Edilizia e urbanistica: sull'obbligo di motivazione delle sanzioni pecuniarie per abusi risalenti nel tempo

NOTA

La sentenza conferma la decisione di prime cure che aveva ritenuta illegittima – per difetto di motivazione e violazione del principio di irretroattività delle leggi – la sanzione pecuniaria inflitta ai ricorrenti – exart. 12, L. 28 febbraio 1985 n. 47 – a distanza notevolissima di tempo (circa cinquanta anni) per un abuso commesso dal loro dante causa – costruttore dell’edificio -.

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N. 03847/2013REG.PROV.COLL.

N. 09937/2001 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 9937 del 2001, proposto dal Comune di Napoli, rappresentato e difeso dagli avv. Anna Ivana Furnari, Giuseppe Dardo, Bruno Ricci, Edoardo Barone, Giuseppe Tarallo ed Anna Pulcini, con domicilio eletto presso Gian Marco Grez in Roma, corso Vittorio Emanuele II, 18;

contro

Boccia Eleonora, Ranzo Rosaria, Panniello Gennaro, Greco Giovanni, Marzano Ermelinda, Volpe Maria Luigia, Cristiano Domenico, Urciuolo Concetta, Zanfino Vincenzo, Delfini Sergio (erede Delfini Giovanna Antonia), Capodanno Ciro, Vecchione Fabio, Qualireto Rosario, Himmel Elisabetta, Pariglia Antonio, Pisa Giovanna, Branco Giulia, Ferrajolo Grazia, Napolitano Francesco, Gatti Mario (Procuratore di Gatti Luigi), Schiano Lamoriello Martino, Calabrese Irene, Russo Iolanda, Sanseverino Riccardo, Feola Alfredo, Sarnelli Silvana, Di Gennaro Pasquale, Calignano Antonio, Manfredi Maria, Looz Maria, Capodanno Annamaria, Cito Palmina, Pasquali Nino, Cipolletta Salvatore, Ravel Elena, Guarino Fabio, De Luca Mario, Cancemi Ciro, Petrilli Emma, Benincasa Roberto, Capasso Ernesto, Di Carlo Vittorio, Vecchione Elio, Ricci Angelo, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Ernesto Procaccini, con domicilio eletto presso Stefania Iasonna in Roma, via Salaria 227;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE IV, n. 3426/2000, resa tra le parti, concernente pagamento somme;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 maggio 2013 il Cons. Nicola Gaviano e uditi per le parti gli avvocati Barone e Dardo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Il dirigente del Dipartimento Edilizia Interventi Speciali del Comune di Napoli con disposizione n. 3290 del 2 aprile 1999 ingiungeva al condominio dell’edificio sito in Napoli alla Via Orsi nn. 10, 18 e 36, nonché, in solido, ai proprietari di determinate unità dello stesso stabile, il pagamento della sanzione pecuniaria di lire 426.762.000 ai sensi dell’art. 12 della legge n. 47 del 1985, sanzione inflitta a seguito dell’accertamento che all’epoca della costruzione del relativo manufatto, assentito con licenza edilizia n. 4 del 1949, erano state realizzate delle opere in difformità parziale dal titolo.

Il provvedimento formava oggetto di ricorso da parte dei nominati in epigrafe, che ne deducevano l’illegittimità a titolo di violazione di legge e di eccesso di potere sotto molteplici profili.

Resisteva al gravame il Comune di Napoli.

Con ordinanza dell’8 settembre 1999 la domanda cautelare proposta dai ricorrenti trovava accoglimento.

All’esito il Tribunale adìto, con la sentenza n. 3426 del 20 settembre 2000, accoglieva l’impugnativa.

Il T.A.R., dopo avere rilevato che le difformità dal titolo sanzionate dal provvedimento impugnato, risalendo all’epoca di costruzione del fabbricato, erano state represse dal Comune con notevolissimo ritardo, a circa mezzo secolo dalla loro commissione, riteneva esistenti i dedotti vizi di difetto di motivazione e di erronea applicazione del principio di retroattività.

Il Tribunale osservava che, anche a voler ammettere che la potestà repressiva esercitata dal Comune sfuggisse a termini di prescrizione; che il regime sanzionatorio stabilito dalla legge n. 47 del 1985 fosse applicabile anche, retroattivamente, ad abusi anteriori alla sua entrata in vigore; che, infine, la sanzione pecuniaria inflitta fosse applicabile, per la sua natura reale, anche al proprietario non responsabile dell’illecito, nondimeno occorreva pur sempre sottolineare :

– che gli attuali proprietari sanzionati avevano fatto legittimo affidamento sulla regolarità dell’immobile da loro acquistato;

– che la prolungata inerzia serbata dall’Amministrazione aveva determinato la ragionevole presunzione che eventuali difformità sarebbe state tollerate;

– che la mancanza, nel provvedimento impugnato, di riferimenti a profili sostanziali dell’abuso emerso faceva ritenere che questo si esaurisse in un illecito meramente formale.

