentali riscontrate, non riconducibili a mere insufficienze dei dati presentati, che si traducevano in vere e proprie mancanze di dati rilevanti ai fini della completezza della progettazione della fase esecutiva.

Giova al riguardo osservare che il Responsabile del Settore Gestione del Territorio, con la già citata relazione istruttoria del 6 marzo 2005, rilevava che:

a) l’impresa esecutrice designata da G.I.S. s.r.l. non era iscritta nel casellario informatico e che risultava sprovvista della necessaria certificazione S.O.A.;

b) la documentazione integrativa presentata dalla concessionaria al fine di ottenere la concessione edilizia, difettava di requisiti richiesti dall’art. 16 della L. n. 109/1994 e dagli artt. 35 e seguenti del D.P.R. n. 554/1999, non potendo essere così qualificabile come tale ed integrando unicamente i requisiti dell’esecutivo architettonico;

c) gli elaborati presentati unitamente al progetto esecutivo erano obsoleti, in quanto redatti il 16.06.2003 e non erano aggiornati alle prescrizioni impartite dai vari enti pubblici competenti all’approvazione del progetto, successivamente a tale data;

d) tali elaborati, contrariamente a quanto disposto dalla legge, non rispecchiavano il progetto definitivo, del quale ne stravolgevano i contenuti, in palese violazione dell’art. 35 del D.P.R. n. 554/1999; erano, inoltre, stati redatti da un professionista diverso da quello che aveva redatto i progetti, preliminare e definitivo;

e) la società che aveva predisposto detta documentazione non risultava abilitata alla progettazione di opere pubbliche;

f) tale documentazione difettava di una rilevante serie di requisiti richiesti dalla legge di settore, quali: la relazione generale al progetto esecutivo ex art. 36 D.P.R. n. 554/1999; il cronoprogramma ex art. 42 D.P.R. n. 554/1999; l’elenco dei prezzi unitari e l’analisi ex art. 43 D.P.R. n. 554/1999; lo schema di contratto ed il capitolato speciale d’appalto ex art. 45 D.P.R. n. 554/1999; la dichiarazione di cui all’art. 21, comma 1 del D.P.R. 24/07/1996, di attestazione della conformità del progetto alle disposizioni in materia di barriere architettoniche;

g) i calcoli statici delle opere in conglomerato cementizio armato erano stati effettuati senza tener conto dell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, non essendo conformi alla nuova classificazione sismica del Comune di Martellago;

i) la documentazione era, inoltre, carente degli elaborati e delle verifiche statiche riguardanti le strutture in acciaio;

g) vi erano incongruenze tra la relazione esecutiva dei cementi armati e le tavole grafiche;

h) la relazione tecnica per gli impianti elettrici non era stata sottoscritta da un professionista abilitato e la stessa era, comunque, manifestamente generica e non puntualmente riferibile all’impianto da realizzare;

i) il progetto per gli impianti tecnologici non era stato redatto da un professionista abilitato;

l) G.I.S. s.r.l. non aveva allegato i pareri obbligatori dell’Azienda Unità Locale Socio-sanitaria n. 13, quello della S.N.A.M. rete gas e del Comitato Olimpico Nazionale Italiano;

m) il parere dell’Azienda Unità Locale Socio-Sanitaria era condizionato all’effettuazione di una lunga serie di modifiche.

Pertanto, non poteva configurarsi la sussistenza di alcun progetto esecutivo, stante anche l’insanabilità dei vizi e delle lacune mediante documentazione integrativa.

Il consulente evocato nella CTU disposta nel giudizio avanti al Tribunale Ordinario ha inoltre precisato che il progetto esecutivo presentato da parte appellante risultava mancante di: relazione generale, piani di manutenzione dell’opera e delle sue parti, computo metrico estimativo e quadro economico, cronoprogramma, elenco dei prezzi unitari ed eventuali analisi; quadro dell’incidenza percentuale della quantità di manodopera per le diverse categorie di cui si compone l’opera o il lavoro; schema di contratto e capitolato speciale di appalto.

Inoltre, detto consulente ha evidenziato, quanto alla conformità degli elaborati progettuali presentati ai fini della validazione, la mancanza della documentazione di cui alle lettere a), d), f), h), i) e l) di cui all’art. 47 D.P.R. n. 554/1999, documentazione d’indiscutibile importanza.

Sotto il profilo dell’apprezzamento delle risultanze della consulenza tecnica espletata nel giudizio civile, il Collegio deve rilevare che esse costituiscono indubbi argomenti di prova e non certo mezzi di prova (nondimeno, la CTU non può avere il ruolo di mezzo istruttorio per sopperire all’onere probatorio incombente sulle parti, bensì rileva unicamente per consentire al giudice un migliore e più compiuto apprezzamento del fatto, quando sono coinvolte discipline tecniche di carattere non giuridico).

Peraltro, l’art. 11 c.p.a. consente al Giudice amministrativo di valutare come argomenti di prova le prove raccolte nel pregresso giudizio proprio in ipotesi di difetto di giurisdizione come nella specie.

