Sui limiti di spesa ex art. 9, c. 28, D. L. n. 78/2011

NOTA

Con il parere in rassegna, la Sezione regionale di controllo per la Lombardia della Corte dei conti offre numerosi spunti in ordine all’interpretazione dell’art. 9 comma 28, D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito in L. 30 luglio 2010 n. 122, così come modificato dall’art. 4, comma 102, della Legge 12 novembre 2011 n. 183 (legge di stabilità per il 2012), che, come noto, estende agli enti locali un limite di spesa già posto nel 2010 per altre amministrazioni pubbliche, prevedendo la possibilità di avvalersi di personale a tempo determinato, con convenzioni, con contratti di collaborazione coordinata e continuativa o con altri rapporti di lavoro flessibile nel limite del 50% della spesa sostenuta, per le medesime finalità, nell’anno 2009.

Il Comune di Marcignago chiedeva di sapere:

– se la norma trovi applicazione anche in caso di assunzione a tempo determinato, o con altro rapporto di lavoro flessibile, necessaria per la sostituzione di dipendente assente per congedo di maternità;

– se gli incarichi dirigenziali conferiti con contratto a tempo determinato, ai sensi dell’art. 110 del d.lgs. 18 agosto 2000 n. 267, siano allo stesso modo assoggettati alla norma limitativa.

La Sezione risponde

– quanto al primo quesito, che ove il Comune debba procedere ad un’assunzione a tempo determinato o con altro rapporto di lavoro flessibile per l’urgente e indifferibile sostituzione di dipendente assente per maternità, appare possibile superare, nei limiti dell’insorta necessità, il tetto di spesa posto dall’art. 9 comma 28 del d.l. n. 78/2010, come modificato dall’art. 4 comma 102 della legge n. 183/2011;

– quanto al secondo quesito, concernente la riconducibilità ai limiti di spesa per le assunzioni flessibili, previsti dal più volte citato art. 9 comma 28 del d.l. n. 78/2010, degli incarichi dirigenziali conferiti a tempo determinato, ai sensi dell’art. 110 del d.lgs. 267/2000, la Sezione ne ribadisce l’inclusione (v. già delibera della Sezione regionale Lombardia n. 13 del 19/01/2012), vertendosi di un contratto-fonte di un rapporto tra l’ente locale ed il destinatario dell’incarico che ha tutte le caratteristiche di un rapporto di lavoro a tempo determinato. Ne consegue, osserva la Corte, che l’amministrazione comunale che intende conferire un incarico ex art. 110 del TUEL, oltre ai presupposti ivi indicati, a decorrere dal 1° gennaio 2012, deve anche rispettare il limite del 50% della spesa sostenuta per il personale assunto con contratti flessibili nel 2009 (v., richiamata dal parere in rassegna, Sezione di Controllo per la Campania, parere n. 493 del 20 dicembre 2011).

* * *

Lombardia/36/2012/QMIG

REPUBLICA ITALIANA

LA

CORTE DEI CONTI

IN

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA

LOMBARDIA

composta dai magistrati:

dott. Nicola Mastropasqua Presidente

dott. Gianluca Braghò Primo referendario

dott. Massimo Valero Primo referendario

dott. Alessandro Napoli Referendario

dott. Laura De Rentiis Referendario

dott. Donato Centrone Referendario (relatore)

dott. Francesco Sucameli Referendario

dott. Cristiano Baldi Referendario

dott. Andrea Luberti Referendario

nell’adunanza del 07 febbraio 2012

Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;

Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;

Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;

Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata con deliberazioni n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004;

Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;

Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;

Vista la deliberazione n. 1/pareri/2004 del 3 novembre 2004 con la quale la Sezione ha stabilito i criteri sul procedimento e sulla formulazione dei pareri previsti dall’articolo 7, comma 8, della legge n. 131/2003;

Vista la nota del 16 gennaio 2012 con la quale il Sindaco del Comune di Marcignago (PV) ha chiesto un parere in materia di contabilità pubblica;

Vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per l’adunanza odierna per deliberare sulla sopra indicata richiesta;

Udito il relatore, dott. Donato Centrone

Premesso che

Il Sindaco del Comune di Marcignago, con nota prot. n. 292 del 14 gennaio 2012, ha formulato alla Sezione una richiesta di parere relativa alla corretta interpretazione dell’art. 9 comma 28 del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010, convertito nella Legge n. 122 del 30 luglio 2010, così come modificato dall’art. 4, comma 102, della Legge n. 183 del 12 novembre 2011 (legge di stabilità per il 2012). La novella estende agli enti locali un limite di spesa già posto nel 2010 per altre amministrazioni pubbliche, prevedendo la possibilità di avvalersi di personale a tempo determinato, con convenzioni, con contratti di collaborazione coordinata e continuativa o con altri rapporti di lavoro flessibile nel limite del 50% della spesa sostenuta, per le medesime finalità, nell’anno 2009.

In particolare il Comune istante chiede se la norma trovi applicazione anche in caso di assunzione a tempo determinato, o con altro rapporto di lavoro flessibile, necessaria per la sostituzione di dipendente assente per congedo di maternità.

Chiede altresì se gli incarichi dirigenziali conferiti con contratto a tempo determinato, ai sensi dell’art. 110 del d.lgs. 267 del 18 agosto 2000, siano allo stesso modo assoggettati alla norma limitativa.

