Beni culturali e paesaggio: legittima la dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'Ambito meridionale dell'Agro Romano compreso tra le Vie Laurentina ed Ardeatina

NOTA

La sentenza in rassegna ritiene infondato il ricorso contro il provvedimento ministeriale che ha dichiarato il notevole interesse pubblico dell’area sita nel Comune di Roma, Municipio XII, qualificata “Ambito Meridionale dell’Agro Romano compreso tra le Vie Laurentina ed Ardeatina”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 141, comma 2, del D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e s.m.i..

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N. 00118/2013REG.PROV.COLL.

N. 04135/2011 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 4135 del 2011, proposto dalle s.r.l. Azienda Agricola Le Querce, Azienda Agricola Ciarrocca e Cuma 6, in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentate e difese dagli avvocati Giovanni Valeri e Alfredo Stoppa, con domicilio eletto presso lo Studio Amministrativisti Valeri Giovanni in Roma, v. le G. Mazzini, 11;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliataria in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

la Regione Lazio, non costituita nel presente grado del giudizio;
il Comune di Roma, non costituito nel presente grado del giudizio;
Associazione dei Costruttori Edili di Roma e Provincia (ACER), non costituita nel presente grado del giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE II QUATER n. 33364/2010, resa tra le parti;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti l’atto di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2012 il consigliere Maurizio Meschino e uditi per le parti l’avvocato Fonti, per delega dell’avvocato Valeri, e l’avvocato dello Stato Tidore;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1. Con decreto del Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, in data 25 gennaio 2010, è stato dichiarato il notevole interesse pubblico dell’area sita nel Comune di Roma, Municipio XII, qualificata “Ambito Meridionale dell’Agro Romano compreso tra le Vie Laurentina ed Ardeatina”, ai sensi e per gli effetti dell’art. 141, comma 2, del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, e successive modifiche (“Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi della legge 6 luglio 2002, n. 137”; in prosieguo “Codice”).

2. Le s.r.l. Azienda Agricola Le Querce, Azienda Agricola Ciarrocca e Cuma 6 (in seguito “ricorrenti”), premesso di essere ‘titolari’ del programma urbanistico denominato “Divino Amore” oggetto dell’Accordo di programma del 16 giugno 2009 ai sensi dell’art. 34 del d.lgs. n. 267 del 2000, con il ricorso n. 3005 del 2010 proposto al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, hanno chiesto l’annullamento del citato decreto del Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio del 25 gennaio 2010.

3. Il T.a.r. adito, sezione seconda quater, con la sentenza n. 33364 del 2010, ha respinto il ricorso, disponendo la compensazione tra le parti delle spese del giudizio.

4. Con l’appello in epigrafe è chiesto l’annullamento della sentenza di primo grado e, per l’effetto, l’annullamento del provvedimento impugnato, con la rimessione alla Corte Costituzionale – ove occorra – delle questioni di illegittimità costituzionale proposte nell’appello riguardo a diverse norme del Codice.

5. All’udienza del 18 dicembre 2012 la causa è stata trattenuta per la decisione.

DIRITTO

1. Con la sentenza gravata, n. 33364 del 2010, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione seconda quater, ha respinto il ricorso n. 3005 del 2010, proposto avverso il decreto del Ministero per i beni e le attività culturali (in seguito “Ministero”) del 25 gennaio 2010, con il quale è stata dichiarata di notevole interesse pubblico un’area, sita nel Comune di Roma, in cui sono compresi terreni di proprietà dei ricorrenti con i relativi diritti edificatori.

2. Nell’appello si censura la sentenza di primo grado, in quanto:

-a) non vi è considerato che la dichiarazione di notevole interesse pubblico – disposta dal Ministero in applicazione dell’art. 138, comma 3, del Codice, quale risultante dalla modifica recata con il d.lgs. n. 63 del 2008 – è volta al fine della conservazione dei valori paesaggistici e non alla loro valorizzazione, mentre, nella specie, con il decreto impugnato sono state individuate le modalità d’uso e le trasformazioni ammissibili dei beni vincolati con invasione della competenza del piano paesaggistico regionale, risultando perciò viziata la sentenza per violazione degli articoli 135, 138, 140, 141 e 145 del Codice;

– b) il potere conferito al Ministero con il citato art. 138, comma 3, del Codice è qualificato nella sentenza come “speciale ed esclusivo”, mentre dal quadro normativo emergerebbe quale potere concorrente con quello ordinario di imposizione del vincolo da parte della Regione ed esercitabile, perciò, soltanto nella inerzia di questa; nella specie tale inerzia non vi è stata, avendo la Regione operato congiuntamente con la Soprintendenza competente per la stesura del Piano Territoriale Paesistico Regionale (in seguito “PTPR”), in cui è stata individuata come bene paesaggistico una vasta area poi ricompresa nella dichiarazione ministeriale, risultando perciò ingiustificato il sovrapposto, successivo esercizio della potestà ministeriale e viziata, di conseguenza, la sentenza impugnata per violazione di legge (articoli 5, 134, 137, 138 e 140 del Codice), del principio di leale collaborazione e per contraddittorietà della motivazione;