Inoltre, le circostanze evidenziate dal CTU non sono contestate sotto il profilo della loro sussistenza fattuale, ma semplicemente diversamente apprezzate dall’appellante; quindi, i dati di fatto possono ritenersi acquisiti anche in questo processo, senza necessità di espletare ulteriore istruttoria.

Sotto il profilo dell’apprezzamento dei predetti fatti, in particolare delle lacune documentali già evidenziate, ai fini dell’attivazione del rimedio civilistico risolutorio, si deve osservare che l’idea della risoluzione come rimedio contro l’inattuazione del nesso di corrispettività non deve alimentare, tuttavia, la convinzione che l’istituto, quanto meno nella sua veste ordinaria (ex art. 1453 c.c.), si esaurisca in una questione di riallocazione di prestazioni prive oramai di una loro causa, così invece le tesi causaliste che, muovendo dalla scissione di matrice francese tra il concetto di causa del contratto e quello di causa dell’obbligazione, sostengono che la risoluzione derivi dalla sopravvenuta mancanza della seconda.

Infatti, la tesi che spiega la risoluzione come una reazione alla sopravvenuta alterazione del nesso di corrispettività tra le prestazioni durante l’esecuzione del contratto è riconducibile allo studio di illustri Autori civilisti, che contemplano l’istituto in parola come un’ipotesi di applicazione concreta della tesi sulla sopravvenienza.

Infatti, tale forma di tutela non si innesca automaticamente al verificarsi del vulnus contrattuale, ma è condizionata dal giudizio ex art. 1455 c.c. che, assoggettando la risoluzione alla verifica della non scarsa importanza dell’inadempimento avuto riguardo all’interesse di controparte, mira a preservare la sopravvivenza dell’assetto di interessi predisposto dalle parti: l’art. 1455 introduce, in altri termini, un elemento strutturale in più che rende necessaria ma non sufficiente la mera rottura del sinallagma, che deve incidere in modo non scarsamente importante sul piano di interessi confluito nel regolamento contrattuale. Tutto ciò si può rappresentare con l’immagine di un doppio livello di vincolatività del contratto con prestazioni corrispettive: l’uno correlato al nesso di interdipendenza e l’altro costituito dalla pianificazione economica.

La risoluzione del contratto per inadempimento tutela, quindi, non solo il sinallagma contrattuale, ma quell’ulteriore bene giuridico costituito dall’interesse del contraente a liberarsi dal vincolo violato in quanto non più idoneo a dare corso all’equilibrio economico consacrato nel regolamento contrattuale.

La violazione del contratto determina, quindi, una discrasia tra il piano di corrispettività e il piano degli interessi contrattuali e lo scarto deve essere non di scarsa importanza rispetto all’interesse della parte, che pertanto non risulta realizzato; se ne trae una conferma nella disciplina del termine essenziale (art. 1457 c.c.), che riconosce alla parte non inadempiente la possibilità di “ritrattare” l’essenzialità del termine previamente stabilita.

Il legislatore ha, quindi, di mira l’assetto di interessi dei contraenti sempre modificabile in executivis, mentre l’esclusiva specificità del sinallagma costringe la risoluzione nella secca alternativa tra il perfezionamento o meno del sinallagma medesimo.

Nel caso di specie, appare evidente che il ritardo nella predisposizione del progetto esecutivo, la sua incontestabile lacunosità, che ne impedisce il riconoscimento proprio quale progetto esecutivo sotto il profilo tecnico-giuridico, l’impossibilità della sua validazione, l’interesse pubblico alla realizzazione celere dell’opera e la ormai acquisita (con valutazione del tutto ragionevole e condivisibile) sfiducia nei confronti dell’impresa nel poterla effettuare, stante le numerose infedeltà ed omissioni sopra indicate, incidono sull’apprezzamento dell’inadempimento, non potendo lo stesso per nulla qualificarsi come non di scarsa importanza, essendo invece idoneo a sorreggere il rimedio giuridico intrapreso.

Sotto il profilo della colpa, rilevante non tanto per l’imputabilità dell’adempimento ai sensi della normativa generale ex artt. 1218 e seguenti c.c., e sicuramente imputabile all’attuale appellante per i fatti sopra evidenziati, ma rilevante per il risarcimento del danno, ritiene il Collegio che essa è riconducibile alla palese violazione della normativa speciale sul contenuto necessario del progetto esecutivo; stante le dimensioni e la natura di tali violazioni, la colpa non può che dedursi indiziariamente da esse, secondo un procedimento logico ex art. 2729 c.c., effettuato in sostanza anche dallo stesso TAR nella sentenza impugnata ed immune da vizi.

Il Collegio osserva inoltre che il risarcimento del danno da risoluzione è, come accennato, species del risarcimento del danno da inadempimento, nel senso che l’art. 1218 c.c., contemplando la regola generale di responsabilità del debitore, necessariamente disciplina anche la fattispecie in cui si verifichi l’inattuazione del sinallagma contrattuale, non potendosi obiettare che nella fattispecie disciplinata dall’art. 1453 c.c. tra l’inadempimento ed il danno si frappone la risoluzione del contratto, e che quindi la pretesa risarcitoria non rappresenta soltanto la conseguenza dell’inadempimento, ma anche della risoluzione, in quanto quest’ultima è ricondotta dal legislatore all’inadempimento del contraente e dunque risulta anch’essa un fatto ad esso imputabile.