In merito all’ammissibilità della richiesta

La funzione consultiva delle Sezioni regionali è inserita nel quadro delle competenze che la legge n. 131 del 2003, recante adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha attribuito alla Corte dei conti.

In relazione allo specifico quesito formulato dal Sindaco del Comune di Marcignago la Sezione osserva quanto segue.

Il primo punto da esaminare concerne la verifica dell’inclusione della richiesta proveniente dal Comune nell’ambito delle funzioni attribuite alle Sezioni regionali della Corte dei conti dall’art. 7, comma 8, della legge 6 giugno 2003, n. 131, norma in forza della quale Regioni, Province e Comuni possono chiedere a dette Sezioni pareri in materia di contabilità pubblica, nonché ulteriori forme di collaborazione, ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa.

In proposito, questa Sezione ha precisato, in più occasioni, che la funzione di cui al comma ottavo dell’art. 7 della legge n. 131/2003 si connota come facoltà conferita agli amministratori di Regioni, Comuni e Province di avvalersi di un organo neutrale e professionalmente qualificato per acquisire elementi necessari ad assicurare la legalità dell’attività amministrativa.

I pareri e le altre forme di collaborazione si inseriscono nei procedimenti amministrativi degli enti territoriali consentendo, nelle tematiche in relazione alle quali la collaborazione viene esercitata, scelte ponderate nello svolgimento dei poteri che appartengono agli amministratori pubblici, restando peraltro esclusa qualsiasi forma di cogestione (si rinvia, per tutte, alla Delibera della Sezione del 11 febbraio 2009, n. 36).

Infatti, deve essere messo in luce che il parere della Sezione attiene a profili di carattere generale anche se, ovviamente, la richiesta proveniente dall’ente pubblico è motivata, generalmente, dalla necessità di assumere specifiche decisioni in relazione ad una particolare situazione. L’esame e l’analisi svolta nel parere è limitata ad individuare l’interpretazione di disposizioni di legge e di principi generali dell’ordinamento in relazione alla materia prospettata dal richiedente, spettando, ovviamente, a quest’ultimo la decisione in ordine alle modalità applicative in relazione alla situazione che ha originato la domanda.

Con specifico riferimento all’ambito di legittimazione soggettiva per l’attivazione di questa particolare forma di collaborazione, è ormai consolidato l’orientamento che vede, nel caso del Comune, il Sindaco quale organo istituzionalmente legittimato a richiedere il parere, in quanto riveste il ruolo di rappresentante dell’ente ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L.

Il presente presupposto soggettivo sussiste nel quesito richiesto dal comune di Marcignago con nota n. 292 del 14 gennaio 2012.

Con riferimento alla verifica del profilo oggettivo, occorre rilevare che la disposizione contenuta nel comma 8 dell’art. 7 della legge 131 deve essere raccordata con il precedente comma 7, norma che attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di principio e di programma, la sana gestione finanziaria degli enti locali. Lo svolgimento delle funzioni è qualificato dallo stesso legislatore come una forma di controllo collaborativo.

Il raccordo tra le due disposizioni opera nel senso che il comma 8 prevede forme di collaborazione ulteriori rispetto a quelle del precedente comma, rese esplicite in particolare con l’attribuzione agli enti della facoltà di chiedere pareri in materia di contabilità pubblica.

Al riguardo, le Sezioni riunite della Corte dei conti, intervenendo con una pronuncia in sede di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 17, comma 31 del d.l. 1° luglio 2009, n. 78, convertito dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, hanno delineato una nozione di contabilità pubblica incentrata sul “sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici”, da intendersi anche in senso dinamico in relazione alle materie che incidono sulla gestione del bilancio e sui suoi equilibri (Delibera n. 54 del 17 novembre 2010).

Il limite della funzione consultiva come sopra delineato fa escludere qualsiasi possibilità di intervento della Corte dei conti nella concreta attività gestionale ed amministrativa, che ricade nella esclusiva competenza dell’autorità che la svolge o di interferenza con le competenze di altri organi giurisdizionali.

Tanto premesso, la richiesta di parere del Comune di Marcignago, concernendo la corretta interpretazione di una norma concernente vincoli generali di contenimento della spesa di personale, rientra nel perimetro della nozione di contabilità pubblica, come sopra delineata.

Esame nel merito

Appare opportuno illustrare il quadro normativo.

L’art. 9 comma 28 del d.l. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010, come di recente modificato dall’art. 4 comma 102 della legge n. 183 del 12 novembre 2011(legge di stabilità per il 2012) dispone: “A decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento autonomo, le agenzie, incluse le Agenzie fiscali di cui agli articoli 62, 63 e 64 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e successive modificazioni, gli enti pubblici non economici, le università e gli enti pubblici di cui all’articolo 70, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni e integrazioni, le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura fermo quanto previsto dagli articoli 7, comma 6, e 36 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009. Per le medesime amministrazioni la spesa per personale relativa a contratti di formazione-lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio di cui all’articolo 70, comma 1, lettera d) del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni ed integrazioni, non può essere superiore al 50 per cento di quella sostenuta per le rispettive finalità nell’anno 2009. Le disposizioni di cui al presente comma costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli enti del Servizio sanitario nazionale.”

Dopo l’esplicitazione di alcune eccezioni, la norma sanziona il mancato rispetto dei limiti previsti consacrando una specifica ipotesi d’illecito disciplinare e responsabilità erariale.