– c) né sarebbe fondata la ricostruzione del primo giudice sul rapporto tra Regione e Ministero, per cui questo potrebbe in sostanza, con l’autonoma apposizione del vincolo, sostituire con un proprio piano la competenza pianificatoria paesaggistica della Regione, con evidente lesione dei preminenti principi di leale collaborazione e cooperazione operanti in materia, risultando di conseguenza viziata la sentenza impugnata per violazione di legge (articoli 133, 135, 138, 143 e 156 del Codice), del principio di leale collaborazione e per contraddittorietà della motivazione;

– d) si connetterebbe a ciò la questione di illegittimità costituzionale degli articoli 131, comma 3, 138, 140, comma 2, e 141 del Codice per violazione degli articoli 5, 97, 114, 117, 118 e 120 della Costituzione, che viene sollevata con l’appello, non potendo il provvedimento ministeriale di vincolo, in quanto a valenza pianificatoria, che essere adottato d’intesa con la Regione, titolare del potere concorrente di governo del territorio e di valorizzazione dei beni ambientali, né essendo sufficiente al riguardo, al contrario di quanto ritenuto dal primo giudice, il previo parere della Regione di cui al citato art. 138, comma 3, del Codice;

– e) nella specie risulterebbe inoltre dagli atti la volontà collaborativa della Regione, che ha accolto, in parte, le proposte della Soprintendenza nella definizione del PTPR, la quale, in caso di dissenso, avrebbe dovuto attivare l’intesa prevista dall’art. 143, comma 2, del Codice, risultando la sentenza impugnata, alla luce di ciò, viziata per violazione di legge (articoli 135 e 143 del Codice) e difetto di istruttoria;

– f) la sentenza sarebbe anche da censurare per avere ritenuto sussistenti i presupposti richiesti dagli articoli 136 e 138 del Codice, assumendo l’ampliamento del potere ministeriale stabilito con il d.lgs. n. 63 del 2008 in quanto non più circoscritto ai beni di cui all’art. 136 mentre, al contrario, sarebbe rilevante nella sostanza la distinzione normativa dei beni tra le “bellezze individue” e le “bellezze d’insieme” e, nel caso in esame, risulterebbero del tutto insufficienti i presupposti assunti per l’esercizio del potere rispetto al secondo tipo di beni, essendo stato altresì pretermesso il carattere di “località” che deve contraddistinguere l’area vincolata quale “complesso di cose immobili” (art, 136, lett. c) del Codice), nel momento in cui con il provvedimento impugnato sono stati vincolati 5400 ha; né sarebbe stato dimostrato il necessario carattere di eccezionalità di un comprensorio tanto vasto quanto disomogeneo per la diversità delle compresenze, salvo, nelle Relazioni istruttorie della proposta di vincolo, il generico riferimento al carattere agricolo dell’area idoneo invero, in quanto tale, a legittimare l’apposizione del vincolo su ogni territorio consimile;

– g) l’asserzione della sussistenza del presupposto indefettibile dell’omogeneità paesaggistica del comprensorio vincolato sarebbe altresì erronea considerato che, nella stessa relazione istruttoria del Ministero, il comprensorio è articolato in quattro sistemi paesaggistici;

– h) non sarebbe stata considerata poi la mancanza da parte della competente Soprintendenza della doverosa cooperazione con il Comune di Roma emergendo dagli atti del giudizio al contrario che essa, nel corso dell’iter del nuovo PRG della Capitale, nulla avrebbe osservato o anticipato riguardo alle destinazioni urbanistiche nell’ambito dell’Agro romano meridionale;

– i) nella sentenza non sarebbe stata rilevata l’indeterminatezza dei poteri di rivalutazione dei progetti urbanistici da parte della Soprintendenza, espressivi, in sostanza, non dell’esercizio di una funzione di tutela ma dell’appropriazione di un non spettante potere di pianificazione del territorio;

