Pubblica amministrazione: il contratto preliminare e il divieto di cui all’art. 1, co. 138, L. n. 228/2012

NOTA

Il parere si sofferma sulle condizioni per l’applicazione del divieto di acquisto di immobili di cui alla novella dell’art. 12, D.L. 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla L. 15 luglio 2011, n. 111), operata dall’art. 1, co. 138, L. 24 dicembre 2012, n. 228, al contratto preliminare immobiliare.

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Lombardia/102/2013/PAR

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE DEI CONTI

IN

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA

LOMBARDIA

composta dai Magistrati:

dott. Nicola Mastropasqua Presidente

dott. Gianluca Braghò Primo Referendario

dott. Alessandro Napoli Referendario

dott.ssa Laura De Rentiis Referendario

dott. Donato Centrone Referendario

dott. Francesco Sucameli Referendario (relatore)

dott. Cristiano Baldi Referendario

nella camera di consiglio del 18 marzo 2013

Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;

Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;

Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;

Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004;

Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (T.U.E.L.);

Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;

Vista la deliberazione n. 1/pareri/2004 del 3 novembre 2004 con la quale la Sezione ha stabilito i criteri sul procedimento e sulla formulazione dei pareri previsti dall’articolo 7, comma 8, della legge n. 131/2003;

Vista la nota n. 2184/IV/1 pervenuta in data 15 febbraio 2013, con la quale il comune di Gravedona ed Uniti (CO) ha chiesto un parere in materia di contabilità pubblica;

Vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per l’adunanza odierna per deliberare sulla prefata richiesta;

Udito il relatore, Francesco Sucameli.

OGGETTO DEL PARERE

Il sindaco del comune menzionato in epigrafe ha formulato alla Sezione una richiesta di parere concernente la possibilità di stipulare il contratto definitivo per l’acquisto di un immobile per il quale, nel 2012, ha sottoscritto il preliminare ed ottenuto il finanziamento dalla Cassa depositi e prestiti.

Il comune di Gravedona ed Uniti è un ente di recente costituzione (istituito a seguito della Legge della Regione Lombardia n. 1 del 10 febbraio 2011, mediante la fusione dei Comuni di Consiglio di Rumo, di Germasino e di Gravedona), la cui attività istituzionale ha avuto inizio solo dall’11 febbraio 2011. Tra i suoi obiettivi strategici il comune ha posto la riorganizzazione del sistema scolastico comunale mediante la realizzazione del nuovo polo unitario, soprattutto in relazione al fatto che la sede scolastica di Gravedona ed Uniti ospita già alunni provenienti da tutti i comuni limitrofi.

A tale scopo il comune aveva già individuato un immobile di sua parziale proprietà, raggiungendo un accordo con la società privata proprietaria della restante parte.

Tuttavia, nelle more della stipulazione del definitivo, ottenuto altresì il finanziamento dalla Cassa depositi e prestiti (Cdp), è intervenuta la novella dell’art. 12 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011,.n. 111), operata dal comma 138 dell’art. 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228.

Ai sensi del comma 1-quater di tale disposizione:

«1-quater. Per l’anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), non possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali pubblici e privati, per i quali restano ferme le disposizioni di cui ai commi 4 e 15 dell’articolo 8 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Sono fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate con il decreto previsto dal comma 1, in data antecedente a quella di entrata in vigore del presente decreto».

Inoltre, decorso il periodo di sospensione di cui alla prefata norma, ai sensi del comma 1-ter:

« 1-ter. A decorrere dal 1º gennaio 2014 al fine di pervenire a risparmi di spesa ulteriori rispetto a quelli previsti dal patto di stabilità interno, gli enti territoriali e gli enti del Servizio sanitario nazionale effettuano operazioni di acquisto di immobili solo ove ne siano comprovate documentalmente l’indispensabilità e l’indilazionabilità attestate dal responsabile del procedimento. La congruità del prezzo è attestata dall’Agenzia del demanio, previo rimborso delle spese. Delle predette operazioni è data preventiva notizia, con l’indicazione del soggetto alienante e del prezzo pattuito, nel sito internet istituzionale dell’ente.».

Tanto premesso, il comune chiede di sapere se può addivenire comunque all’acquisto atteso che l’immobile è stato oggetto di un preliminare nel 2012.

PREMESSA

La funzione consultiva delle Sezioni regionali è inserita nel quadro delle competenze attribuite alla Corte dei conti dalla legge n. 131 del 2003 (recante la disciplina d’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3).

Pertanto, la prima questione che si pone, riguardo al descritto quesito, è quella del rispetto delle condizioni di legge per accedere alla funzione consultiva della Corte. A tal fine si rammenta che ai sensi dell’art. 7, comma 8, della citata legge n. 131 del 2003, Regioni, Province e Comuni possono chiedere alle Sezioni regionali – di norma tramite il Consiglio delle autonomie locali, se istituito – pareri in materia di contabilità pubblica, nonché ulteriori forme di collaborazione ai fini della regolare gestione finanziaria, dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa.

