Patto di stabilità: sull'art. 9, comma 28, D.L. n. 78/20120

NOTA

I pareri in rassegna confermano, con dovizia di argomentazioni, che l’art. 9, co. 28, D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito nella L. 30 luglio 2010 n. 122 (come modificato dall’art. 4, co. 102, della L. 12 novembre 2011 n. 183) contiene una norma immediatamente precettiva per gli enti locali e non di mero principio, privando l’ente di qualsiasi discrezionalità applicativa.

Il parere n. 26 chiarisce che i vincoli desumibili da tale disposizione – come in seguito modificati e integrati – si estendono anche agli incarichi di cui all’art. 110, D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 (cd. TUEL) (nella specie, il Comune di Scandale chiedeva lumi circa la spesa per l’assunzione, con contratto a tempo determinato, di una unità di personale di cat. D per l’ufficio tecnico ai sensi dell’art. 110, c.2, del TUEL).

Il parere n. 23 chiarisce, invece, che ai fini dell’applicazione dei vincoli di cui all’art. 9, co. 28 cit.:

– il parametro di riferimento, costituito dalla spesa “per le stesse finalità” sostenuta nel 2009, deve necessariamente includere qualsivoglia onere derivato da “contratti di lavoro subordinato a tempo determinato” o “con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa” (così testualmente la norma), compresi quelli che eventualmente siano tuttora legittimamente in corso;

– nell’ammontare complessivo della spesa 2009 non possono essere computati gli oneri sostenuti dall’ente per la retribuzione dell’incarico di direttore generale eventualmente conferito al segretario comunale ai sensi dell’articolo 108 comma 4 del d.lgs. n. 267/2000;

– la ridetta disposizione dell’art. 9, ancorché avente valenza immediatamente precettiva, non determina l’inefficacia sopravvenuta dei rapporti a tempo determinato (pur se legittimamente instaurati pro tempore) in corso alla data di entrata in vigore della norma limitativa, nella misura in cui comportino una spesa “eccedente” il limite di legge.

* * *

Deliberazione n. 26 /2012

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE REGIONALE di CONTROLLO per la CALABRIA

composta dai Magistrati

– Dott. Roberto TABBITA Presidente

– Dott. Giuseppe GINESTRA Consigliere – Dott. Massimo AGLIOCCHI Referendario

– Dott. Cosmo SCIANCALEPORE Referendario relatore

NELL’ADUNANZA DEL 12 APRILE 2012

VISTO l’art. 100, c.2, della Costituzione;

VISTO il Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con R.D. 12 luglio 1934, n.1214;

VISTA la legge 14 gennaio 1994, n.20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti;

VISTO il regolamento 14/2000 per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, deliberato dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti in data 16 giugno 2000 e successive modifiche;

VISTA la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3;

VISTA la legge 5 giugno 2003 n.131, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3;

VISTO il decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267 recante il Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;

VISTA la deliberazione della Sezione delle Autonomie approvata nell’adunanza del 27 aprile 2004, avente a oggetto gli indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva;

VISTA la deliberazione n.9/SEZAUT/2009/INPR della Sezione delle Autonomie approvata nell’adunanza del 4 giugno 2009 avente ad oggetto “Modificazioni ed integrazioni degli Indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva da parte delle Sezioni regionali di controllo”;

VISTA la delibera delle SS.RR. in sede di controllo n.8/CONTR/2010;

VISTA la delibera delle SS.RR. in sede di controllo n.54/CONTR/2010;

VISTA la nota prot. n.1239 del 29 febbraio 2012, con la quale il Comunedi SCANDALE(KR) ha inoltrato richiesta di parere a questa Sezione;

VISTA l’ordinanza n.15/2012, con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per l’odierna seduta;

UDITO il Magistrato relatore Dott. Cosmo Sciancalepore;

FATTO

Il Comune di Scandale, con la sopra citata nota n.1239 del 29 febbraio 2012, pervenuta alla Sezione in data 1 marzo 2012, prot. n.1095, ha chiesto se la spesa per l’assunzione di una unità di personale di cat. D ai sensi dell’art.110, c.2, del Tuel sia soggetta o meno ai limiti quantitativi previsti dall’art.9, c.28, del D.L. 78/2010 (come modificato dall’art.4, c.102, della legge 183/2011) o se la qualificazione della disposizione, da parte del legislatore, come norma di principio, abbia voluto riconoscere agli enti locali un margine di autonomia.

AMMISSIBILITA’ SOGGETTIVA E OGGETTIVA

1. Sulla funzione consultiva.

La funzione consultiva delle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è prevista dall’art.7, c.8, della legge n. 131/2003, il quale consente alle Regioni di chiedere alle Sezioni regionali di controllo “ulteriori forme di collaborazione” ai fini della regolare gestione finanziaria e della efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, “nonché pareri in materia di contabilità pubblica”, aggiungendo che “analoghe richieste possono essere formulate, di norma tramite il Consiglio delle autonomie locali se istituito, anche da Comuni, Province e Città metropolitane”.

2. Sulla ammissibilità del quesito.

In via preliminare, va verificata la sussistenza dei requisiti soggettivi e oggettivi di ammissibilità della richiesta di parere.

2.1. Sotto il profilo soggettivo, poiché la richiesta di parere – nelle more dell’attuazione della legge regionale 5 gennaio 2007, n.1, istitutiva del Consiglio delle Autonomie Locali nella Regione Calabria – proviene direttamente dal Sindaco del Comune, quale Organo rappresentativo dell’Ente ai sensi dell’art.50 del D.Lgs. 18 agosto 2000, n.267, la stessa richiesta deve ritenersi ammissibile.