– l) il primo giudice avrebbe erroneamente ritenuto, a fronte dell’Accordo di programma stipulato tra le ricorrenti e il Comune di Roma nel 2009 per la realizzazione di un programma urbanistico nelle aree del Divino Amore, che la posizione giuridica così per esse costituita sarebbe intangibile nei confronti del Comune, cui spetta assicurare la realizzazione delle cubature riconosciute, ma non sarebbe condizionante l’esercizio del potere ministeriale di vincolo; giudizio questo basato: sulla non adeguata ponderazione della compresenza degli interessi pubblici e privati costituzionalmente garantiti afferenti al territorio, con la conseguente erronea subordinazione al potere ministeriale di ogni considerazione sullo sviluppo urbanistico; sulla svalutazione della funzione del PTPR di assicurare lo sviluppo sostenibile del territorio stesso; nella specie, sulla mancata considerazione della rilevanza del programma “Divino Amore” in quanto concordato a fini compensativi per l’essenziale obiettivo della salvaguardia del comprensorio tutelato di Tor Marancia, rispetto al cui iter procedimentale nulla avrebbe mai obiettato la Soprintendenza e la cui inattuazione sarebbe gravemente lesiva dei diritti di proprietà e di iniziativa economica privata.

3. La sentenza è infine anche censurata:

– a) per omessa pronuncia sulle doglianze proposte avverso l’operato ministeriale, avendo affermato la Soprintendenza di non esserle noto il programma urbanistico del Divino Amore, mentre era stata convocata alla relativa conferenza di servizi, comportando perciò la sua assenza l’acquisizione del nulla osta paesaggistico ai sensi dell’art. 14-ter, comma 7, della legge n. 241 del 1990, né avendo essa contestato la determinazione conclusiva della conferenza o impugnato il parere paesistico della Regione Lazio;

– b) per avere ritenuto la legittimità del vincolo ministeriale anche al fine del collegamento tra le aree protette già esistenti (Riserva di Decima Trigoria, Parco dell’Appia Antica), mentre quelle del Divino Amore sono rispetto a queste del tutto marginali;

– c) per avere respinto le censure di disparità di trattamento, laddove sarebbe evidente che l’affidamento maturato dalle ricorrenti con la sottoscrizione dell’Accordo di programma per l’area del Divino Amore, il cui iter è iniziato nel 1995, è di consistenza pari alla posizione di altri soggetti le cui osservazioni sono state invece accolte dal Ministero (quale il Programma di trasformazione edilizia urbanistica in itinere “Paglian Casale” e altri), così come è stato ritenuto prevalente rispetto alla tutela del paesaggio il consolidamento di posizioni “abusive” diffuse (i così detti “Toponimi”);

– d) per non avere considerato che il Ministero ha, d’altro lato, rigettato “con riserva” le osservazioni riguardanti aree pur non inserite in programmi di trasformazione contigue a quelle protette, così come quelle concernenti lo sviluppo di programmi di housing sociale, dando luogo anche per questo profilo a disparità di trattamento a danno dei ricorrenti in quanto specificamente ‘titolari’ di un programma urbanistico adottato.

Riguardo in particolare alla censura di disparità di trattamento, di cui sopra sub c), i ricorrenti hanno chiesto, con la memoria depositata in giudizio il 18 novembre 2012, che ai sensi dell’articolo 63 del codice del processo amministrativo sia disposta l’esecuzione di una verificazione o di una consulenza tecnica in riferimento ai programmi urbanistici consentiti dal Ministero nelle aree vincolate.

4. Il Collegio ritiene di esaminare le censure così sintetizzate raggruppandole attorno alle argomentazioni centrali che ne sono rispettivamente alla base.

La prima di queste argomentazioni si individua nella tesi per cui, alla luce della normativa in materia, il potere ministeriale di cui si tratta avrebbe assunto valenza sostanzialmente pianificatoria, così invadendo la competenza propria della Regione, con procedimento altresì viziato poiché definito senza l’intesa con questa.

Si basano su questa argomentazione le censure riportate sopra sub 2. a), b), c), e) ed i) nonché, in connessione, la questione di illegittimità costituzionale di cui sopra sub 2.d).

4.1. Al riguardo si osserva quanto segue.

4.1.1. Il provvedimento impugnato è stato emanato ai sensi dell’art. 141, comma 2, del Codice, sulla base dei relativi articoli 136, 138, 139 e 140, e perciò nell’esercizio del potere del Ministero di dichiarare il notevole interesse pubblico di beni paesaggistici ad esso attribuito dall’art. 138, comma 3.

Tale potere è autonomo rispetto a quello attribuito alle Regioni per corrispondenti esigenze di tutela, considerato che:

a) nell’ambito della disciplina dell’iter di formazione della dichiarazione di notevole interesse pubblico, la medesima disposizione prevede che comunque è “Fatto salvo il potere del Ministero” su proposta motivata del soprintendente, previo parere della regione interessata, “di dichiarare il notevole interesse pubblico degli immobili e delle aree di cui all’articolo 136”;

b) ai sensi dell’art. 140, comma 2, del Codice (richiamato dall’art. 141 concernente i provvedimenti ministeriali), la dichiarazione determinata dal Ministero diviene “parte integrante del piano paesaggistico” di cui all’art. 135 “e non è suscettibile di rimozioni o modifiche nel corso del procedimento di redazione o revisione del piano medesimo”.