AMMISSIBILITÀ SOGGETTIVA

Con particolare riguardo all’individuazione dell’organo legittimato a inoltrare le richieste di parere dei Comuni, si osserva che, per consolidata giurisprudenza, gli enti elencati dalla legge possono rivolgersi direttamente alla Corte in funzione consultiva, senza passare necessariamente dal Consiglio delle autonomie locali.

Poiché il sindaco è l’organo istituzionalmente legittimato a rappresentante l’ente (in sostituzione del sindaco, normalmente legittimato ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L.), la richiesta di parere è proposta dall’organo legittimato a proporla ed è pertanto soggettivamente ammissibile.

AMMISSIBILITÀ OGGETTIVA

Con riferimento alla verifica del profilo oggettivo di ammissibilità del quesito, in primo luogo occorre rammentare che la disposizione contenuta nell’art. 7, comma 8, della legge 131/2003 deve essere raccordata con il precedente comma 7, norma che attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di principio e di programma, la sana gestione finanziaria degli enti locali.

Lo svolgimento delle funzioni è qualificato dallo stesso legislatore come una forma di controllo collaborativo.

Il raccordo tra le due disposizioni opera nel senso che il comma 8 prevede forme di collaborazione ulteriori rispetto a quelle del precedente comma, rese esplicite, in particolare, con l’attribuzione agli enti della facoltà di chiedere pareri in materia di contabilità pubblica. In quest’ottica, appare chiaro che le Sezioni regionali della Corte dei conti non svolgono una funzione consultiva a carattere generale in favore degli enti locali, ma che anzi le attribuzioni consultive “in materia di contabilità pubblica” si ritagliano sulle funzioni sostanziali di controllo collaborativo ad esse conferite dalla legislazione positiva.

Secondo le Sezioni riunite della Corte dei conti – intervenute con una pronuncia in sede di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 17, comma 31 del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102 – il concetto di contabilità pubblica deve essere incentrato sul “sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici” da intendersi in senso dinamico in relazione alle materie che incidono sulla gestione del bilancio e sui suoi equilibri (Deliberazione del 17 novembre 2010, n. 54).

Tuttavia, l’inerenza ad una materia di contabilità pubblica non esaurisce i presupposti di ammissibilità oggettiva di un quesito, presupposti che vanno ricavati, oltre che dalla lettera della legge, dalla natura della funzione consultiva. Essi vanno stabiliti in negativo, delineando il rapporto tra tale funzione e, da un lato, l’attività amministrativa, dall’altro, la funzione giurisdizionale civile, penale, amministrativa e contabile.

Rispetto all’attività amministrativa, questa Sezione, in più occasioni, ha riconosciuto che la funzione di cui al comma 8 dell’art. 7 della Legge n. 131/2003, è una facoltà conferita agli amministratori di Regioni ed enti locali per consentire loro di avvalersi, nello svolgimento delle funzioni loro intestate, di un organo neutrale e professionalmente qualificato, in grado di fornire gli elementi di valutazioni necessari ad assicurare la legalità della loro azione: è innegabile che i pareri e le altre forme di collaborazione si inseriscono nello svolgimento dei procedimenti degli enti territoriali consentendo, nelle tematiche in relazione alle quali la collaborazione viene esercitata, scelte adeguate e ponderate.

Peraltro, la stessa giurisprudenza contabile ha puntualmente rammentato che dalla funzione consultiva resta esclusa qualsiasi forma di cogestione o co-amministrazione con l’organo di controllo esterno (cfr. ex multis parere sez. Lombardia, 11 febbraio 2009, n. 36). Quindi, i quesiti, oltre a riguardare una questione di contabilità pubblica, devono avere carattere generale ed essere astratti, cioè non direttamente funzionali all’adozione di specifici atti di gestione, che afferiscono alla sfera discrezionale della potestà amministrativa dell’ente.

In secondo luogo, oltre a non intervenire nell’attività amministrativa nei termini predetti, tale funzione consultiva non deve sovrapporsi con l’esercizio di altre funzioni di controllo della Corte, né tantomeno interferire con l’esercizio di funzioni giurisdizionali (in sede civile, penale, amministrativa o contabile).

Venendo all’esame del quesito proposto nel caso di specie, si osserva che concerne la materia dei contratti attivi della p.a., tradizionalmente e storicamente attratta alla contabilità pubblica, cui, tra l’altro, si ricollega una norma di carattere spiccatamente finanziario, volta a contenere la spesa mediante il congelamento temporaneo della capacità negoziale degli enti.

