Pubblica amministrazione: responsabilità erariale da incarichi esterni illegittimi

NOTA

Con la sentenza in rassegna la Sezione respinge il ricorso in appello dell’organo apicale di un’Azienda ospedaliera contro la sentenza che lo condannava al risarcimento del danno erariale cagionato all’Azienda dal conferimento di incarichi di consulenza in violazione dei limiti posti dalla normativa (v. art. 7, co. 6, D. Lgs. 30 marzo 2001 n. 165 e s.m.i).

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339/2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE DEI CONTI

TERZA SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO

composta dai seguenti magistrati

Dott. Ignazio de MARCO Presidente relatore

Dott. Angelo DE MARCOPresidente aggiunto

Dott. Nicola LEONE Consigliere

Dott. ssa Maria FRATOCCHI Consigliere

Dott.ssa Marta TONOLO Consigliere

pronuncia la seguente

SENTENZA

sull’appello iscritto al n. 36.707 del registro di segreteria, proposto dal sig. X.Y. – rappresentato e difeso dagli avv.ti Marcello MOLE’ ed Emanuela QUICI, con domicilio eletto presso lo studio Molè in 00198 / Roma alla Via Nicolò Porpora, n. 16 – avverso la sentenza n. 1783/2009, depositata il 21.9.2009, della Sezione Giurisdizionale per la Regione Lazio.

VISTA la sentenza appellata resa tra le parti del presente giudizio;

VISTI gli atti di appello avverso detta sentenza;

UDITI, nella pubblica udienza del 18 aprile 2012, con l’assistenza della segretaria Signora Gerarda CALABRESE, il Presidente/relatore Dott. Ignazio de MARCO; l’avv. Molé e il Pubblico Ministero, nella persona del V. P. G. Dott.ssa Alessandra POMPONIO;

Ritenuto in

FATTO

Il sig. X.Y. appella la sentenza n. 1783/2009, della Sezione regionale per il Lazio della Corte dei conti che, facendo ampio uso del potere riduttivo, lo ha condannato al risarcimento del danno arrecato al “ZZZ.” di Roma, nella misura ridotta di euro 30.000,00 – comprensiva della rivalutazione monetaria, oltre agli interessi legali e alle spese di giudizio – in considerazione di altri apporti causali non dedotti in giudizio e dei parziali benefici derivati all’Azienda ospedaliera dalla collaborazione del signor W.W..

E’ da premettere che, con atto di citazione depositato il 20 giugno 2008 (a seguito di invito a dedurre del 18 febbraio 2008), la Procura Regionale per il Lazio aveva evocato in giudizio il sig.Y., nella sua qualità di Direttore Generale del “ZZZ.” di Roma, per sentirlo condannare al pagamento di euro 99.840,00 oltre rivalutazione ed interessi in favore di detta Azienda ospedaliera a causa del danno erariale arrecato avendo, con delibera 41 in data 11-3-2003, rinnovato al signor W.W., persona estranea all’amministrazione, un (risalente) incarico professionale della durata di un anno, compensato con euro 80.000,00 oltre la maggiorazione previdenziale del 4% e iva di legge (come da rapporto libero-professionale già in essere).

Nell’atto di appello ritualmente notificato e depositato il 29 dicembre 2009 nonché nella successiva memoria difensiva, pervenuta il 27 aprile 2011, i legali difensori del Y. hanno rappresentato i seguenti motivi di gravame:

– error in iudicando e in decidendo per aver la sentenza applicato disposizioni normative (nella specie il D. Lgs. n. 165/2001 nella versione modificata dall’art. 32 del D.L. n. 223/2006, convertito con legge n. 248/2006) non pertinenti alla fattispecie oggetto del presente giudizio, cioè la versione normativa in vigore nel 2003 (quando fu rinnovato l’incarico al sig.W.);

– error in iudicando e in decidendo per omessa motivazione e per insussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità erariale: la sentenza non ha, infatti, accertato l’esistenza di personale interno all’Azienda in grado di svolgere l’attività di controllo di gestione;

– la sentenza ha apoditticamente affermato la sussistenza del danno senza valutare i risultati positivi fatti ottenere dal sig.W. all’Azienda: il che non solo pone dei dubbi circa la sussistenza del nesso di causalità tra la delibera n. 41/2003 (di conferimento dell’incarico) e il preteso danno erariale ma neppure prova l’elemento soggettivo della colpa grave attribuibile al Y.;

– error in iudicando e in decidendo per omessa motivazione anche con riferimento alla cosiddetta “ compensatio lucri cum damno”.