In considerazione della titolarità in capo allo Stato dei poteri sussistenti in materia (sulla base in primis dell’art. 9 della Costituzione), la normativa del Codice ha dunque stabilito espressamente l’autonomia del potere ministeriale di disporre il vincolo paesaggistico (rispetto al corrispondente potere attribuito alla Regione sulla base della legislazione trasfusa nel Codice del 2004), mediante determinazioni che hanno ipso iure l’effetto della conseguente e corrispondente integrazione del piano regionale, qualora già emanato.

In questo quadro si rileva che, storicamente, la previsione della inserzione dei vincoli paesaggistici nel piano paesaggistico risale alla stessa legge n. 1497 del 1939, che all’art. 5 dava facoltà all’Autorità amministrativa di redigere il piano (“piano territoriale paesistico”) con riguardo alle località definite come “vaste” di cui ai punti 3 e 4 dell’art. 1; con la legge n. 431 del 1985 il rapporto tra il piano e i vincoli non è stato più considerato eventuale, venendo prevista la redazione obbligatoria da parte delle Regioni dei piani paesistici (ovvero di piani urbanistico – territoriali) con riferimento in particolare ai beni e alle aree vincolate ai sensi di legge al fine della pianificazione della relativa tutela (art. 1 bis del decreto legge n. 312 del 1985, aggiunto dalla legge di conversione n. 431 del 1985); tale impostazione è stata poi reiterata nel d.lgs. n. 490 del 1999, con riguardo alla obbligatorietà dei piani rispetto ai beni e alle aree vincolati ex lege (art. 149), pervenendosi quindi all’art. 140 del vigente Codice, il cui comma 2, sopra citato, dispone che la dichiarazione di notevole interesse pubblico costituisce “parte integrante del piano paesaggistico” (come già nel testo antecedente la modifica del comma disposta con il d.lgs. n. 63 del 2008), precisando che essa non è modificabile per effetto delle procedure di definizione del piano, con previsione espressa, perciò, della sua autonomia.

Da ciò emerge che l’effetto di integrazione nel piano paesaggistico non attribuisce valenza pianificatoria alla dichiarazione di interesse pubblico in quanto tale, restando questa individuata dal contenuto e dall’efficacia propri, ma che la dichiarazione viene con ciò inserita in uno strumento che la correla ad un quadro di programmazione dell’uso e della valorizzazione del paesaggio al fine, già a suo tempo individuato nella ratio della previsione dei piani paesistici dell’art. 5 della legge n. 1497 del 1939, di coordinare la salvaguardia dei valori paesaggistici delle zone dichiarate di particolare interesse in un più ampio contesto (in riferimento al citato art. 5 cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 14 gennaio 1993, n. 29).

La dichiarazione di notevole interesse pubblico riguardante un’area “vasta” (qualificazione già contemplata, come visto, nella legge n. 1497 del 1939) non costituisce perciò di suo espressione di una funzione di pianificazione; il provvedimento infatti, adottato nell’esercizio di un diverso e autonomo potere, non attiene a tale funzione, né la acquisisce per il mero fatto della integrazione nel piano, unico atto cui la funzione è invece attribuita anche allo scopo, ulteriore rispetto alle determinazioni singole, di coordinare in un quadro complessivo l’interazione tra i vincoli di diverso tipo gravanti sul territorio qualificato come paesaggio.

Né rileva, a sostegno dell’asserita valenza pianificatoria della dichiarazione ministeriale di notevole interesse pubblico, che con questa siano definite prescrizioni d’uso, altresì asserite in appello come improprie poiché in funzione non della conservazione ma della valorizzazione degli immobili e aree di riferimento, ciò che, si sostiene, sarebbe in contrasto con la vigente formulazione degli articoli 138 e 140 del Codice dal cui testo, ai sensi del d.lgs. n. 63 del 2008, la funzione della valorizzazione è stata espunta restando perciò connessa la dichiarazione di notevole interesse pubblico alla sola finalità della conservazione.

Non appare infatti condivisibile il presupposto di tale tesi, per cui la funzione di tutela, cui è propria la conservazione dei beni, comporterebbe la sola salvaguardia statica degli stessi con il divieto assoluto e pregiudiziale di ogni possibile trasformazione compatibile con il limite dei valori tutelati, considerato che nelle “Disposizioni generali” del Codice, comprensive dei beni paesaggistici nella nozione di “patrimonio culturale” (art. 2), è previsto che la tutela si esplichi anche con “provvedimenti volti a conformare e regolare diritti e comportamenti inerenti al patrimonio culturale” (art. 3, comma 2), diretti cioè a garantire la conservazione dei beni anche attraverso il loro uso regolato.

