Enti locali: sugli ambito di intervento dell'ente locale nella disciplina delle tutela legale dei propri amministratori

NOTA

Il parere in rassegna risponde al quesito proposto dal Comune di Forenza in ordine alla tutela legale in favore degli amministratori locali e, in particolare, sul dibattuto tema della rimborsabilità delle spese legali.

La Sezione esclude che un regolamento comunale possa regolare la materia, in quanto inerente alla status giuridico degli amministratori locali.

A giudizio della Sezione, l’unica possibilità positivamente riconosciuta all’Ente per tutelare i propri amministratori “è rappresentata dalla assicurazione contro i rischi conseguenti all’espletamento del loro mandato (art. 86, comma 5, TUEL). Questa operazione avrebbe, tra l’altro, l’indubbio vantaggio di poter quantificare esattamente l’onere finanziario da porre a carico del bilancio comunale, rappresentato dai premi assicurativi corrisposti.

32. A ben vedere, anzi, proprio la previsione contenuta nel TUEL, che attribuisce a ciascun Ente la possibilità di assumere, nella propria discrezionalità, l’onere di assicurare gli amministratori, è funzionale a garantire quella uniformità ordinamentale che rappresenta il limite dell’autonomia normativa attribuita a ciascun ente locale.

Nulla toglie, ed anzi è doveroso, che l’Ente che intenda procedere in tal senso, circoscriva, con propria determinazione, anche normativa, lo spazio, i presupposti e i limiti, entro i quali opera la copertura assicurativa, affinchè non siano assunte o garantite agli amministratori misure di protezione ulteriori rispetto a quelli ammissibili e, in concreto, ammesse, dalla giurisprudenza sulla base della normativa di legge e di contratto in vigore. “.

* * *

v:* {behavior:url(#default#VML);}
o:* {behavior:url(#default#VML);}
w:* {behavior:url(#default#VML);}
.shape {behavior:url(#default#VML);}

C o r t e d e i C o n t i

Sezione regionale di controllo per la BasilicataPotenza

Deliberazione n. 126/2013/PAR

Parere n. 21/2013

La Sezione regionale di controllo per la Basilicata così composta:

Presidente di Sezione dr. Francesco Lorusso Presidente

Consigliere dr. Rocco Lotito Componente

Primo Referendario dr. Giuseppe Teti Componente-relatore

Referendario dr. Donato Luciano Componente

nella Camera di consiglio del 18 dicembre 2013;

Visto l’art.100 della Costituzione;

Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con R.D. 12 luglio 1934, n.1214 e successive modificazioni ed integrazioni;

Vista la legge 14 gennaio 1994, n.20 e successive modificazioni;

Visto l’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131;

Vista la deliberazione n.14/2000 in data 16 giugno 2000 delle Sezioni Riunite della Corte dei conti, con la quale è stato deliberato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, e successive modificazioni ed integrazioni;

Visti gli indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva approvati dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei conti nell’adunanza del 27 aprile 2004 e nell’adunanza del 4 giugno 2009, delibera n. 9/Sez.Aut./2009;

Vista la Delibera n. 54/CONTR/10 resa dalle Sezioni Riunite in sede di controllo in data 21 ottobre e 8 novembre 2010, ai sensi dell’art. 17, comma 31, del decreto legge 1 luglio 2009, n. 78, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009 n. 102;

Vista la richiesta di parere, ex art. 7, comma 8, della legge n. 131/2003, formulata dal Sindaco del Comune di Forenza nota prot. n. 4928/2013;

Vista l’ordinanza del Presidente di questa Sezione regionale di controllo n. 55 del 18 dicembre 2013, con la quale la richiesta di parere è stata deferita all’esame collegiale della Sezione per l’odierna seduta ed è stato nominato relatore il Magistrato dr. Giuseppe Teti;

Udito nella camera di consiglio il relatore;

In fatto

1. – Con la nota in epigrafe il Sindaco del Comune di Forenza espone che in materia di tutela legale in favore degli amministratori locali si sono rilevati diversi e contrastanti orientamenti relativamente alla rimborsabilità delle spese legali, taluni contrari alla loro rimborsabilità, altri favorevoli.

Il Sindaco ritiene di poter condividere il fondamento giuridico posto a sostegno dell’orientamento favorevole alla rimborsabilità di dette spese, argomentando in particolare ai sensi dell’art. 3, comma 2-bis, D.L. n. 543/1996 – in base al quale in caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal comma 1 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20 (come modificato dal comma 1 dello stesso art. 3), le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza – che, a suo dire, non consentirebbe di distinguere fra dipendenti e amministratori.

Pertanto, considerato che l’assetto normativo ritenuto preferibile, secondo l’impostazione seguita dal rappresentante dell’Ente, porta a legittimare giuridicamente la rimborsabilità delle spese legali a favore degli amministratori, al fine di porre a carico del bilancio comunale i corrispondenti oneri senza dover invocare la controversa questione della applicabilità o meno, in via analogica, della disciplina dettata per i dipendenti, ovvero, in alternativa, le regole generali sul mandato, è stata predisposta una disciplina sulla tutela legale degli amministratori, affidata a un “Regolamento” comunale, fonte attuativa e intermediata dallo Statuto comunale nel quale è previsto che “il Comune, anche a tutela dei propri diritti e interessi, assicura, nei limiti e secondo le modalità disciplinate dal Regolamento, l’assistenza legale agli amministratori per la propria difesa in sede processuale in conseguenza di fatti ed atti connessi all’espletamento del mandato ovvero all’esercizio delle funzioni, sempreché al termine dei procedimenti giudiziari gli interessati siano prosciolti in istruttoria o assolti con sentenza passata in giudicato o con provvedimento di esenzione da responsabilità, ferma restando l’insussistenza di conflitto di interessi con l’Ente medesimo”.

