Giustizia amministrativa: il singolo docente non ha legittimazione ed interesse ad opporsi alla riorganizzazione della Facoltà di Giurisprudenza secondo i dettami della cd. riforma Gelmini

NOTA

La Sezione Sesta ritiene inammissibile – per difeto di legittimazione e d’interesse al ricorso – l’imugnativa proposta da un docente della Facolta di Giurisprudenza avverso gli atti con i quali l’Università degli Studi di Genova, in conseguenza delle modifiche organizzative adottate dall’Ateneo genovese in attuazione della legge 30 dicembre 2010 n.240 (recante Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), ha inserito il neo costituito Dipartimento di Scienze Giuridiche nell’ambito della Scuola di Scienze Sociali.

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N. 03400/2014REG.PROV.COLL.

N. 01410/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1410 del 2013, proposto da:
Granara Daniele, rappresentato e difeso dagli avvocati Daniele Granara e Federico Tedeschini, con domicilio eletto presso quest’ultimo difensore in Roma, largo Messico, 7;

contro

Università degli Studi di Genova, in persona del Rettore pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati Gabriele Pafundi e Luigi Cocchi, con domicilio eletto presso il primo difensore in Roma, viale Giulio Cesare 14a/4;

nei confronti di

Ministero dell’istruzione dell’università e della ricerca, in persona del Ministro pro tempore,rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LIGURIA – GENOVA: SEZIONE I n. 1566/2012, resa tra le parti, concernente la costituzione di una Scuola di scienze sociali e non di un’autonoma scuola in luogo della disciolta Facoltà di giurisprudenza

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visti gli atti di costituzione in giudizio di Università degli Studi di Genova e del Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nell’udienza pubblica del giorno 10 giugno 2014, il consigliere di Stato Giulio Castriota Scanderbeg e uditi per le parti gli avvocati Granara, Cocchi, Pafundi e l’avvocato dello Stato Paola Palmieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1.- Il professor Daniele Granara impugna la sentenza del Tribunale amministrativo regionale della Liguria 5 dicembre 2012 n. 1566 che ha respinto il ricorso ed i motivi aggiunti di primo grado dallo stesso dedotti avverso gli atti (meglio indicati nell’epigrafe dell’impugnata sentenza) con i quali l’Università degli Studi di Genova, in conseguenza delle modifiche organizzative adottate dall’Ateneo genovese in attuazione della legge 30 dicembre 2010 n.240 (recante Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario), ha inserito il neo costituito Dipartimento di Scienze Giuridiche nell’ambito della Scuola di Scienze Sociali.

L’appellante si duole dell’erroneità dell’impugnata sentenza e ne chiede la riforma, con il consequenziale accoglimento del ricorso e dei motivi aggiunti di primo grado e l’annullamento degli atti in quella sede gravati.

Si è costituita in giudizio l’Università degli Studi di Genova per resistere all’appello e per chiederne la reiezione. Si è altresì costituito il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per resistere all’appello.

Le parti hanno depositato memorie illustrative in vista della discussione del ricorso.

All’udienza pubblica del 10 giugno 2014 la causa è stata trattenuta per la sentenza.

2.- L’appello va respinto in quanto risultano inammissibili sia il ricorso che i motivi aggiunti di primo grado.

La vicenda che ne occupa riguarda l’impugnazione da parte dell’odierno appellante di tutti gli atti (in atti meglio descritti) a mezzo dei quali l’Università degli Studi di Genova si è data un nuovo assetto organizzativo a seguito della riforma dell’ordinamento universitario recata dalla legge 30 dicembre 2010, n.240 (nota come legge di riforma Gelmini).

Le censure del ricorrente, ricercatore universitario già in servizio presso la Facoltà di Giurisprudenza e poi collocato, a seguito della predetta riorganizzazione dell’Università di appartenenza, alle dipendenze del Dipartimento di Scienze Giuridiche, si appuntano sostanzialmente sul nuovo modello organizzativo dell’Università con specifico riguardo agli enti universitari che sovrintendono gli insegnamenti relativi alle materie giuridiche.

