Enti locali: sull'interpretazione dell'art. 4, co. 6, D. L. n. 95/2012

NOTA

Il parere in rassegna si sofferma sull’interpretazione dell’art. 4, co. 6, D.L. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 135 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini), secondo cui “A decorrere dal 1° gennaio 2013 le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 possono acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile esclusivamente in base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria. Gli enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile, che forniscono servizi a favore dell’amministrazione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche. Sono escluse le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l’alta formazione tecnologica e gli enti e le associazioni operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei beni ed attività culturali, dell’istruzione e della formazione, le associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, gli enti di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, le organizzazioni non governative di cui alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, le associazioni sportive dilettantistiche di cui all’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nonché le associazioni rappresentative, di coordinamento o di supporto degli enti territoriali e locali.”.

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Deliberazione n. 39/2013/PAR

CORTE DEI CONTI

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LE MARCHE

nell’adunanza del 16 aprile 2013

composta dai magistrati:

  • Cons. Fabio Gaetano GALEFFI – Presidente f.f.
  • Cons. Andrea LIBERATI – Componente
  • Primo Ref. Pasquale PRINCIPATO – Componente relatore

PARERE

COMUNE DI CASTELFIDARDO (AN)

Visto l’art. 100 secondo comma della Costituzione;

Visto il Testo Unico delle leggi sulla Corte dei conti approvato con r.d. 12 luglio 1934, n.1214, e successive modificazioni;

Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti;

Vista la legge 5 giugno 2003, n.131, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;

Visto il regolamento (14/2000) per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti deliberato dalle Sezioni Riunite in data 16 giugno 2000 e successive modificazioni;

Vista la deliberazione della Sezione delle Autonomie approvata nell’adunanza del 27 aprile 2004 avente ad oggetto gli indirizzi ed i criteri generali per l’esercizio della attività consultiva e le successive modificazioni ed integrazioni rese con la deliberazione n. 9 del 4 giugno/3 luglio 2009;

Vista la richiesta di parere formulata dal Comune di Castelfidardo con nota prot. 3697 del 19 marzo 2013 pervenuta il successivo 21 marzo 2013 a questa Sezione ed assunta in pari data al protocollo (n. 1137);

Visto il provvedimento del 15 aprile 2013 con il quale il Presidente ha convocato la odierna adunanza per discutere la richiesta di parere;

Udito nella Camera di consiglio il relatore dott. Pasquale Principato;

PREMESSO

Il Comune di Castelfidardo, con nota a firma del suo Sindaco, ha formulato una articolata richiesta di parere, ai sensi dell’art. 7, comma 8, l. 5 giugno 2003, n. 131, in ordine alla corretta interpretazione dell’art. 4, comma 6, d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, in l. 7 agosto 2012, n. 135 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini).

Il Comune premette di partecipare, insieme ad altri enti, ad una fondazione privata, senza scopo di lucro, versando un contributo annuale a titolo di “apporti e conferimenti in assolvimento degli obblighi statutari”.

Riporta poi alcune disposizioni statutarie relative allo scopo della fondazione (“1. La Fondazione ha lo scopo di tutelare, divulgare, ampliare nell’ambito della Regione Marche il patrimonio socio-culturale dell’area della battaglia di Castelfidardo del 18.09.1860.

2. In particolare la Fondazione ha lo scopo di promuovere in proprio o collaborando con altre istituzioni, iniziative scientifiche, ecologiche, botaniche, geologiche, artistiche e culturali che contemplino anche l’arte in ogni sua espressione per tutelare, divulgare ed ampliare il patrimonio socioculturale dell’area della battaglia di Castelfidardo, perseguendo la creazione di un’area multidisciplinare denominata ‘Area della Battaglia di Castelfidardo’, nella cui planimetria, allegata al presente Statuto, è evidenziato il primo nucleo iniziale. Tali iniziative saranno di completamento alle istituzioni, nella riscoperta e nella ricerca di attività che interessino la natura, la cultura e l’uomo, e che possano migliorare la qualità della vita e proporre nuove forme di lavoro per i giovani.”)