In questo quadro, proprio alla luce delle modifiche apportate al Codice dal d.lgs. n. 63 del 2008, emerge che la dichiarazione di notevole interesse pubblico ha assunto una funzione duplice poiché, accanto a quella risalente di qualificazione e di conformazione giuridica del bene, ha oggi anche quella di predeterminare gli usi e le trasformazioni consentite, come disposto dall’articolo 140, comma 2, in cui è previsto che con la dichiarazione è anche dettata “la specifica disciplina” d’uso dei beni, così come è previsto nell’articolo 138, comma 1, ultimo periodo, che la proposta di dichiarazione deve contenere “proposte per le prescrizioni d’uso” dei beni stessi; ciò al fine prioritario della “conservazione dei valori espressi”, ma non per questo con effetto preclusivo della ponderata valutazione di possibili e regolate trasformazioni, ferma la prevalenza delle ragioni della tutela del paesaggio.

4.1.2. Sulla base di quanto sopra si deve concludere che:

-a) l’esercizio della potestà di determinazione del vincolo attribuita al Ministero dall’art. 138, comma 3, in quanto autonoma ai sensi del quadro normativo sopra delineato (e attribuita alla autorità statale in doverosa attuazione dell’art. 9 della Costituzione), non è condizionata alla previa inerzia della Regione, essendo altresì estranea alla tematica la richiamata previsione dell’art. 143, comma 2, del Codice, poiché relativa al diverso procedimento della elaborazione del piano paesaggistico;

– b) il principio di leale cooperazione tra le amministrazioni pubbliche, e in particolare tra il Ministero e le Regioni, posto dall’art. 133 del Codice si concreta, nella specie, nella disciplina di cui al medesimo comma 3 dell’art. 138, che prevede il parere obbligatorio ma non vincolante della Regione (da rendere entro trenta giorni dalla richiesta), e di cui all’art. 141 che, nel richiamare l’applicazione degli articoli 139 e 140, inserisce nell’iter di formazione del provvedimento ministeriale le modalità partecipative ivi definite (in particolare dei Comuni interessati), con la proposizione di osservazioni da valutare, oltre la previsione del parere del competente Comitato tecnico scientifico;

c) nel caso in esame il procedimento così disciplinato risulta compiutamente osservato, come indicato nelle premesse del decreto ministeriale in oggetto pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 25 del 1° febbraio 2010, in cui si citano il parere della Regione Lazio “in data 15 giugno 2009, prot. n. 11849, reso ai sensi dell’art. 138, comma 3, del sopracitato Codice”, “le osservazioni presentate da enti e privati ai sensi dell’art. 139, comma 5, del medesimo Codice”, le “controdeduzioni puntuali al riguardo”, con il rinvio agli specifici allegati 2 e 3 del decreto, e i pareri espressi dal Comitato regionale di coordinamento e dal Comitato tecnico scientifico per i beni architettonici e paesaggistici “reso ai sensi dell’art. 141, comma 2, del Codice”.

4.1.3. Per quanto sinora considerato le censure sopra esposte sub 2. a), b), c), e) ed i) sono infondate, così come è manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale di cui sopra sub 2.d), sia in quanto basata sulla premessa per cui il provvedimento ministeriale sarebbe espressione di potestà pianificatoria riservata alla Regione, sia perché non tiene in considerazione gli artt. 9 e 117 della Costituzione, per i quali la competenza in materia di tutela dei valori paesaggistici compete agli organi statali (salva la possibilità, più volte evidenziata dalla Corte Costituzionale, che la legge ordinaria disponga la delega di tali poteri o il loro concorrente esercizio alle Regioni).

4.2. Si esaminano ora le censure di cui sopra sub 2. f) e 2.g), motivate con l’argomentazione per cui il Ministero non avrebbe titolo a vincolare aree estese, salva specifica motivazione di eccezionalità che nella specie non risulterebbe.