Ne consegue che la parte inadempiente deve rispondere dei danni provocati dalla risoluzione del contratto, nonostante la stessa sia stata in fatto azionata da controparte: il vero significato di questa parte del contenuto dell’art. 1453, comma 1, c.c., quindi, è proprio quello di presentare la risoluzione come un evento lesivo provocato dalla condotta del debitore e le conseguenze economiche negative per il creditore come danni dei quali il primo è chiamato a rispondere (ai sensi dell’art. 1218), sebbene il venir meno del contratto non derivi in modo immediato dall’inadempimento e discenda invece direttamente da una iniziativa del creditore.

Quindi, i criteri di imputazione dell’inadempimento che ha dato luogo alla risoluzione saranno gli stessi previsti dall’art. 1218 c.c..

Quanto all’ammontare del risarcimento e alle contestazioni circa la riconducibilità causale di determinate voci di danno all’inadempimento, il Collegio rileva che il TAR ha correttamente dettagliato le circostanze e le ragioni che lo hanno indotto a fissarne il quantum.

Infatti, in particolare, la decisione del Comune di individuare altro concessionario per la realizzazione e gestione della piscina comunale non costituisce causa autonoma e successiva al comportamento della società appellante, che esclude la rilevanza causale di questa, ma è un comportamento preordinato proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le conseguenze di quell’illecito.

Poiché le conseguenze dell’illecito contrattuale della società appellante consistono nella non realizzazione dell’impianto natatorio nei tempi previsti dal programma triennale delle opere pubbliche e considerato che la realizzazione dell’impianto da parte dell’ente locale comunale si presentava come doverosa in quanto prevista nel programma triennale predetto e, quindi, non arbitraria, risulta corretta la ricomprensione, nelle voci di danno, dei costi successivi alla risoluzione e correlati all’espletamento della nuova gara (€ 24.227,68).

Anche l’aumento dei costi di costruzione costituisce conseguenza, ex art. 1223 c.c., riconducibile all’inadempimento della società appellante.

Nella stessa logica, devono essere compresi i costi relativi alla messa in sicurezza della linea del metanodotto interferente con l’area interessata dall’intervento, il cui onere è evidentemente a carico dell’esecutore rientrando tale costo nella voce dei rischi da interferenza e, quindi, nei costi della sicurezza.

Infine, per quanto riguarda l’incameramento della cauzione, si deve rilevare che essa per espressa previsione negoziale (ex art. 14 della convenzione), è legata al solo inadempimento e prescinde del tutto, sempre per previsione negoziale, dalla prova di un danno.

Peraltro, il versamento della cauzione ha la funzione di caparra confirmatoria, a garanzia per la serietà dell’impegno contrattuale assunto, di tal ché il solo fatto dell’inadempimento costituisce giusta ragione per l’incameramento della somma versata a titolo di garanzia.

Né può sostenersi che la cauzione versata perda la natura di caparra confirmatoria quando la parte adempiente decida di agire per la risoluzione contrattuale, con piena applicazione dei criteri risarcitori.

Infatti, la giurisprudenza ha chiarito, al riguardo, che, in tema di appalto di lavori pubblici, la cauzione provvisoria, prevista dall’art. 30 l. n. 109 del 1994 (al pari della garanzia fideiussoria da cui può essere sostituita), oltre a svolgere la funzione di garantire la serietà dell’offerta, con la conseguenza che ove l’aggiudicatario non stipuli il contratto decade dall’aggiudicazione e la stessa viene incamerata dall’appaltante, si configura come caparra confirmatoria, e non come clausola penale o come pegno irregolare.

Conseguentemente, diversamente dalla clausola penale, dove il danno sopportato dal creditore viene risarcito solo con la promessa di una prestazione di una somma di denaro o cose fungibili, e dal pegno irregolare, dove il danno è risarcito con l’assegnazione, sino a concorrenza, del pegno ad opera del giudice, al contraente beneficiario è consentito, non solo di incamerare immediatamente le somme oggetto della cauzione, ma anche di richiedere il risarcimento del maggior danno da inadempimento (cfr. Cass., Sez. Un., 4 febbraio 2009, n. 2634).

Pertanto, alla luce delle predette argomentazioni, risultando evidentemente e conseguentemente del tutto infondata anche la pretesa risarcitoria di G.I.S., l’appello deve essere respinto.

Le spese di lite del presente grado di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello come in epigrafe proposto, lo respinge.

Condanna la parte appellante alla rifusione delle spese del presente grado di giudizio, spese che liquida in euro 3000,00, oltre accessori di legge, in favore del Comune appellato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 22 marzo 2013 con l’intervento dei magistrati:

Carmine Volpe, Presidente

Carlo Saltelli, Consigliere

Paolo Giovanni Nicolo’ Lotti, Consigliere, Estensore

Antonio Amicuzzi, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/04/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)