Per quanto riguarda il parametro finanziario di riferimento, sulla scorta dell’esperienza maturata nell’applicazione di norme similari, il legislatore precisa che “per le amministrazioni che nell’anno 2009 non hanno sostenuto spese per le finalità previste ai sensi del presente comma, il limite di cui al primo periodo è computato con riferimento alla media sostenuta per le stesse finalità nel triennio 2007-2009”.

La norma pone, pertanto, due obblighi di contenimento:

– il primo relativo ai rapporti di lavoro “a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa” (50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009);

– il secondo relativo ai “contratti di formazione-lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio” (50 per cento della spesa sostenuta per le rispettive finalità nell’anno 2009).

Alla luce della formulazione letterale, entrambi vanno rispettati, in maniera distinta e autonoma. L’amministrazione dovrà, da un lato, contenere i costi per i rapporti di lavoro inclusi nel primo periodo del comma (tempo determinato, convenzioni e contratti di collaborazione coordinata e continuativa). E, dall’altro, rispettare lo stesso limite per i rapporti di lavoro (e assimilati) previsti nel secondo periodo (formazione-lavoro, altri rapporti formativi, somministrazione di lavoro, lavoro accessorio).

Non viene precisato, invece, come in altri casi (per esempio nell’art. 6 comma 10 del medesimo d.l. 78/2010), se i predetti tetti di spesa possano essere oggetto di compensazione o meno, aspetto comunque non oggetto di richiesta interpretativa da parte del Comune istante.

Il terzo periodo della disposizione, dopo l’integrazione apportata dal comma 102 dell’art. 4 della legge di stabilità n. 183/2011, precisa che “le disposizioni di cui al presente comma costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le regioni, le province autonome, gli enti locali e gli enti del servizio sanitario nazionale”.

Il sistema delle autonomie e gli enti del SSN non paiono, pertanto, destinatari diretti della disposizione limitativa, anche se devono adeguarsi ai relativi principi generali al fine di garantire il contenimento della spesa per assunzioni a tempo determinato, e rapporti assimilati, nei limiti previsti dalla legge.

Come evidenziato in recente precedente della Sezione (delibera n. 21 del 24/01/2012) questa novella ha, per gli enti locali, portata innovativa e si connota quale principio generale di coordinamento della finanza pubblica. La legge di stabilità pone una misura limitativa, da modulare nell’ambito dell’autonomia dell’ente locale, purché idonea a realizzare il raggiungimento degli obiettivi di contenimento.

La disposizione non diverge da norme analoghe che hanno più volte previsto tagli lineari basati su un quoziente di spesa storica estrapolato da una specifica annualità, né compie una valutazione selettiva sulle forme di assunzione flessibile o distingue fra le fonti di finanziamento. Prevede solo l’esplicito assoggettamento a norme settoriali per il comparto scuola, per le istituzioni di alta formazione artistica e musicale, per gli enti di ricerca e per le strutture di missione. Non sono previste ulteriori deroghe testuali.

Tuttavia, alla luce del tenore letterale della norma (che pone per gli enti locali un obbligo di adeguamento ai principi generali), nonché dei principi di autonomia rafforzati dalla riforma del Titolo V Parte II della Carta Costituzionale (legge costituzionale n. 3/2001), come esplicitati in alcune pronunce della Consulta (si rimanda per tutte alle n. 390/2004 e 182/2011), il primo aspetto da analizzare concerne il grado di cogenza per gli enti locali (come per le Regioni e gli enti del SSN) del vincolo imposto (riduzione del 50% rispetto alla spesa impegnata nel 2009).

In questo, infatti, a differenza di altri casi, il legislatore non ha previsto un obbligo di contenimento/riduzione applicabile in via immediata all’ente locale, ma ha consentito di adeguarsi ai principi generali di riduzione posti dalla norma.

Appare evidente la diversità rispetto al tenore letterale di altre disposizioni che hanno imposto (e impongono tuttora) obblighi da osservare/soddisfare in via diretta e puntuale. Si rimanda, per esempio, all’art. 1 commi 557 e 562 della LF n. 296/2006 (in tema di riduzione della spesa complessiva per il personale), all’art. 76 commi 5 e 7 del d.l. n. 112/2008 e successive modifiche (in tema di divieto di assunzioni per gli enti locali che registrano un rapporto fra spesa di personale e spesa corrente superiore, attualmente, al 50%), agli artt. 77 e 77 bis del citato d.l. n. 112/2008 e successive modificazioni (in tema di sottoposizione alle regole del c.d. “patto di stabilità interno”). Dello stesso tenore anche altre disposizioni normative, succedutesi nel corso degli ultimi anni, che hanno imposto direttamente agli enti locali l’osservanza di generali obblighi di contenimento (gli stessi commi iniziali dell’art. 9 del d.l. n. 78/2010, oggetto di esame in questa sede, prevedono una serie di limiti al trattamento economico del personale e ai fondi per la contrattazione integrativa, direttamente applicabili agli enti locali).

Pertanto in svariati casi il legislatore nazionale ha preso direttamente in considerazione gli enti locali, così come, in altri, ha ottenuto lo stesso effetto indirizzandosi agli aggregati di enti solitamente utilizzati per definire l’ambito soggettivo di applicazione di determinate normative (enti pubblici elencati nell’art. 1 comma 2 del d.lgs. n. 165/2001; amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT, ai sensi del comma 3 dell’art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196).