La Procura Generale, con proprie conclusioni depositate il 23 giugno 2011, ha contro dedotto facendo presente: a) la sostanziale identità delle norme che regolano la materia – anche perché la norma applicabile nella fattispecie sarebbe in realtà l’art. 7, comma 6 del D. Lgs n. 165/2001 (e non del D. Lgs n. 29/1993) – e il lungo percorso giurisprudenziale, di cui la delibera non ha tenuto conto, secondo cui é principio basilare che ogni ente pubblico, dallo Stato all’ente locale, deve provvedere ai propri compiti con la propria organizzazione e il proprio personale. La possibilità di far ricorso a personale esterno può essere ammessa se, nei limiti e alle condizioni previsti dalla legge, sia impossibile provvedere altrimenti ad esigenze eccezionali ed impreviste di natura transitoria (cfr. Sez. controllo n. 111/1991; SS.RR. n.792/1992 e n.27/1998; Sez. II n.81/1997, n. 271/1999, nn. 136 e 137/2002); b) l’illegittimità della consulenza in esame (e il conseguente danno erariale attribuibile al Direttore Generale Y.) perché non contenente i motivi che l’avrebbero potuta giustificare: manca qualunque riferimento all’urgenza dell’incarico; la sua temporaneità non é osservata; la carenza di espliciti riferimenti all’assenza di personale amministrativo idoneo ad una struttura già da anni funzionante sotto la direzione del consulente; il limite di spesa occorrente per il personale come componente dell’organizzazione funzionale al raggiungimento dei fini pubblici; c) la illiceità del comportamento del Direttore Generale contrario alle più elementari regole di buona amministrazione integrando la colpa grave (non costituendo esimente l’asserita compartecipazione all’evento dannoso di altri soggetti, dei cui comportamenti la sentenza ha tenuto conto in applicazione del potere riduttivo); d) infine, la motivata esclusione da parte del Giudice di prime cure della “compensatio lucri cum damno” in quanto – conformemente alla giurisprudenza della Corte – non connessa al comportamento tenuto nella direzione del “ZZZ.” di Roma.

Nella pubblica udienza odierna, l’avv. MOLE’ ha precisato che l’incarico (di cui si discute il rinnovo e non il conferimento) risale al 1996 ed è prorogato fino al 2014: di conseguenza, a non voler individuare fumus persecutionis, non si comprende il motivo per cui si persegue solo il Y. e non gli altri Direttori Generali i quali pur hanno preso parte alla vicenda. Nel prospettare esonero di responsabilità, sia perché il lucro supera comunque il danno ipotizzato sia perché il predettoY. ha più volte, vanamente, chiesto la modifica della pianta organica (con introduzione dell’Ufficio di controllo di gestione), ha rappresentato la puntuale motivazione della delibera e, richiamando la documentazione allegata, ha concluso per l’accoglimento dell’appello e la condanna alle spese.

Il P.M., rilevato che la gravata sentenza si è già pronunciata sui motivi di appello (che sostanzialmente ricalcano quelli di primo grado), ha evidenziato il quadro legislativo e giurisprudenziale nonché i non eludibili “princìpi base” regolanti la materia; precisato che appare poco credibile l’insussistenza di personale in grado di svolgere il controllo di gestione all’interno del Policlinico, ha concluso per la reiezione del gravame tanto più che il danno è stato ampiamente ridotto dal Giudice territoriale.

D I R I T T O

1 – Premette la Sezione che la fattispecie attiene al rinnovo dell’ incarico al sig.W., peraltro, alquanto risalente – atteso che il primo (incarico) fu conferito dal 20 novembre 1996 al 10.11.1997 e, dopo l’interruzione di un anno, nuovamente conferito dal 15.7.1998 (delib. n. 507/1998) – e più volte rinnovato (talvolta, anche con automatismo) fino al 31.12.2002, con revisione del compenso, prima della delibera n. 41/2003 oggetto di esame alla quale sono seguiti altri rinnovi.

Questo perdurare dell’incarico non depone, anzitutto, per la sua regolarità e/o conformità a legge non potendo ipotizzarsi, stando al tenore delle disposizioni in materia, la durata della collaborazione così lunga nel tempo e, come si desume dalle delibere al proposito adottate, con motivi sostanzialmente sovrapponibili e/o coincidenti per non dire identici.