4.2.1. Al riguardo si osserva quanto segue:

-a) il potere ministeriale di dichiarare un bene paesaggistico di notevole interesse pubblico è previsto dall’art. 138, comma 3, in riferimento agli “immobili e le aree di cui all’art. 136”;

-b) il detto riferimento si specifica, per quanto qui interessa, riguardo alle lettere c) e d) dell’art. 136, concernenti “c) i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, inclusi i centri ed i nuclei storici; d) le bellezze panoramiche e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze”;

-c) i beni paesaggistici così individuati sono espressamente qualificati come “aree” dall’art. 137, comma 1, e dallo stesso art. 138, comma 3, intendendosi con ciò che non si tratta necessariamente di “località” puntuali e circoscritte, ma anche di aree eventualmente estese ovvero “vaste” secondo una risalente e consolidata tradizione della normativa di settore, più sopra richiamata, cui quella vigente si connette;

-d) la dichiarazione di notevole interesse pubblico non può perciò dirsi viziata per illegittimità intrinseca in ragione dell’ampiezza dell’area vincolata; la sussistenza di vizi di legittimità di un siffatto provvedimento deve infatti, come per ogni altro, essere verificata specificamente quanto ai presupposti, ai contenuti nonché al corretto esercizio della discrezionalità, nel quadro della costante giurisprudenza della Corte Costituzionale sul valore comunque “primario e assoluto” che ha la tutela del paesaggio nella Costituzione, pur nella correlazione degli ulteriori interessi tutelabili (sentenza n. 367 del 2007, in cui sono richiamate le precedenti in materia; sentenze n. 226 del 2009 e n. 101 del 2010).

Ciò rilevato il Collegio non ritiene che la motivazione del provvedimento ministeriale impugnato sia carente, con esercizio scorretto del relativo potere discrezionale.

Nella ratio del provvedimento è proprio l’estensione dell’area che costituisce il presupposto per la sua qualificazione in termini di paesaggio, offrendo il contesto identitario dell’ampiezza dei quadri panoramici segnati dal permanente uso agricolo diffuso, nel cui ambito si sono stratificati gli ulteriori caratteri sia storici, archeologici e architettonici, che di vegetazione, con un effetto di insieme qualificante l’intera area nella sua unitaria complessità.

Il riconoscimento di tale unitarietà non sarebbe stato perciò possibile senza l’apprezzamento della configurazione assunta dall’area nella sua estensione, non essendo la tutela isolata delle sue singole componenti equivalente alla tutela del complesso in cui ciascun elemento si correla agli altri integrandosi nell’insieme, rapportandosi ai tratti comuni di questo insieme i sistemi paesaggistici che lo compongono anche con le trasformazioni intervenute.

Al riguardo occorre prendere atto della scelta di fondo di ritenere meritevole di tutela, nel contesto sociale, urbanistico e culturale attuale, la “campagna romana”; scelta che si deve ritenere compiuta nell’esercizio della discrezionalità amministrativa espressione della “politica di settore” e in quanto tale non suscettibile di censura se non nei limiti della ragionevolezza, requisito che non può dirsi certo insussistente.

In questa prospettiva è assunta come fattore identitario dei luoghi – e di necessaria conservazione di tale identità, da preservare anche per le future generazioni – la natura agricola delle aree quale elemento di continuità dell’immagine della campagna romana che (come anche indicato in istruttoria) concorre “a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura” (art. 1, comma 2, del Codice).

Né si tratta di un’area agricola anodina, poiché, come si osserva nelle relazioni istruttorie alla base del provvedimento, “è il seminativo nudo, che copre gli altipiani e anche gli invasi vallivi più ampi; eredità della strutturazione fondiaria a latifondo, questo modo di conduzione dei suoli svolge un ruolo fondamentale nel determinare, assieme alla più volte richiamata profondità delle visuali dominate nel piano di fondo dal profilo dei Colli Albani, quei caratteri scenici di aperta vastità e quasi solenne monumentalità che…nel territorio in questione, peraltro, appaiono sovente anche in felice contrappunto con i casali e gli altri manufatti storici posti alla sommità delle ondulazioni.”, essendosi aggiunti in seguito, ai seminativi e ai pascoli nel settore sud-orientale del territorio, “grandi superfici a colture legnose specializzate, senza tuttavia…alterazione dei valori paesaggistici.” (Relazione della Soprintendenza, pag. 3).

Nel corso del procedimento, è stato anche precisato che si tratta di “territorio che ancora conserva, nonostante i vari fenomeni sparsi di utilizzazione consolidati e in atto, un’alta qualità paesaggistica, riconducibile ai tratti tipici del paesaggio agrario della Campagna Romana, qui particolarmente caratterizzato dall’ampiezza dei quadri panoramici oltre che dalla ricca e stratificata articolazione del sistema insediativo storico, con notevole diffusione tanto di beni archeologici che architettonici, questi ultimi rappresentati in una vasta gamma che va dagli antichi casali sorti a partire dai secc. XV e XVI attorno ai nuclei fortificati medievali a quelli più recenti risalenti alla bonifiche realizzate a cavallo tra Otto e Novecento, sovente in stretto rapporto con filari e gruppi arborei di notevole consistenza e di grande rilevanza ai fini della “costruzione” dell’immagine paesistica tipica dei luoghi” (Relazione della Soprintendenza, pagine 1 e 2).