2.2. Sotto il profilo oggettivo, va precisato preliminarmente che il perimetro della «materia della contabilità pubblica» è stato delimitato dalla Sezione delle autonomie della Corte dei Conti nell’adunanza del 27 aprile 2004, come integrata con successiva deliberazione n. 9/SEZAUT/2009/INPR del 3 luglio 2009 e ulteriormente chiarito con la deliberazione 54/CONTR/2010 delle Sezioni Riunite in sede di controllo della Corte dei conti. Da tali documenti, considerato che qualsiasi attività amministrativa può avere riflessi finanziari e quindi, ove non si adottasse una nozione tecnica del concetto di contabilità pubblica, si renderebbe la Sezione regionale di controllo organo di consulenza generale della pubblica amministrazione, si desume che l’oggetto dell’attività consultiva è circoscritto alla sola attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, ricomprendendo, in particolare, la disciplina dei bilanci e i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria-contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi controlli.

E’ stato altresì chiarito che ulteriori materie, estranee, nel loro nucleo originario, alla “contabilità pubblica”, in una visione dinamica dell’accezione che sposta l’angolo visuale dal tradizionale contesto della gestione del bilancio a quello inerente ai relativi equilibri, possono ritenersi ad essa riconducibili, per effetto della particolare considerazione riservata dal legislatore nell’ambito della funzione di coordinamento della finanza pubblica. Tra tali materie rientrano, ad esempio, quella concernente la spesa per il personale e quella riguardante le assunzioni (deliberazione 54/CONTR/2010 delle Sezioni Riunite in sede di controllo della Corte dei conti).

Dalla vigente normativa, così come costantemente interpretata dalla Corte dei conti, si evince, inoltre, che la funzione consultiva attribuita alle Sezioni regionali non può concernere fatti gestionali specifici ma ambiti e oggetti di portata generale e non deve rispondere a questioni che possono formare oggetto di esame specifico da parte della stesse Sezioni Regionali in sede di controllo come di altri Organi, proprio per scongiurare interferenze e condizionamenti ed evitare di orientare le amministrazioni nelle scelte di condotte da tenere nelle riferite sedi.

Perché sussistano le necessarie condizioni oggettive di ammissibilità occorre quindi l’attinenza della richiesta con la materia della contabilità pubblica e il carattere generale e astratto della questione sottostante al quesito di modo che il parere non vada a incidere su specifiche fattispecie concrete sulle quali potrebbero pronunciarsi, nell’ambito della loro competenza, altri organi. La funzione consultiva attribuita alle Sezioni regionali della Corte dei conti infatti non può concernere fatti specifici ma ambiti e oggetti di portata generale. Risultano pertanto inammissibili le richieste concernenti casi o atti specifici al fine di escludere una ingerenza della Corte dei conti nella concreta attività gestionale dell’ente e una compartecipazione alla amministrazione attiva dello stesso.

Con specifico riferimento alle richieste oggetto della presente pronuncia, sotto il profilo della ammissibilità oggettiva, la Sezione ritiene che il quesito sia oggettivamente ammissibile sia perché rientrante nella materia della contabilità pubblica come sopra definita sia perché avente carattere generale e astratto.

MERITO

1. Il Comune di Scandale, non soggetto alla normativa sul patto di stabilità, chiede a questa Sezione se la spesa per l’assunzione, con contratto a tempo determinato, di una unità di personale di cat. D per l’ufficio tecnico ai sensi dell’art.110, c.2, del Tuel sia soggetta o meno ai limiti quantitativi previsti dall’art.9, c.28, del D.L. 78/2010 (come modificato dall’art.4, c.102, della legge 183/2011) o se la qualificazione della disposizione, da parte del legislatore, come norma di principio, abbia voluto riconoscere agli enti locali un margine di autonomia.

L’art.9, c.28, del D.L. 78/2010 stabilisce che, a decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, incluse le Agenzie fiscali di cui agli articoli 62, 63 e 64 del D.Lgs. 300/1999, gli enti pubblici non economici, le università e gli enti pubblici di cui all’art.70, c.4, del D.Lgs. 165/2001, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, fermo quanto previsto dall’art.7, c.6 e dall’art.36 del D.Lgs. 165/2001, possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50% della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009. Per le medesime amministrazioni, la spesa per personale relativa a contratti di formazione-lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio di cui all’art.70, c.1, lett. D, del D.Lgs. 276/2003 non può essere superiore al 50% di quella sostenuta per le rispettive finalità nell’anno 2009. Le disposizioni di cui al presente comma costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale. Il riferimento agli enti locali è stato aggiunto dall’art.4, c.102, lett. B, della legge 183/2011 (legge di stabilità 2012). Per effetto di tale modifica le disposizioni contenute nell’art.9, c.28, del D.L. 78/2010, volte ad arginare il ricorso, tra l’altro, ad assunzioni di personale a tempo determinato, per gli enti locali, costituiscono principi generali ai quali adeguarsi.

2. La prima questione da affrontare è quella della misura in cui tale disposizione si applica agli enti locali. Occorre infatti definire se tale norma si applica integralmente e direttamente agli enti locali oppure se agli stessi il legislatore, stabilendo che trattasi di principi generali ai quali adeguarsi, ha assegnato un margine di autonomia non riconosciuto, ad esempio, alle amministrazioni dello stato.

La possibilità per lo Stato di stabilire, nei confronti degli enti locali, ai sensi dell’art.117, c.3, della Costituzione, principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica è confermata dall’orientamento giurisprudenziale in materia sia della Corte costituzionale (sentenze 417/2005, 169/2007, 237/2009, 52/2010 e 326/2010) sia della Corte dei conti (deliberazione delle Sezioni riunite in sede di controllo 5/CONTR/2011). I requisiti che devono sussistere affinchè le norme statali che fissano limiti alla spesa delle regioni e degli enti locali possano qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica (art.117, c.3, Cost.) sono, in primo luogo, che esse si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica (intesi anche nel senso di un transitorio contenimento complessivo, sebbene non generale, della spesa corrente); in secondo luogo, che non prevedano strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (Corte costituzionale, sentenza n.169/2007).