1. 2 – Il primo motivo di gravame (erronea applicazione del D. Lgs. n. 165/2001 nella versione modificata dall’art. 32 del D.L. n. 223/2006, convertito con legge n. 248/2006), non è giuridicamente sostenibile non solo perché la sentenza procede alla preliminare ricostruzione della normativa e ai princìpi ispiratori (v. pagg. 7 e 8) ma perché, come precisato dalla Procura Generale, le due norme citate dalla difesa del sig.Y. comunque si equivalgono.

A parte ciò, la disposizione nella fattispecie applicata (sin dalla prima delibera del 1996) è, in realtà, l’art. 7 del d. lgs n. 29 del 1993 come sostituito dall’art. 5 del d. lgs n. 546 del 1993 (poi, modificato dall’art. 3 del d. lgs. n. 387 del 1998) cui è seguito il comma 6 dell’art. 7 del D. Lgs n. 165/2001 così redatto:“Per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio, le amministrazioni pubbliche possono conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, ad esperti di provata competenza, determinando preventivamente durata, luogo, oggetto e compenso della collaborazione”.

Detto comma è stato, infine, sostituito nel 2006 dall’art. 32 d.l. n. 223/06 (conv. con legge n. 248/2006) che ha previsto, in particolare, (…) contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa, (…), in presenza dei seguenti presupposti: a) l’oggetto della prestazione deve corrispondere alle competenze attribuite dall’ordinamento all’amministrazione conferente e ad obiettivi e progetti specifici e determinati; b) l’amministrazione deve avere preliminarmente accertato l’impossibilita’ oggettiva di utilizzare le risorse umane disponibili al suo interno; c) la prestazione deve essere di natura temporanea e altamente qualificata; d) devono essere preventivamente determinati durata, luogo oggetto e compenso della collaborazione”.

Indipendentemente dalla succitata stratificazione normativa e a ben considerare, la delibera de qua n. 41/03 dell’11 marzo 2003 fa esclusivo riferimento soltanto all’art. 7, co. 6 del d. Lgs n. 29/1993 del 3 febbraio 1993 (come sostituito dall’art. 5 del d. lgs n. 546 del 1993) senza alcuna menzione delle altre modifiche intervenute fino al 2003.

2.1 – Orbene – indipendentemente dalle considerazioni svolte dalla Procura Generale circa detta, previgente normativa (“Così si è potuta aggirare la temporaneità dell’incarico con contratti annuali automaticamente rinnovabili, prefigurando una situazione di urgenza senza fine che giustifica di fatto un rapporto di lavoro autonomo continuato non consentito né ora né allora dall’ordinamento giuridico, prescindendo inoltre da una seria verifica sulla capacità dell’Ente a provvedere con la propria organizzazione e con il proprio personale alla soluzione dei compiti poi affidati per oltre un lustro al consulenteW.) – è da rammentare che la giurisprudenza già all’epoca elaborata affermava il basilare principio secondo cui ogni ente pubblico, dallo Stato all’ente locale, deve in primis provvedere ai propri compiti con la propria organizzazione e con il proprio personale; principio che traeva origine, in particolare, dalle norme dettate specificamente per l’amministrazione statale (ad es., l’art. 380 del t.u. 10 gennaio 1957, n. 3 e/o l’art. 152 del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1077) e dall’art. 97 della Costituzione ritenendosi che le P.A. hanno l’obbligo di far fronte alle ordinarie competenze istituzionali col migliore e/o più produttivo impiego delle risorse umane e professionali di cui dispongono sicché la facoltà di ricorrere ad altrui collaborazioni va collocata nel contesto normativo ordinamentale e deve conformarsi ai criteri di efficacia ed economicità dell’azione amministrativa anche se il conferimento dell’incarico stesso sia formalmente legittimo.

Giurisprudenza che era – e ancor oggi continua a essere – assai ferma nel ribadire come il ricorso a personale esterno può essere ammesso se, nei limiti e alle condizioni previsti dalla legge, sia impossibile provvedere altrimenti ad esigenze eccezionali ed impreviste di natura transitoria (cfr. Sez. controllo n. 111/1991; SS.RR. n. 792/1992 e n. 27/1998; Sez. II c.le d’appello n .81/1997, n. 271/1999, nn. 136 e 137/2002) purché si tratti di obiettivi e progetti specifici, determinati e temporanei, impossibili da conseguire con le risorse umane disponibili all’interno dell’amministrazione). Esegesi sostanzialmente attestata nel puntualizzare che le pubbliche amministrazioni hanno l’obbligo di far fronte alle competenze istituzionali mediante il più proficuo utilizzo di risorse umane e professionali esistenti nell’ambito delle proprie strutture, e il ricorso a incarichi professionali esterni, avendo natura eccezionale, può avvenire solo nei casi di necessità e urgenza, nell’impossibilità oggettiva di utilizzare le risorse umane (ossia la carenza di figure interne aventi professionalità e/o idoneità specifica).