In altri ancora, invece (come nell’art. 9 comma 28 del d.l. n. 78/2010 in esame o nell’art. 6 comma 20 del medesimo decreto legge), ha previsto solo un obbligo di adeguamento in conformità ai principi generali emergenti dalla disposizione limitativa. L’interprete deve misurarsi con questa differenziazione.

In proposito non soccorrono specifici precedenti. Appaiono tuttavia chiari i discendenti differenti possibili approdi interpretativi, sia ai fini della risposta al Comune istante, che ad altri futuri quesiti, alcuni dei quali già devoluti alla Sezione (vincolatività della base di calcolo della limitazione, con eventuale possibilità di far riferimento al triennio 2009-2011 se più favorevole; sostituzione temporanea di un dipendente collocato in distacco sindacale retribuito negli anni 2011 e 2012; sostituzione di personale con specifica professionalità e mansioni, per esempio cuochi, assente per malattia, infortunio, o permessi di cui alla legge n. 104/1992, etc.).

Oltre all’interpretazione letterale, va considerato quanto desumibile da una lettura costituzionalmente orientata della disposizione. La Corte costituzionale vagliando di recente (sentenza n. 182/2011) la legittimità di una norma della regione Toscana (l’art. 1 comma 1 della legge 29 dicembre 2010 n. 65, “la Giunta regionale, sulla base delle spese risultanti dal rendiconto per l’anno 2009, determina con proprio atto l’ammontare complessivo della riduzione delle proprie spese di funzionamento indicate dal citato articolo 6. Tale ammontare è assicurato dalla Giunta regionale anche mediante una modulazione delle percentuali di risparmio in misura diversa rispetto a quanto disposto dall’articolo 6 del decreto-legge n. 78/2010”) che rimodulava i tetti di spesa posti dall’art. 6 commi 7-14 e 20 del d.l. n. 78/2010, ha ribadito alcuni principi funzionali anche all’interpretazione dell’art. 9 comma 28 del d.l. n. 78/2010, come modificato dall’art. 4 comma 102 della legge n. 183 del 12 novembre 2011 (costruito con analoga tecnica normativa).

Infatti, secondo la Consulta, il legislatore statale con una “disciplina di principio” può legittimamente imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connessi a obiettivi nazionali e comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se si traducono in limitazioni indirette all’autonomia di spesa (sentenze n. 36 del 2004 e n. 417 del 2005). Questi vincoli, perché possano considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali, dovrebbero riguardare l’entità del disavanzo di parte corrente oppure la crescita della spesa corrente. In altri termini, la legge statale può stabilire solo un “limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa” (sentenze n. 417 del 2005 e n. 36 del 2004; n. 88 del 2006 e n. 449 del 2005).

Sulla base di queste premesse, la Corte precisa nelle motivazioni che precedenti interventi legislativi, analoghi a quelli operati dall’art. 6 del decreto-legge n. 78 del 2010, non sono stati in grado di superare il vaglio di legittimità costituzionale, data l’indebita compressione dell’autonomia finanziaria delle Regioni. In particolare, sono state ritenute illegittime alcune rigide misure concernenti la spesa per studi, consulenze, missioni all’estero, rappresentanza, relazioni pubbliche e convegni (sentenza n. 417 del 2005); la spesa per viaggi in aereo (sentenza n. 449 del 2005); i compensi e il numero massimo degli amministratori di società partecipate dalla Regione (sentenza n. 159 del 2008); le spese per autovetture (sentenza n. 297 del 2009).

A fronte di tale consolidato orientamento, la Consulta mette in rilievo come il legislatore statale con l’art. 6 del d.l. n. 78/2010 (e, per quanto interessa in questa sede, con l’art. 9 comma 28 dello stesso decreto legge), ha superato la tecnica normativa in origine adottata, preferendo agire sulla spesa delle amministrazioni statali (e degli enti pubblici nazionali) con norme puntuali, dichiarandone invece l’efficacia nei confronti delle Regioni (e degli Enti locali) esclusivamente quali principi di coordinamento della finanza pubblica (sentenza n. 289 del 2008).

Tuttavia “tale operazione può rispettare il riparto concorrente della potestà legislativa in tema di coordinamento della finanza pubblica, solo a condizione di permettere l’estrapolazione, dalle singole disposizioni statali, di principi rispettosi di uno spazio aperto all’esercizio dell’autonomia regionale. In caso contrario, la disposizione statale non potrà essere ritenuta di principio (sentenza n. 159 del 2008), quale che ne sia l’eventuale autoqualificazione operata dal legislatore nazionale (sentenza n. 237 del 2009)”.

Di conseguenza, ritenuto che il comma 20 del citato art. 6 del d.l. n. 78/2010 abbia inteso operare in tal senso (“le disposizioni del presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica”), la Consulta ha affermato che la norma di legge “non intende imporre alle Regioni l’osservanza puntuale ed incondizionata dei singoli precetti di cui si compone e può considerarsi espressione di un principio fondamentale della finanza pubblica in quanto stabilisce, rispetto a specifiche voci di spesa, limiti puntuali che si applicano integralmente allo Stato, mentre vincolano le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale solo come limite complessivo”.

Analogo ragionamento interpretativo potrebbe farsi con riferimento all’art. 9 comma 28 del d.l. n. 78/2010 che appare costruito con la medesima tecnica normativa.