Sulla questione relativa alla diretta e integrale applicabilità agli enti locali dell’art.9, c.28, del D.L. 78/2010 si sono già pronunciate, in sede consultiva, in senso favorevole, altre Sezioni regionali (Sez. Campania 493/2011/PAR; Sez. Marche 6/2012/PAR; Sez. Toscana 6/2012/PAR; Sez. Lombardia 13/2012/PAR). Questa Sezione ritiene comunque di non discostarsi dal finora prevalente orientamento della giurisprudenza contabile favorevole alla diretta ed integrale applicabilità della normativa in argomento agli enti locali trattandosi di norma statale che, in conformità a quanto affermato in materia dalla Corte costituzionale (sentenza n.169/2007) si limita a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica mediante il contenimento di una rilevante voce di spesa corrente senza indicare strumenti o modalità per il perseguimento del suddetto obiettivo.

3. Risolta la questione della diretta ed integrale applicabilità agli enti locali dell’art.9, c.28, del D.L. 78/2010 per effetto della modifica introdotta dalla legge 183/2011, occorre chiarire se una assunzione ai sensi dell’art.110, c.2, del Tuel è soggetta o meno ai limiti quantitativi previsti dal citato art.9.

L’art.110, c.2, del Tuel prevede che il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi dell’ente locale, negli enti in cui è prevista la dirigenza, stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, contratti a tempo determinato per i dirigenti e le alte specializzazioni, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5% del totale della dotazione organica della dirigenza e dell’area direttiva e comunque per almeno una unità. Negli altri enti, il regolamento sull’ordinamento degli uffici e dei servizi stabilisce i limiti, i criteri e le modalità con cui possono essere stipulati, al di fuori della dotazione organica, solo in assenza di professionalità analoghe presenti all’interno dell’ente, contratti a tempo determinato di dirigenti, alte specializzazioni o funzionari dell’area direttiva, fermi restando i requisiti richiesti per la qualifica da ricoprire. Tali contratti sono stipulati in misura complessivamente non superiore al 5% della dotazione organica dell’ente arrotondando il prodotto all’unità superiore o ad una unità negli enti con una dotazione organica inferiore alle 20 unità. Tali contratti non possono avere durata superiore al mandato elettivo del Sindaco o del Presidente della Provincia in carica. Il contratto a tempo determinato è risolto di diritto nel caso in cui l’ente locale dichiari il dissesto o venga a trovarsi nelle situazioni strutturalmente deficitarie.

Considerato che i contratti previsti dall’art.110, c.2, del Tuel sono espressamente definiti dal legislatore “contratti a tempo determinato” non ci sono motivi per escludere che anche le assunzioni previste dall’art.110, c.2, del Tuel sono soggette ai limiti quantitativi previsti dall’art.9, c.28, del D.L. 78/2010 riferito, altrettanto espressamente, al personale a tempo determinato. In tal senso si sono già pronunciate, in sede consultiva, tenendo conto delle innovazioni introdotte dalla legge 183/2011, anche altre Sezioni di questa Corte (sez. Lombardia 13/2012/PAR; sez. Toscana 6/2012/PAR). Si evidenzia in proposito che la normativa in esame, palesemente rivolta a promuovere il contenimento delle spese in materia di pubblico impiego, non prevede eccezioni di sorta e la sua finalità di contenimento della spesa appare ancora più giustificata in rapporto ad una ipotesi, quale quella in esame disciplinata dall’art.110, c.2, del Tuel, rivolta a consentire assunzioni al di fuori della dotazione organica e già in origine, prima ancora che il legislatore prevedesse varie misure di contenimento della spesa del personale, sottoposta a vari limiti e condizioni.

Con riferimento ai contratti disciplinati dall’art.110, c.2, del Tuel, appare infine opportuno precisare che la limitazione quantitativa prevista dall’art.9, c.28, del D.L. 78/2010, come modificato dalla legge 183/2011, non sostituisce ma si aggiunge ai vincoli e alle limitazioni già previste in materia.

P.Q.M.

La Sezione regionale di controllo per la Calabria rende il parere nei termini sopra riportati.

Copia della presente deliberazione sarà trasmessa, a cura del Direttore della Segreteria, al Sindaco del Comune di Scandale.

Così deciso in Catanzaro il 12 aprile 2012.

* * *

Deliberazione n.23/2012

Corte dei Conti

Sezione Regionale di Controllo per la Calabria

composta dai magistrati:

dott. Roberto Tabbita Presidente

dott. Giuseppe Ginestra Consigliere, relatore

dott. Massimo Agliocchi Referendario

dott. Cosmo Sciancalepore Referendario

nell’adunanza del 12 aprile 2012

VISTO l’art. 100, comma 2, della Costituzione;

VISTO il Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con R.D. 12 luglio

1934, n. 1214, e successive modificazioni;

VISTA la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti;

VISTO il regolamento (14/2000) per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, deliberato dalle Sezioni Riunite della Corte dei conti in data 16 giugno 2000 e successive modifiche;

VISTA la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3;

VISTA la legge 5 giugno 2003 n. 131, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;

VISTO il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;

VISTA la deliberazione della Sezione delle Autonomie approvata nell’adunanza del 27 aprile 2004, avente ad oggetto gli indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva;

VISTA la deliberazione n.9/SEZAUT/2009/INPR della Sezione delle Autonomie approvata nell’adunanza del 4 giugno 2009 avente ad oggetto “Modificazioni ed integrazioni degli Indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva da parte delle Sezioni regionali di controllo”;

VISTA la delibera delle SS. RR. in sede di controllo n. 54/CONTR/2010;

VISTA la nota prot. n. 2260 del 7 febbraio 2012, con la quale il Comune di Cassano allo Jonio ha inoltrato richiesta di parere a questa Sezione;

VISTA l’ordinanza n.15/2012 con la quale il Presidente di questa Sezione di controllo ha convocato la Sezione per l’odierna seduta;

UDITO il magistrato relatore, Cons. Giuseppe GINESTRA.

