Pubblica amministrazione: il termine per provvedere nel procedimento sanzionatorio è perentorio

NOTA

La sentenza in rassegna ritiene illegittima la deliberazione della Banca d’Italia recante sanzioni nei confronti dei ricorrenti in quanto adottata dopo lo spirare del termine finale di duecentoquaranta (240) giorni previsto dal regolamento della Banca d’Italia 25 giugno 2008 per i procedimenti sanzionatori di cui all’art. 145, D. Lgs. 1° settembre 1993 n. 385 (recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).

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N. 00542/2013REG.PROV.COLL.

N. 02879/2012 REG.RIC.

N. 02880/2012 REG.RIC.

N. 02881/2012 REG.RIC.

N. 02882/2012 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2879 del 2012, proposto dai signori X Y (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati Stefano Vinti e Corinna Fedeli, con domicilio eletto presso lo studio legale Vinti & Associati in Roma, via Emilia n.88;

contro

Banca d’Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefania Ceci e Antonio Baldassarre, domiciliata in Roma, via Nazionale, 91;

sul ricorso numero di registro generale 2880 del 2012, proposto dal signor X Y (OMISSIS) rappresentato e difeso dagli avvocati Stefano Vinti e Corinna Fedeli, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Stefano Vinti in Roma, via Emilia n. 88;

contro

Banca d’Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Antonio Baldassarre e Stefania Ceci, domiciliata presso i suoi uffici in Roma, via Nazionale, 91;

sul ricorso numero di registro generale 2881 del 2012, proposto dai signori X Y (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati Corinna Fedeli e Stefano Vinti, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Stefano Vinti in Roma, via Emilia N. 88;

contro

Banca d’Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefania Ceci e Antonio Baldassarre, domiciliata presso i suoi uffici in Roma, via Nazionale, 91;

sul ricorso numero di registro generale 2882 del 2012, proposto dalla Banca Popolare di Sviluppo S.C. P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefano Vinti e Corinna Fedeli, con domicilio eletto presso lo studio legale Vinti & Associati in Roma, via Emilia n.88;

contro

Banca d’Italia, in persona del legale rappresentante, rappresentata e difesa dagli avvocati Stefania Ceci e Antonio Baldassarre, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Stefania Ceci in Roma, via Nazionale 91;

per la riforma

quanto al ricorso n. 2879 del 2012:

della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma: Sezione III n. 485/2012, resa tra le parti, concernente irrogazione sanzione pecuniaria amministrativa

quanto al ricorso n. 2880 del 2012:

della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma: Sezione III n. 549/2012, resa tra le parti, concernente irrogazione sanzione pecuniaria amministrativa

quanto al ricorso n. 2881 del 2012:

della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma: Sezione III n. 540/2012, resa tra le parti, concernente irrogazione sanzione pecuniaria amministrativa

quanto al ricorso n. 2882 del 2012:

della sentenza del T.a.r. Lazio – Roma: Sezione III n. 400/2012, resa tra le parti, concernente irrogazione sanzione pecuniaria amministrativa

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio della Banca d’Italia;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 18 dicembre 2012 il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti l’avvocato Vinti e l’avvocato Ceci;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Con le sentenze in epigrafe indicate il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha respinto i ricorsi di primo grado degli odierni appellanti, proposti avverso la deliberazione 3 dicembre 2010 n. 945 del Direttorio della Banca d’Italia (nonché avverso gli atti connessi e presupposti), recante la irrogazione, all’esito della procedura di cui all’art. 145 del testo unico in materia bancaria, di sanzioni amministrative pecuniarie nei confronti del direttore generale della Banca popolare di sviluppo nonché, nominativamente, nei confronti dei suoi amministratori e sindaci (in carica e, in parte qua, cessati) in relazione a talune irregolarità riscontrate nella gestione dell’attività bancaria e distintamente contestate agli odierni appellanti, con particolare riferimento ad ipotesi di carenza istruttoria, di mancato controllo, di scarsa trasparenza in sede di erogazione del credito ed “a posizioni ad andamento anomalo e previsioni di perdite non segnalate all’organo di vigilanza”.

Gli appellanti tornano a proporre in questo grado i motivi di ricorso già disattesi dal giudice di primo grado, insistendo in particolare nella censura di violazione del termine di conclusione del procedimento irrogativo della contestata sanzione pecuniaria, di difetto di istruttoria e di motivazione del provvedimento conclusivo e, nel merito, rilevando l’insussistenza delle dedotte irregolarità loro ascritte nel corso del procedimento. Concludono gli appellanti per l’annullamento delle sanzioni, in accoglimento degli appelli e dei ricorsi di primo grado ed in riforma delle impugnate sentenze.