La richiesta di parere prosegue precisando che:

“- l’area della Battaglia – di proprietà della suddetta Fondazione – ha trovato riconoscimento e tutela anche nella recente L.R. Marche n. 5/2010 ad oggetto ‘Valorizzazione dei luoghi della memoria storica relativi alle battaglie di Tolentino e Castelfidardo e divulgazione dei relativi fatti storici’;

– la suddetta area (precisamente la parte di essa denominata: Selva di Castelfidardo) è stata espressamente riconosciuta dalla Regione Marche come ‘Area Floristica Protetta’ (Legge regionale n. 52/1974);

– la Fondazione risulta essere l’unico soggetto che cura, tutela e valorizza tale rilevante sito.”

Ciò premesso, l’ente pone a questa Sezione regionale i seguenti quesiti:

“1) In generale, quale sia la ratio e l’esatta valenza giuscontabile delle citate norme di legge del D.L. 95/2012, con particolare riferimento ai rapporti tra dette disposizioni ed i principi (elaborati e recentemente precisati anche dalla Corte dei conti) in materia di sussidiarietà orizzontale (cfr. art. 118, u.c. Cost., art. 3, c. 5, D.Lgs. n. 267/2000);

2) Quali siano i rapporti tra le disposizioni dettate dai primi due periodi del citato comma 4, ed in particolare se il contenuto dell’espressione ‘servizi di qualsiasi tipo’ (primo periodo) debba intendersi o meno coincidente con quella ‘servizi a favore dell’amministrazione stessa’ (secondo periodo);

3) Se la casistica degli enti e delle associazioni indicata nell’ultimo periodo, quale soggetti in deroga alle prescrizioni sopra riportate, sia da intendersi in maniera tassativa, ovvero se possano essere attuate interpretazioni estensive ovvero anche analogiche.”

CONSIDERATO

L’art. 7, comma 8, della l. n. 131 del 2003 ha intestato alle Sezioni regionali della Corte dei conti un’importante funzione consultiva da esercitarsi attraverso pareri in materia di contabilità pubblica su richieste provenienti da Regioni nonché da Comuni, Province e Città metropolitane, di norma tramite il Consiglio delle Autonomie locali, se istituito.

In vista di una delimitazione dei presupposti in costanza dei quali detta funzione può svolgersi è intervenuta la Sezione delle Autonomie che, dapprima con la deliberazione del 27 aprile 2004 e poi con la deliberazione del 4 giugno 2009, ha fissato rigorosi requisiti sia di carattere soggettivo (dell’organo richiedente) sia di carattere oggettivo (ascrivibilità del quesito alla materia della contabilità pubblica e carattere generale ed astratto del quesito medesimo) la cui verifica deve, secondo un principio ormai pacificamente acquisito, precedere l’esame del merito della richiesta.

In questa prospettiva il Collegio, chiamato alla previa delibazione della ammissibilità della richiesta di parere, rileva che la stessa è stata inviata direttamente dall’ente richiedente e non già per il tramite del Consiglio delle autonomie locali, organo di rilievo costituzionale previsto dal vigente art. 123 della Costituzione.

Nondimeno, confermando il proprio orientamento e pur evidenziando che appare non ulteriormente differibile l’adozione di opportuni interventi organizzativi affinché il predetto organo, istituito con l.r. 10 aprile 2007, n. 4, svolga la funzione allo stesso intestata, il Collegio ritiene la richiesta ammissibile.

Parimenti, nel caso di specie, appare soddisfatto il prescritto requisito soggettivo sia con riguardo all’ente richiedente sia con riguardo all’organo legittimato ad avanzare istanza di parere: la richiesta perviene, invero, da un Comune – ente espressamente indicato nella norma la cui elencazione va considerata tassativa in quanto riproduce letteralmente quella dell’art. 114 Cost. di cui l’art. 7, comma 8, l. n. 131 del 2003 costituisce attuazione (C. conti, Sez. Aut., delib. n. 13/2007) – ed è sottoscritta dal Sindaco e, dunque, dal soggetto titolare della rappresentanza istituzionale dell’ente locale ex art. 50, comma 2, TUEL.

Ad analoghe conclusioni deve pervenirsi con riguardo al profilo della ammissibilità oggettiva della richiesta di parere: è sufficiente, al riguardo, considerare che la disposizione su cui si chiede il parere è inserita in un intervento normativo espressamente volto alla “revisione della spesa pubblica” e fa riferimento a procedure direttamente attinenti all’attività negoziale e comunque alla gestione del bilancio dell’ente.