1.1 – Detto Regolamento raccoglie e traduce in precetti normativi i contributi e gli orientamenti di quella parte della giurisprudenza che ha ritenuto di poter ammettere la rimborsabilità delle spese legali a favore degli amministratori degli Enti Locali.

1.2 In sintesi:

a) all’amministratore locale spetta il diritto di essere tutelato nel caso di procedimento per responsabilità civile e/o penale e/o contabile per atti o fatti connessi all’espletamento del mandato ovvero per l’assolvimento dei compiti riferibili alla carica;

b) il diritto all’assistenza è escluso nel caso di condanna dell’amministratore per dolo o colpa grave; per prescrizione ovvero per amnistia; per estinzione a seguito di oblazione; per patteggiamento; nel caso in cui l’amministratore sia parte attrice. Il rimborso non spetta, inoltre, nel caso di assicurazione dell’amministratore ex art. 86 TUEL, se è prevista anche l’assistenza legale;

c) l’assistenza legale non spetta nel caso sussista conflitto di interessi con l’Ente amministrato. Il conflitto di interessi è escluso quando gli atti e i fatti addebitati all’amministratore sono connessi all’espletamento del mandato o all’esercizio delle funzioni e l’attività posta in essere evidenzi la diretta coincidenza degli interessi dell’Ente e di quelli dell’amministratore;

d) l’assistenza legale può consistere nel patrocinio legale, che si ha quando l’amministrazione comunale assume a proprio carico gli oneri di difesa dell’amministratore mediante conferimento dell’incarico a un legale di comune gradimento;

e) ovvero, anche nei casi in cui l’Amministrazione non ha riconosciuto il patrocinio legale, è previsto ugualmente il rimborso delle spese legali sostenute dall’amministratore in un procedimento penale conclusosi con sentenza di assoluzione, passata in giudicato, che abbia accertato l’insussistenza del dolo o della colpa grave. Il rimborso delle spese legali è ammesso anche nell’ipotesi in cui l’amministratore sia stato previamente ammesso al patrocinio legale, nel caso in cui il procedimento si sia concluso con formula assolutoria da cui emerga l’assenza di pregiudizio per gli interessi dell’Amministrazione;

f) l’Ente si riserva, comunque, la facoltà di assumere l’onere di difesa dell’amministratore in tutti quei casi non sia possibile compiere anticipatamente, ma soltanto a definizione della controversia, l’accertamento della insussistenza del conflitto di interessi;

g) per essere ammesso all’assistenza legale l’amministratore deve dare immediata comunicazione al Sindaco di essere sottoposto a procedimento per responsabilità civile, penale, amministrative e contabile, con la richiesta di ammissione al patrocinio, con l’indicazione del nome del legale prescelto, corredata del preventivo di spesa, e con l’impegno a comunicare l’esito del procedimento. Nei casi di ammissione diretta al patrocinio legale il rapporto economico sarà direttamente tenuto dal Comune;

h) la valutazione circa la sussistenza dei requisiti per l’ammissione al patrocinio o al rimborso è espletata dal Responsabile della struttura apicale competente per materia, mentre il provvedimento finale è di competenza della Giunta comunale;

i) l’Ente può anche assicurare gli amministratori stipulando apposita polizza di copertura delle spese legali. Le eventuali spese eccedenti il massimale garantito, sono coperte dal Comune con fondi propri.

1.3 – Tanto esposto, si richiede un parere di questa Sezione regionale di controllo in merito alla legittimità e alla coerenza dell’emanando Regolamento.

In diritto

Sull’ammissibilità della richiesta.

2. Il quesito, pacificamente ammissibile soggettivamente, lo è anche oggettivamente, rinvenendosi, nella fattispecie, le ragioni di ammissibilità fatte proprie dalla giurisprudenza di questa Sezione in armonia con gli indirizzi indicati in epigrafe. Il quesito, infatti, pone alla preventiva attenzione di questa Sezione un atto normativo comunale (Regolamento), non ancora adottato, direttamente e immediatamente rifluente sul bilancio dell’Ente, che di tale fonte normativa intenderebbe avvalersi per giustificare e legittimare la relativa previsione di spesa. Pertanto il quesito, la cui soluzione finisce per avere diretta rilevanza per la impostazione e la gestione del bilancio del Comune, è da ritenersi ammissibile.

Inoltre, il quesito non sollecita la soluzione di specifici e concreti atti gestionali, ma intende ottenere, in via preventiva, la valutazione in merito a un atto generale, sostanzialmente normativo, sulla cui ammissibilità questa Sezione si è già pronunciata (parere 2/2010, che ha accolto la richiesta di parere avente ad oggetto la bozza di un Regolamento comunale tendente alla istituzione dell’avvocatura comunale, per i riflessi sul piano amministrativo contabile).

Nel merito.

3. Il quesito mira a ottenere un pronunciamento di questa Sezione sulla legittimità e sulla complessiva coerenza dell’articolato regolamentare al quale l’Ente si affida per dirimere, in via normativa e, quindi, generale e astratta, la controversa questione della diretta sostenibilità, ex ante, o del rimborso, ex post, delle spese legali sopportate da un amministratore comunale in sede giudiziaria per procedimenti civili, penali, amministravi e contabili, che si concludano con l’assoluzione o il proscioglimento da responsabilità dell’amministratore.