Si è costituita nei distinti giudizi la Banca d’Italia per resistere ai ricorsi e chiederne la reiezione. La difesa dell’istituto appellato ha altresì sollevato, in via di eccezione, una questione di costituzionalità della legge (v. l’ art. 133, lett. m), dell’all. 1 al d.lgs. n. 104 del 2010) attributiva al giudice amministrativo della giurisdizione nella materia delle sanzioni irrogate dalla Banca d’Italia, richiamando la recente sentenza della Corte costituzionale n. 162 del 2012 intervenuta nella omogenea materia delle sanzioni irrogate dalla Consob.

All’udienza del 18 dicembre 2012 i ricorsi sono stati trattenuti per la decisione.

2.- Gli appelli, pur se diretti avverso distinte sentenze, possono essere riuniti per essere definiti con un’unica decisione, riguardando la stessa fattispecie fattuale e vertendo sulle stesse questioni di diritto.

Va anzitutto considerata improponibile in questo grado di giudizio la questione di giurisdizione sollevata in via di eccezione dalla difesa della Banca d’Italia.

La questione è definitivamente preclusa in quanto coperta da giudicato implicito, formatosi a seguito della sentenza del giudice di primo grado che, nel decidere il merito della causa, ha con ciò ritenuto sussistente la giurisdizione del giudice amministrativo a conoscere della controversia.

Tale sentenza, in quanto non impugnata, né in via principale, né in via incidentale sotto il profilo della giurisdizione, è divenuta per questa parte intangibile, non essendo consentito, in grado d’appello, che la questione di giurisdizione possa essere sollevata d’ufficio o essere esaminata in assenza di una specifica impugnazione (art. 9 cod. proc. amm.).

Peraltro, neppure un’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della legge che radica la giurisdizione amministrativa in materia di sanzioni della Banca d’Italia, resa in accoglimento dell’incidente di costituzionalità sollevato in altro giudizio, potrebbe sortire conseguenze di sorta nell’ambito della presente controversia (in cui, per quanto si è detto, la questione è definitivamente preclusa), dato che la normale applicabilità delle sentenze di accoglimento della Corte costituzionale anche ai rapporti pendenti, desumibile dall’art.30 della legge n. 87 del 1953, incontra un limite nei rapporti giuridici esauriti o coperti da giudicato.

2.1- Nel merito, gli appelli sono fondati e vanno accolti nei sensi di cui appresso.

Come si è ricordato in fatto, nei distinti ricorsi si ripropone preliminarmente la questione, dedotta come specifico mezzo di censura avverso le sentenze impugnate, della violazione da parte della Banca d’Italia del termine finale di conclusione del procedimento sanzionatorio.

La censura, comune ai distinti appelli e di carattere assorbente, appare meritevole di favorevole esame.

Non è contestato in fatto che il provvedimento del direttorio della Banca d’Italia 3 dicembre 2010 n. 945, irrogativo delle distinte sanzioni pecuniarie, sia stato adottato dopo lo spirare del termine finale di duecentoquaranta giorni previsto dal regolamento della Banca d’Italia del 25 giugno 2008 in relazione ai procedimenti sanzionatori di cui all’art. 145 del d.lgs. 1° settembre 1993 n. 385 (recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia).

Il regolamento dianzi richiamato è tassativo nel delineare la scansione temporale per l’adozione dell’atto finale nel rispetto del predetto termine cfr. l’elenco allegato al regolamento – pag. 35 n. 124- richiamato dall’art. 7) prevedendo espressamente, per i procedimenti sanzionatori relativi alle violazioni di cui al citato art. 145 TUB, che il termine di duecentoquaranta giorni decorra dalla scadenza del termine per la presentazione delle controdeduzioni da parte del soggetto che ha ricevuto per ultimo la notifica della contestazione (cfr. il citato allegato, nota n. 2 pag. 50).

Nel caso di specie è il signor Achille Giordano, sindaco effettivo della Banca popolare di sviluppo, ad aver ricevuto per ultimo la notifica dell’atto di contestazione degli addebiti; detta notifica è stata effettuata nei confronti del sindaco predetto il 18 febbraio 2010, nel domicilio eletto dall’interessato presso la sede della banca.

Ai sensi dell’art. 141 del cod. proc. civ. la notifica effettuata presso il domiciliatario produce pienamente i suoi effetti, e nel caso in esame non è contestato che detta notifica abbia avuto esito positivo, essendo avvenuta nello studio professionale nelle mani del direttore generale dott. X Y (OMISSIS).