FATTO

Il Sindaco del Comune di Cassano allo Jonio, con missiva prot. in arrivo n. 795 del 10 febbraio 2012, premesso di aver assunto nel 2009, con contratto a tempo determinato, un responsabile per il settore urbanistica ed un responsabile per il settore lavori pubblici tutt’oggi in servizio, ha richiesto a questa Sezione un parere in ordine all’interpretazione e corretta applicazione dell’articolo 9, comma 28 del decreto legge n. 78/2010 (convertito con modificazioni dalla legge n. 122/2010), come modificato dall’articolo 4, comma 102, della legge n. 183/2011 (legge di stabilità 2012).

In dettaglio, il comune di Cassano allo Jonio, soggetto ex lege al patto di stabilità, ha sottoposto alla cognizione di questa Corte i seguenti specifici quesiti:

  • Se detta normativa, in quanto definita dalla legge quale principio generale di coordinamento della finanzia pubblica, trovi immediata applicazione anche in mancanza di regolamentazione di dettaglio da parte dell’ente;
  • “se il limite del 50% della spesa deve essere applicato esclusivamente alle nuove assunzioni a tempo determinato o se deve essere applicato retroattivamente anche ai rapporti a tempo determinato già in corso”;
  • “Se nel computo del limite del 50% della spesa del personale sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009 possa essere computata la spesa relativa all’incarico di direttore generale attribuito al segretario generale dell’epoca”.

DIRITTO

In via preliminare, occorre innanzitutto verificare l’ammissibilità della richiesta di parere avanzata dal Sindaco del Comune di Cassano allo Jonio, sia dal punto di vista soggettivo, id est la legittimazione del soggetto richiedente, che da quello oggettivo, concernente l’attinenza dei quesiti alla materia della contabilità pubblica.

Sotto il profilo soggettivo, in ossequio agli indirizzi interpretativi opinati dalla Sezione delle Autonomie, pare appena il caso di evidenziare che la legittimazione attiva alla richiesta di parere debba essere “circoscritta ai soli enti previsti dalla norma, stante la natura speciale che essa assume, rispetto all’ordinaria sfera di competenze assegnate alla Corte”, tra i quali rientrano, de plano, i Comuni. Sempre sotto il profilo soggettivo, nel caso in esame, la richiesta deve ritenersi ammissibile in quanto proveniente, nelle more dell’attuazione della legge regionale 5 gennaio 2007 n. 1, istitutiva del Consiglio delle Autonomie Locali nella Regione Calabria, direttamente dal Sindaco del Comune, organo rappresentativo dell’Ente ai sensi dell’art. 50 del d. lgs 18 agosto 2000, n.267.

Sotto il profilo oggettivo, occorre evidenziare che l’attribuzione a questa Corte di competenza consultiva, recata dall’articolo 7, comma 8, della legge n. 131/2003, deve essere raccordata con il precedente comma 7, norma che attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di principio e di programma, la sana gestione finanziaria degli enti locali. In sostanza, dunque, non può non rilevarsi come l’ordinamento giuridico, lungi dal configurare la Corte dei conti quale organo consultivo a competenza generale, circoscriva espressamente il potere-dovere di rilasciare pareri alla sola materia della “contabilità pubblica” (così testualmente l’articolo 7, comma 8, della legge n. 131 del 2003).

Al riguardo, le Sezioni Riunite della Corte dei conti, intervenendo con una pronuncia in sede di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 17, c. 31, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, hanno delineato una definizione unitaria della nozione di contabilità pubblica incentrata sul “sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici”, da intendersi in senso dinamico anche in relazione alle materie che incidono sulla gestione del bilancio e sui suoi equilibri (Delibera n. 54, in data 17 novembre 2010). Per converso, la delimitazione oggettuale della funzione consultiva, come sopra delineata, induce ad escludere qualsiasi possibilità di intervento della Corte dei conti nella concreta attività gestionale ed amministrativa, che ricade nella esclusiva competenza dell’autorità che la svolge, e che la funzione consultiva possa interferire in concreto con competenze di altri organi giurisdizionali.

Con specifico riferimento alla richiesta oggetto della presente pronuncia, deve ritenersi, alla luce della più recente giurisprudenza delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, che il quesito posto dal comune Cassano allo Jonio rivesta “carattere generale” e nel contempo rientri nella materia della contabilità pubblica in quanto riconducibile al “sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici”.

Nel merito, si osserva in limine come la soluzione dei quesiti posti dal comune di Cassano alla Jonio presupponga una sintetica ricostruzione dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale della normativa in materia di limiti alle assunzioni, con particolare riferimento ai rapporti di lavoro a tempo determinato nei comuni soggetti al patto di stabilità.

Peraltro, con riferimento in generale al settore delle pubbliche amministrazioni, deve innanzitutto rilevarsi come il legislatore, a seguito dell’incremento del fenomeno del precariato e dei relativi costi a carico dell’erario, abbia inteso, per un verso, stabilizzare quello ormai “storico” (da ultimo, cfr. legge n.244/2007 e successive parziali proroghe), ma nel contempo marginalizzare pro futuro il fenomeno, obiettivo perseguito, in via generale, mediante modifiche alla normativa comune fondamentale posta dall’articolo 36 del d.lgs. n. 165/2001 (si vedano, in particolare, l’art. 49 del d.l. n. 122/2008 e gli artt. 4 del d.l. n. 4/2006 e 3 comma 79 della legge n. 244/2007).