4.2.2. Ad avviso del Collegio tali considerazioni costituiscono una più che adeguata motivazione della scelta di vincolare questa specifica porzione di territorio, in quanto adeguatamente identificata nei suoi particolari tratti identitari, in coerenza con la definizione di “Paesaggio” posta nell’articolo 131 del Codice, che lo identifica nel “territorio espressivo di identità”, a sua volta in conformità alla valenza del paesaggio come fattore identitario della Nazione ai sensi dell’art. 9 della Costituzione, nonché in coerenza con la Convenzione europea del paesaggio, adottata a Firenze il 20 ottobre 2000 (ratificata con legge n. 14 del 2006), per il cui articolo 5 il paesaggio è “fondamento”della identità delle popolazioni.

4.2.3. Per quanto sinora considerato le censure sopra esposte sub 2. f) e 2.g) sono infondate,

4.3. Si esaminano ora le censure di cui sopra sub 2. h) e l) che richiamano, per diversi profili, la sottostante tematica del rapporto tra la tutela del paesaggio e la pianificazione urbanistica e i relativi strumenti attuativi, nonché, in connessione, la censura, di cui sopra sub. 3.a).

4.3.1. Al riguardo si deve osservare in via preliminare che, come già sopra rilevato, la giurisprudenza costituzionale sulla base dell’art. 9 della Costituzione ha qualificato il paesaggio come valore “primario e assoluto”, con la conseguente affermazione della prevalenza dell’impronta unitaria della tutela paesaggistica sulle determinazioni urbanistiche, pur nella necessaria considerazione della compresenza degli interessi pubblici intestati alle due funzioni (Corte cost. n. 180 e n. 437 del 2008; n. 367 del 2007, n. 309 del 2011); ciò che è a sua volta sancito dall’art. 145 del Codice, per il cui comma 3 le previsioni dei piani paesaggistici, nei quali si integrano, come anche visto, i provvedimenti ministeriali di cui qui si tratta, “non sono derogabili da parte di piani, programmi e progetti nazionali o regionali di sviluppo economico, sono cogenti per gli strumenti urbanistici dei comuni, delle città metropolitane e delle province, sono immediatamente prevalenti sulle disposizioni difformi eventualmente contenute negli strumenti urbanistici…”.

L’iniziativa economica privata, altresì costituzionalmente tutelata, non può essere immotivatamente compressa ma, in quanto attuata nel contesto e per mezzo della strumentazione urbanistica, deve essere correlata al rapporto di questa con i sovraordinati valori della tutela del paesaggio, fermo restando che anche la pianificazione paesaggistica – tenuto conto dei livelli di tutela da prevedere – può non risultare orientata al solo effetto della inibizione assoluta della edificabilità, poiché il piano presuppone e analizza “lo sviluppo sostenibile delle aree interessate”, la presenza di “dinamiche di trasformazione del territorio” e reca prescrizioni e previsioni atte “alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio”, purché compatibili “con i diversi valori paesaggistici riconosciuti e tutelati” (art. 143, comma 1, lettere h) e f); art. 135, comma 1, lett. d).

In questo quadro si osserva, con riguardo al rapporto intercorso tra la Soprintendenza e il Comune di Roma nell’ambito della definizione del nuovo PRG, che:

a) nella “Relazione di sintesi dell’istruttoria” relativa al provvedimento ministeriale impugnato, responsabilmente si afferma che la Soprintendenza statale, dopo aver formulato talune osservazioni generali al PRG in data 10 ottobre 2003, “non è stata mai consultata o coinvolta nel procedimento di formazione del piano” (pag. 27), risultando in atti le “osservazioni a carattere generale” trasmesse dalla Soprintendenza al Comune con atto n. 335/Segreteria del 10 novembre 2003, in cui peraltro si prospettava anche la questione della “mancanza di una carta della qualità riferita al paesaggio che individui anche gli effetti delle previsioni rispetto alla tutela del paesaggio nonché delle afferenti visuali i beni storico – monumentali nella Campagna Romana” (pag. 19, punto 7);

b) in contrario non appare sufficiente il richiamo, fatto in appello, della nota della Soprintendenza n. 1531 del 5 febbraio 2008, poiché relativa a una questione specifica relativa “alla parte di città storica interna alle Mura Aureliane” in risposta alla precedente nota del Comune, n. 2200 del 31 gennaio 2008, in cui veniva richiesto il parere al riguardo dell’organo statale.