In tale ambito, il nuovo Statuto dell’Ateneo genovese ha previsto la creazione di un Dipartimento di Scienze Giuridiche, in sostituzione della disciolta Facoltà di Giurisprudenza, unitamente ad ulteriori dipartimenti (in particolare, Economia, Scienze Politiche e Scienze della Formazione) poi confluiti, assieme al richiamato Dipartimento di Scienze Giuridiche, nella Scuola di scienze sociali, struttura di coordinamento dei vari dipartimenti.

3.- Sotto un primo profilo, l’odierno appellante contesta la razionalità di tale impianto organizzativo per la ragione che non sussisterebbe il requisito dell’ “affinità” (prevista dalla l. n. 240 del 2010) tra i distinti dipartimenti aggregati nell’ambito della medesima Scuola di scienze sociali.

Inoltre, nella prospettazione di parte ricorrente, la ricomprensione del Dipartimento di scienze giuridiche nella suddetta Scuola di scienze sociali, avrebbe fatto perdere agli insegnamenti dapprima ricompresi nell’ambito della Facoltà di Giurisprudenza il tipico connotato della monodisciplinarietà, ben evidente, prima della riforma, nell’ambito delle materie giuridiche ricomprese nel percorso formativo della disciolta Facoltà di giurisprudenza.

3.1 – Con altro gruppo di censure l’originario ricorrente si duole del fatto che, nel nuovo assetto organizzativo delineato nel nuovo Statuto dell’Ateneo genovese, il Dipartimento di Scienze Giuridiche avrebbe dismesso, in favore della struttura sovraordinata denominata Scuola di scienze sociali, i tratti e le prerogative dapprima svolte dalla Facoltà di Giurisprudenza.

Ciò sarebbe in particolare avvenuto in relazione ai compiti svolti tradizionalmente dalla Facoltà di Giurisprudenza in tema di attivazione dei corsi di studio, di valutazione delle linee programmatiche in materia didattica, scientifica e di spesa, di reclutamento dei docenti, di istituzione e gestione delle Scuole di specializzazione e, infine, in relazione alla titolarità, disponibilità ed alla gestione della biblioteca.

Secondo la tesi difensiva del professor Granara, tale nuovo modello organizzativo sarebbe di ostacolo all’esercizio, da parte del già nominato Dipartimento di scienze giuridiche, delle molteplici prerogative che l’ordinamento ha attribuito nel corso del tempo alla Facoltà di Giurisprudenza.

3.2- Lamenta altresì l’odierno appellante che la formazione tecnico-specifica, propria della Facoltà di giurisprudenza,non troverebbe un carattere affine nelle altre facoltà confluite nella Scuola di scienze sociali, anche in ragione del fatto che queste sarebbero caratterizzate da una diversa formazione sul piano culturale e interdisciplinare, scevra da ogni concreta proiezione in relazione al futuro esercizio di specifiche attività professionali.

3.3- Contesta, inoltre l’appellante, che non vi sarebbe proporzionalità tra il numero delle Scuole istituite e le dimensioni dell’Ateneo, lamentando in particolare che, a fronte delle considerevoli dimensioni dell’Ateneo genovese, si sarebbero costituite solo cinque scuole mentre, in base alle previsione della richiamata legge 30 dicembre 2010 n. 240, se ne sarebbero potute costituire fino ad undici.

3.4- Con altro motivo d’appello, riprendendo i motivi aggiunti in primo grado, l’appellante lamenta le modifiche statutarie intervenute nelle more del giudizio di primo grado, sottolineando la presunta violazione dei principi che regolano l’esercizio del potere in regime di prorogatio, non potendo l’Università modificare lo Statuto nella pendenza del giudizio avviato dal Ministero e finalizzato a decretarne la sua illegittimità nella originaria versione. .

Sotto distinto profilo, l’appellante contesta l’erroneità della sentenza nella parte in cui non avrebbe individuato la prospettata violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della legge 30 dicembre 2010, n. 240 e degli artt. 6 e 16 della legge 9 maggio 1989, n. 168 (recante Istituzione del Ministero dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica), in relazione alla violazione dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché alla violazione dei principi in materia di autonomia universitaria, come riconosciuti dagli artt. 33 e 117 Cost..

