Giustizia amministrativa: inammissibile il ricorso alla procedura del silenzio-rifiuto per provocare l'esercizio dell’autotutela

NOTA

La sentenza conferma la decisione di prime cure che aveva dichiarato inammissibile il ricorso, exart. 117 c.p.a., proposto avverso il silenzio serbato dalla P.A. sull’istanza di revoca di un provvedimento impositivo di un vincolo storico-artistico divenuto ormai inoppugnabile.

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N. 03634/2013REG.PROV.COLL.

N. 03027/2013 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Sesta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 3027 del 2013, proposto dall’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero di Caserta, in persona del legale rappresentante in carica, rappresentato e difeso dall’avvocato Luigi Adinolfi, con domicilio eletto presso lo studio commercialista Rosati (dott.ssa Anna Bei), in Roma, via Ovidio, 10;

contro

il Ministero per i beni e le attività culturali – Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della Campania, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI, SEZIONE VII, n. 1638/2013, resa tra le parti, ricorso avverso silenzio – rifiuto, ex art. 117 cod. proc. amm.;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio ella parte appellata;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore, nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2013, il Cons. Bernhard Lageder e udito, per la parte appellante, l’avvocato Adinolfi;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Premesso che, a norma dell’art. 117, commi 2 e 6-bis, cod. proc. amm., il presente giudizio va definito con sentenza in forma semplificata;

ritenuto che l’impugnata sentenza di rigetto del T.a.r. appare immune dalle dedotte censure, in quanto:

le singole particelle immobiliari sottoposte a vincolo storico-artistico [ex art. 10, comma 3 lett. a), d.lgs. n. 42 del 2004] con il decreto n. 436 del 22 dicembre 2008, non impugnato in sede giurisdizionale, sono diverse da quelle oggetto dei decreti di vincolo n. 532 del 21 maggio 2009 e n. 773 del 31 maggio 2010, annullati dal T.a.r. per la Campania con la sentenza n. 707/2012, passata in giudicato;

– i tre decreti di vincolo, in ragione della loro diversità oggettuale, sono tra di loro autonomi e sprigionano un’autonoma valenza lesiva in relazione ai diversi beni incisi (da individuare nelle singole particelle immobiliari), sicché ciascuno dei tre decreti doveva essere impugnato entro il rispettivo termine di decadenza, a pena d’inoppugnabilità;

– secondo consolidato orientamento di questo Consiglio di Stato, da cui non v’è ragione di discostarsi, i provvedimenti di autotutela sono manifestazione dell’esercizio di un potere tipicamente discrezionale che l’Amministrazione non ha alcun obbligo di attivare e, qualora intenda farlo, deve valutare la sussistenza o meno di un interesse pubblico che giustifichi la rimozione dell’atto, valutazione della quale essa sola è titolare e che non può ritenersi dovuta nel caso di una situazione già definita con provvedimento inoppugnabile, con la conseguenza che, una volta che il privato, o per aver esaurito i mezzi di impugnazione che l’ordinamento gli garantisce, o – come nel caso di specie – per aver lasciato trascorrere senza attivarsi il termine previsto a pena di decadenza, si trovi di fronte ad un provvedimento inoppugnabile, a fronte del quale può solo sollecitare l’esercizio del potere da parte dell’Amministrazione, che non ha alcun obbligo di rispondere all’istanza di riesame;

– non sussiste pertanto la possibilità di fare ricorso alla procedura del silenzio-rifiuto allo scopo di provocare il ricorso dell’Amministrazione all’autotutela, poiché tale divieto trova il proprio fondamento nell’esigenza di evitare il superamento della regola della necessaria impugnazione dell’atto amministrativo nel termine di decadenza, e la richiesta dei privati, rivolta all’Amministrazione, di esercizio dell’autotutela, costituisce una mera denuncia con funzione sollecitatoria, ma non fa sorgere in capo all’Amministrazione stessa alcun obbligo di provvedere (su tali principi giurisprudenziali v., ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, 22 gennaio 2013, n. 355; Cons. St., Sez. V, 3 maggio 2012, n. 2549);

– in particolare, l’amministrazione preposta alla tutela di un vincolo non ha l’obbligo di esaminare l’istanza volta ad ottenere la revoca di un precedente atto – divenuto inoppugnabile – di imposizione del medesimo vincolo (Sez. VI, 27 novembre 2012, n. 5989);

– il T.a.r. ha, dunque, correttamente dichiarato inammissibile il ricorso ex art. 117 cod. proc. amm., proposto contro il silenzio serbato dall’Amministrazione resistente sull’istanza dell’11 ottobre 2012, notificata il 18 ottobre 2012, con cui l’Istituto istante ha chiesto l’annullamento in autotutela del decreto di vincolo n. 436 del 22 dicembre 2008;

rilevato che, per le esposte ragioni, s’impone il rigetto dell’appello;

ritenuto che le spese del presente grado di giudizio debbano essere regolate secondo il criterio della soccombenza;

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto (ricorso n. 3027 del 2013), lo respinge e, per l’effetto, conferma l’impugnata sentenza; condanna l’appellante a rifondere all’Amministrazione appellata le spese del presente grado di giudizio, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 1.500,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 18 giugno 2013 con l’intervento dei magistrati:

Luigi Maruotti, Presidente

Giulio Castriota Scanderbeg, Consigliere

Roberta Vigotti, Consigliere

Bernhard Lageder, Consigliere, Estensore

Andrea Pannone, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 09/07/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)