Infatti, detta disposizione del testo unico sul pubblico impiego, nel testo attualmente vigente, premesso il principio secondo cui “per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato”, circoscrive la possibilità di ricorrere a “forme contrattuali flessibili” al ricorrere della necessità di “rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali”, fermo l’imprescindibile “rispetto delle procedure di reclutamento vigenti”.

Sempre al fine di perseguire le medesime finalità, l’articolo 7 comma 6 del TUPI espressamente subordina la possibilità di “conferire incarichi individuali, con contratti di lavoro autonomo, di natura occasionale o coordinata e continuativa” ad un insieme di presupposti di legittimità, tra i quali in particolare, oltre alla specializzazione universitaria dell’incaricato, il previo accertamento dell’impossibilità di utilizzare le risorse umane interne, il preventivo esperimento di “procedure comparative”, nonchè la natura temporanea e altamente qualificata della prestazione, prevedendo altresì che “il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti”.

Peraltro, per il settore degli enti locali, il comma 6 ter del menzionato articolo 7 del TUPI ha espressamente previsto che “ I regolamenti di cui all’articolo 110, comma 6, del testo unico di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, si adeguano ai principi di cui al comma 6”.

Peraltro, sempre relativamente al comparto degli enti locali, fermi i principi posti dal testo unico e i vincoli generali sulla spesa corrente (e su alcune sue specifiche articolazioni), occorre altresì evidenziare come, nell’ambito della più generale politica di contenimento delle spese per il personale, il legislatore abbia ormai da qualche tempo ritenuto di introdurre specifiche disposizioni limitative delle assunzioni, nell’ambito delle quali assume notevole rilievo la norma prevista dall’articolo art. 76, settimo comma, del d.l. n. 112/2008, convertito in legge 133/2008, disposizione che peraltro è stata nel tempo oggetto di molteplici modifiche normative e interpretazioni giurisprudenziali.

In particolare, il testo originario della norma testualmente prevedeva che “Fino all’emanazione del decreto di cui al comma 6 è fatto divieto agli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale.”

Una prima modifica è stata apportata dall’articolo 19, comma 9 del d.l. 78/2010 (convertito in legge 122/2010), a seguito della quale la disposizione de qua così recitava: “E’ fatto divieto agli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente». La disposizione del presente comma si applica a decorrere dal 1° gennaio 2011, con riferimento alle cessazioni verificatesi nell’anno 2010.”.

Ulteriori modifiche sono state apportate, dopo breve tempo, dal’art. 1, comma 118, della legge 220/2010, che ha aggiunto in coda alla disposizione il seguente periodo: “Per gli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o inferiore al 35 per cento delle spese correnti sono ammesse, in deroga al limite del 20 per cento e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le assunzioni per turn-over che consentano l’esercizio delle funzioni fondamentali previste dall’articolo 21, comma 3, lettera b), della legge 5 maggio 2009, n. 42”.

Un mutamento dei parametri di calcolo è stato quindi determinato dall’art. 20, comma 9, del d.l. 98/2011, convertito dalla legge 111/2011, che ha inserito, dopo il primo periodo, il seguente testo: “Ai fini del computo della percentuale di cui al periodo precedente si calcolano le spese sostenute anche dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, nè commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica. La disposizione di cui al precedente periodo non si applica alle società quotate su mercati regolamentati”.

In proposito pare quanto mai opportuno rilevare che sotto la vigenza del testo normativo menzionato, frutto delle riassunta diacronica stratificazione normativa, è intervenuta una rilevante pronunzia consultiva delle sezioni riunite della Corte dei conti, in sede di controllo (n..44/2011 del 29 agosto 2011), che, a fini di tutela del pubblico erario, ha ritenuto che il limite del 20% individuato dalla norma fosse direttamente applicabile anche al personale a tempo determinato, essendo “indifferente la tipologia contrattuale, rilevando esclusivamente il risultato in termini di saldi economici e finanziari”, e non esistendo “nell’ordinamento vigente un principio di favor nei confronti delle assunzioni temporanee o precarie rispetto a quelle a tempo indeterminato”.

Insieme al suddetto ampliamento ermeneutico dell’ambito di applicazione della norma, la Corte, tuttavia, per un verso ha richiamato l’esistenza di una deroga esplicita al limite del 20% – introdotta dal citato art. 1, comma 118, della legge 220/2010 – in relazione alle assunzioni per turn over finalizzate all’esercizio delle funzioni di polizia locale, considerate fondamentali per il disposto dell’art. 21, comma 3, lett. b), della legge n. 42/2009, e nel contempo ha ritenuto, interpretando estensivamente l’eccezione testuale, che “a questa ipotesi vanno necessariamente aggiunte le fattispecie che trovano fondamento in situazioni comportanti interventi di somma urgenza e l’assicurazione di servizi infungibili ed essenziali”.

Il diritto vivente pro tempore, dunque, per un verso assoggettava, con estremo rigore, alla medesima disciplina di quelli a tempo indeterminato anche i contratti di lavoro a tempo determinato (con conseguenti rilevanti problematiche per numerosi enti locali, in particolare per quelli provvisti di personale educativo e scolastico) e per altro verso, pur nell’intento di far fronte a dette problematiche, offriva il destro a “soluzioni amministrative elusive” (si erano addirittura divulgati nel web dei formulari all’uopo predisposti) potenzialmente dispendiose per l’erario, in ragione del riferimento interpretativo alle “fattispecie che trovano fondamento in situazioni comportanti interventi di somma urgenza e l’assicurazione di servizi infungibili ed essenziali”, per giunta astrattamente riferibile (almeno secondo alcuni commentatori) anche ai rapporti di lavoro a tempo indeterminato.