Il Tribunale concludeva, quindi, che la sanzione inflitta avrebbe potuto essere adottata solo sulla base di un interesse pubblico specifico e concreto, idoneo a giustificare l’intervento dell’Amministrazione su un assetto da lungo tempo ormai consolidato, laddove il provvedimento impugnato non recava, invece, traccia alcuna di una motivazione siffatta. Donde la fondatezza della doglianza di difetto di motivazione.

E veniva reputata fondata anche la censura di erronea applicazione del principio di retroattività, ritenendo il T.A.R. che alla difformità contestata non fosse applicabile retroattivamente il regime sanzionatorio della legge n. 47/1985, per la ragione che non si rientrava in alcuna delle specifiche ipotesi contemplate dagli artt. 32, 33 e 40 della stessa fonte ai fini dell’applicazione, appunto, retroattiva dell’apparato sanzionatorio della legge.

Le rimanenti censure di parte ricorrente venivano assorbite.

Ne seguiva la proposizione del presente appello da parte del Comune soccombente avverso la sentenza di prime cure.

Con il primo motivo di appello l’Amministrazione opponeva che un obbligo di motivazione quale quello menzionato dal T.A.R. avrebbe potuto dirsi esistente, alla luce della giurisprudenza, qualora fosse occorso dar conto di una scelta per la sanzione demolitoria (e fosse decorso un notevole lasso di tempo dalla costruzione dell’opera), ma non anche in occasione dell’applicazione, in luogo di quella, della sanzione pecuniaria.

Con il secondo mezzo si deduceva, invece, che tutte le norme sanzionatorie del capo I della legge n. 47/1985, e non solo gli artt. 32, 33 e 40, erano applicabili indipendentemente dall’epoca di commissione dell’illecito, dovendo individuarsi quale momento di riferimento per la determinazione della normativa sanzionatoria applicabile quello in cui l’Amministrazione aveva accertato il singolo abuso.

Gli originari ricorrenti resistevano all’appello, deducendone l’infondatezza e domandandone la reiezione; da parte loro venivano altresì riproposti (“per quanto eventualmente necessario”) i motivi a base dell’originario ricorso rimasti assorbiti.

Con decreto n. 1559 del 2012 l’appello veniva dichiarato perento.

La declaratoria veniva tuttavia di lì a poco revocata, dinanzi alla dichiarazione di parte del persistente interesse alla trattazione della causa, con il successivo decreto n. 2335 del 2012, con il quale veniva disposta la reiscrizione dell’affare sul ruolo di merito.

Da ultimo, con dichiarazione depositata l’11 aprile 2013 la difesa di parte appellata riferiva l’intervenuto decesso, nelle more, di quattro degli originari ricorrenti, segnatamente i sigg.ri Alfredo Feola, Maria Luigia Volpe, Gennaro Panniello e Domenico Cristiano, e chiedeva che venisse dichiarata l’interruzione del processo ai sensi dell’art. 300 c.p.c..

Alla pubblica udienza del 21 maggio 2013 l’appello è stato trattenuto in decisione.

1 La Sezione rileva preliminarmente la necessità di dichiarare l’interruzione del giudizio, ai sensi degli artt. 79, co. 2, cod. proc. amm. e 299 e ss. c.p.c., nei riguardi dei quattro appellati poco sopra nominati, dei quali il legale di parte ha comunicato l’intervenuto decesso nelle more processuali.

Non essendovi inscindibilità, il giudizio può tuttavia senz’altro proseguire nei confronti degli altri appellati.

2 L’appello del Comune è infondato.

2a Il percorso argomentativo seguito dal primo Giudice ha preso le mosse dalla considerazione che le difformità emerse rispetto alla licenza edilizia risalivano all’epoca della costruzione dello stabile interessato.

Tale premessa è restata incontroversa.

E’ rimasto di riflesso pacifico anche il dato di fatto che l’intervento sanzionatorio in contestazione è stato compiuto “con notevolissimo ritardo, dopo cioè circa mezzo secolo dalla commissione dell’abuso” (così la sentenza in epigrafe).