4. La questione relativa alla possibilità di accollare al bilancio comunale, anche sotto forma di rimborso, le spese legali sostenute dagli amministratori, ha dato luogo a orientamenti oscillanti registrabili tanto all’interno della giurisprudenza della Corte dei conti, sia nell’area del controllo che nell’area della giurisdizione, quanto all’interno della magistratura ordinaria e amministrativa.

In particolare, da un lato (Corte conti, Sez. giuris. Puglia, sent. N. 787/2012) vi è chi ha ritenuto applicabile analogicamente il disposto dell’art. 1720 c.c. nella parte in cui dispone che il mandante deve risarcire i danni che il mandatario ha subito a causa dell’incarico, con la conseguenza che, se la pubblica accusa trae origine dalla contestazione che detto mandato (del consigliere comunale) è stato espletato non nell’interesse pubblico, bensì per fini egoistici propri del soggetto agente, la difesa in giudizio non può considerarsi come un momento estraneo e avulso dal contesto nel quale la stessa si inserisce in quanto evidentemente prodromica a dimostrare di avere agito nei limiti e nel rispetto del mandato pubblico conferito e la spesa affrontata dovrà essere necessariamente indennizzabile. Ovviamente anche chi riconosce la rimborsabilità delle spese legali sopportate dagli amministratori ne subordina il riconoscimento al ricorrere dei presupposti previsti per i dipendenti: la esigenza di tutelare gli interessi e i diritti facenti capo all’ente pubblico; che i fatti addebitati siano riconducibili all’assolvimento dei compiti istituzionali; che il procedimento si sia concluso con l’assoluzione piena nel merito; che non sussista alcun conflitto di interessi tra l’attività dell’amministrazione e l’attività posta in essere dal dipendente; che il legale sia stato scelto di comune accordo; che sia stata accertata la mancanza di dolo o colpa grave.

Dall’altro, vi è chi (Corte conti, Sez. giuris. Basilicata, sent. N. 165/2012) esclude la possibilità che l’Ente possa farsi carico delle spese legali anche degli amministratori per il fatto che le norme di legge che regolano la materia non hanno esteso il beneficio anche agli amministratori, riservandolo ai soli dipendenti, mentre quelle contrattuali non sono estensibili ai rapporti non di lavoro ma di mandato (per una esaustiva rassegna delle diverse posizioni si rinvia alla citata e recente delibera della Sezione controllo Veneto, n. 334/2013/PAR, del 6.11.2013).

5. Agli approdi sin qui raggiunti, sia pure nella loro varietà, si è arrivati partendo, comunque, da un approccio metodologico comune consistente nell’ammettere o nel negare la possibilità di ricavare, in via interpretativa, la regola del caso concreto traendola dalle norme di rango ordinario o dalle disposizioni di rango contrattuale poste dai CCNL di settore.

La presente questione che è stata portata allo scrutinio di questa Sezione è diversa dalla casistica sopra citata e monitorata nella citata deliberazione della Sezione di controllo per il Veneto. Non vengono, infatti, proposti percorsi ermeneutici nuovi o diversi rispetto a quelli già sul tappeto, in forza dei quali individuare, di volta in volta, il precetto regolatore del caso concreto. Con lo strumento del Regolamento, piuttosto, l’Ente si propone di dettare esso stesso, in via generale e astratta, la norma che consente l’accollo o il rimborso della spesa, giustificandone la previsione in bilancio. In altre parole, mentre l’attività interpretativa, talvolta, contribuisce a creare la norma, la cui efficacia si risolve comunque all’interno del caso concreto deciso senza alcuna pretesa di generalità e astratta ripetibilità, nel caso che ci occupa, invece, vengono direttamente poste le norme alle quali l’Ente si dovrà in futuro attenere nella sua attività gestionale.

6. Se l’oggetto dell’esame richiesto a questa Sezione è il risultato della potestà normativa esercitata, e cioè le norme regolamentari che si intendono adottare, pregiudiziale, nel merito, è verificare l’esistenza di un siffatto potere regolamentare in capo al Comune in questa materia. Ci si deve cioè chiedere se l’oggetto del Regolamento da emanare rientri tra quelli per i quali la potestà normativa è conferita al Comune e, in via subordinata alla risposta affermativa, entro quali limiti e a quali condizioni.

7. Sul punto, l’Ente non offre altri argomenti se non che la potestà normativa regolamentare è, nella fattispecie, intermediata dallo Statuto comunale che espressamente affida a un Regolamento la disciplina di dettaglio per garantire “l’assistenza legale agli amministratori per la propria difesa in sede processuale in conseguenza di fatti ed atti connessi all’espletamento del mandato ovvero all’esercizio delle funzioni, sempreché al termine dei procedimenti giudiziari gli interessati siano prosciolti in istruttoria o assolti con sentenza passata in giudicato o con provvedimento di esenzione da responsabilità, ferma restando l’insussistenza di conflitto di interessi con l’Ente medesimo”.

8. Ora, in disparte la questione che la previsione statutaria testé riportata non si rinviene nello Statuto del Comune di Forenza quale risulta dal testo pubblicato sul sito istituzionale dell’Ente, risalente alla Delibera di C.C. n. 31 del 1998, ritiene la Sezione che il tema in esame richieda una più ampia analisi circa la natura e l’estensione della potestà normativa degli Enti Locali, come si è andata evolvendo nel tempo non soltanto in virtù degli interventi legislativi ordinari, ma soprattutto per il mutato assetto ordinamentale risalente alla riforma del Titolo V della Costituzione. Ed è appunto attraverso la rilettura del sistema normativo, anche costituzionale, che ha conferito agli enti locali autonomia statutaria e potestà regolamentare, che possono trarsi elementi di riflessione per la soluzione del problema in esame.