L’interpretazione letterale e costituzionalmente orientata indurrebbe a ritenere che il limite di spesa per le assunzioni a tempo determinato e con altre forme di lavoro flessibile non possa imporsi tout court agli Enti locali, ma costituirebbe disciplina di principio cui doversi adeguare nell’ambito dei rispettivi ordinamenti.

Questo è tanto più vero ove si consideri che l’aggregato complessivo delle spese per il personale risulta già oggetto di disposizioni limitative che hanno come ambito di applicazione diretto gli enti locali (art. 1 commi 557 e 562 della legge 296/2006, art. 76 d.l. n. 112/2008), che continuano a dover essere osservate e che già comprendono, per esplicita scelta del legislatore, i rapporti di lavoro a tempo determinato e flessibile, oggetto di analisi in questa sede.

Di conseguenza appare possibile affermare che l’art. 9 comma 28 del d.l. n. 78/2010 imponga un obbligo di osservanza ai soli principi di riduzione della spesa per il personale assunto a tempo determinato o con altre forme di lavoro flessibile (limitazione puntuale che, invece, ove ritenuta interamente cogente, rischia di scontrarsi anche con i principi enucleati dalla Consulta).

Il problema, tuttavia, che propone l’interpretazione di questa norma, a differenza delle limitazioni di spesa previste dall’art. 6 del d.l. n. 78/2010, concerne l’esplicitazione delle modalità e dei contenuti di adeguamento da parte degli enti locali.

In linea di principio gli enti debbono regolamentare la materia in modo da ridurre la spesa stanziata nel bilancio annuale (e programmata nel bilancio pluriennale) contenendola nei limiti previsti dalla legge. Nel rispetto dell’obiettivo di riduzione, potrebbero rendere flessibile la previsione normativa, adeguandola alle proprie concrete esigenze, con particolare riguardo a quelle di carattere non ricorrente, o derivanti da eventi che fuoriescono dall’ordinaria amministrazione. Così come potrebbero rispettare il dettato normativo entro un arco temporale più ampio (nell’ambito della programmazione triennale, ex art. 171 d.lgs. 267/2000), disciplinando eventuali adeguate e momentanee compensazioni (per esempio con altre spese per il personale).

Dovranno comunque essere esplicitate le opportune procedure di verifica in occasione dell’approvazione del bilancio consuntivo (per esempio certificazione da parte del Collegio dei revisori). La Sezione potrà poi esercitare i dovuti controlli, specie in sede di esame dei questionari sui bilanci ai sensi dell’art. 1 comma 166 e seguenti della legge n. 266/2005.

In relazione ai contenuti dell’adeguamento ai principi generali emergenti dalla disposizione, andrebbe in primo luogo considerato che l’art. 9 comma 28 del d.l. n. 78/2010 prosegue l’opera di contenimento dei costi per assunzioni a tempo determinato e altre forme di lavoro flessibile, iniziata nella seconda metà dello scorso decennio.

Il legislatore, dopo un periodo di sostanziale neutralità (successivo alla c.d. privatizzazione dei rapporti di lavoro nel pubblico impiego, d.lgs. 29/1993) ha optato per una tendenziale riduzione della spesa sostenuta per le forme di lavoro flessibile, al fine di contrastare il fenomeno della formazione di ingenti mole di lavoratori precari, storicamente poi assorbiti a tempo indeterminato presso le amministrazioni (le ultime autorizzazioni si rinvengono nelle disposizioni della legge finanziaria n. 244/2007, successivamente in parte prorogate). Evidenze di tale disfavore si ritrovano sia in norme poste da recenti leggi finanziarie e similari (fra tutte, l’art.9 comma 28 della legge 122/2010 oggetto di esame in questa sede), che in varie modifiche apportate alla norma cardine della materia, l’art. 36 del d.lgs. 165/2001 (in particolare dall’art. 49 del d.l. n. 122/2008, così come dagli artt. 4 del d.l. n. 4/2006 e 3 comma 79 della legge n. 244/2007).

Quest’ultima norma dispone attualmente che “per le esigenze connesse con il proprio fabbisogno ordinario le pubbliche amministrazioni assumono esclusivamente con contratti di lavoro subordinato a tempo indeterminato”, mentre solo per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale (sanzionando con la perdita della retribuzione di risultato il dirigente che utilizzi irregolarmente, cioè in assenza delle “esigenze temporanee ed eccezionali”, il lavoro flessibile).

Nella stessa direzione le modifiche apportate all’art. 7 comma 6 del d.lgs. 165/2001, norma che disciplina i presupposti per la legittima stipula dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa (anch’essi oggetto della limitazione posta dall’art. 9 comma 28 del d.l. n. 78/2010). Dopo aver precisato che le amministrazioni possono ricorrervi solo per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio ed aver analiticamente disciplinato i presupposti per il legittimo conferimento, la norma dispone che “il ricorso a contratti di collaborazione coordinata e continuativa per lo svolgimento di funzioni ordinarie o l’utilizzo dei collaboratori come lavoratori subordinati è causa di responsabilità amministrativa per il dirigente che ha stipulato i contratti”.

Il principio che emergerebbe dalle due disposizioni di legge (successivamente aggravato, in termini di specifica riduzione di spesa, dall’art. 9 comma 28 del d.l. n. 78/2010) consisterebbe nel divieto di utilizzo delle assunzioni a tempo determinato o con collaborazioni coordinate e continuative per lo svolgimento di funzioni ordinarie dell’ente.