L’Amministrazione non ha mosso alcuna contestazione nemmeno alla connessa affermazione degli originari ricorrenti che addebitava l’abuso di cui si tratta alla sola impresa costruttrice (unica proprietaria, al tempo, dell’edificio), facendo perciò risalire la violazione ad epoca anteriore alla nascita del relativo condominio e agli acquisti individuali delle singole unità immobiliari da parte degli attuali appellati.

2b Entro una cornice così peculiare, la Sezione è dell’avviso che il primo Giudice opportunamente abbia sottolineato come i proprietari sanzionati avessero fatto legittimo affidamento sulla regolarità dell’immobile da loro acquistato, e come la prolungatissima inerzia dell’Amministrazione avesse determinato la ragionevole presunzione che eventuali irregolarità sarebbero state ormai tollerate. Sicché si rende condivisibile anche la conclusione del Tribunale circa la fondatezza della doglianza di difetto di motivazione mossa dagli originari ricorrenti, sul rilievo di fondo che nella fattispecie la sanzione inflitta avrebbe potuto essere adottata solo sulla base di un interesse pubblico specifico e concreto, idoneo a giustificare l’intervento dell’Amministrazione su un assetto da lungo tempo ormai consolidato, laddove il provvedimento impugnato non recava traccia alcuna di una motivazione siffatta.

2c La regola di fondo del settore è senz’altro quella che il potere repressivo delle violazioni in materia edilizia, non essendo in quanto tale sottoposto a termini di decadenza né di prescrizione, sia esercitabile in ogni tempo (anche in ragione del carattere permanente degli illeciti edilizi, o per lo meno dei loro effetti): e a tale principio si riconnette il corollario per cui, ove l’Amministrazione intenda irrogare in concreto la sanzione pecuniaria in luogo della demolizione, essa non è tenuta a motivare in ordine alle ragioni che la inducono a disporre tale sanzione a distanza di tempo dall’abuso (sulla duplice indicazione v. ad es. C.d.S., V, 8 giugno 1994, n. 614).

Esiste, dunque, un consistente quanto notorio indirizzo giurisprudenziale nel senso che “i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia sono atti vincolati che non richiedono una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico che si intendono tutelare, né una comparazione di quest’ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, non potendosi ammettere l’esistenza di alcun affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può legittimare” (C.d.S., VI, 5 aprile 2012, n. 2038).

La giurisprudenza del Consiglio di Stato ha tradizionalmente posto l’accento, invero, sulla non configurabilità di un affidamento alla conservazione di una situazione di fatto abusiva in forza di una legittimazione fondata sul tempo (cfr. da ultimo C.d.S., IV, 31/08/2010, n. 3955; V, 27/04/2011, n. 2497; VI, 11/05/2011, n. 2781; I, 30/06/2011, n. 4160), puntualizzando che “ … vale il principio dell’inesauribilità del potere amministrativo di vigilanza e controllo e della sanzionabilità del comportamento illecito dei privati, qualunque sia l’entità dell’infrazione e il lasso temporale trascorso, salve le ipotesi di dolosa preordinazione o di abuso” (IV, 4 maggio 2012, n. 2592). E anche di recente è stato ricordato che “La giurisprudenza è costante nel ritenere che l’ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato e non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di questo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, né una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione; non vi è un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva che il mero decorso del tempo non sana, e l’interessato non può dolersi del fatto che l’Amministrazione non abbia emanato in data antecedente i dovuti atti repressivi (es. Cons. Stato, VI, 11 maggio 2011, n. 2781)” (VI, 28 gennaio 2013, n. 496).

2d Il criterio dell’indifferenza dell’epoca di commissione dell’abuso non può essere però applicato con un meccanicismo indiscriminato ed illimitato.

Quando, infatti, la costruzione in rilievo sia munita di un titolo edificatorio (venendo in questione delle semplici difformità dal medesimo), e siano passati svariati decenni dalla commissione della presunta violazione, la sottoposizione dei privati cittadini a procedimento sanzionatorio scuote per ciò stesso il valore della certezza delle situazioni giuridiche.

Tanto più sono destinate a sorgere delle criticità, inoltre, quando l’azione sanzionatoria dell’Amministrazione si indirizzi, come nella specie, nei confronti di semplici aventi causa dal responsabile della presunta violazione (o, addirittura, di acquirenti dai suddetti aventi causa), i quali fino a prova contraria hanno acquistato i rispettivi immobili, a suo tempo, ad un prezzo di mercato ragguagliato alla loro consistenza oggettiva.

L’attivazione del potere repressivo a tale distanza di tempo rende, fra l’altro, oltremodo difficoltoso l’esercizio del diritto di difesa da parte degli attuale proprietari, e, soprattutto, improba ogni iniziativa di rivalsa, da parte loro, nei riguardi degli effettivi responsabili dell’abuso.