9. Non vi è dubbio che l’attuale formulazione dell’art. 114, comma 1, Cost. – che ha equiordinato i diversi livelli di governo locale a partire dall’Ente più vicino alle comunità amministrate, il Comune, per risalire sino allo Stato, come elementi costitutivi della Repubblica – rafforzi e direttamente garantisca il principio dell’autonomia degli enti territoriali già riconosciuto, come fondamentale, dall’art. 5 Cost., autonomia la cui estensione, in precedenza, vigendo l’art. 128 Cost., era modellata secondo i principi indicati dalla legge ordinaria (art. 128: Le Provincie e i Comuni sono enti autonomi nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica, che ne determinano le funzioni).

10. Di questo rafforzamento è traccia evidente l’aver riconosciuto ai Comuni, ma anche alle Provincie, alle Città metropolitane e alle Regioni, in concomitanza con l’abrogazione dell’art. 128 Cost., un proprio Statuto e propri poteri e funzioni, secondo i principi fissati in Costituzione (art. 114, comma 2). La questione è come Statuti e Regolamenti degli Enti Locali si collocano in un sistema di fonti più ampio e articolato rispetto al precedente, allorquando era proprio l’art. 128 che garantiva l’uniformità dell’ordinamento degli EE.LL. riservando alla legge di determinare le funzioni degli enti territoriali e di fissare i principi entro i quali esercitare la loro autonomia. A questo disegno sostanzialmente gerarchizzato era funzionale un corrispondente sistema di penetranti controlli, di livello statale per le regioni e di livello regionale per gli enti sub regionali.

La questione che si apre all’indomani della riforma del Titolo V è se l’abrogazione dell’art. 128 e dei controlli, anche tutori, unitamente al diverso sistema di riparto della potestà legislativa e regolamentare, ormai circoscritta per la legge statale ad alcuni e specifici ambiti, anche a proposito dell’ordinamento degli EE.LL, a fronte della contestuale espansione della potestà regionale residuale, abbiano o meno dato maggiore spazio e spessore all’autonomia degli Enti territoriali, formalmente equiordinati allo Stato, anche sul piano della potestà normativa, nelle forme dello Statuto e del Regolamento.

11. E’ parimenti indubbio, a parere della Sezione, che le riforme che si sono mosse a partire dagli anni ’90 del secolo scorso, a costituzione invariata, e che sono culminate nella riforma del Titolo V della Costituzione, avevano l’obiettivo di valorizzare l’autonomia degli enti locali, conferendo loro strutture organizzative e poteri adeguati a rafforzarne la funzione di governo delle collettività amministrate, nello spirito di democraticità dell’ordinamento repubblicano, secondo criteri di economicità, efficienza ed efficacia. In tal senso è stato via via rimosso un assetto istituzionale di tipo gerarchico, che ruotava attorno ai poteri esercitati dallo Stato, cui spettava disegnare gli spazi liberi di autonomia propri degli enti territoriali, senza tuttavia perdere forti poteri di controllo.

12. L’abrogazione dell’art. 128 Cost. e il venir meno del sistema dei controlli, anche tutori, sugli atti degli enti territoriali minori, con l’abrogazione degli artt. 125 e 130 Cost., hanno dato maggiore risalto alla autonomia riconosciuta anche ai comuni, quale che sia la loro dimensione.

13. Non può non osservarsi, intanto, che la diversa rilevanza istituzionale delle autonomie locali è riflessa nel riparto del potere normativo, come disposto dall’art. 117 Cost. In particolare, dopo che la potestà legislativa è stata ripartita tra Stato e Regioni, sul potere regolamentare è il comma 6 dell’art. 117 cit. a stabilire che “La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite”.

14. Oggetto di controverse ricostruzioni, soprattutto in dottrina, è la natura del potere regolamentare conferito ai Comuni dal citato art. 117, comma 6, Cost. In particolare, ci si chiede se è ammissibile un potere regolamentare in materia di organizzazione dell’Ente, e non solo di “organizzazione” di funzioni, e, secondariamente, se tale potere possa essere autonomo e indipendente da una previa norma di legge, di fonte statale o regionale, o se sia sempre necessaria una norma interposta attributiva del potere regolamentare in concreto, non potendosi ritenere l’art. 117, comma 6, Cost. norma “sulla” produzione.

15. Il problema non può essere affrontato in questa sede se non nei limiti strettamente funzionali a dare una risposta al quesito sottoposto all’esame di questa Sezione.

16. Una prima riflessione può trarsi dal disposto dell’art. 1, comma 3 del TUEL, primo e secondo periodo, secondo il quale “La legislazione in materia di ordinamento degli enti locali e di disciplina dell’esercizio delle funzioni ad essi conferite enuncia espressamente i princìpi che costituiscono limite inderogabile per la loro autonomia normativa. L’entrata in vigore di nuove leggi che enunciano tali princìpi abroga le norme statutarie con essi incompatibili”.

