Beni culturali e ambientali: ampiezza e contenuto cd. vincolo indiretto (art. 45, D. Lgs. n. 42/04)

NOTA

La sentenza definisce la controversia originata dall’impugnazione del provvedimento d’imposizione di unvincolo di tutela indiretta su terreni circostanti la “Villa Serena” in Piacenza.

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N. 03355/2014REG.PROV.COLL.

N. 06777/2010 REG.RIC.

N. 06778/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 6777 del 2010, proposto da:
Centro Finanziamenti s.r.l., in persona del legale rappresentante, rappresentato e difeso dagli avv. Marco Sgroi, Ennio Mazzocco, con domicilio eletto presso Ennio Mazzocco in Roma, via Ippolito Nievo, 61 scala D;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro p ro tempore, Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Parma e Piacenza; Direzione
regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna, Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici del Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore,rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Marchetti Andreana, Lillo Ettore, Lillo Maria Angela;

sul ricorso numero di registro generale 6778 del 2010, proposto da:
Lillo Maria Carla, Lillo Giuseppina, rappresentate e difese dagli avv. Ennio Mazzocco, Marco Sgroi, con domicilio eletto presso Ennio Mazzocco in Roma, via Ippolito Nievo, 61 scala D;

contro

Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Parma e Piacenza; Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna, Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici del Ministero per i beni e le attività culturali, in persona del Ministro pro tempore, rappresentati e difesi per legge dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

nei confronti di

Marchetti Andreana, Lillo Ettore, Lillo Maria Angelo;

per la riforma, quanto al ricorso n. 6777 del 2010, della sentenza del T.a.r. Emilia-Romagna – Sez. Staccata di Parma, Sezione I n. 18/2010, e, quanto al ricorso n. 6778 del 2010, della sentenza del T.a.r. Emilia-Romagna – Sez. Staccata di Parma n. 00020/2010, resa tra le parti, concernente imposizione di vincolo di tutela indiretta su terreni circostanti la “Villa Serena”, in Piacenza.

Visti i ricorsi in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio del Ministero per i beni e le attività culturali, della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Parma e Piacenza; della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna, del Dipartimento per i beni culturali e paesaggistici del Ministero per i beni e le attività culturali, ;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 10 giugno 2014 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Sgroi e l’avvocato dello Stato Paola Palmieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso al Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, l’attuale appellante Centro Finanziamenti s.r.l. agiva per l’annullamento del decreto n.787 dell’8 agosto 2006 della Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna, impositivo di un c.d. vincolo di tutela indiretta – o meglio, di prescrizioni di tutela indiretta – ai sensi dell’art. 45 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) su terreni circostanti la Villa Serena in Piacenza, ivi inclusa l’area di proprietà della stessa società (fg.46 mapp.223 del catasto terreni): decreto adottato per tutelare l’integrità dei complessi architettonici, qualificati come beni culturali e denominati “Villa Serena già Scribani e pertinenze” e “Fondo Fratesca” e le loro condizioni di prospettiva, luce, visibilità, cornice ambientale e decoro.

La società ricorrente, proprietaria di area inclusa tra quelle interessate dalle dette prescrizioni, deduceva l’illegittimità del decreto lamentando: falsità del presupposto che non era stata ancora realizzata in loco la bretella stradale voluta dal Comune di Piacenza per risolvere le problematiche di viabilità, mentre l’arteria di comunicazione era già aperta al traffico; omessa valutazione delle caratteristiche dell’area di proprietà, anche in ragione della destinazione non agricola; spostamento di opera pubblica da tempo ultimata; illogicità e sproporzionatezza dell’estensione del vincolo a un raggio maggiore di 500 metri nonostante in precedenza si era rilevato che 200 metri sarebbero stati sufficienti a salvaguardare decoro e prospettiva del bene di interesse storico-artistico e nonostante le specifiche osservazioni presentate dal precedente proprietario sull’inesistenza di reali interferenze con la veduta della villa e con lo stradello di accesso; omessa valutazione delle osservazioni e ponderazione degli interessi coinvolti; estensione del vincolo in modo tanto rigoroso e inflessibile da apparire più vincolo diretto che indiretto; illogicità e assenza di motivazione; esercizio sviato del potere.

Il giudice di primo grado respingeva il ricorso ritenendolo infondato con la sentenza n.18 del 2010.