Al fine di far fronte a dette problematiche, il legislatore è dunque nuovamente intervenuto in materia, oltre che incrementando dal 40 al 50 per cento la soglia prevista del rapporto tra spesa del personale e spesa corrente (art. 28, comma 11-quater, del d.l. 201/2011, convertito dalla legge 214/2011), mediante l’art. 4 della legge n. 183/2011, per un verso (art. 103 lett. a) delimitando l’applicazione dell’art. 76, comma 7 del d.l. n. 112/2008 (e ss. mm.) alle sole assunzioni di personale a tempo indeterminato, e nel contempo rendendo espressamente applicabile agli enti locali (come disposto dal comma 102 lett. b) la disciplina già in vigore per altri enti pubblici (ma originariamente non estesa a comuni e provincie) contenuta nell’art. 9, comma 28, del d.l. n. 78/2010, convertito in legge 122/2010.

Pertanto, come peraltro già ritenuto da diverse sezioni regionali di controllo della Corte dei conti (Sez. Campania nel parere n. 493/2011; sez. Marche n. 6/2012), alle assunzioni a tempo determinato degli enti locali non risulta più applicabile il limite posto dall’articolo 76, comma 7 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 (convertito dalla legge 6 agosto 2008 n. 133, e successive modificazioni), ma esclusivamente la disciplina dell’articolo 9, comma 28, del d.l. n. 78/2010 (convertito in legge 122/2010), come modificata dall’art. 4, comma 102 lett. b della legge n. 183/2011[1].

Individuata la norma ritenuta applicabile alla fattispecie astratta delle assunzioni a tempo determinato negli enti locali, occorre, procedendo per successive approssimazioni, affrontare il quesito posto dall’ente in ordine all’immediata applicabilità dell’articolo 9, comma 28, pur in assenza di “regolamentazione di dettaglio da parte dell’ente”.

Detto quesito prende implicitamente le mosse dalla formulazione testuale contenuta in calce alla norma, secondo la quale “Le disposizioni di cui al presente comma costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, gli enti localie gli enti del Servizio sanitario nazionale”.

In tema, occorre innanzitutto prendere le mosse dalla concreta formulazione del testo normativo in esame, che prevede una prescrizione ontologicamente conformata in guisa da poter essere immediatamente applicata, pur in assenza (o in attesa) di eventuali disposizioni normativo-locali che specifichino eventuali modalità attuative di dettaglio ritenute necessarie o opportune.

Inoltre, sebbene la disposizione testè riportata non precisi le modalità dell’adeguamento (ossia, in via normativa locale ovvero semplicemente amministrativa), la portata immediatamente precettiva della disposizione e la chiara volutas legis, quantomeno con riferimento agli enti locali delle regioni a statuto ordinario, emergono in maniera sufficientemente definita (a contrariis) dalla lettura del disposto dell’articolo 14, comma 24 bis del medesimo decreto legge n. 78/2010, nel quale espressamente si prevede che “I limiti previsti ai sensi dell’articolo 9, comma 28, possono essere superati limitatamente in ragione della proroga dei rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati dalle regioni a statuto speciale, nonche’ dagli enti territoriali facenti parte delle predette regioni, a valere sulle risorse finanziarie aggiuntive appositamente reperite da queste ultime attraverso apposite misure di riduzione e razionalizzazione della spesa certificate dagli organi di controllo interno.”

In sostanza, poiché solo alle regioni a statuto speciale (alcune delle quali provviste, per disposizione statutario-costituzionale, di autonomia legislativa in materia di enti locali) e ai “loro” comuni viene di fatto consentito di derogare al limite previsto dall’articolo 9, comma 28 del d.l. n. 78/2010, per giunta con modalità tassative e a precise condizioni di ordine finanziario-procedimentale, non rimane che constatare la piena e immediata precettività della disposizione, secondo il dato letterale e la stessa voluntas legis, relativamente agli enti locali delle regioni a statuto ordinario.

A ciò si aggiunga che la stessa norma testualmente prevede, quale ulteriore conferma della sua immediata precettività e senza distinzioni per il settore degli enti autonomi territoriali, che “Il mancato rispetto dei limiti di cui al presente comma costituisce illecito disciplinare e determina responsabilità erariale”.

Ulteriore e sopravvenuto argomento a sostegno (sempre a contrario) della immediata precettività della disposizione in questione si rinviene altresì dall’esame del contenuto dispositivo dell’articolo 1 del decreto-legge n. 216/2011, come modificato dalla legge di conversione n. 14/2012, con l’aggiunta, tra l’altro, del comma 6 bis, che testualmente recita:

“Le disposizioni dell’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, e successive modificazioni, si applicano alle assunzioni del personale educativo e scolastico degli enti locali, nonché di personale destinato all’esercizio delle funzioni fondamentali di cui all’articolo 21, comma 3, lettera b), della legge 5 maggio 2009, n. 42, ed ai lavoratori socialmente utili coinvolti in percorsi di stabilizzazione già avviati ai sensi dell’articolo 1, comma 1156, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nei limiti delle risorse già disponibili nel bilancio degli enti locali a tal fine destinate, a decorrere dall’anno 2013.”

Con questa disposizione, dunque, il legislatore ha sostanzialmente previsto, per gli enti locali, il differimento “a decorrere dal 2013” dell’applicazione della normativa in esame, ma limitatamente a determinate categorie di personale e “nei limiti delle risorse già disponibili nel bilancio degli enti locali a tal fine destinate”; rimane dunque implicitamente confermata l’immediata precettività del disposto dell’articolo 9, comma 28, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 per il personale non riconducibile alle categorie specificamente menzionate dal menzionato comma 6 bis.