Ciò significa, secondo la giurisprudenza, che è affidato allo stesso legislatore e sottratto all’interprete l’individuazione dei principi segnati da inderogabilità, “con evidente esclusione delle disposizioni di dettaglio: ne risulta delineato un ambito giuridico generale all’interno del quale gli statuti possono liberamente esprimere e promuovere l’autonomia degli enti e realizzare un assetto corrispondente alle peculiarità del contesto sociale ed economico di riferimento” (Cass., Sez. Un., n. 12868/2005). Se, allora, spetta ad ogni Comune dotarsi di un proprio statuto, deputato a dettare le norme fondamentali dell’organizzazione di governo, a fissare i criteri generali sulla organizzazione amministrativa ed il funzionamento dell’ente, a delinearne l’ossatura, le strutture di vertice e le loro articolazioni, le modalità di interrelazione tra i vari uffici, le forme di collaborazione con la Provincia, a disciplinare le altre materie ivi elencate così da rappresentare l’identità istituzionale di ciascuna comunità locale, vuol dire che “si è con tale sistema realizzata una sostanziale delegificazione in ordine alla organizzazione ed al funzionamento dell’ente territoriale, mediante il trasferimento della relativa disciplina dalla legge nazionale ad una fonte autonoma, affidata allo statuto, nel rispetto dei principi generali fissati dallo stesso testo unico e degli altri principi espressamente enunciati nelle leggi successive, nonché delle leggi che conferiscono funzioni agli enti locali. Detto sistema ha profondamente inciso nel rapporto tra legge statale e statuto, in quanto, mentre in passato ogni disposizione di legge costituiva limite invalicabile all’attività statutaria, nella nuova disciplina lo statuto può derogare alle disposizioni di legge che non contengano principi inderogabili: esso è vincolato unicamente al rispetto dei principi innanzi richiamati, tanto da potersi ora delineare il rapporto tra legge e statuto -come è stato efficacemente osservato in dottrina- non tanto o non soltanto in termini di gerarchia, ma anche e soprattutto in termini di competenza -ovvero di gerarchia limitatamente ai principi- e da potersi qualificare lo statuto non più come disciplina di attuazione, ma di integrazione ed adattamento dell’autonomia locale ai principi inderogabili fissati dalla legge” (così in Cass., Sez. Un., cit.).

Ne consegue – continuando il percorso argomentativo della citata giurisprudenza ordinaria – che “il testo unico n. 267 del 2000 ha perso l’originaria connotazione di legge organica di sistema, una volta venuta meno la norma costituzionale di riferimento costituita dall’art. 128 Cost. (…) ed altrettanto evidente appare che la previsione del potere normativo locale tra le prerogative contemplate direttamente dalla Costituzione ha ulteriormente rafforzato il valore degli statuti locali nella gerarchia delle fonti. Nel nuovo quadro costituzionale lo statuto si configura, come la dottrina è generalmente orientata a ritenere, come atto formalmente amministrativo, ma sostanzialmente come atto normativo atipico, con caratteristiche specifiche, di rango paraprimario o subprimario, posto in posizione di primazia rispetto alle fonti secondarie dei regolamenti e al di sotto delle leggi di principio, in quanto diretto a fissare le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente ed a porre i criteri generali per il suo funzionamento, da svilupparsi in sede regolamentare (v. sul punto Cass. 2004 n. 16984)”.

17. Va detto, tuttavia, che sulla collocazione degli atti normativi comunali nel sistema delle fonti gli orientamenti in giurisprudenza non sono concordi.

Il TAR Calabria ha ritenuto lo Statuto fonte sub primaria, incapace di derogare o di modificare una legge, collocata appena al di sopra delle fonti regolamentari (n. 492/2008), mentre il TAR Campania-Napoli (n.19672/2008) sembra privilegiare una ricostruzione del sistema delle fonti regolatrici le autonomie locali in senso gerarchico anche se riferibili a centri di produzione diversi, così ponendo al vertice il TUEL e, a cascata, lo Statuto e il Regolamento.

Anche il Consiglio di Stato ha ritenuto, pur nel mutato quadro costituzionale, prevalente l’art. 6, comma 2, del TUEL sulla potestà statutaria attribuita dalla Costituzione al Comune, nel senso che allo Statuto non è comunque consentito invadere materie oggetto di potestà legislativa statale esclusiva (nella fattispecie, si trattava delle attribuzioni di competenza degli organi di governo dell’Ente), in mancanza di una norma interposta che autorizzi tale intervento (Cons. Stato, n. 832/2005). In questo senso giova citare anche la decisione del Consiglio di Stato, n. 2872/2008, che subordina la potestà autorganizzativa dell’ente locale, pure incoraggiata e riconosciuta dalla Costituzione, alla disciplina legislativa statale nelle materie di potestà esclusiva (art. 117, let. p, Cost.).

Altra volta, invece, lo stesso Consiglio di Stato ha ritenuto che il potere regolamentare degli enti locali trovi fondamento nell’art. 7 del TUEL e, ancor prima, trovi “copertura costituzionale nell’art. 117 Cost. (come riscritto dalla riforma del Titolo V della Costituzione). Orbene è da condividersi l’opinione secondo cui anche al di là delle materie contemplate espressamente, la potestà regolamentare degli enti locali (sia pure nei limiti dettati dall’ordinamento) può spaziare oltre le materie contemplate espressamente in considerazione della caratterizzazione degli enti locali come enti a fini generali (ex art. 3, comma 2, TUEL)” (Cons. Stato, 6317/2004; vds. anche Cons. Stato, 7342/2004).