Giurisprudenza che ha dato, dunque, corpo e sostanza a norme a contenuto generico da interpretare in conformità all’ordinamento giuridico allora vigente e, in particolare, al dettato costituzionale dell’art. 97, che la sentenza appellata ha correttamente applicato per l’incarico in esame – rimarcando l’illegittimità della delibera n. 41/2003 e il conseguente danno erariale attribuibile al Direttore Generale – mentre ilY. non ne ha tenuto conto pur se da lui, proprio per la sua qualificata posizione all’interno dell’Azienda sanitaria di ampia rilevanza pubblica, era da attendersene scrupolosa osservanza.

2 – Sul secondo motivo di gravame (error in iudicando e in decidendo per omessa motivazione e per insussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità erariale, poiché non sarebbe stata accertata l’esistenza di personale interno all’Azienda in grado di svolgere l’attività di controllo di gestione), osserva il Collegio che il Direttore Generale – ancorché limitatosi a far propria la proposta sottopostagli Responsabile del Dipartimento Tecnologie e Gestione del patrimonio, condivisa dal Responsabile delle Risorse economiche e finanziarie – con parere favorevole del Direttore Amministrativo e del Direttore Sanitario – era in grado (per non dire doveva) di apprezzare “ictu oculi” nella delibera e/o nella proposta la carenza di specifica motivazione nonché di espliciti riferimenti all’assenza di personale amministrativo idoneo ad una struttura già, da anni, funzionante sotto la direzione del medesimo consulente, coadiuvato da personale inserito nelle piante organiche dell’ente.

Manca, dunque, qualunque riferimento all’urgenza dell’incarico e neppure é specificata la sua temporaneità prevedendosi, invece, come negli anni precedenti, la durata annuale salva la possibilità di interrompere l’incarico stesso (come da allegata lettera di conferimento). Inoltre, al di là delle formali espressioni adoperate, il contenuto della prestazione è tipico di un rapporto d’impiego poiché, in concreto, consiste nella responsabilità dell’Ufficio “Controllo di gestione” dell’Azienda: un servizio, cioè, già realizzato precedentemente e di cui costituiva pedissequa continuazione.

Per questi profili, pertanto, il comportamento tenuto dal Direttore Generale – in occasione del rinnovo dell’incarico – risulta illecito nonché contrario alle più elementari regole di buona amministrazione e integra la colpa grave per aver sottoscritto la delibera ancorché priva dei motivi che avrebbero dovuta sorreggerla.

2.1 – Giova richiamare, in proposito, la consolidata e condivisibile giurisprudenza della Corte dei conti secondo cui, non essendo possibile configurare un generale criterio di valutazione della colpa grave, occorre far riferimento – oltre al rilevante grado di negligenza, di imprudenza o di imperizia nonché alla superficialità e leggerezza del comportamento – “al grado di anomalia e di incompatibilità dei comportamenti concreti rispetto agli schemi normativi astratti, ivi compreso il dovere di svolgere i propri compiti con il massimo di lealtà e diligenza, dovendosi in particolare esaminare il concreto atteggiarsi dell’agente, calato nella contestualità del momento, nei fini del suo agire quali desumibili da indici di presunzione di esperienza, perizia e buon senso, nel grado di prevedibilità di eventi dannosi e nella quota di esigibilità, anche alla stregua di altri doveri e fini pubblici da seguire, della norma infranta” (Sez. Giur. Piemonte, sent. 02/11/2005, n. 647). Detto grado di colpa, infatti, consiste in una “inammissibile trascuratezza e negligenza dei propri doveri, coniugata alla prevedibilità delle conseguenze dannose del comportamento” (Sez. Giur. Calabria, sent. 01/07/2005, n. 763) in relazione alle modalità del fatto, all’atteggiamento soggettivo dell’autore nonché al rapporto tra tale atteggiamento e l’evento dannoso: “di guisa che il giudizio di riprovevolezza della condotta venga in definitiva ad essere basato su un quid pluris rispetto ai parametri di cui agli artt. 43 cod. pen. e 1176 cod. civ.” (Sezioni Riunite, sent. 10/06/1997, n. 56).