In relazione alle doglianze che coinvolgevano le prescrizioni relative alla bretella di raccordo, la sua sentenza affermava il difetto di legittimazione del ricorrente a sollevare questioni attinenti all’opera pubblica; riteneva ammissibili solo le censure relative alle limitazioni alla edificazione all’area di proprietà, che comunque respingeva ritenendo che: 1) non sussiste la dedotta contraddittorietà, in quanto il limite dei 200 metri era riferito alla specifica ubicazione della strada comunale e non alla estensione della fascia di rispetto; 2) alle osservazioni dei privati proprietari l’amministrazione ha puntualmente replicato, essendo pienamente esaustiva la serie di ragioni contenute nella relazione tecnico-scientifica allegata al decreto di vincolo, in disparte la regola secondo cui non sussiste a rigore obbligo di puntuale motivazione sulle osservazioni degli interessati; 3) l’appartenenza dell’area a un unitario contesto territoriale così individuato rendeva lo stesso assoggettato al regime di vincolo, prescindendo da ostacoli alla visibilità dell’area; 4) la qualificazione come agricolo dell’intero comparto è stata data sulla base dell’effettivo stato dei luoghi oltre che della loro vocazione; 5) è da rigettare la censura di non aver tenuto conto del sacrificio del diritto di proprietà, in quanto è evidente che la tutela della cornice ambientale ha come effetto tale compressione; 6) era da rigettare la censura che si sarebbe introdotto un vincolo di tutela diretta sul bene, in quanto in realtà è stata considerata solo la cornice ambientale da assoggettare a tutela, in coerenza con la natura di vincolo indiretto; 7) non sussiste incoerenza rispetto al parere reso in data 23 settembre 2005 dal Comitato Tecnico-Scientifico per i beni architettonici e paesaggistici, che aveva suggerito l’adozione di forme di tutela indiretta senza fissare però parametri rigidi, devoluti alla competente Sovrintendenza; 8) non sussistono estremi di macroscopica incongruenza o illogicità rispetto alla natura di vincolo indiretto, il quale non ha un contenuto prescrittivo tipico, ma richiede che di volta in volta sia individuate le disposizioni da adottare al fine della conservazione e fruibilità del bene.

Analoga sentenza veniva emessa dal giudice di primo grado in pari data (sentenza 14 gennaio 2010, n.20) ad esito della stessa udienza (15 dicembre 2009) sul ricorso di due proprietarie similmente incise dal medesimo provvedimento (n.787 dell’8 agosto 2006).

Avverso tali sentenze n.18 e n.20 del 2010 emesse dal Tribunale amministrativo dell’Emilia-Romagna, Sezione staccata di Parma, propongono appello la stessa Centro Finanziamenti s.r.l. e le signore Lillo Maria Carla e Lillo Giuseppina, deducendo quanto segue e in sostanza riproponendo i motivi già proposti e respinti in primo grado: 1) il vincolo è stato disposto sul falso presupposto che la situazione di fatto sulla quale esso era destinato ad incidere fosse completamente diversa dalla realtà e non contemplasse ancora la bretella stradale; c’è difetto di istruttoria anche per l’ignoranza dell’esistenza di un distributore di carburante; sono state trascurate le caratteristiche topografiche e morfologiche e la destinazione non agricola dell’area; è erroneo ravvisare un difetto di legittimazione a ricorrere avverso gli atti concernenti un’opera pubblica, in quanto non ci si duole delle prescrizioni concernenti la bretella stradale in sé ma in relazione all’illegittimo decreto di vincolo, che si basa su una percezione di visibilità e di Villa Serena non reale; 2) erroneità della sentenza per non aver ravvisato difetto di istruttoria e motivazione, in quanto in precedenza la Soprintendenza aveva ipotizzato solo una fascia di tutela indiretta per evitare l’alterazione dei luoghi nello spazio immediatamente adiacente (contraddizioni rilevate dal primo giudice con la sentenza n.309 del 2010 – in realtà n.309 del 2007 – che aveva accolto il ricorso del Comune di Piacenza), nonché omessa motivazione in ordine al ripensamento avvenuto dal 2005 al 2006 e in ordine alle varie osservazioni sollevate dal dante causa dell’appellante, 3) erroneità nel non considerare che l’area ha destinazione urbanistica edificatoria ed eccesiva rigidità del vincolo che prescrive l’inedificabilità assoluta; 4) erroneità nel non ravvisare un eccesso di potere per sviamento, avendo il vincolo in sostanza natura di vincolo diretto piuttosto che indiretto; 5) erroneità nel non ritenere sussistere il difetto di istruttoria, in quanto l’area assoggettata a vincolo è molto ampia, si estende ben oltre la bretella e comprende anche l’area edificabile appartenente alle parti appellanti; 6) sviamento di potere, in quanto la Sovrintendenza, in sostanza soccombente nei confronti del Comune circa la bretella stradale, oramai realizzata, quasi a ripiego ha imposto un vincolo indiretto dai connotati così incongrui.

L’appellante ha depositato una memoria con la quale, ribadendo le sue difese, ha richiamato la sentenza di quel Tribunale amministrativo n.309 del 2010 (in realtà del 2007) sull’intensità del vincolo; ribadisce in sintesi che il vincolo indiretto è a tutela di un monumento (Villa Serena) anche su terreni che sono oltre la bretella stradale, la quale è stata legittimamente realizzata a una congrua distanza dal monumento, e che interrompe fisicamente la continuità dell’area circostante la Villa; il vincolo indiretto ricomprende terreni in una presunta area omogenea, pur essendo tali terreni esterni all’opera stradale che la definisce e la limita.

Si sono costituite le appellate amministrazioni statali chiedendo il rigetto degli appelli.

Alla udienza pubblica del 10 giugno 2014 le due cause sono state trattenute in decisione.

DIRITTO

1.In via preliminare, si riuniscono gli appelli indicati in epigrafe, per ragioni di connessione in parte soggettiva e in parte oggettiva.