4.- Tanto premesso, in sintesi, in ordine alle censure svolte dall’appellante, il Collegio ritiene che la causa imponga la preventiva soluzione della questione della ricorrenza, nella fattispecie processuale qui data, delle condizioni dell’azione.

La sentenza impugnata, che ha respinto nel merito il ricorso e i motivi aggiunti di primo grado, nulla ha statuito in punto di legittimazione ad agire ed interesse a ricorrere del professor Granara, avendo ritenuto dette condizioni dell’azione ininfluenti ai fini decisori risultando il ricorso ed i motivi aggiunti di primo grado comunque infondati nel merito.

Il Collegio ritiene per converso che dal preventivo esame di quelle fondamentali questioni processuali non possa prescindersi. Dette questioni, riproposte in questo grado dalla difesa dell’Università appellata, investono infatti in limine la stessa proponibilità del ricorso giurisdizionale amministrativo e vanno pertanto esaminate prima di quelle afferenti il merito delle censure proposte..

Il Collegio ritiene che l’impugnazione di primo grado, avuto riguardo ai contenuti delle distinte censure fatte valere nei mezzi in quella sede proposti, non possa superare, in ragione dell’inesistenza delle citate condizioni dell’azione, l’esame preliminare della sua ammissibilità processuale.

5.- Quanto al profilo della legittimazione ad agire, cioè dell’appartenenza soggettiva della situazione giuridica dedotta in capo a chi in concreto la fa valere in giudizio, giova muovere dal rilievo che il ricorrente ha proposto il ricorso di primo grado nella veste di “ricercatore universitario in Diritto Costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Genova dal 1-2-1992” e “attualmente docente di Diritto Costituzionale, nel Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza e nel Corso di Laurea in Giurista di Impresa e dell’Amministrazione, e di Diritto Regionale, nel Corso di Laurea in Servizio Sociale, presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Genova“.

Dette attribuzioni dell’appellante in ambito universitario, dunque, non appaiono estendersi a compiti di organizzazione interna all’Università degli Studi di Genova e anzi risultano del tutto estranee e prive di collegamento rispetto agli assetti organizzativi previsti dal nuovo Statuto dell’Università in attuazione della richiamata normativa nazionale di riforma.

In altri termini, il ruolo professionale di appartenenza dell’appellante non subisce alcun riflesso diretto e specifico dalla nuova organizzazione adottata dall’Università.

È significativo, a tal proposito, che lo stesso appellante sottolinei che la sua impugnativa è finalizzata a “ripristinare la previgente organizzazione Universitaria, anche nell’interesse dell’Università di Genova alla propria razionale ed efficiente organizzazione interna, rispettosa dei principi di autonomia universitaria e dell’autonomia e dell’identità della Facoltà di Giurisprudenza”.

Il Collegio deve comunque rilevare che la mera funzione di docente non è sufficiente a legittimare la domanda di annullamento di un provvedimento organizzativo generale che, riguardando il complessivo assetto dell’Università (aggregazione dei dipartimenti ritenuti “affini” nell’ambito di una medesima Scuola, nel caso di specie “Scuola di scienze sociali”), afferisce alla potestà di autorganizzazione dell’amministrazione: e che comunque, a tutto voler rilevare, non presenta un diretto impatto sull’insegnamento della materia affidata al ricorrente, ovvero sull’organizzazione di quell’insegnamento.

Anche a voler comprendere il disappunto dell’appellante per il mutamento della struttura organizzativa dell’Università e il suo timore che la Facoltà di Giurisprudenza vada a subirne una deminutio rispetto al pregresso assetto organizzativo, in termini di minor autonomia gestionale, è altrettanto vero che un tale disappunto resterebbe per l’ordinamento solo un irrilevante stato dell’animo individuale e non potrebbe pretendere una tutela giuridica che giunga in favore dell’opinamento del singolo docente Questi anzi è tenuto, per naturali ragioni di dipendenza, ad adeguarsi alle scelte organizzative degli organi deliberativi dell’Università che, nell’esercizio delle loro attribuzioni, hanno ritenuto di recepire nello statuto universitario un nuovo modello organizzativo.