Il legislatore, in sostanza, dopo aver preso atto della stratificazione del fenomeno del c.d. “precariato” nella pubblica amministrazione ed aver concesso, con scelta di natura essenzialmente politica, di stabilizzare il personale interessato (si rinvia alle specifiche norme della legge n. 244/2007 e successive modifiche), vorrebbe evitare la ricreazione di situazioni similari e, a tal fine, ha disciplinato in senso restrittivo i presupposti per la legittima stipula dei contratti a tempo determinato e delle collaborazioni (evidenti in tal senso gli artt. 46 e 49 del d.l. n. 112/2008), prevedendo di recente anche specifici tetti di spesa (art. 9 comma 28 d.l. n. 78/2010).

Di conseguenza gli enti locali, dovendosi adeguare ai principi generali posti dalla norma nazionale limitativa, devono considerare che la volontà del legislatore, prima concentratasi sui presupposti (d.l. n. 112/2008) e oggi estrinsecantesi in specifici limiti di spesa (d.l. n. 78/2010), appare tesa a ricondurre il lavoro flessibile nell’alveo naturale dei presupposti di temporaneità e urgenza previsti dagli artt. 7 comma 6 e 36 del d.lgs. 165/2001, evitando che il relativo utilizzo si trasformi in un mezzo per colmare le lacune ordinarie dell’attività dell’ente.

I Comuni, in sede di autoregolamentazione, dovrebbero pertanto innanzitutto analizzare la spesa sostenuta (impegnata) per le assunzioni flessibili nel 2009.

Effettuata tale analisi, devono ridurre, nel 2012, la spesa sostenuta per rapporti di lavoro a tempo determinato o con altre forme di lavoro flessibile in modo da conformarsi al principio generale posto dal legislatore, in particolare dimezzando la spesa sostenuta per l’assolvimenti di funzioni ordinarie (ammesso che sussistano i presupposti previsti dall’art. 7 comma 6 e 36 del d.lgs 165/2001) o quella discendente da continui e ripetuti rinnovi ai contratti in essere.

Valutazione differente, da effettuare caso per caso, e necessitante di puntuale motivazione, potrebbe esser fatta per i contratti connotati da urgenza e temporaneità sia nei presupposti (come da artt. 7 comma 6 e 36 del d.lgs. 165/2001) che nella finalizzazione (necessità di assolvere a funzioni essenziali).

Invero un ente locale, specie di piccole dimensioni, che in osservanza al generale dettato normativo sui presupposti per il conferimento (come detto, oggetto di disciplina restrittiva in seguito al d.l. n. 112/2008) abbia già ridotto nel 2009, entro tetti fisiologici, la spesa per il personale a tempo determinato, rischia, alla luce di quest’ultima specifica disposizione limitativa, di non poter procedere ad assunzioni a tempo determinato pur in presenza non solo dei presupposti previsti dagli artt. 7 comma 6 e 36 del d.lgs. 165/2001 (“esigenze temporanee ed eccezionali”), ma anche della necessità e urgenza, scaturente da situazione imprevista e imprevedibile, di assolvere all’espletamento dei propri servizi e funzioni fondamentali (in particolare di quelli previsti dall’art. 21 della legge n. 42/2009).

Il primo quesito posto dal Comune istante concerne, infatti, la sottoposizione alla disposizione limitativa anche della spesa sostenuta per la sostituzione di dipendente assente a causa di congedo per maternità.

Come evidenziato in precedenti delibere della Sezione (si rinvia, per esempio, alle n. 903 del 29 settembre 2010, 44 del 17 ottobre 2007 e 1103 del 17 dicembre 2009), come di altre Sezioni di controllo (Piemonte, parere n. 46 del 29 giugno 2010; Toscana n. 205 del 17 settembre 2011; Friuli Venezia Giulia n. 78 del 14 ottobre 2011), quest’ultima deve essere compresa nel calcolo della spesa per il personale (i precedenti citati facevano riferimento all’applicazione dell’art. 1 comma 557 della legge 296/2006, dell’art. 14 comma 9 della legge 122/2010, e ad altre disposizioni limitative).

Nel caso sottoposto dal Comune di Marcignago non si tratta solo di stabilire se la spesa per la sostituzione di dipendente assente per maternità costituisca “spesa di personale”, ma di valutare se debba essere, sempre e comunque, assoggettata all’obbligo di contenimento posto per le assunzioni a tempo determinato o con altri rapporti di lavoro di natura flessibile.

Infatti, come regola generale, ove si tratti di valutare le componenti che compongono la spesa del personale, andrebbe considerata anche quella sostenuta per la sostituzione di dipendenti assenti per maternità, sia ai fini dei limiti complessivi (art. 1 commi 562 e 557 della legge n. 296/2006 , art. 14 comma 9 legge n. 122/2010) che di quello, di cui si discute, previsto per le assunzioni a tempo determinato e per le altre forme di lavoro flessibile (art. 9 comma 28 d.l. n. 78/2010).

Tuttavia, alla luce del richiamato spazio di autonomia che quest’ultima norma riconosce agli enti locali e del fatto che, nel caso specifico, si tratta di un’assunzione per far fronte ad un evento imprevisto, appaiono possibili ulteriori considerazioni.