Pur trattandosi di ricorsi proposti da diversi soggetti, entrambi i giudizi hanno ad oggetto lo stesso decreto n.787 dell’8 agosto 2004, con cui la Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell’Emilia-Romagna ha imposto il c.d. vincolo indiretto – o meglio, prescrizioni di tutela indiretta – ai sensi dell’art. 45 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) su un’ampia area vicino Piacenza, circostante “Villa Serena già Scribani e pertinenze” e “Fondo Fratesca”, beni culturali, che include le proprietà delle due appellanti, le quali in buona sostanza ripropongono simili censure.

2.I motivi di appello ripropongono temi di censura già proposti e respinti in primo grado.

In sintesi, i due appelli deducono l’erroneità della sentenza per le seguenti ragioni: 1) eccesso di potere per difetto di istruttoria; perché si riteneva che la situazione di fatto fosse completamente diversa dalla realtà e non contemplasse ancora la bretella stradale; difetto di istruttoria per l‘ignoranza dell’esistenza di un distributore di carburante; mancata considerazione delle osservazioni dei privati; pretermissione delle caratteristiche topografiche e morfologiche e della destinazione non agricola dell’area; errore nel ravvisare un difetto di legittimazione a ricorrere contro gli atti concernenti un’opera pubblica, doglianza relativa al vincolo e non all’opera pubblica, il vincolo si basa su una percezione di visibilità e percezione di Villa Serena non reale; 2) difetto di istruttoria e motivazione, in quanto in precedenza la Sovrintendenza aveva ipotizzato solo una fascia di tutela indiretta volta a evitare l’alterazione dei luoghi nello spazio immediatamente adiacente (contraddizioni rilevate dal primo giudice con la sentenza n.309 del 20007 (non già del 2010, come riferiscono gli appelli)), e omessa motivazione in ordine al mutamento di valutazione avvenuto dal 2005 al 2006 e in ordine alle osservazioni sollevate dai privati, 3) eccesso di potere e difetto di istruttoria poiché l’area in questione ha destinazione urbanistica edificatoria e eccesiva rigidità del vincolo, che prescrive l’inedificabilità assoluta; 4) eccesso di potere per sviamento, avendo il vincolo natura sostanziale di vincolo diretto piuttosto che indiretto; 5) difetto di istruttoria, in quanto l’area assoggettata a vincolo è molto ampia, si estende ben oltre la bretella e comprende anche l’area edificabile appartenente alla appellante; 6) sviamento di potere, in quanto la Soprintendenza, soccombente sulle posizioni che hanno riguardato la bretella, oramai realizzata, quasi come ripiego impone un vincolo indiretto dai connotati così incongrui.

I motivi sono tutti infondati.

3. E’ infondato il motivo di appello con cui si lamenta l’arbitraria estensione della fascia di inedificabilità perché eccessivamente estesa e perché in contraddizione con la precedente determinazione della stessa Soprintendenza, che la limitava a metri duecento, con cui si lamenta che tale ripensamento non sarebbe stato fornito di adeguata motivazione.

La nota dell’Amministrazione 9 febbraio 2005 aveva genericamente rimesso all’Autorità competente il compito di “[…] valutare l’ipotesi di una fascia circostante di tutela indiretta, volta ad evitare l’alterazione dei luoghi nello spazio immediatamente adiacente[…]” alla Villa Serena e pertanto non vi era stata una già presa decisione sulla delimitazione ai richiamati duecento metri.

In quella sede, il limite dei duecento metri era stato riferito alla specifica ubicazione della strada comunale (distanza tra la strada e la Villa Serena, evidentemente) e alle particolari caratteristiche di un’opera che, per essere al livello del piano di campagna (come osserva l’invocata sentenza n.309 del 2007, di accoglimento del ricorso del Comune di Piacenza), aveva un carattere invasivo, dal punto di vista della visibilità del bene culturale, di portata oggettivamente minore di altre (la strada comunale, infatti, “non sembra precludere o danneggiare la visuale della Villa o alterare le condizioni di ambiente e di decoro”).

D’altra parte, come riferiscono le appellanti, la richiamata sentenza n.309 del 2007 del Tribunale amministrativo dell’Emilia-Romagna, Sezione di Parma, ha riguardato soltanto il c.d. stradello, il cui terreno era stato anch’esso assoggettato al vincolo indiretto, che il giudice con quella sentenza stimò in parte qua illegittimo per contraddittorietà tra differenti valutazioni nel tempo e per l‘imposizione di prescrizioni illogiche, se dirette a modificare un’opera già nel frattempo realizzata.

Una tale contraddittorietà e mancanza di motivazione adeguata non si ravvede invece qui, in relazione alle altre aree interessate, anche tenendo apunto conto che, come osserva il primo giudice, quell’opera aveva un carattere oggettivamente meno invasivo delle altre sul godimento visivo del bene protetto in via principale.

A tali osservazioni e circostanze, che distinguono con nettezza il profilo inerente la strada comunale dalle prescrizioni stabilite per le altre aree, ben evidenziate dal primo giudice nelle sentenze n.18 e 20 del 2010, oggetto di gravame, gli appelli non controdeducono adeguatamente.

Pertanto si deve concludere che non vi è stata alcuna contraddittorietà dell’Amministrazione, ravvisata dagli appelli, almeno con riguardo alla identificazione, in base alle riservate valutazioni di discrezionalità tecnica, dell’estensione dell’ambito di rispetto. Non rileva, in tale contesto, né l’avvenuta realizzazione e definizione di un’opera pubblica nei paraggi (invero non contestata in quanto tale dagli appellanti, che invece deducono che, nel corso dell’istruttoria, della realizzazione di tale opera non sia stata data adeguata considerazione), né l‘eventuale presenza di un distributore di carburanti.