2.2 – Nella specie sono palesi la scarsa diligenza, superficialità, trascuratezza del modus procedendi del convenuto tale da configurare la sua piena responsabilità in ordine al pregiudizio patrimoniale derivato all’Azienda nel cui nome ed interesse egli ha agito.

Né, peraltro, costituisce esimente l’asserita compartecipazione all’evento dannoso di altri soggetti – dei cui comportamenti la sentenza ha tenuto conto (v. pag. 13) – poiché il Giudice territoriale ha (ri)determinato il quantum della condanna “in via equitativa a norma dell’art. 1226 c.c.” avendo “concorso all’adozione del provvedimento contestato anche il parere favorevole (…) da parte del responsabile del servizio competente”.

3 – Circa il mancato accertamento dell’(eventuale) esistenza di personale interno all’Azienda in grado di svolgere l’attività di controllo di gestione osserva il Collegio che detto accertamento non rientrava nelle competenze del Giudice di primo grado ma doveva costituire parte fondamentale della motivazione della delibera nel sostenerne l’insussistenza. Comunque, sul punto, la sentenza puntualizza che “il collaboratore esterno, per lo svolgimento della sua consulenza, non poteva non appoggiarsi agli uffici dell’ente e non è ragionevole pensare che gli impiegati e i funzionari che erano stati coinvolti nell’attività non avessero acquisito, in un limitato e conveniente periodo di tempo, le cognizioni necessarie per lo svolgimento dei compiti cui si riferiva la consulenza” (pag. 10).

4 – Infine, contrariamente a quanto affermato dalla difesa dell’appellante, appare più che motivata l’esclusione da parte del Giudice di prime cure della “compensatio lucri cum damno” poiché – conformemente alla giurisprudenza della Corte – non connessa con il comportamento tenuto dalY. nella direzione del “ZZZ.” di Roma nell’esaminata fattispecie di danno. Ad ogni modo la sentenza facendo applicazione del potere riduttivo, ha considerato la “circostanza di un parziale beneficio che l’Azienda ospedaliera poteva aver tratto dalla collaborazione del signorW., anche se tale beneficio non copriva certamente l’elevato costo della consulenza” (v. pag. 14), attenendosi verosimilmente a pacifica giurisprudenza in materia (cfr. per tutte, Corte conti, Sez. Giur. Sez.T.AA – Trento, sent. n. 48 del30/10/2007 secondo la quale “Per la quantificazione del danno emergente occorre tener presente il vantaggio comunque conseguito laddove l’avverbio “comunque” ha una valenza espansiva, tesa a comprendere qualsiasi vantaggio e non solo quello che si collega direttamente al fatto illecito, pur se il giudice contabile deve attenersi agli stessi criteri della più generale compensatio lucri cum damno, ossia: effettività della utilitas conseguita, stesso fatto generatore del danno e del “vantaggio”, appropriazione dei risultati da parte della P.A. o della comunità amministrata, rispondenza dell’utilitas ai fini istituzionali dell’amministrazione che la riceve, ecc.”).

Non è da trascurare che, in tema di affidamento di incarichi di consulenza a soggetti esterni, non sussiste alcun potere discrezionale del Giudice contabile nella quantificazione del danno dovendo essere, quest’ultimo, individuato con un puntuale accertamento delle poste passive (somme pagate) e attive (utilitas conseguite dall’incarico esterno) da esternarsi in sentenza con adeguata motivazione (Corte conti, Sez.1^ Giur. c.le d’appello, sent. n. 143 del30/05/2007).

4 – In ragione di quanto precede la sentenza appellata non merita censura e l’appello é, pertanto, è da respingere.

5 – Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dei Conti, Sezione Terza Giurisdizionale centrale d’appello, definitivamente pronunciando respinge l’appello n. 36.707 proposto dal sig. X.Y..

Condanna il medesimo al pagamento delle spese del grado che si quantificano in euro 102,34 (centodue/34).

Roma, Camera di consiglio del 18 aprile 2012.

Il Presidente relatore /estensore

F.to dott. Ignazio de Marco

Depositata in Segreteria 04/05/2012

IL DIRIGENTE

F.To Dott. Michele Lorenzelli