Di qui, dunque, la riferibilità del quesito posto alla materia della contabilità pubblica così come interpretata dalla giurisprudenza della Corte dei conti (cfr. Sezione delle Autonomie, deliberazione 17 febbraio 2006, n. 5 e Sezioni Riunite in sede di controllo, deliberazione 17 novembre 2010, n. 54).

Passando al merito, è opportuno richiamare il testo della disposizione oggetto dei quesiti. L’art. 4, comma 6, d.l. n. 95 del 2012, come modificato dalla legge di conversione n. 135 del 2012, così recita: “A decorrere dal 1° gennaio 2013 le pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 possono acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo, anche in base a convenzioni, da enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile esclusivamente in base a procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria. Gli enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile, che forniscono servizi a favore dell’amministrazione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche. Sono escluse le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l’alta formazione tecnologica e gli enti e le associazioni operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei beni ed attività culturali, dell’istruzione e della formazione, le associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, gli enti di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, le organizzazioni non governative di cui alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, le associazioni sportive dilettantistiche di cui all’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nonché le associazioni rappresentative, di coordinamento o di supporto degli enti territoriali e locali.”

Il testo iniziale differiva in due punti: per un verso, faceva riferimento agli articoli da 11 a 42 del codice civile (a tale proposito la modifica in sede di conversione è più precisa, avendo eliminato il richiamo all’art. 11, che non individua una specifica figura di ente, e all’art. 12, abrogato); per altro verso, nel secondo periodo prevedeva un’esenzione dal divieto di ricevere contributi soltanto per le “fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l’alta formazione tecnologica.”

La relazione illustrativa al d.d.l. di conversione del d.l. n. 95 appella il comma 6 dell’art. 4 con l’espressione “enti privati ‘in house’” e descrive così il contenuto della disposizione: “la norma prescrive, dal 1° gennaio 2013, alle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001 di acquisire servizi a titolo oneroso da enti di diritto privato (associazioni e fondazioni), ad esclusione delle fondazioni di ricerca, solo attraverso procedure di gara improntate, secondo la normativa nazionale e i principi comunitari, alla più ampia concorrenzialità, tale da assicurare le migliori condizioni economiche per la stazione appaltante. Inoltre, gli enti privati che forniscono servizi alle PA, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle pubbliche finanze.”

Ciò premesso, la disposizione in esame contiene all’evidenza due precetti: sotto un primo profilo, il legislatore ha inteso obbligare le pubbliche amministrazioni ad acquisire servizi resi da soggetti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del cod. civ. soltanto mediante “procedure previste dalla normativa nazionale in conformità con la disciplina comunitaria”. Con un distinto precetto, per il quale è possibile individuare un’autonoma sfera di applicazione, il legislatore ha inteso vietare ai medesimi enti, “che forniscono servizi a favore dell’amministrazione stessa, anche a titolo gratuito” di “ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche”.

Vi è poi, nell’ultimo periodo, la clausola di esclusione per una serie di fondazioni e associazioni. In sede di conversione, inoltre, è stato inserito un comma 6-bis avente ad oggetto una esenzione dall’applicazione del comma 6 e del comma 8 per una determinata associazione.

La collocazione della disposizione in esame è vicina ad altre norme che incidono anch’esse sulla materia delle procedure di evidenza pubblica per la individuazione del fornitore di beni e servizi (commi 7, 8 e 8-bis).

Il primo quesito appare quindi agevolmente risolvibile nel senso che il legislatore ha inteso riaffermare la prevalenza del diritto dell’Unione europea con riferimento alle varie tipologie di accordi, convenzioni, contratti, aventi come oggetto l’acquisizione di servizi a titolo oneroso da parte delle pubbliche amministrazioni.

Come noto, la direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (c.d. direttiva appalti, recepita dal d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163), definisce (art. 1) gli appalti pubblici come “contratti a titolo oneroso stipulati per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni aggiudicatrici aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti o la prestazione di servizi ai sensi della presente direttiva”.