In siffatti casi estremi non si può non notare, dunque, che l’onere della motivazione dell’iniziativa sanzionatoria si impone quale contrappeso proprio alla mancanza di termini di prescrizione/decadenza per l’esercizio del potere repressivo.

2e L’esistenza, in casi eccezionali, di possibili deroghe al principio esposto al paragr. 2c è del resto a sua volta acquisita al panorama giurisprudenziale.

Questa Sezione, in particolare, con la decisione 29 maggio 2006 n. 3270 ha avuto modo di osservare quanto segue.

“Rappresenta, invero, orientamento consolidato in giurisprudenza quello secondo il quale, pur confermandosi che l’ingiunzione demolitoria, come atto dovuto in presenza della constatata realizzazione dell’opera senza titolo abilitativo (o in totale difformità da esso), è in linea di principio sufficientemente motivata con l’affermazione dell’accertata abusività dell’opera, si fa salva l’ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso ed ilprotrarsi dell’inerzia dell’Amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione di affidamento nel privato. Ipotesi, in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che indichi, avuto riguardo anche all’entità ed alla tipologia dell’abuso, il pubblico interesse – evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità – idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato (cfr. Cons. Stato, V, 25 giugno 2002 n. 3443; C.G.A.R.S. 23 aprile 2001 n. 183; Cons. Stato, V, 19 marzo 1999 n. 286; id., 11 febbraio 1999 n. 143; id., 14 ottobre 1998 n. 1483; id., 12 marzo 1996 n. 247; Cons. Stato sez. IV, 3 febbraio 1996 n. 95).” (così C.d.S., V, n. 3270/2006 cit.).

Nello stesso ordine di idee anche altre decisioni possono essere richiamate: Sez. V, 30 maggio 2006, n. 3283; VI, 24 febbraio1994, n. 192; IV, 27 febbraio 1989, n. 127.

Analogamente, Sez. V, 29 ottobre 1985, n. 353, ha espresso la necessità che il potere sanzionatorio della P.A. venisse esercitato in ragionevole collegamento logico e causale con la situazione illegittima da rimuovere e con l’interesse pubblico alla sua eliminazione.

Poco prima, inoltre, l’Adunanza Plenaria di questo Consiglio 19 maggio 1983, n. 12, pur osservando che, nella dinamica del sistema sanzionatorio delineato dall’art. 13 l. 6 agosto 1967 n. 765, la constatazione dell’abusività dell’opera assurgeva a elemento di per sé solo già idoneo a condizionarne la concreta operatività, senza necessità di alcuna ulteriore attività di intermediazione amministrativa volta ad apprezzare altri aspetti della vicenda, aveva avvertito che tale principio poteva però subire un’attenuazione, oltre che nelle ipotesi in cui l’attività privata, per quanto priva di autorizzazione, risultasse comunque conforme allo strumento di pianificazione territoriale comunale, anche nel caso in cui l’inerzia dell’Amministrazione dinanzi all’abuso edilizio fosse durata “un lasso di tempo molto rilevante”.

2f Un onere di motivazione si può quindi eccezionalmente configurare ove il decorso di un lasso di tempo davvero notevole (nella specie, circa 50 anni) fra la realizzazione dell’opera irregolare, ma munita pur sempre di un formale titolo, e l’adozione della misura repressiva, abbia ingenerato un solido affidamento in capo al cittadino (specialmente ove si tratti di un terzo acquirente).

E tale onere di motivazione non potrebbe non chiamare in causa, tra gli altri elementi da considerare, anche la condizione di possibile buona fede dei soggetti che si vorrebbero in ipotesi sanzionare, né potrebbe andar disgiunto da una verifica circa gli eventuali indebiti vantaggi che questi avrebbero ritratto dall’illecito.

2g Negli eccezionali casi accennati, infine, non vi sarebbe ragione di circoscrivere l’indicato onere motivatorio all’eventualità che l’Amministrazione intenda applicare in concreto la sola misura demolitoria, esonerandovela nella diversa ipotesi in cui debba essere invece inflitta una sanzione pecuniaria.

Non si vede, infatti, quale ragione potrebbe giustificare un trattamento antitetico delle due misure (tanto più in una fattispecie che esemplifica in modo eloquente la considerevole incidenza che anche una sanzione pecuniaria può rivestire).

L’art. 12 della legge n. 47, in tema di “opere eseguite in parziale difformità” dal titolo, subordina l’applicazione della sanzione pecuniaria all’eventualità che quella demolitoria non possa avvenire senza pregiudizio della parte conforme al titolo, con il risultato di assegnare alla prima misura una funzione non autonoma, bensì surrogatoria della seconda.