Rimane semmai in qualche misura aperta la diversa problematica, implicitamente sottesa a quella direttamente posta dal comune, della conformità ai principi costituzionali della norma in questione, tenuto conto che, per consolidata giurisprudenza della Corte costituzionale, il legislatore statale, con una “disciplina di principio”, può legittimamente «imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti» (sentenza n. 36 del 2004; si veda anche la sentenza n. 417 del 2005). Tuttavia, questi vincoli, perché possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali, devono riguardare «l’entità del disavanzo di parte corrente oppure – ma solo “in via transitoria ed in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica perseguiti dal legislatore statale” – la crescita della spesa corrente», nell’ambito della quale quella per il personale costituisce un rilevante aggregato (C. Cost. sentenza n. 169/2007).

In proposito, pare altresì opportuno rilevare incidenter che la Consulta, in quest’ultima sentenza e proprio in materia di spesa per il personale, ha rigettato le avanzate questioni di costituzionalità inerenti l’articolo 1 comma 198 della legge n. 266/2005, anche in quanto la disposizione si limita a pone un tetto complessivo per la spesa per il personale e “non prescrive ai suoi destinatari alcuna modalità per il conseguimento dell’obiettivo di contenimento della spesa per il personale, ma lascia libere le Regioni di individuare le misure a tal fine necessarie”.

Peraltro, occorre adeguatamente evidenziare che la giurisprudenza costituzionale ha più volte ribadito, in ordine al concetto di “principio generale”, che “ai fini del giudizio di legittimità costituzionale, la qualificazione legislativa non vale ad attribuire alle norme una natura diversa da quella ad esse propria, quale risulta dalla loro oggettiva sostanza” (sentenza n. 237/2009; nello stesso senso: sentenze nn. 169/2007, 447/2006, 482/2005).

D’altra parte, la Consulta ha altresì puntualizzato (sentenza n. 237/2009) che “la specificità delle prescrizioni, di per sé, neppure può escludere il carattere di principio di una norma, qualora essa risulti legata al principio stesso da un evidente rapporto di coessenzialità e di necessaria integrazione (sentenza n. 430 del 2007)”.

Da ultimo, si evidenzia che ai fini della qualificazione della disposizione esaminata quale normativa di principio potrebbe altresì assumere un ruolo non secondario il menzionato disposto dell’articolo 1, comma 6 bis, del decreto-legge n. 216/2011, come modificato dalla legge di conversione n. 14/2012, che, esclusivamente per gli enti locali, ha evidentemente reso più “flessibile” e coerente con la dichiarata natura di “principio” il disposto normativo dell’articolo 9, comma 28 del decreto legge n. 78/2010 (convertito con modificazioni dalla legge n. 122/2010 e ss. mm.)

Ad ogni, modo, come noto, l’ordinamento non riconosce a questa Corte, allorquando espleta funzioni consultive, la possibilità di adire la Consulta per rappresentare eventuali questioni di costituzionalità, che come tali possono esser delineate, come nella specie, esclusivamente al fine di una più compiuta manifestazione del parere.

Accertata l’immediata vincolatività della norma in questione (limitatamente alle categorie non espressamente menzionate dal citato comma 6 bis), occorre altresì precisare che il parametro di riferimento, costituito dalla spesa “per le stesse finalità” sostenuta nel 2009, debba necessariamente includere qualsivoglia onere derivato da “contratti di lavoro subordinato a tempo determinato” o “con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa” (così testualmente la norma), compresi quelli che eventualmente siano tuttora legittimamente in corso.

Nell’ammontare complessivo della spesa 2009 non possono per converso esser evidentemente computati gli oneri sostenuti dall’ente per la retribuzione dell’incarico di direttore generale eventualmente conferito al segretario comunale ai sensi dell’articolo 108 comma 4 del d.lgs. n. 267/2000.

Infatti, in disparte la constatazione dell’avvenuta abrogazione della figura del direttore generale (ex articolo dall’art. 2 comma 186 lett. d) della l. n. 191/2009, modificata dalla l. n. 42/2010 di conversione del d.l. n. 2/2010), fatta eccezione per i comuni con popolazione superiore ai 100.000 abitanti e fatto salvo il regime intertemporale per gli incarichi in corso alla data di entrata in vigore della menzionata normativa, e dunque la non compiuta raffrontabilità dei dati tra il 2009 e il 2012, appare dirimente evidenziare che l’attribuzione delle funzioni di direttore generale al segretario comunale ex art. 108, comma 4 del Tuel, lungi dal costituire un autonomo rapporto di lavoro a tempo determinato ovvero oggetto di “convenzione” o di “contratto di collaborazione coordinata e continuativa”, riveste natura giuridica negoziale di incarico che modifica e completa, sul piano oggettivo-contenutisco, le mansioni tipiche del preesistente rapporto di lavoro del segretario comunale.

Per quanto invece concerne le tipologie contrattuali soggette al limite, non può non ritenersi assoggettata al tetto di spesa previsto dalla legge qualsivoglia forma di impiego di personale a tempo determinato (nonchè da “convenzione” o ”contratto di collaborazione coordinata e continuativa”), fatta eccezione evidentemente per le categorie previste dal menzionato comma 6 bis, quand’anche realizzata mediante il ricorso agli istituti del rinnovo o della proroga (quest’ultima risulta del resto espressamente ricondotto all’ambito applicativo della norma dal già menzionato articolo 14, comma 24 bis del medesimo decreto legge n. 78/2010) di rapporti giuridici in corso.