18. Quanto alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, deve qui riportarsi quanto stabilito con la decisione n. 43/2004, secondo cui “cadute le norme specifiche che attribuivano in via generale allo Stato il compito di definire le funzioni amministrative degli enti locali (articoli 118, primo comma, e 128, vecchio testo), il nuovo articolo 117, secondo comma, lettera p, ricomprende nella competenza legislativa esclusiva dello Stato la determinazione delle sole “funzioni fondamentali” di Comuni, Province e Città metropolitane; mentre il nuovo articolo 118, primo comma, attribuisce in via di principio ai Comuni, in tutte le materie, “le funzioni amministrative”, ma riserva la possibilità che esse, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato. Da un lato dunque una “preferenza” generalizzata per gli enti più vicini ai cittadini, dall’altro un criterio flessibile, guidato da principi generali, per la concreta collocazione delle funzioni ai vari livelli di governo. E poiché tale concreta collocazione non può che trovar base nella legge, ne deriva che sarà la legge statale o regionale, a seconda che la materia spetti alla competenza legislativa dello Stato o della Regione, ad operare le scelte relative, nel rispetto dei principi generali indicati. È ciò che in sostanza risulta altresì dal nuovo articolo 118, secondo comma, secondo cui gli enti locali subregionali (non solo i Comuni) “sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze”. Quale che debba ritenersi il rapporto fra le “funzioni fondamentali” degli enti locali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p, e le “funzioni proprie” di cui a detto articolo 118, secondo comma, sta di fatto che sarà sempre la legge, statale o regionale, in relazione al riparto delle competenze legislative, a operare la concreta collocazione delle funzioni, in conformità alla generale attribuzione costituzionale ai Comuni o in deroga ad essa per esigenze di “esercizio unitario”, a livello sovracomunale, delle funzioni medesime”.

19. Così sinteticamente riassunta la controversa questione, ritiene la Sezione, anticipando quanto si dirà, che le fonti che regolano l’ordinamento degli Enti Locali, oggi diversamente articolate tra fonti statali, regionali e locali, pur nel mutato assetto che porta a differenziarle non solo e non tanto sul piano gerarchico, quanto per materia, concorrano tutte all’unicità dell’ordinamento giuridico, la cui uniformità deve essere garantita e assicurata nei requisiti minimi con legge statale o regionale, giusta quanto disposto dall’art. 4, comma 4, L. n. 131/2003. È in questo contesto che alle disposizione del TUEL, anche a volere ritenere che abbiano perso il carattere di legge organica di sistema, come ritenuto dalla citata sentenza della Cassazione (Sez. Un. n. 12868/2005), deve continuare a guardarsi per assicurare la necessaria uniformità dell’ordinamento degli enti locali.

20. Tanto ritenuto, possano tracciarsi alcune linee guida utili alla soluzione del quesito.

21. La potestà normativa che la Costituzione riconosce al Comune è, dunque, statutaria e regolamentare.

22. Quanto allo Statuto, la Costituzione nulla dice a proposito del contenuto, della formazione e della sua collocazione nel sistema delle fonti.

Se si ritiene che l’ordinamento degli Enti Locali, pur dopo la modifica del Titolo V, sia ancora strutturato ponendo al centro del sistema la legge statale (TUEL) e a cascata lo Statuto e i Regolamenti, si deve ritenere anche che, in tema di Statuto, valgono le disposizioni di rango ordinario già presenti nell’art. 6 del TUEL (fonte antecedente la riforma del Titolo V della Costituzione), secondo cui lo statuto stabilisce, tra l’altro, “le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente e, in particolare, specifica le attribuzioni degli organi e le forme di garanzia e di partecipazione delle minoranze, i modi di esercizio della rappresentanza legale dell’ente, anche in giudizio. Lo statuto stabilisce, altresì, i criteri generali in materia di organizzazione dell’ente, le forme di collaborazione fra comuni e province, della partecipazione popolare, del decentramento, dell’accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi, lo stemma e il gonfalone e quanto ulteriormente previsto dal presente testo unico”. Queste disposizioni devono, ovviamente, essere armonizzate con i principi desumibili dalle nuove norme di rango costituzionale, ma soprattutto con quanto disposto dall’art. 4 della Legge n. 131/2003, fonte essa stessa ordinaria sebbene finalizzata ad adeguare l’ordinamento alla riforma del Titolo V della Costituzione, che prevede che “Lo statuto, in armonia con la Costituzione e con i principi generali in materia di organizzazione pubblica, nel rispetto di quanto stabilito dalla legge statale in attuazione dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, stabilisce i principi di organizzazione e funzionamento dell’ente, le forme di controllo, anche sostitutivo, nonché le garanzie delle minoranze e le forme di partecipazione popolare”.

23. Quanto al potere regolamentare, l’art. 117, comma 6 Cost. lo conferisce al Comune in quanto strumento per l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni a esso attribuite.

È, tuttavia, l’art. 118 Cost. che attribuisce ai Comuni la generalità delle funzioni amministrative salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. Le funzioni amministrative di cui i Comuni sono titolari sono “proprie” o “conferite” con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.

Le prescrizioni contenute nel TUEL in tema di potestà regolamentare comunale stabiliscono (art. 7) che “nel rispetto dei princìpi fissati dalla legge e dello statuto, il comune (…) adotta(…) regolamenti nelle materie di propria competenza ed in particolare per l’organizzazione e il funzionamento delle istituzioni e degli organismi di partecipazione, per il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio delle funzioni”. In questo contesto il regolamento comunale – il cui contenuto è circoscritto dalle materie di competenza del comune e, in particolare, al funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio delle funzioni – deve conformarsi ai principi fissati dallo statuto e, prima ancora, dalla legge.

24. Diverso è il riparto di attribuzioni in materia di organizzazione disegnato, dopo la riforma del Titolo V della Costituzione, dall’art. 4, commi 3 e 4, L. n. 131/2003: “L’organizzazione degli enti locali è disciplinata dai regolamenti nel rispetto delle norme statutarie. La disciplina dell’organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane è riservata alla potestà regolamentare dell’ente locale, nell’ambito della legislazione dello Stato o della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive competenze, conformemente a quanto previsto dagli articoli 114, 117, sesto comma, e 118 della Costituzione”. Questa volta è precisato che il compito della legge, statale e regionale, secondo le rispettive competenze, è quello di assicurare requisiti minimi di uniformità nella disciplina dell’organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni comunali che, pertanto, acquistano ambiti di più spiccata differenziazione.