Tali circostanze particolari, da sole considerate, non rilevano né come impedimenti al vincolo di rispetto né per giustificarlo (fermo poi il noto principio per cui eventuali degradi di zona rendono più stringenti le esigenze di tutela, piuttosto che attenuarle: su cui v. Cons. Stato, VI, 4 giugno 2010, n. 3556; 12 luglio 2011, n. 4196; 3 luglio 2012, n. 3893).

4.I motivi degli appelli sono altresì infondati in relazione al dovere di adeguata motivazione e alla pretesa di risposta puntuale e completa alle osservazioni dei privati.

Infatti, è giurisprudenza che il dovere di esame delle memorie prodotte dall’interessato a seguito della comunicazione di avvio del procedimento non comporta la confutazione analitica delle allegazioni presentate dall’interessato, purché il provvedimento finale sia corredato da una motivazione che renda nella sostanza percepibili le ragioni del mancato adeguamento dell’azione amministrativa a quelle osservazioni. Onere questo che è stato adempiuto (v., tra le altre, Cons. Stato, VI, 7 gennaio 2008 n. 17 e 11 aprile 2006 n. 1999). L’amministrazione, nell’adottare un provvedimento, non è tenuta a riportare il testo integrale delle deduzioni del potenziale destinatario, essendo sufficiente che le valuti nel loro complesso o per questioni omogenee (Cons. Stato, VI, 3 luglio 2012, n. 3893 sul c.d. vincolo indiretto).

Nella fattispecie, il decreto n.787 dell’8 agosto 2006 è corredato da relazione tecnico-scientifica , che motiva lungamente l’imposizione e la conferma del vincolo risalente al 1937.

In questa relazione si afferma: “l’area circostante la Villa Serena già Scribani e la Corte Fratesca è situata nella zona ovest della città di Piacenza […] ed è sostanzialmente compresa tra la strada comunale della Gragnana, la strada comunale della Fabbriana, la via Einaudi e la via Veggioletta. Questo comprensorio agricolo costituisce la naturale cornice ambientale, paesaggistica e di rispetto delle emergenze architettoniche sopra citate […] il territorio in questione si presenta attualmente come una vasta area agricola, caratterizzata dalla presenza al suo interno delle due emergenze storiche e architettoniche della Villa Serena già Scribani e della Corte Fratesca e, per la restante parte, da alcuni edifici rurali a carattere residenziale e produttivo insieme, e da vasti appoderamenti agricoli, destinati principalmente a seminativo. L’area di rispetto così individuata si presenta quindi nel suo complesso assai uniforme ed omogenea, connotata dal reticolo delle capezzagne e dalle canaline di scolo che partiscono gli appoderamenti, garantendo buone condizioni ambientali, di luce e visuale prospettica dei complessi architettonici esistenti, già dichiarati di particolare interesse […] l’assetto morfologico dell’area, elemento caratteristico del paesaggio padano prossimo all’asta fluviale del Po, conserva ancora un’impronta storicamente significativa del paesaggio agrario di quella zona di Piacenza, e un buon orizzonte prospettico delle emergenze storico-architettoniche presenti in quel contesto territoriale, al momento attuale non compromessa da significativi interventi di nuove edificazioni. Per questi motivi si ritiene necessario dettare, nei confronti degli immobili costituenti l’area di rispetto sopra descritta, le opportune prescrizioni, al fine di garantire la conservazione delle attuali condizioni di integrità, di ambiente e di decoro dei beni culturali tutelati e di evitare che sia danneggiata la prospettiva o la luce degli stessi beni […] si ritiene opportuno vietare nuove edificazioni nelle aree attualmente prive di edificazioni, già a destinazione agricola, situate ad una distanza entro 500 metri dagli immobili tutelati […]”.

In coerenza con i principi della materia è stato evidenziato che le prescrizioni di tutela indiretta dell’art. 45 del Codice dei beni culturali e del paesaggio sono volte a garantire non solo il campo di visibilità del bene culturale tutelato in via diretta, ma all’occorrenza anche il rilievo del contesto circostante, potenzialmente interagente con quel valore culturale, tanto da poter necessitare di una conservazione particolare (Cons. Stato, VI, 3 luglio 2012, n. 3893), l’accertata appartenenza dell’area all’unitario contesto territoriale così individuato – con conseguente necessità di conservarne integri, per ragioni di visibilità i tratti distintivi attraverso l’introduzione di limiti all’attività edificatoria – la rendeva per ciò solo assoggettabile al regime vincolistico, indipendentemente dall’addotta sussistenza di asseriti ostacoli alla visibilità parziale o totale dell’area rispetto al bene tutelato (su tale aspetto insistevano le osservazioni a suo tempo formulate dai proprietari).

Nell’atto n.5322 del 29 novembre 2005, di comunicazione di avvio del procedimento agli interessati, si osserva che: <>.