Nell’interpretare tale nozione, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è costante nel ritenere “ininfluente la circostanza che tale operatore sia esso stesso un’amministrazione aggiudicatrice (v., in tal senso, sentenza del 18 novembre 1999, Teckal, C 107/98, Racc. pag. I 8121, punto 51). È inoltre indifferente che l’ente in questione non persegua un preminente scopo di lucro, che non abbia una struttura imprenditoriale, od anche che non assicuri una presenza continua sul mercato (v., in tal senso, sentenza CoNISMa, cit., punti 30 e 45)” (così, da ultimo, CGEU, sent. 19.12.2012, C-159/11, punto 29). Tale pronuncia va richiamata anche con riferimento al passaggio (importante ai fini che qui interessano) in cui afferma che “come risulta dal senso normalmente e abitualmente attribuito all’espressione ‘a titolo oneroso’, un contratto non può esulare dalla nozione di appalto pubblico per il solo fatto che la remunerazione in esso prevista sia limitata al rimborso delle spese sostenute per fornire il servizio convenuto” (punto 29).

Analogamente, con la sentenza 23.12.2009, C-305/08, la Corte ha affermato che le disposizioni della direttiva che si riferiscono alla nozione di “operatore economico” devono essere interpretate “nel senso che consentono a soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un’impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quali le università e gli istituti di ricerca nonché i raggruppamenti costituiti da università e amministrazioni pubbliche, di partecipare ad un appalto pubblico di servizi” (punto 45). Infatti, “un’interpretazione restrittiva della nozione di «operatore economico» avrebbe come conseguenza che i contratti conclusi tra amministrazioni aggiudicatrici e organismi che non agiscono in base a un preminente scopo di lucro non sarebbero considerati come «appalti pubblici», potrebbero essere aggiudicati in modo informale e, in tal modo, sarebbero sottratti alla norme comunitarie in materia di parità di trattamento e di trasparenza, in contrasto con la finalità delle medesime norme” (punto 43).

Il Collegio ritiene pertanto che la norma introdotta dall’art. 4, comma 6, primo periodo, d.l. n. 95 del 2012 si limiti a ribadire la doverosa applicazione della normativa nazionale secondo una interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea.

Resta impregiudicata la verifica in concreto della ricorrenza, nel rapporto contrattuale a titolo oneroso concluso da un’amministrazione pubblica, di un oggetto definibile come “servizio” (per un profilo connesso, e cioè la distinzione tra appalto e consulenza, di veda da ultimo Corte conti, sezione regionale controllo Lombardia, deliberazione 15.2.2013, n. 51/PAR).

Resta ugualmente impregiudicata la verifica della eventuale sussistenza dei presupposti che, in forza della disciplina interna (interpretata in senso conforme ai principi del diritto dell’UE), legittimano l’amministrazione ad addivenire ad un contratto senza confronto concorrenziale.

Concludendo sul primo quesito, la ratio della norma consente di ritenere non rilevante il profilo del principio di sussidiarietà orizzontale evocato dalla richiesta di parere. Ciò che conta è la decisione di un’amministrazione pubblica di “acquisire a titolo oneroso servizi di qualsiasi tipo”, ritenendo cioè tale acquisizione conforme alle proprie finalità istituzionali e perciò meritevole di finanziamento con proprie risorse. Una volta che la p.a. si sia determinata in tal senso, la norma ribadisce che qualsiasi modulo contrattuale (con l’espressione esemplificativa “anche in base a convenzioni”) concluso con enti di diritto privato (fondazioni, associazioni, comitati, ma anche società, stante il richiamo all’art. 13 cod. civ.) deve essere preceduto dalla procedura applicabile in punto di individuazione del contraente.

Infine, in termini più ampi, la citata disposizione è coerente con l’altra norma introdotta col medesimo intervento d’urgenza (art. 9, comma 6, d.l. n. 95 del 2012) secondo cui “è fatto divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’art. 118 della Costituzione.” Su tale disposizione possono richiamarsi i pareri resi dalle Sezioni regionali di controllo per la Lombardia (delib. 6.3.2013, n. 74) e per la Toscana (delib. 12.12.2012, n. 460), che l’hanno interpretata con riferimento a una fondazione (nel secondo caso, per l’esercizio di funzioni relative alla cultura e ai beni culturali).

Per quanto attiene al secondo quesito formulato dal Comune di Castelfidardo, il Collegio ritiene che non vi siano motivi per differenziare la nozione di “servizi” nei due contesti in cui la disposizione in esame usa tale termine.