25. Ora, l’astratta previsione di una norma di rango regolamentare che preveda la rimborsabilità o l’accollo delle spese legali sostenute dagli amministratori locali non sembra, a questa Sezione, che comporti deroga o modifica a norme di rango superiore che esprimano precetti in senso contrario. In effetti non si individuano nell’ordinamento norme di rango superiore contrarie o incompatibili con la possibilità di ammettere anche gli amministratori degli Enti Locali a godere del patrocinio legale o del rimborso delle spese legali sostenute in ipotesi che siano identiche a quelle già previste per altre categorie di soggetti.

In particolare per i dipendenti pubblici il “diritto” a ottenere, da parte dell’ente, il rimborso delle spese legali sostenute nei procedimenti giudiziari per fatti connessi all’esercizio delle particolari mansioni loro affidate è stabilito dall’art. 18, comma 1, D.L. n. 67/1997: “Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le amministrazioni interessate, sentita l’Avvocatura dello Stato, possono concedere anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che accerti la responsabilità”. In precedenza analoghe guarentigie erano state assicurate dall’art. 19 del DPR n. 509/1997, per i dipendenti degli enti pubblici di cui alla legge n. 70/1975. Di questa disposizione si segnala il riconoscimento di un potere regolamentare di disporre in senso ulteriormente favorevole al dipendente, con prevalenza di tale ultimo migliore trattamento. Tale potere regolamentare, tuttavia, è chiaramente circoscritto, quanto al perimetro soggettivo e ai presupposti, dalla norma contrattuale generale. Ancora, per i dipendenti degli Enti del SSN l’accordo sindacale recepito dal DPR n. 270/1987, all’art. 41, prevede che l’Ente faccia assistere il proprio dipendente da un legale, con oneri a carico dell’ente medesimo.

Nei confronti dei dipendenti degli EE.LL., la materia è regolata, invece, dall’art. 28 del CCNL 14.9.2000 (“L’ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento, facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento. In caso di sentenza di condanna esecutiva per fatti commessi con dolo o colpa grave, l’ente ripeterà dal dipendente tutti gli oneri sostenuti per la sua difesa in ogni stato e grado del giudizio. La disciplina del presente articolo non si applica ai dipendenti assicurati ai sensi dell’art. 43, comma 1). In precedenza, principi analoghi erano contenuti nell’art. 22, DPR n. 347/1983 e nell’art. 67, DPR n. 268/1987 (“L’ente, anche a tutela dei propri diritti ed interessi, ove si verifichi l’apertura di un procedimento di responsabilità civile o penale nei confronti di un suo dipendente per fatti o atti direttamente connessi all’espletamento del servizio e all’adempimento dei compiti d’ufficio, assumerà a proprio carico, a condizione che non sussista conflitto di interessi, ogni onere di difesa sin dall’apertura del procedimento facendo assistere il dipendente da un legale di comune gradimento”).

In definitiva, se è vero che in tutte le fonti ora citate la tutela legale è riconosciuta e assicurata ai soli dipendenti dell’Ente, d’altra parte non è dato desumere norme di implicito divieto a estendere le medesime guarentigie anche ad altre categorie di personale e neppure è senz’altro da ritenere lacunosa la regolamentazione della materia.

Peraltro, è vero anche il rilievo che laddove né la disciplina legislativa, né la disciplina contrattuale, si sono espresse sul punto della tutela legale degli amministratori locali, ciò non giustifica, per ciò stesso, l’esistenza di una lacuna. In tal senso le argomentazioni portate dalla decisione della Corte Costituzionale n. 197/2000 conservano piena validità. Osservava infatti la Corte che la posizione del (dell’Ente Regione) non può pienamente sovrapporsi a quella dell’ per il solo fatto che l’operato di entrambi sia sostanzialmente imputabile all’ente per il quale si agisce. Tale “non incontrovertibile ricostruzione dogmatica” non tiene conto di altri elementi che il legislatore può avere tenuto in considerazione nel riservare ai dipendenti un trattamento differenziato rispetto agli amministratori. L’elemento di discrimine è dato proprio dal rapporto di subordinazione che incardina il dipendente nella organizzazione dell’ente, mentre per l’amministratore “l’immedesimazione organica con l’ente si basa su un rapporto, variamente configurato in dottrina, ma che comunque non è di lavoro subordinato”.

Tuttavia, mentre l’inesistenza di una lacuna può essere di pregiudizio a un procedimento interpretativo di tipo integrativo, analogico o estensivo, tendente a colmare una lacuna che non c’è, non è detto che sia pregiudicata, di per sé, anche la possibilità di un intervento affidato a una diversa fonte normativa. La questione sorge, allora, qualora il rapporto tra le fonti non sia solo di tipo gerarchico ma, come nella fattispecie, ripartito per ambiti di competenza.

26. La previsione contenuta nell’emanando Regolamento comunale deve, allora, essere esaminata sotto il profilo della compatibilità, per competenza, della fonte locale a porsi come integrativa di una disciplina, nel primo caso legislativa (statale), nel secondo contrattuale, laddove l’oggetto della disciplina comunale integrativa sarebbe “le medesime materie” e non già l’organizzazione e lo svolgimento di “funzioni”.

27. Ritiene in proposito la Sezione che, senza sminuire la portata delle modifiche conseguenti alla riforma del Titolo V della Costituzione, anche a voler ammettere che la potestà normativa, specialmente regolamentare, dei Comuni, è esercitabile direttamente per effetto della previsione costituzionale, senza che occorra l’attribuzione del relativo potere in forza di legge, la necessaria salvaguardia dell’unità dell’ordinamento, che si esprime come rispetto del principio di legalità, sostanziale prima ancora che formale, impone di dare soluzione negativa al quesito.