Allo stesso modo, le osservazioni che volevano rappresentare che la destinazione dei terreni non era agricola ma edificatoria o produttiva, si rivelano non fondate né dimostrate se rapportate al documentato attuale impiego dell’area per usi agricoli (le sentenze richiamano, non contestate sul punto, gli atti depositati dall’Amministrazione in data 3 agosto 2009 e non contrastati sul punto né in primo grado né in appello) e alla considerazione che la qualificazione dell’intero comparto come agricolo è stata operata sulla base dell’effettivo stato dei luoghi oltre che di un apprezzamento della loro complessiva vocazione.

D’altronde, nel richiamato atto di comunicazione di avvio del procedimento (atto del 29 novembre 2005 su richiamato) si impongono prescrizioni e limitazioni alle aree “attualmente inedificate, già destinate ad attività agricola” e non già ad aree aventi già, anche di fatto, per esempio, altra destinazione.

5.Quanto alle doglianze con cui si lamenta la eccessività del sacrificio imposto ai privati e l’erronea valutazione e comparazione degli interessi coinvolti, va considerata la sufficienza che l’Amministrazione dia adeguato conto della necessità di certe misure per tutelare la c.d. “cornice ambientale” del bene principale, come è nella specie: vi recede l’utilizzazione urbanistico-edilizia delle aree dei privati, il cui diritto di proprietà, del resto, è intrinsecamente assoggettato a limiti di varia natura e contenuto per ragioni di preminente interesse generale (cfr. Cons. Stato, VI, 3 luglio 2012, n. 3893, che ricorda che l’estensione dell’area da assoggettare a vincolo indiretto attiene alla stretta valutazione dell’amministrazione, che legittimamente può riferirlo non solo alla tutela diretta di un singolo bene culturale, ma anche di un intero insieme).

Come visto sulla base della relazione, l’Amministrazione ha ravvisato nel comprensorio significativi elementi di continuità del contesto del bene tutelato, con un rapporto di complementarietà con l’interesse culturale insito in quel bene, e coerentemente ne ha ricavato l’esigenza di inalterazione dell’assetto complessivo del territorio: questa soluzione non poteva che implicare la preservazione del prevalente uso agricolo e comunque il divieto di nuove costruzioni in loco.

E’ priva di fondamento la censura che la gravità e intensità delle prescrizioni introdotte e la dichiarata esigenza di non compromettere l’identità storica del paesaggio rivelerebbero l’indebito obiettivo di vincolare in via diretta, piuttosto che indiretta, il contesto ambientale in quanto tale, così incorrendo in sviamento di potere, perché in sostanza vi sarebbe un autentico vincolo diretto sotto la simulante veste del vincolo indiretto posto a tutela di altro bene.

Coerentemente al ripetutamente richiamato precedente di cui a Cons. Stato, VI, n. 3893 del 2012, valuta qui il Collegio che l’assetto del territorio circostante correttamente è stato considerato dall’Amministrazione ai fini dell’individuazione della cornice ambientale da assoggettare a tutela, posto che il vincolo indiretto si caratterizza proprio per la funzione servente che le limitazioni alle trasformazioni prossime al bene protetto svolgono rispetto alla salvaguardia dell’interesse storico-artistico connaturato a quello stesso bene principale.

In tale prospettiva, pertanto, l’identità storica del comprensorio è qui venuta in rilievo solo per evidenziarne l’intrinseca relazione col bene protetto e la conseguente salvaguardia per quest’ultimo scaturirebbe, in termini di prospettiva, di luce, di decoro e di cornice, in virtù della permanenza delle condizioni in essere.

In tema di tutela del patrimonio culturale, l’ampiezza della zona da preservare in via indiretta non può essere determinata aprioristicamente, ma dipende in concreto dalla natura e dalla conformazione del bene direttamente tutelato e dallo stato dei luoghi che lo circondano, per cui può ritenersi che l’estensione ecceda la corretta cura dell’interesse tutelato solo quando venga dimostrato che riguarda terreni non necessari a contrastare il rischio per l’integrità dei beni culturali, o il danneggiamento della loro prospettiva, o l’alterazione delle loro condizioni di ambiente e di decoro (così, Cons. Stato, 3 luglio 2012, n. 3893).

Per costante giurisprudenza (v., ex multis, Cons. Stato, VI, 23 maggio 2006, n. 3078), l’imposizione del “vincolo indiretto” disciplinato dall’art. 49 del d.lgs. n. 490 del 1999, e oggi dall’art. 45 del d.lgs. n. 42 del 2004, costituisce espressione della discrezionalità tecnica dell’Amministrazione, sindacabile in sede giurisdizionale solo quando l’istruttoria si riveli insufficiente o errata o la motivazione risulti inadeguata o presenti manifeste incongruenze o illogicità anche per l’insussistenza di un’obiettiva proporzionalità tra l’estensione del vincolo e le effettive esigenze di protezione del bene di interesse storico-artistico, e si basa sull’esigenza che lo stesso sia valorizzato nella sua complessiva prospettiva e cornice ambientale, onde possono essere interessate dai relativi divieti e limitazioni anche immobili non adiacenti a quello tutelato purché allo stesso accomunati dall’appartenenza ad un unitario e inscindibile contesto territoriale.