Non rileva, ai fini del decorso del predetto termine procedimentale, che la Banca d’Italia abbia tuzioristicamente provveduto ad effettuare altra notifica mediante l’ufficio postale (perfezionatasi il 22 febbraio 2010), atteso che, essendo andata ad effetto la prima notificazione, è da quella data che va correttamente computato il termine per la presentazione delle eventuali controdeduzioni da parte del signor X Y (OMISSIS) e, per conseguenza, è dalla scadenza di detto termine che prende a decorrere l’ulteriore termine di duecentoquaranta giorni per l’adozione, da parte della Banca d’Italia, del provvedimento definitivo.

Il termine per le controdeduzioni, fissato in trenta giorni, è stato prorogato di ulteriori quindici giorni di guisa che, risalendo la prima effettiva notificazione degli addebiti al 18 febbraio 2010, la sua scadenza è avvenuta il 4 aprile 2010.

Ne consegue che, computando a decorrere da tale ultima data, il termine per provvedere previsto dalla richiamata disposizione regolamentare è venuto a scadenza il 30 novembre 2010; il provvedimento sanzionatorio, adottato soltanto il 3 dicembre 2010, risulta dunque effettivamente tardivo.

2.2 Tanto acclarato in fatto, la questione giuridica controversa attiene alla natura perentoria o meno del predetto termine ed alle conseguenze della sua violazione sul provvedimento tardivamente adottato.

Le sentenze impugnate hanno escluso la natura perentoria del termine, invece riaffermata dagli appellanti.

Il Collegio è consapevole che gli orientamenti giurisprudenziali in tema non sono sempre univoci.

Secondo un primo (ma minoritario) orientamento, il provvedimento irrogativo di una sanzione amministrativa, purchè intervenuto nel termine prescrizionale di cinque anni previsto dall’art. 28 della legge n. 689 del 1981, non è ex se illegittimo ove adottato in violazione del termine procedimentale per lo stesso previsto, salvo che sia diversamente previsto (Cass. sez. lav., 17 giugno 2003 n. 9680).

La tesi prevalente è tuttavia nel senso che, in materia di sanzioni amministrative, il termine fissato per l’adozione del provvedimento finale abbia natura perentoria, a prescindere da una espressa qualificazione in tali termini nella legge o nel regolamento che lo preveda.

La giurisprudenza del giudice ordinario formatasi in tema di sanzioni irrogate ai sensi della legge n. 689 del 1981 si è orientata nel senso di ritenere perentorio il termine fissato dall’art. 18 all’autorità competente per l’adozione della ordinanza-ingiunzione, dopo che le sezioni unite della Corte di Cassazione (27 aprile 2006, n. 9591) hanno rilevato il carattere perentorio o comunque la natura decadenziale del termine fissato all’autorità amministrativa per l’adozione del provvedimento sanzionatorio conclusivo.

Il Collegio non ha motivo di discostarsi da tale condivisibile orientamento, tenuto conto della particolarità del procedimento sanzionatorio rispetto al generale paradigma del procedimento amministrativo.

Ritiene infatti il Collegio che è proprio la natura del provvedimento sanzionatorio a suggerire la soluzione nel senso della necessaria perentorietà del termine per provvedere, attesa la stretta correlazione sussistente tra il rispetto di quel termine e l’effettività del diritto di difesa, avente come è noto protezione costituzionale (nel combinato disposto degli articoli 24 e 97 Cost.). Non par dubbio, infatti, che consentire l’adozione del provvedimento finale entro il lungo termine prescrizionale (cinque anni, in base all’art. 28 della legge 689/81), anziché nel rispetto del termine specificamente fissato per l’adozione dell’atto, equivarrebbe ad esporre l’incolpato ad un potere sanzionatorio di fronte al cui tardivo esercizio potrebbe essergli difficoltoso approntare in concreto adeguati strumenti di difesa.

2.3 Va d’altra parte tenuta ben distinta la disciplina generale del procedimento amministrativo (nell’ambito della quale alla violazione del termine procedimentale ordinariamente fissato all’Amministrazione non consegue l’invalidità dell’atto tardivamente adottato) rispetto alla disciplina, per questa parte a carattere speciale, del procedimento irrogativo di una sanzione amministrativa pecuniaria, il cui paradigma normativo è ancora individuabile nella legge n. 689 del 1981.

Non impedisce di pervenire a questa conclusione il carattere “universale” della legge generale sul procedimento amministrativo.