La giurisprudenza è orientata, appunto, nel senso che in materia edilizia la sanzione pecuniaria ha anch’essa una funzione di reintegrazione della legalità violata, e, più specificamente, una finalità riparatoria per equivalente della lesione dell’interesse pubblico arrecata dalla violazione edilizia (cfr. Sezione II, 13 novembre 1996, n. 1026; V, 8 giugno 1994, n. 614; ma v. già Ad. Pl., 17 maggio 1974, n. 5; più di recente, questa Sezione con la decisione 15 aprile 2013, n. 2060 ha ravvisato nelle sanzioni pecuniarie per abusi edilizi una finalità non punitiva, ma appunto ripristinatoria).

L’omogeneità della funzione delle due forme di sanzione giustifica, pertanto, la loro assimilazione anche per quanto concerne l’onere motivatorio in discussione.

2h Per quanto precede, il primo mezzo di appello si rivela infondato in tutti i suoi aspetti.

3 Anche il secondo motivo di appello è infondato.

Viene qui in rilievo la valutazione del Tribunale secondo la quale alla difformità emersa non sarebbe stato applicabile retroattivamente il regime sanzionatorio dell’art. 12, comma 2, della legge n. 47/1985, per la ragione che la fattispecie non rientrava in alcuna delle ipotesi contemplate dagli artt. 32, 33 e 40 della stessa fonte, le sole che avrebbero potuto giustificare un’applicazione, appunto, retroattiva della legge medesima.

Il Comune con il proprio secondo mezzo d’appello oppone che tutte, in realtà, le norme sanzionatorie del capo I della legge n. 47, e non solo gli artt. 32, 33 e 40, sarebbero state applicabili indipendentemente dall’epoca di commissione dell’illecito, dovendo individuarsi quale momento di riferimento per la determinazione della normativa sanzionatoria applicabile quello in cui l’Amministrazione aveva accertato l’abuso.

Quest’ultima interpretazione è stata però già disattesa dalla Sezione.

Occorre ricordare, infatti, che, se è vero che il divieto di norme sanzionatorie retroattive è stato costituzionalizzato per le sole norme penali, ciò non toglie che per le sanzioni amministrative debba pur sempre valere il generale canone di irretroattività posto dall’art. 11 disp.prel.cod.civ..

La giurisprudenza della Sezione ha invero già da tempo puntualizzato che le sanzioni amministrative comminate dalla l. 28 febbraio 1985 n. 47 non sono generalmente applicabili con effetto retroattivo, e non possono essere perciò irrogate per costruzioni portate a compimento prima dell’entrata in vigore della fonte stessa (C.d.S., V, 8 aprile 1991, n. 470).

Pertanto, le sanzioni amministrative previste dalla legge n. 47 non sono irrogabili per le costruzioni completate prima dell’entrata in vigore della legge, dovendosi applicare quelle prescritte dalla normativa vigente all’epoca dell’abuso. E questo vale, in particolare, per la sanzione pecuniaria da infliggere a norma di tale fonte, sanzione applicabile soltanto alle violazioni commesse successivamente all’entrata in vigore di questa, dal momento la relativa disposizione normativa non ha valore retroattivo (V, 12 marzo 1992, n. 214).

Tanto, appunto, in virtù del principio generale dell’art. 11 disp. prel., e stante la mancanza di un’espressa previsione che ne ammetta l’irrogazione anche retroattiva (cfr. V, 27 settembre 1990, n. 695).

4 In conclusione, le ragioni esposte comportano che il presente appello debba essere respinto, senza che vi sia dunque luogo ad estendere il sindacato della Sezione sui motivi già assorbiti in prime cure.

Le spese del giudizio sono liquidate secondo soccombenza dal seguente dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta) dà atto dell’interruzione del processo, ai sensi dell’art. 79, comma 2, cod. proc. amm., nei riguardi degli appellati sigg.ri Alfredo Feola, Maria Luigia Volpe, Gennaro Panniello e Domenico Cristiano, a far tempo dal verificarsi dei rispettivi eventi interruttivi.

Respinge l’appello nei confronti dei rimanenti appellati.

Condanna il Comune di Napoli al rimborso alla parte avversaria delle spese processuali del presente grado, che liquida congiuntamente per tutti gli interessati nella misura complessiva di euro quattromila oltre gli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella Camera di consiglio del giorno 21 maggio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Francesco Caringella, Presidente FF

Manfredo Atzeni, Consigliere

Doris Durante, Consigliere

Nicola Gaviano, Consigliere, Estensore

Carlo Schilardi, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 15/07/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)