Pare inoltre appena il caso di precisare che anche per eventuali assunzioni di personale conformi alla disciplina esaminata (compresa quella prevista dal menzionato comma 6 bis) rimangano applicabili le numerose disposizioni normative che regolano la materia del reclutamento e della spesa del personale pubblico, in specie comunale, tra le quali, senza pretesa di esaustività: la programmazione triennale e il piano annuale delle assunzioni (art. 91 d. lgs.267/2000, art. 35, comma 4, d. lgs. 165/2001 e art. 19, comma 8, legge 448/2001); il principio di riduzione progressiva della spesa per il personale (per i comuni che, come nella specie, abbiano una popolazione superiore ai 5.000 abitanti – 1, comma 557, della Legge 296/2006); il rispetto del patto di stabilità (articolo 7, comma 2, lettera d), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149), un rapporto inferiore al 50% tra spese di personale e spese correnti (art. 76, comma 7, capoverso, del d.l. 112/2008, convertito in legge 133/2008); gli adempimenti in materia di rideterminazione della pianta organica (art. 6, comma 6, d. lgs. 165/2001); l’adozione e il rispetto del piano triennale delle azioni positive tendenti ad assicurare la pari opportunità tra uomini e donne (art. 48, comma 1, d. lgs. 148/2006); la ricognizione di eventuali eccedenze di personale (art. 33, d. lgs. 165/2001, come modificato dal d.l. 78/2010 e integrato dalla legge 183/2011).

Relativamente, infine, all’ulteriore questione posta dal comune, inerente l’efficacia intertemporale dell’articolo 9, comma 28 (ovviamente per le categorie di personale non ricomprese nel menzionato comma 6 bis, per le quali è previsto un differimento al 2013), deve innanzitutto rilevarsi come il legislatore non abbia esplicitamente previsto la retroattività della norma in questione, che tuttavia riveste, secondo quanto testè argomentato, carattere immediatamente precettivo; evidenza che, tenuto conto della formulazione letterale della norma (“a decorrere dal 2011 ………possono avvalersi di personale a tempo determinato …… nel limite del 50 per cento”) potrebbe anche indurre a ritenere in via interpretativa l’inefficacia sopravvenuta dei rapporti a tempo determinato (pur se legittimamente instaurati pro tempore) in corso alla data di entrata in vigore della norma limitativa, nella misura in cui comportino una spesa “eccedente” il limite di legge.

Tuttavia, la Sezione ritiene di non poter condividere detta soluzione ermeneutica della sopravvenuta automatica inefficacia dei pregressi rapporti di lavoro a tempo determinato, già legittimamente stipulati e ancora in corso alla data di entrata in vigore della norma esaminata.

In materia, giova infatti richiamare il tradizionale principio di tipicità e formalizzazione delle c.d cause di cessazione dei rapporti di lavoro con la P.A., per come previste dalla vigente e articolata normativa di settore, con particolare (ma non esclusivo) riguardo al d.lgs. n. 165/2001 e anche alla normativa civilistica ivi richiamata (art. 2 commi 2 del Tupi); per converso, l’articolo 9, comma 28 del decreto legge n. 78/2010 (convertito con modificazioni dalla legge n. 122/2010), non prevede espressamente alcuna automatica conseguenza sui rapporti di lavoro già instaurati, cui evidentemente deve ritenersi applicabile l’ordinaria disciplina vigente (peraltro diversificata in ragione del tipo di rapporto), anche con riguardo alle cause di risoluzione.

Peraltro, anche in ambito civilistico, pare utile in materia richiamare la giurisprudenza laburistica della Corte di cassazione, ormai da tempo orientata in prevalenza nel senso di ritenere che il rapporto di lavoro privatistico non si risolva in via automatica per la sopravvenuta impossibilità della prestazione (nella specie: del datore di lavoro, che non potrebbe più avvalersi della prestazione lavorativa del dipendente) dovuta a factum principis (sopravvenienza normativa), dovendosi escludere la compatibilità con la disciplina di settore (id est del diritto del lavoro) degli effetti risolutori regolati dal diritto comune agli art. 1256, 1463 e 1464 c.c. (ex multis: Cass. 23 febbraio – 29 marzo 2010, n. 7531;Cass. 2 agosto 2001, n. 10574; Cass. 26 maggio 2001, n. 7210; Cass. 21 luglio 2000, n. 96209).

P.Q.M.

Nelle suesposte considerazioni è il parere della Sezione.

Così deciso in Catanzaro il 12 aprile 2012.

Il Relatore Il Presidente

Dott. Giuseppe Ginestra Dott. Roberto Tabbita

Depositata in Segreteria il 12 aprile 2012

IL DIRETTORE DELLA SEGRETERIA

dott. Antonio LEONE

[1] L’esito interpretativo pare altresì confermato dalla lettura della relazione tecnica governativa al disegno di legge di stabilità per il 2012 (in www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Bilancio-d/Bilanciof/2012/Disegno-di1/Relazione-tecnica—DLS-2012.pdf), ove, per un verso, si afferma che la delimitazione dell’articolo 76, comma 7, del decreto legge n° 112 del 2008 alle sole assunzioni a tempo indeterminato “è intesa ad offrire un’interpretazione univoca della norma di cui trattasi”, e che “la disposizione configurandosi come interpretativa, non comporta oneri a carico della finanza pubblica” (rel. cit., pag. 112), e, nel contempo si asserisce, con riferimento all’art. 9, comma 28, del decreto legge n° 78 del 2010, che “la mancata inclusione degli enti locali tra le amministrazioni destinatarie della norma comporta che gli enti medesimi siano svincolati da qualsiasi limite, anche solo in termini di principio, in materia di contenimento della spesa per i rapporti di lavoro flessibili, in contrasto con l’orientamento governativo volto alla riduzione di tale tipologia di spesa” (rel. cit. pag. 111).