Quanto all’avvenuta stipulazione dell’Accordo di programma “Divino Amore” ed alla posizione costituitasi in capo ai ricorrenti (questione dai medesimi riproposta nella memoria depositata in giudizio il 18 novembre 2012), si osserva specificamente che:

a) nel quadro della distinzione fra la tutela sovraordinata del paesaggio e la strumentazione urbanistica, sopra richiamata, risulta corretta la valutazione espressa dal primo giudice per cui la posizione acquisita dai ricorrenti “resta inalterata solo nei rapporti con l’ente locale, il quale attraverso l’applicazione dell’istituto della compensazione ha acquisito al proprio patrimonio ingenti aree da destinare al soddisfacimento di specifici interessi pubblici. Il rapporto sinallagmatico che caratterizza la compensazione, riconosciuta in linea di principio come istituto legittimamente applicabile dal giudice d’appello, implica che l’amministrazione comunale deve garantire ai privati la concreta possibilità di realizzare le cubature riconosciute. Ma gli effetti del rapporto si esauriscono nell’ambito della gestione del territorio a fini di sfruttamento edilizio e non possono condizionare l’esercizio del distinto potere proprio dello Stato di imporre una tutela specifica ad ambiti di paesaggio rilevanti”, considerato che “La cancellazione dei programmi edilizi della ricorrente costituiva nella specie una scelta assolutamente necessitata, in rapporto all’esigenza di tutela dell’agro romano, che appare congruamente motivata e razionalmente coerente con l’esigenza di tutelare un territorio che senza il provvedimento sarebbe stato irrimediabilmente compromesso nella sua struttura identitaria”;

b) in altri termini, in ogni tempo e pur quando vi sia stata una pianificazione urbanistica (generale o attuativa) che consenta la modifica dello stato dei luoghi, e anche pur dopo che siano stati emanati i relativi titoli abilitativi, l’autorità statale può disporre il vincolo sull’area meritevole della dichiarazione di notevole interesse pubblico.

Nè può valere, nel contesto del detto rapporto di sovraordinazione, la deduzione di ordine procedurale sulla partecipazione o meno dell’organo statale alla conferenza di servizi relativa allo specifico programma urbanistico, in disparte dalla considerazione che, ai fini della qualificazione certa in termini di assenso dell’ipotesi di parere non reso in materia, è stato modificato l’art. 14-ter, comma 7, della legge n. 241 del 1990, con il decreto legge n. 78 del 2010, e che, sulla base di uno specifico principio costituzionale preclusivo della regola contraria, la normativa sul procedimento amministrativo ha sempre escluso la formazione del silenzio-assenso “per gli atti e procedimenti riguardanti il patrimonio culturale e paesaggistico” (art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990).

4.3.2. Per quanto sinora considerato le censure sopra esposte sub 2. h) e l) e sub 3. a), sono infondate.

5. Si esaminano ora le censure di cui sopra sub 3 (in disparte da quella sub. 3.a, sopra trattata), la cui argomentazione centrale è data dall’asserita disparità di trattamento a danno dei ricorrenti a fronte delle decisioni del Ministero riguardo a programmi urbanistici analoghi a quello determinato con l’Accordo di programma “Divino Amore” ovvero relativi ai “Toponimi” o a situazioni non altrettanto consolidate.

Al riguardo il Collegio richiama quanto già osservato sul fatto che tra i principi ispiratori della normativa del Codice vi è quello per cui la preminenza della tutela dei valori espressi dal paesaggio non comporta necessariamente la conservazione statica delle aree protette, potendosi consentire trasformazioni nei limiti valutati compatibili, come esemplificato dalle norme sulla tutela, che prevedono l’esercizio di diritti e l’attuazione di comportamenti incidenti sul patrimonio ovvero da quelle sulla pianificazione paesaggistica che, come visto, contemplano lo sviluppo sostenibile delle aree interessate, con la presenza di dinamiche di trasformazione del territorio e prescrizioni e previsioni atte alla individuazione delle linee di sviluppo urbanistico ed edilizio.

In questo quadro non si pone, di conseguenza, una tematica di disparità di trattamento, laddove l’autorità ministeriale abbia ritenuto, nella propria discrezionalità, di applicare questa normativa regolando casi specifici (e ciascuno di per sé peculiare) di trasformazione considerata sostenibile nella valutata compatibilità con i valori tutelati.

Le censure in esame non sono perciò meritevoli di accoglimento, non essendovi di conseguenza ragione per procedere ad adempimenti istruttori (che di per sé non potrebbero che fare emergere le peculiarità di ciascuno dei progetti).

6. Per le ragioni che precedono l’appello è infondato e deve essere perciò respinto.

La particolare complessità dei profili di diritto della controversia giustifica la compensazione tra le parti delle spese del presente grado del giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) respinge l’appello in epigrafe n. 4135 del 2011.

Spese del secondo grado compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2012, con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Aldo Scola, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere, Estensore

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 11/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)