Il c.d. “vincolo indiretto”, inoltre, non ha contenuto prescrittivo tipico, per essere rimessa all’autonomo apprezzamento dell’Amministrazione la determinazione delle disposizioni utili all’ottimale protezione del bene principale – fino all’inedificabilità assoluta –, se e nei limiti in cui tanto è richiesto dall’obiettivo di prevenire un vulnus ai valori oggetto di salvaguardia (integrità dei beni, difesa della prospettiva e della luce, cura delle relative condizioni di ambiente e decoro), in un ambito territoriale che si estende fino a comprendere ogni immobile, anche non contiguo, la cui manomissione si stimi potenzialmente idonea ad alterare il complesso delle condizioni e caratteristiche fisiche e culturali connotanti lo spazio circostante.

E’ da rigettare anche l’argomentazione dell’eccessiva estensione dell’area assoggettata a vincolo indiretto e, dall’altro lato, sostiene che si dovrebbe trattare di situazione nella quale adottare atti pianificatori.

L’assunto su cui si basano è erroneo perché confonde il dato oggettuale dell’ampiezza spaziale del vincolo con le ragioni e la finalità per cui è stato introdotto.

Benché sia usuale che per gli ambiti territoriali si pratichi la tutela paesaggistica quando è la visuale che si intende conservare, occorre però considerare che quando si intende conservare, piuttosto che la visuale, la consistenza materiale, legittimamente si può praticare la tutela di bene culturale apponendo anche il relativo vincolo indiretto. Sicché non è l’ampiezza della porzione di territorio a qualificare il tipo di vincolo applicato, ma le ragioni e le finalità che si intendono perseguire in concreto, oltre ovviamente all’autoqualificazione stessa dell’atto.

Si tratta dunque di interpretare l’atto per identificare il potere qui in concreto esercitato, e qualificare in termini sostanziali l’atto stesso e il suo regime, ricordando che nell’interpretazione di un provvedimento amministrativo la lettera e l’autoqualificazione precedono ogni altro criterio (Cons. Stato, IV, 30 maggio 2001, n. 2953; VI, 8 aprile 2003, n. 1877; IV, 22 settembre 2005, n. 4982; V, 16 giugno 2009, n. 3880; V, 5 settembre 2011, n. 4980) e che è essenziale la considerazione del contenuto complessivo dell’atto (Cons. Stato, IV, 23 luglio 2009, n. 4623).

L’estensione dell’area da assoggettare a vincolo indiretto attiene alla stretta valutazione dell’amministrazione e può riguardare anche un immobile non prossimo al monumento da tutelare, purché faccia parte dell’”ambiente” del monumento, solo si richiede che vada valutata in rapporto a natura, caratteristiche e ubicazione dei beni da salvaguardare.

A queste considerazioni si aggiunge che la questione di fondo, quella dell’estensione spaziale del vincolo indiretto – che in effetti, gradato per ambiti, copre un’area quantitativamente di un certo rilievo, per quanto non poi così rilevante se paragonata ad altri vincoli indiretti – non è fondata.

L’assunto che una tale estensione sia di suo, in quanto tale, illegittima è invero erroneo in diritto. L’estensione va riferita piuttosto alla funzione di questo tipo di vincolo, e il relativo apprezzamento appartiene – nei limiti della congruenza, della ragionevolezza e della proporzionalità – all’Amministrazione.

Va anzitutto rilevato che l’art. 45 (Prescrizioni di tutela indiretta) del Codice dei beni culturali e del paesaggio (che ripete la fattispecie dell’art. 21 l. 1 giugno 1939, n. 1089 e poi dell’art. 49 d.lgs. 29 ottobre 1999, n. 490) non stabilisce altra delimitazione spaziale che quella intrinsecamente funzionale alla sua causa tipica, che è di “prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro”.

E’ vero che questo vincolo di tutela della cornice ambientale dei beni culturali comporta (può comportare, come nella specie) forti limitazioni delle facoltà proprietarie e che, per quanto queste siano intrinseche alla relazione spaziale, occorre considerare l’esigenza del loro contenimento in sacrificio del proprietario, secondo criteri di congruenza, ragionevolezza e proporzionalità.

Nella specie, il decreto impositivo del vincolo indiretto ha previsto, per tutte le aree attualmente in edificate o destinate anche solo di fatto ad attività agricola (tra le quali le aree delle appellanti) soltanto, salvo eccezioni, operazioni colturali e di manutenzione ordinaria o straordinaria dei fondi agricoli: tale sacrificio viene sentito come sproporzionato da chi ne viene inciso.

Però considerato, una volta stimato da parte dell’Amministrazione che il vincolo indiretto è qui una misura necessaria ed inevitabile, malgrado i sacrifici che la sua scelta può recare, per proteggere il contesto complementare del bene direttamente tutelato – il che è l’obiettivo prefissato in via primaria -, senza di che la stessa tutela diretta sarebbe amputata dell’insieme spaziale che conferisce valore al bene principale, alla valutazione tecnica e realizzazione pratica che vi presiedono resta estranea l’ipotesi di un’attenuazione dell’interesse pubblico a favore di quello privato all’edificazione: questa attenuazione, nella traduzione provvedimentale, condurrebbe illegittimamente, e paradossalmente, a dar minor tutela, malgrado l’intensità del valore culturale del bene principale, quanto più intenso e forte sia o possa essere l’interesse alla trasformazione delle cose.