Invero, è chiaro che il concetto si riferisce a uno dei possibili oggetti che un contratto stipulato da una pubblica amministrazione può avere e, con ciò, limita l’operatività del divieto di erogazione di contributi soltanto a tale ambito (e quindi, non alle forniture o alla esecuzione di lavori). Il legislatore ha altresì precisato che, ai fini del precetto di cui al secondo periodo (diverso rispetto a quello del primo), non è necessaria la onerosità del contratto, essendo ricomprese anche le prestazioni di servizi a titolo gratuito. Tale precisazione è coerente con la ratio del divieto e cioè di evitare che, mediante la erogazione di contributi a carico delle finanze pubbliche, un ente fornitore di servizi alla stessa amministrazione possa ottenere una remunerazione del servizio che pure si era impegnata a fornire a titolo gratuito, ovvero possa ottenere un ricavo “straordinario” rilevante però per evitare una perdita o conseguire un utile (o un maggior utile) nella esecuzione dello stesso servizio per il quale il titolo convenzionale già prevedeva un corrispettivo a carico dell’amministrazione pubblica.

La disposizione contiene, quindi, un precetto attuativo del principio di parità di trattamento degli operatori economici che contrattano con la pubblica amministrazione nonché del principio di buon andamento e imparzialità dell’attività amministrativa.

Quanto, infine, all’ultimo quesito, occorre evidenziare l’utilizzo di una tecnica legislativa non pienamente perspicua. Infatti, nel primo periodo dell’art. 4, comma 6, il soggetto della frase sono le amministrazioni pubbliche, mentre nel secondo periodo lo sono gli enti di diritto privato. La terza frase indica una serie di soggetti che “sono esclusi”. Pur non essendo chiaro se tale espressione si riferisca a entrambe le previsioni normative che la precedono, è indubbio che tutti gli enti ivi indicati possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche anche qualora forniscano servizi alla stessa amministrazione. La motivazione risiede nella meritevolezza delle finalità che tali soggetti perseguono. Non pare automatico, però, che nei confronti degli stessi enti le pp.aa. possano pattuire tout court acquisizioni di servizi a titolo oneroso in via diretta, e cioè in deroga al disposto del primo periodo. Per alcune figure si rinvengono riferimenti normativi che lo consentono (cfr. art. 5, comma 1, l. 8 novembre 1991, n. 381 in materia di cooperative sociali), ma una interpretazione che escluda tutti i predetti soggetti, per la sola appartenenza alla elencazione de quo, dalla portata applicativa del primo periodo appare contraddittoria con la ratio e la portata precettiva dello stesso.

In ogni caso, resta fermo che, in materia di contributi, sovvenzioni e comunque di attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere, la disciplina in concreto applicabile dovrà rinvenirsi anche nelle fonti regolamentari adottate dagli enti ai sensi dell’art. 12 l. n. 241 del 1990 nonché nelle disposizioni di cui all’art. 18 d.l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito, con modificazioni, in l. 7 agosto 2012, n. 134.

Quanto al profilo più attinente alla definizione dei soggetti, i parametri utilizzati dal legislatore sono di per sé idonei ad individuare ampi settori di attività (in tema di applicabilità della norma alle associazioni “pro loco”, si veda Corte conti, sezione regionale controllo Lombardia, deliberazione 14.3.2013, n. 89/PAR). D’altro canto, se l’esclusione dall’applicazione del primo periodo si configura come eccezione a una regola generale (e quindi di stretta interpretazione), l’esclusione dall’applicazione del secondo periodo si configura come deroga a una norma limitativa (quella di non poter beneficiare di un vantaggio economico in quanto fornitore di una p.a.) e quindi interpretabile in maniera estensiva.

In definitiva, quindi, ritiene il Collegio che l’elencazione di cui all’ultimo periodo dell’art. 4, comma 6, d.l. n. 95 del 2012 debba intendersi come tassativa, avendo riguardo ai noti principi dell’interpretazione letterale e della voluntas legis (di cui è chiara manifestazione il comma 6-bis).

Tutto ciò premesso, la Sezione

DELIBERA

il richiesto parere alla stregua delle considerazioni che precedono.

La presente deliberazione verrà trasmessa a cura della segreteria al Sindaco del Comune di Castelfidardo ed al Presidente del Consiglio delle Autonomie locali delle Marche.

Così deliberato in Ancona, nella camera di consiglio del 16 aprile 2013.

L’estensore Il Presidente f.f.

f.to Pasquale Principato f.to Fabio Gaetano Galeffi

Depositata in Segreteria in data 24 aprile 2013

Il Direttore della Segreteria f.to Carlo Serra