Va tenuto presente che, sulla base di quanto dichiarato dell’Ente istante, nel 2009 le spese per i rapporti di lavoro in argomento appaiano contenute, così come è stato rispettato il tetto posto alla spesa complessiva per il personale (nello specifico, con riferimento all’art. 1 comma 562 della legge n. 296/2006).

In generale la valutazione di criticità organizzative, pur comprensibili, non possono essere oggetto di analisi da parte della Corte. Anche le Sezioni Riunite, nella delibera n. 46 del 29 agosto 2011, citata dal Comune istante, esaminando similare norma limitativa di spesa (l’art. 14 comma 9 del d.l. n. 78/2010), hanno precisato che occorre comunque rimettersi alla volontà del legislatore, in ordine alla quale è solo possibile evidenziare valutazioni di opportunità, senza legittimare interpretazioni additive o derogatorie.

Tuttavia anche in quella pronuncia, pur optando per una valutazione stringente della disposizione rimessa (la questione specifica, oggetto di esame, è oggi superata dall’avvento del comma 103 dell’art. 4 della legge di stabilità n. 183/2011), le Sezioni Riunite hanno precisato come, alle eccezioni espressamente previste dalla legge, “vanno necessariamente aggiunte le fattispecie che trovano fondamento in situazioni comportanti interventi di somma urgenza e l’assicurazione di servizi infungibili ed essenziali”.

Nel caso della sostituzione della dipendente assente per maternità, l’amministrazione si trova a fronteggiare un’assenza che non dipende dalla propria volontà, né é in alcun modo programmabile, trovando fondamento in un diritto del lavoratore (si rinvia al sistema di tutele delineato dal d.lgs. 151/2001) che, per un determinato arco temporale, si tramuta in un vero e proprio obbligo normativo, indipendente dalla volontà delle parti (artt. 16 e 17 del d.lgs. 151/2001).

In queste ipotesi lo stesso legislatore (art. 4 d.lgs. 151/2001), derogando espressamente al principio generale dell’assunzione a tempo indeterminato, permette l’attivazione di contratti a tempo o altre forme di lavoro flessibile per la sostituzione del lavoratore in congedo di maternità. Nella stessa direzione le regole generali poste per il pubblico impiego dalla contrattazione collettiva nazionale, cui l’art. 36 del d.lgs. 165/2001 rinvia la disciplina dei rapporti di lavoro flessibile nelle amministrazioni (all’interno del quadro delineato dalle leggi valevoli per le imprese: d.lgs. n. 368/2001, d.lgs. 267/2003, art. 4 d.lgs. 151/2001, etc.).

Specie per gli enti di minori dimensioni, si tratta di casi in cui la sottoposizione della spesa derivante dalla predetta sostituzione, anche se caratterizzata dai presupposti di temporaneità e urgenza, ai tetti posti per le assunzioni a tempo determinato (in aggiunta a quelli valevoli per la spesa complessiva di personale), oltre a creare rigidità organizzative e rischi di mancata erogazione di servizi essenziali, porrebbe un problema di compatibilità con i principi enucleati dalla giurisprudenza costituzionale. Infatti, traducendosi nel rispetto puntuale della disposizione limitativa, imporrebbe una regola che, come detto, non può essere appannaggio del legislatore nazionale, dovendo essere riconosciuto agli enti locali uno spazio di autonomia nell’adeguamento al principio generale di riduzione della spesa.

Sul piano della complessiva valutazione economica dell’operazione, andrebbe anche considerato che per i datori di lavori privati, proprio al fine di tutelare il diritto alla maternità, la legge ha posto a carico dell’INPS il rimborso degli oneri retributivi sostenuti per i congedi (con fondo finanziato dai contributi versati dalle imprese e, in parte, dalla fiscalità generale; si rinvia agli artt. 22 e 78 e seguenti del d.lgs. 151/2001, nonché all’art. 1 del d.l. n. 663/1979, convertito nella legge n. 33/1980). L’amministrazione pubblica, invece, per scelta legislativa (si veda l’art. 41 del DPR n. 3/1957 richiamato dall’art. 85 del d.lgs. 151/2001, oltre che l’ulteriore normativa di settore) sostiene direttamente la spesa dell’assenza (in sostanza sopporta un costo a fronte di una prestazione di lavoro non erogabile per volontà dello stesso legislatore), spesa che si raddoppia nel caso in cui l’ente abbia la necessità e l’urgenza di sostituire la lavoratrice assente.

In altre parole, in quest’ultimo caso, viene conteggiata nei bilanci degli enti pubblici per due volte in luogo di una, come avverrebbe se il primo costo, quello dell’assenza per congedo, fosse sostenuto, come per gli altri datori di lavoro privati, dall’INPS (cfr. art. 1 del citato d.l. n. 663/1979, convertito nella legge n. 33/1980).

L’opzione interpretativa tesa alla mancata inclusione della sola spesa per la sostituzione nei limiti previsti per le assunzioni a tempo determinato permetterebbe di attenuare tale effetto distorsivo.

In sostanza, quando si tratta di includere tale spesa, in omaggio alle regole di finanza pubblica, nei generali tetti previsti a livello macro per il personale (art. 1 commi 557 e 562 della legge 296/2006 e dall’art. 14 comma 9 del d.l. n. 78/2010), la capacità organizzativa dell’ente, sommata alla presenza di aggregati, di spesa e personale, più elevati e ampi, può permettere l’adozione di misure alternative (riducendo altre spese di personale).