La proporzionalità qui rappresenta la congruenza della misura adottata in rapporto all’oggetto principale da proteggere: per cui l’azione di tutela indiretta va contenuta nei termini di quanto risulta essere concretamente necessario per il raggiungimento degli obiettivi di tutela diretta. Va posta in rapporto all’esigenza conservativa del vincolo diretto e alle caratteristiche dell’oggetto materiale di quello.

Una volta accertata la corrispondenza in punto di fatto (che conduce all’evidente conseguenza della congruenza, in principio, dell’ampia estensione del vincolo indiretto una volta posta l’ampia estensione di quello diretto), la latitudine spaziale non si pone più come un fattore estrinseco limitativo del vincolo, ma ne costituisce anzi il sostrato di fatto scaturente dalla necessaria e presupposta valutazione tecnica.

L’ampiezza della zona da preservare in via indiretta, del resto, non può essere determinata aprioristicamente, ma dipende in concreto dalla natura e dalla conformazione del bene direttamente tutelato e dallo stato dei luoghi che lo circondano.

L’estensione eccede in concreto dalla corretta cura dell’interesse quando è dimostrato – il che qui non è avvenuto – che riguarda terreni non necessari a contrastare il rischio per l’integrità del valore proprio di beni culturali (cioè a garantirne la conservazione materiale), ovvero il danneggiamento della loro prospettiva o luce (cioè a garantirne la visibilità complessiva), ovvero l’alterazione delle loro condizioni di ambiente e di decoro (cioè a preservarli da contrasti con lo stile e il significato storico-artistico e a garantire la continuità storica e stilistica tra il monumento e la situazione ambientale in con è contestualizzato) (ad es., Cons. Stato, VI, 23 maggio 2006, n. 3078, ha respinto l’impugnazione di un’imposizione di vincolo indiretto per un raggio di tre chilometri intorno ad un castello; cfr. anche Cons. Stato, VI, 9 marzo 2011, n. 1474).

Tutte le garanzie del bene protetto in via primaria al cui presidio è funzionale il vincolo indiretto (conservazione materiale, visibilità complessiva, lettura stilistica e storico-artistica contestualizzata) formano un sistema integrato idoneo a qui sorreggerne l’imposizione.

Ne deriva che la contestazione di un singolo elemento (per esempio, la costruzione della bretella o la presenza del distributore di carburanti nei dintorni) non vale a sminuirne la validità complessiva.

In questi lineari termini rilevano e vanno valutati l’adeguatezza, la congruenza, la ragionevolezza e la proporzionalità del vincolo indiretto, non già – come vorrebbero le appellanti – in attenuazione causata dal diritto di proprietà, che a questi riguardi è intrinsecamente limitato e dunque esterno all’esercizio del potere tanto da non essere indennizzabile (Corte cost., 4 luglio1974, n. 202, che precisa che l’art. 21 l. n. 1089 del 1939 concerne “il potere di imporre dei limiti all’esercizio dei diritti privati in relazione ad un preciso interesse pubblico in base ad apprezzamento tecnico sufficientemente definito e controllabile, la cui discrezionalità é chiaramente determinata”;v. anche ord. 28 dicembre 1984, n. 309).

In questo consiste, con evidenza, un limite fondamentale imposto nell’interesse generale dalla legge all’uso dei beni oggetto del vincolo (art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea; art. 1 dell’invocato Protocollo addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali). Limiti questi che, per le ragioni ampiamente dette, non risultano qui superati.

È pienamente coerente con quanto esposto che una particolare ampiezza possa essere giustificata quando siffatta tutela è applicata non in relazione ad un singolo immobile, ma in relazione a un complesso il cui eccezionale valore culturale si presenta in modo unitario, che acquista o accresce interesse in relazione alla sua visione organica.

Non è fondata, quindi, la censura, anch’essa sollevata nell’articolato secondo motivo degli appelli, che lamenta la violazione del principio di proporzionalità e di ragionevolezza.

Anche qui poi, come per il vincolo diretto, per consolidata e risalente giurisprudenza l’estensione dell’area da assoggettare a vincolo indiretto attiene alla stretta valutazione dell’amministrazione (cfr. Cons. Stato, VI, 4 maggio 1955, n. 304; IV, 25 luglio 1970, n. 585; VI, 29 novembre 1977, n. 894; VI, 6 giugno 2011, n. 3354), e può riguardare anche un immobile non prossimo al monumento da tutelare, purché faccia parte dell’ “ambiente” del monumento; si richiede soltanto che vada valutata in rapporto a natura, caratteristiche e ubicazione dei beni da preservare, il che qui, con la motivazione dell’atto e l’allegata relazione, risulta essere avvenuto.

Posto che l’estensione dell’ambito di tutela è dunque diretta espressione delle valutazioni proprie dell’Amministrazione, ne viene che queste stesse valutazioni non sono soggette al sindacato di legittimità del giudice amministrativo, se non nei ristretti limiti che si sono ricordati.

Sotto il profilo della sussistenza dei presupposti di fatto del vincolo indiretto, nella fattispecie in esame, gli obiettivi della tutela appaiono correttamente identificati nella relazione tecnico-scientifica allegata al provvedimento, e si riassumono nella necessità di salvaguardare l’integrità del bene sottoposto a vincolo diretto, necessità che non appare né illogica, né contraddittoria, né altrimenti censurabile da parte del giudice.