Per il principio di specialità, che prevale sul principio ordinario di successione cronologica delle norme, le disposizioni posteriori non comportano l’abrogazione delle precedenti, ove queste ultime disciplinano diversamente la stessa materia in un campo particolare.

E appunto in questo rapporto si pongono la L. 7 agosto 1990, n. 241, e la L. 24 novembre 1981, n. 689, riguardanti l’una i procedimenti amministrativi in genere, l’altra in ispecie quelli finalizzati all’irrogazione delle sanzioni amministrative, caratterizzati da questa loro funzione del tutto peculiare, che richiede e giustifica (per quanto già detto) una distinta disciplina in relazione al carattere perentorio del termine fissato all’Autorità per provvedere alla irrogazione della sanzione. La legge n. 689 del 1981 (salvo che la legge disponga diversamente, con specifiche norme in tema di illeciti amministrativi puniti con sanzioni pecuniarie) funge da paradigma normativo generale per tutti i tipi di procedimenti sanzionatori, di guisa che quanto osservato a proposito di tale legge deve ritenersi applicabile anche al procedimento sanzionatorio avviato nel caso in esame dalla Banca d’Italia.

D’altra parte le stesse richiamate disposizioni regolamentari sui procedimenti sanzionatori di competenza dell’organo di vigilanza si prendano cura di disciplinare espressamente ( art. 8) gli istituti della sospensione e della interruzione dei termini procedimentali, a riprova del carattere perentorio da riconnettere al termine per l’adozione del provvedimento conclusivo; non sarebbe infatti pienamente coerente con i predetti istituti prefigurare il termine finale come termine soltanto ordinatorio, mentre invece il suo rispetto si pone – come detto sopra rilevato – in termini di stretta connessione con una adeguata ed effettiva tutela del diritto defensionale del destinatario del provvedimento che sia espressivo della pretesa punitiva della amministrazione.

2.4 A conclusioni non diverse sulla questione della perentorietà o meno del termine di conclusione del procedimento conduce l’esame della posizione assunta dalle sezioni unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 20929 del 30 settembre 2009 (richiamata nelle impugnate sentenze a sostegno della tesi del carattere non perentorio del termine).

Come puntualmente osservato dalla difesa degli appellanti, nel caso oggetto di quel giudizio, infatti, si trattava dell’osservanza del termine endoprocedimentale di centottanta giorni previsto dal regolamento Consob n. 12697 del 2 agosto 2006 per la formulazione della proposta sanzionatoria da parte della Consob al Ministero dell’economia (secondo la disciplina all’epoca vigente).

E’ evidente quindi che la questione era ben diversa da quella qui oggetto di causa, ove si discute del termine di adozione del provvedimento conclusivo, dalla cui violazione possono derivare immediate ripercussioni sulla effettività del diritto di difesa.

In ogni caso, non appare rilevante nella specie quanto osservato dalla Cassazione (con argomenti fatti propri dalla difesa della odierna parte appellata) a proposito della irrilevanza dei vizi formali nei provvedimenti a contenuto vincolato o comunque immodificabile, ai sensi dell’art. 21 octies della legge generale sul procedimento amministrativo.

Infatti, i provvedimenti sanzionatori – quale appunto quello di specie – non possono di certo essere qualificati come ‘vincolati’.

Essi sono dotati di un tasso di discrezionalità coessenziale alla loro natura, sia in ordine all’accertamento dei fatti ed alla loro qualificazione giuridica (per i quali sussiste una accentuata discrezionalità tecnica), sia in ordine alla quantificazione della sanzione.

La sussistenza di tali poteri discrezionali rende per ciò solo inapplicabile il richiamato art. 21 octies.

3.- In definitiva, gli appelli vanno accolti sotto l’assorbente profilo della riscontrata violazione del termine di conclusione del procedimento sanzionatorio e, in riforma delle impugnate sentenze, deve essere annullata la deliberazione del Direttorio della Banca d’Italia 3 dicembre 2010, n. 945, avente per oggetto le posizioni degli appellanti.

Le spese di lite del doppio grado di giudizio possono essere compensate tra le parti, ricorrendo giusti motivi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, li accoglie previa riunione e, in riforma delle impugnate sentenze, accoglie i ricorsi di primo grado ed annulla l’atto in quella sede impugnato, come emanato nei confronti degli appellanti.

Spese del doppio grado di giudizio compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 dicembre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Aldo Scola, Consigliere

Maurizio Meschino, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore

Roberta Vigotti, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 29/01/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)