Se si considerano, invece, le sole assunzioni a tempo determinato o con altre forme di lavoro flessibile, l’applicazione diretta dell’art. 9 comma 28 del d.l. n. 78/2010, ai cui principi di riduzione gli enti locali devono comunque adeguarsi, rischia di porre in pericolo l’espletamento di funzioni fondamentali, oltre che apparire in contrasto con l’interpretazione letterale e costituzionalmente orientata della disposizione (alla luce dei principi enucleati dalla Consulta in svariate pronunce).

Pericolo accentuato per gli enti più piccoli (il comune istante dichiara per il 2009 una spesa per assunzioni a tempo determinato di circa 33.000 euro) o che negli anni pregressi sono stati maggiormente virtuosi (e incontrano difficoltà a rispettare un’ulteriore sensibile riduzione).

Di conseguenza, sulla scorta di quanto esposto sinora, e anche alla luce del ragionamento argomentativo condotto nella delibera delle Sezioni Riunite n. 46 del 29 agosto 2011, ove il Comune debba procedere ad un’assunzione a tempo determinato o con altro rapporto di lavoro flessibile per l’urgente e indifferibile sostituzione di dipendente assente per maternità, appare possibile superare, nei limiti dell’insorta necessità, il tetto di spesa posto dall’art. 9 comma 28 del d.l. n. 78/2010, come modificato dall’art. 4 comma 102 della legge n. 183/2011.

Dovrà naturalmente essere rispettato il contenimento posto alla complessiva spesa per il personale (come da costante orientamento di questa e di altre Sezioni), oltre che la necessità di motivare puntualmente circa la sussistenza dei presupposti previsti dalla legge (adempimenti che potranno essere oggetto di verifica da parte del Collegio dei revisori e, successivamente, della Sezione in sede di esame dei questionari sui bilanci preventivi e consuntivi ex art 1 comma 166 della LF n. 266/2005).

Appare inoltre necessario, in prospettiva, attuare il disposto dell’art. 14 comma 28 del d.l. n. 78/2010, convertito nella legge 122/2010, che impone ai comuni sotto i 5.000 abitanti di espletare le funzioni fondamentali mediante unioni o convenzioni, modulo organizzativo che, nel medio periodo, può permettere il superamento delle criticità derivanti dalla rigidità della spesa per il personale.

In relazione al secondo quesito posto dal Comune, concernente la riconducibilità ai limiti di spesa per le assunzioni flessibili, previsti dal più volte citato art. 9 comma 28 del d.l. n. 78/2010, degli incarichi dirigenziali conferiti a tempo determinato, ai sensi dell’art. 110 del d.lgs. 267/2000, la Sezione si è pronunciata di recente, affermandone l’inclusione, con motivazioni che si richiamano. Nella delibera n. 13 del 19/01/2012 èstato evidenziato come sia pacifico che il contratto ex art. 110 del d.lgs. n. 267/2000 è la fonte di un rapporto tra l’ente locale ed il destinatario dell’incarico che ha tutte le caratteristiche di un rapporto di lavoro a tempo determinato. Ne consegue che l’amministrazione comunale che intende conferire un incarico ex art. 110 del TUEL, oltre ai presupposti ivi indicati, a decorrere dal 1° gennaio 2012, deve anche rispettare il limite del 50% della spesa sostenuta per il personale assunto con contratti flessibili nel 2009 (in termini la Sezione di Controllo per la Campania, parere n. 493 del 20 dicembre 2011).

Peraltro, come già precisato, la Sezione deve rendere parere anche per ipotesi diverse dalla sostituzione di dipendente assente per maternità, fattispecie che implicano anch’esse un preventivo uniforme esame ermeneutico della norma in discorso (vincolatività della base di calcolo della limitazione, con eventuale possibilità di far riferimento al triennio 2009-2011 se più favorevole; sostituzione temporanea di un dipendente collocato in distacco sindacale retribuito negli anni 2011 e 2012; sostituzione di personale con specifica professionalità e mansioni, per esempio cuochi, assenti per malattia, infortunio, o permessi di cui alla legge n. 104/1992, etc.).

Rilevando, anche alla luce degli orientamenti emersi presso altre Sezioni (pareri Sezione Campania n. 493 del 20/12/2011 e Toscana n. 10 del 31/01/2012), che l’interpretazione dell’art. 9 comma 28 del d.l. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010, come integrato dall’art. 4, comma 102, della legge n. 183 del 12 novembre 2011, relativamente al grado di cogenza ed alla connessa latitudine dei margini di adeguamento, possa rivestire carattere di questione di massima di particolare rilevanza ai fini della risoluzione del primo quesito posto dal Comune istante, come di altri vertenti sulla medesima norma e già oggetto di devoluzione alla presente Sezione di controllo

P.Q.M.

sospende la pronuncia sulla richiesta di parere pervenuta dal Comune di Marcignago (PV) e delibera di proporre al Signor Presidente della Corte dei conti di volere deferire alle Sezioni Riunite la questione di massima ai sensi dell’art. 17 comma 31 del d.l. n. 78/2009, convertito nella legge n. 102/2009.

Dispone che la presente deliberazione venga trasmessa, a cura della Segreteria, all’ufficio di Presidenza della Corte dei conti.

Il Relatore Il Presidente

(Donato Centrone) (Nicola Mastropasqua)

Depositata in Segreteria

13/02/2012

Il Direttore della Segreteria

(dott.ssa Daniela Parisini)