L’appellante dunque non riveste qui una posizione giuridica qualificata rispetto al mutamento della articolazione, nei sensi anzidetti, degli uffici universitari che sovrintendono gli insegnamenti delle materie giuridiche: assetto che comunque non pare influire sull’autonoma posizione giuridica sostanziale dell’appellante stesso.

È qui il caso di richiamare la consolidata giurisprudenza circa la legittimazione ad agire come “situazione soggettiva qualificata” “la cui esistenza è da riscontrare esclusivamente alla stregua della fattispecie giuridica prospettata dall’azione” (da ultimo Cass, sez. III, 26 maggio 2014, n. 11641; Cons. Stato, IV, 9 maggio 2014, n. 2384).

Proprio di tale condizione l’azione proposta in primo grado risulta sprovvista: l’appellante ha affermato di rivestire solo il ruolo di docente, quindi di essere estraneo ai ruoli rappresentativi di quell’Università degli Studi come, ad esempio, quelli facenti capo all’ex Preside della Facoltà di Giurisprudenza ovvero all’attuale Direttore del Dipartimento. Le censure sul preteso depotenziamento dell’attuale Dipartimento di scienze giuridiche in rapporto alla disciolta Facoltà di Giurisprudenza disvelano una causa petendi che soggettivamente potrebbe, al più, appartenere ai soli soggetti muniti di adeguati poteri rappresentativi, tali da poter far valere, anche in sede processuale, e sempre che possano contrastare l’autonomia organizzativa dell’amministrazione, le ragioni delle figure coinvolte nel processo di riorganizzazione. Ma non potrebbe far capo, per quanto detto, al ricorrente: anche il processo amministrativo è astretto alla regola della personalità dell’azione processuale e al divieto, salvo i casi espressamente previsti dalla legge, della sostituzione processuale (art. 81 Cod. proc. civ.).

7.- Ritenuta, dunque, l’insussistenza della legittimazione alla proposizione del ricorso di primo grado.

Il Collegio osserva poi che nella fattispecie difetta anche l’ulteriore condizione dell’azione, rappresentata dall’interesse a ricorrere.

Nella esposizione delle censure di primo grado (riproposte in appello) non vi è traccia di un interesse diretto, attuale e concreto del professor Granara che potrebbe subire pregiudizio per effetto dell’adozione degli atti in primo grado impugnati e che pertanto attribuisca consistenza sul piano dell’interesse a ricorrere alla domanda di annullamento di tali atti formulata in sede giudiziale.

I pur tantissimi vizi denunciati con l’impugnazione principale e i successivi motivi aggiunti di primo grado (contenuti in atti redatti in non apprezzabile violazione della regola processuale della sinteticità, art. 3 Cod. proc. amm.) non evidenziano alcuna compressione delle prerogative professionali del professor Granara (i.e. della posizione giuridica sostanziale a questi facente capo). Viceversa, in più parti degli atti difensivi si rappresenta un ipotetico pregiudizio che solo e soltanto sarebbe della Facoltà di Giurisprudenza (“viene completamente meno l’identità della previgente Facoltà di Giurisprudenza, in particolare la sua monodisciplinarietà a valenza tipicamente giuridica, atteso che la Scuola di Scienze Sociali non è idonea ad identificare l’appartenenza ad essa delle varie discipline che ad essa afferiscono, corrispondenti alle previgenti Facoltà…” (pag. 31 atto d’appello).

Ora, a parte ogni questione di condivisibilità nel merito delle affermazioni dell’appellante riguardo all’estraneità delle materie giuridiche rispetto all’area delle scienze sociali e al presunto carattere monodisciplinare che avrebbe sempre connotato il corso universitario di studi giuridici, ciò che comunque rileva in modo dirimente in questo preliminare esame dell’impugnazione di primo grado è la mancata deduzione di un vulnus attuale e concreto alle prerogative del docente Granara, anche soltanto indirettamente ricollegabili al mutato assetto organizzativo dell’Università

Ancora, si legge nell’appello (pag. 49) che “essendo la Facoltà di Giurisprudenza del previgente ordinamento confluita nella Scuola di Scienze Sociali non è assolutamente garantita la rappresentanza in Senato accademico dell’area scientifica delle scienze giuridiche, potendo la rappresentanza dei direttori di dipartimento e del corpo docente appartenere alle altre tre aree scientifiche che compongono la Scuola di Scienze Sociali..”.