28. In effetti, a differenza di quanto ritenuto per la potestà legislativa concorrente e residuale delle Regioni, la potestà normativa degli Enti Locali è circoscritta, in Costituzione, alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle “funzioni” attribuite a detti Enti (art. 117, comma 6). Ed allora, giusta quanto ritenuto dalla Corte Costituzionale con la citata decisione n. 43/2004, “sarà sempre la legge, statale o regionale, in relazione al riparto delle competenze legislative, a operare la concreta collocazione delle funzioni, in conformità alla generale attribuzione costituzionale ai Comuni o in deroga ad essa per esigenze di “esercizio unitario”, a livello sovracomunale, delle funzioni medesime”.

Ciò significa, a parere di questa Sezione, che l’estensione del potere regolamentare, che la Costituzione di regola circoscrive all’organizzazione della funzione, deve essere verificata di volta in volta in relazione e in conformità alle norme di legge statale o regionale, attributive delle funzioni, che ben possono assegnare alla potestà normativa degli Enti Locali spazi di disciplina che vanno oltre l’ambito della organizzazione delle funzioni.

A conferma di ciò, si richiama il limite che il comma 4 dell’art. 4, L. n. 131/2003, più sopra citato, pone nel riservare alla potestà regolamentare dell’ente la disciplina dell’organizzazione, dello svolgimento e della gestione delle funzioni dei Comuni, “nell’ambito della legislazione dello Stato o della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità, secondo le rispettive competenze, conformemente a quanto previsto dagli articoli 114, 117, sesto comma, e 118 della Costituzione”. In particolare, il requisito dell’uniformità, se pure non significa perfetta coincidenza delle discipline locali tra loro e con le fonti nazionali e regionali, impone quanto meno la loro omogeneità, di modo che non risulti pregiudicata l’uguaglianza di posizioni tra loro simili.

29. Ciò posto, non sembra a questa Sezione che, nella fattispecie in esame, la previsione di una tutela legale, nelle forme articolate affidate all’emanando Regolamento, sia conforme ai limiti testè indicati.

30. A ben vedere, infatti, le disposizioni che si intendono introdurre non mirano ad organizzare una funzione né incidono, direttamente o indirettamente su di essa, quanto piuttosto ineriscono alla disciplina dello status giuridico degli amministratori locali. Ora, la fonte normativa nazionale, dalla quale sono state in parte tratte alcune delle disposizioni trasfuse nel Regolamento, aveva la sua ragion d’essere, nella forma di legge, in quanto diretta a porre a carico dell’erario statale oneri (spese legali) connessi al rapporto di lavoro con i propri dipendenti. La fonte contrattuale collettiva nazionale per i dipendenti degli Enti Locali aveva la medesima finalità e mirava a omogeneizzarne il trattamento con quanto previsto per i dipendenti statali. Entrambe le discipline avevano come obiettivo (e limite) quello di incidere sul rapporto di lavoro alle dipendenze con lo Stato e con gli EE.LL.

31. Nel caso in esame le disposizioni sarebbero estranee anche rispetto al Regolamento di organizzazione degli uffici e del personale (art. 89 TUEL) e vanno a inquadrarsi logicamente e sistematicamente tra le disposizioni che il TUEL riserva alla disciplina dello status di amministratore locale, che non prevede altri spazi di autonomia normativa oltre quelli attualmente indicati con legge statale. L’unica possibilità positivamente riconosciuta all’Ente per tutelare i propri amministratori è, infatti, rappresentata dalla assicurazione contro i rischi conseguenti all’espletamento del loro mandato (art. 86, comma 5, TUEL). Questa operazione avrebbe, tra l’altro, l’indubbio vantaggio di poter quantificare esattamente l’onere finanziario da porre a carico del bilancio comunale, rappresentato dai premi assicurativi corrisposti.

32. A ben vedere, anzi, proprio la previsione contenuta nel TUEL, che attribuisce a ciascun Ente la possibilità di assumere, nella propria discrezionalità, l’onere di assicurare gli amministratori, è funzionale a garantire quella uniformità ordinamentale che rappresenta il limite dell’autonomia normativa attribuita a ciascun ente locale.

Nulla toglie, ed anzi è doveroso, che l’Ente che intenda procedere in tal senso, circoscriva, con propria determinazione, anche normativa, lo spazio, i presupposti e i limiti, entro i quali opera la copertura assicurativa, affinchè non siano assunte o garantite agli amministratori misure di protezione ulteriori rispetto a quelli ammissibili e, in concreto, ammesse, dalla giurisprudenza sulla base della normativa di legge e di contratto in vigore.

P.Q.M.

La Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per la Basilicata rende nelle sopra esposte considerazioni il proprio parere in relazione alle restanti richieste formulate dal Sindaco del Comune di Forenza con la nota in epigrafe citata.

DISPONE

Che copia della presente deliberazione sia trasmessa, a cura della segreteria della Sezione, all’Amministrazione richiedente e al presidente del coordinamento delle Sezioni regionali di controllo della Sezione delle Autonomie della Corte dei conti.

Così deciso in Potenza, nella Camera di consiglio del 18 dicembre 2013.

IL PRESIDENTE

(Dott. Francesco LORUSSO)

I MAGISTRATI

(dott. Rocco LOTITO)

(dott. Giuseppe TETI – relatore)

(dott. Donato LUCIANO)

Depositata in Segreteria il 18 dicembre 2013

IL FUNZIONARIO

PREPOSTO AI SERVIZI DI SUPPORTO

(dott. Giovanni CAPPIELLO)