6.Sono infondati anche gli altri motivi, con i quali si lamenta illogicità, arbitrarietà e contraddittorietà delle varie prescrizioni.

In via di principio, non può non ribadirsi che il sindacato giurisdizionale alle prescrizioni introdotte ai vincoli indiretti è necessariamente limitato.

Non è sindacabile – se non risulti palesemente erronea e illogica – la valutazione dell’Amministrazione di sottoporre a tutela un bene (così, da ultimo, Cons. Stato, VI, 3 luglio 2012, n.3893).

L’art. 45 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, sulle “prescrizioni di tutela indiretta”, stabilisce che il Ministero ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro (Cons. Stato, VI, 9 marzo 2011 n. 1474).

Nella specie, non emerge un’effettiva incoerenza rispetto alle valutazioni formulate nel corso del procedimento – neppure rispetto al parere reso in data 23 settembre 2005 dal Comitato Tecnico-Scientifico per i beni architettonici e paesaggistici il quale aveva sì suggerito l’adozione di forme di tutela indiretta (quale un’idonea zona di rispetto coincidente con i terreni agricoli circostanti Villa Serena) e indicato gli obiettivi da perseguire ma senza al contempo fissare parametri rigidi circa scelte rimesse in concreto alla competente Soprintendenza –, anche per avere poi la relazione tecnico-scientifica conclusiva adeguatamente e sufficientemente indicato le ragioni della connessione funzionale delle limitazioni imposte all’ampio comprensorio locale rispetto alle esigenze di tutela e valorizzazione del bene di interesse storico-artistico, con soluzioni che si pongono come coerenti con gli accertamenti istruttori compiuti.

Infatti l’area assoggettata risulta tuttora impiegata ad uso agricolo e, ove pure non visibile dal bene protetto, in ogni caso accomunata a questo dall’appartenenza ad un unitario ed omogeneo contesto territoriale, non potendo rilevare in questo contesto la presenza della indicata bretella stradale, nel frattempo realizzata, né successive trasformazioni, che anzi rendono maggiormente impellente la tutela dell’interesse pubblico.

Non emergono neanche profili di macroscopica incongruenza e illogicità: tanto meno in misure che esulino dalla coerenza con la già sottolineata esigenza di lasciare sostanzialmente intatta la cornice ambientale che, a per la salvaguardia dell’identità storicamente propria della zona, è stata stimata come la più appropriata forma di protezione della prospettiva e del decoro del bene protetto.

Come rilevato,. il “vincolo indiretto” non ha un contenuto prescrittivo tipico, sicché devono essere di volta in volta discrezionalmente individuate le disposizioni da adottare per la conservazione e piena fruibilità del bene; ogni ulteriore considerazione, d’altra parte, sconfinerebbe in un apprezzamento di merito, riservato naturalmente all’Amministrazione competente in materia.

7. Con ultimo motivo di appello, si sostiene che l’Amministrazione, soccombente su una linea rigorosa in relazione alla costruzione della bretella, avrebbe successivamente adottato una linea rigida ed eccessiva, quasi a rivalersi in altra situazione: si tratterebbe di caso di scuola di sviamento di potere.

Il motivo è infondato.

Tale censura, che evoca un vero e proprio sviamento di potere, va supportata da precisi e concordanti elementi di prova, idonei a dare conto delle divergenze dell’atto dalla sua tipica funzione istituzionale, non essendo sufficienti semplici supposizioni o indizi che non si traducano nella dimostrazione dell’illegittima finalità perseguita in concreto dall’organo amministrativo.

Nella specie, tutto ciò difetta, ed è del tutto ipotetica la denunciata volontà di rivalsa dell’Amministrazione a seguito della sopraggiunta impossibilità di sottoporre a vincolo diretto lo “stradello” di pertinenza di Villa Serena.

Il vizio di eccesso di potere per sviamento consiste nell’effettiva e comprovata divergenza fra l’atto e la sua funzione tipica, ovvero nell’esercizio del potere per finalità diverse da quelle enunciate dal legislatore con la norma attributiva dello stesso, in particolare, quando l’atto sia stato determinato da un interesse diverso da quello pubblico.

Tuttavia, la censura di sviamento va supportata da capaci elementi di suffragio che qui non si ravvisano. Né quel vizio è ravvisabile quando l’atto è comunque adottato conformemente alle norme sulla sua forma e il suo contenuto e risulta comunque aderente al fine cui è istituzionalmente preordinato (tra tante, Cons. Stato. V, 27 marzo 2013, n. 1776).

8. Sulla base delle esposte considerazioni, gli appelli proposti, previa riunione, vanno respinti, con conseguente conferma delle appellate sentenze.

La condanna alle spese del presente grado di giudizio segue il principio della soccombenza; le spese sono liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sugli appelli, come in epigrafe proposti, previa riunione degli stessi, li respinge, confermando le appellate sentenze.

Condanna le parti appellanti al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, liquidate in complessivi euro duemila a favore dell’appellato Ministero, di cui mille a carico dell’appellante Centro Finanziamenti s.r.l. e mille a carico di Lillo Maria Carla e Lillo Giuseppina.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere, Estensore

Vito Carella, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 03/07/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)