Ora, a parte l’assorbente profilo che nel Dipartimento di scienze giuridiche sono confluite le prerogative già proprie della disciolta Facoltà di Giurisprudenza, è evidente anche dagli stralci

riportati come il difetto di interesse costituisca il corollario del già rilevato difetto di legittimazione.

E’ indubbio infatti che non avendo l’appellante nemmeno in primo grado evidenziato a che titolo ritenesse di tutelare interessi peculiari della disciolta Facoltà di Giurisprudenza ovvero del neo istituito Dipartimento di scienze giuridiche, non essendo munito di poteri rappresentativi, non ha conseguentemente neppure individuato un proprio interesse degno di tutela all’annullamento degli atti gravati in primo grado.

Tutti i motivi di ricorso, in sostanza, si fondano su valutazioni che si presentano come del tutto soggettive e personali di quello che avrebbe potuto essere, in attuazione della riforma universitaria del 2010, un possibile nuovo modello organizzativo per l’Università genovese, diverso da quello in fatto perseguito a mezzo dell’approvazione del nuovo Statuto. Tali valutazioni soggettive, tuttavia, non possono trovar giusta sede in un ricorso giurisdizionale come quello proposto in primo grado dall’odierno appellante, che evidentemente difetta delle condizioni di proponibilità.

In conclusione l’appellante non ha prospettato un proprio interesse a ricorrere in giustizia, che nel processo amministrativo corrisponde alla situazione caratterizzata dalla presenza degli caratteri rivelatori dell’interesse ad agire di cui all’art. 100 Cod. proc. civ.., vale a dire la prospettazione di una lesione concreta e attuale della sua situazione giuridica e l’effettiva utilità che potrebbe derivargli dall’annullamento dell’atto impugnato. Ogni qual volta l’annullamento richiesto non sia in grado di recare uno specifico vantaggio all’interesse sostanziale del ricorrente, il ricorso va considerato inammissibile per carenza d’interesse (cfr. Cons. Stato, V, 21 marzo 2011, n. 1734).

8.- Da ultimo vale rilevare, come correttamente considerato dalla difesa dell’Università degli Studi di Genova a significare l’inammissibilità del ricorso e dei motivi aggiunti di primo grado, che lo Statuto censurato è stato oggetto di esame nel Consiglio di Facoltà del 13 giugno 2011 ed è stata adottato con delibera all’unanimità, evidentemente quindi con il voto dello stesso professor Granara che era presente. E’ certo che “un soggetto il quale ha votato a favore” non può “impugnare gli atti che ha concorso a porre in essere” (cfr. Cons. Stato, VI, 24 febbraio 2004, n. 1872), posto che la votazione favorevole, rappresentando una forma palmare di acquiescenza agli effetti dell’atto collegiale, ne rende inammissibile l’impugnazione.

Anche per tal ragione il ricorso ed i motivi aggiunti di primo grado esibiscono evidenti profili di inammissibilità processuale.

9.- L’accertata insussistenza delle condizioni dell’azione comporta il rigetto dell’appello, con l’assorbimento di tutti i motivi d’impugnazione.

In tal senso va riformata la motivazione della impugnata sentenza che non condivisibilmente si è profusa nell’esame del merito dell’impugnazione di primo grado.

10.- Le spese del presente grado di giudizio seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) definitivamente pronunciando sull’appello (r.g.n. 1410/13), come in epigrafe proposto lo respinge e, riformando nei sensi di cui in motivazione la impugnata sentenza, dichiara inammissibile il ricorso ed i motivi aggiunti di primo grado.

Condanna l’appellante al pagamento delle spese e degli onorari del presente grado di giudizio, che liquida in complessivi euro 4.000,00 (quattromila), oltre IVA e cpa se dovuti, in favore dell’Università degli Studi di Genova ed in euro 4.000,00 (quattromila), oltre IVA e cpa se dovuti, in favore del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca .

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 10 giugno 2014 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Severini, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere

Vito Carella, Consigliere

Gabriella De Michele, Consigliere

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere, Estensore

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 04/07/2014

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)