MERITO

1. Ai sensi del comma 1-quater dell’art. 12 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (come sopra indicato, introdotto con novella a fine 2012):

«Per l’anno 2013 le amministrazioni pubbliche inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT ai sensi dell’articolo 1, comma 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, e successive modificazioni, nonché le autorità indipendenti, ivi inclusa la Commissione nazionale per le società e la borsa (CONSOB), non possono acquistare immobili a titolo oneroso né stipulare contratti di locazione passiva salvo che si tratti di rinnovi di contratti, ovvero la locazione sia stipulata per acquisire, a condizioni più vantaggiose, la disponibilità di locali in sostituzione di immobili dismessi ovvero per continuare ad avere la disponibilità di immobili venduti. Sono esclusi gli enti previdenziali pubblici e privati, per i quali restano ferme le disposizioni di cui ai commi 4 e 15 dell’articolo 8 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122. Sono fatte salve, altresì, le operazioni di acquisto di immobili già autorizzate con il decreto previsto dal comma 1, in data antecedente a quella di entrata in vigore del presente decreto».

La norma oggetto del quesito interpretativo stabilisce che, per tutto il 2013, le amministrazioni pubbliche, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, nonché le autorità indipendenti, non possono acquistare immobili a titolo oneroso.

L’ampia formulazione della norma consente di certo di affermare che la norma è, dal punto di vista soggettivo, applicabile al comune, in quanto ente locale e rientrante del ridetto elenco.

Tuttavia, la fattispecie oggettiva, oggetto del divieto, è costituita dagli “acquisti” di beni.

Ciò impone una digressione sul concetto civilistico di acquisto (tra l’altro, a titolo oneroso). Il codice civile non ne contiene una definizione, costituendo tale nozione una precomprensione di numerose norme (ex plurimis, artt. 17, 23, 37, 177, 179 lett. f, 186, 230-bis, 342, 372, 374, 586, 657, 922, 1376, 1471 u.c., 1472, 1478, 1706 e s., 2644).

Rispetto al quesito posto dall’ente, l’alternativa che pare porsi è la seguente: se per acquisto si intende l’effetto reale, ai sensi dell’art. 1376, appare ovvio che l’ente non potrà addivenire alla stipula del definitivo, essendo evidente che il contratto preliminare costituisce un’eccezione al principio del consenso traslativo e che solo con il secondo contratto (e il secondo consenso) si determinerà l’acquisto della proprietà; se invece per “acquisto” si ritiene possa essere considerato il mero “titolo” che obbliga al trasferimento, in sostanza si riterrà la fonte sostanziale dell’acquisto e del rapporto negoziale lo stesso preliminare, il quale, essendo intervenuto nel 2012, realizzerebbe un “acquisto” anteriore al periodo per cui vige il divieto sospensivo della capacità negoziale di cui all’art. 1-quater del D.L. n. 98/2011.

In questa seconda prospettiva, acquisto non sarebbe l’effetto reale, ma il diritto ad una prestazione di trasferimento del bene (dare in senso romanistico), fondato su un “titulus”, quindi, non il trasferimento in sé.

2. All’uopo, preliminarmente, appare opportuna una breve ricostruzione della teorie che dottrina e giurisprudenza hanno da tempo elaborato in materia di preliminare, con una serie di importanti affermazioni dogmatiche che tendono ad anticipare sul preliminare causa ed effetti del definitivo, integrando il momento sostanziale di acquisto del bene finale.

Tale rassegna, dal punto di vista metodologico e per esigenze ermeneutiche, deve essere effettuata contemporaneamente su tre versanti concettuali: natura del preliminare, del definitivo, rispettive cause giuridiche.

Secondo la teoria tradizionale il preliminare è un contratto obbligatorio, la cui causa è sostanzialmente quella di “procedimentalizzare” il consenso (obbligare al consenso), con oggetto un “facere”, non un “dare”. Il definitivo ha una sua causa indipendente e propria del tipo contrattuale, cui è demandata produzione dell’effetto finale.

Secondo le più recenti teorie, invece, il preliminare partecipa? della causa e dell’effetto del definitivo. Questo approccio dogmatico, accomunato soltanto da questo assunto fondamentale, è articolabile, in linea di massima, nelle seguenti sottotesi:

a. secondo un primo orientamento, la causa del contratto preliminare (ovvero l’interesse pratico realizzando) è identica a quella del definitivo (nel caso di contratti ad effetti reali, la produzione dell’effetto traslativo). Un preliminare di vendita, perciò, ha causa vendendi arricchita dall’interesse a che vi sia un effetto provvisorio limitato all’obbligazione. Il preliminare, dunque, è negozio di configurazione o normativo, che ha come causa quella di preparare alle prestazioni finali. In definitiva, i promittenti non si obbligano solo al consenso, ma anche a “dare” e/o “facere” complessi. Il definitivo, invece, è un negozio che esprime la causa e gli effetti finali che gli sono tipici; tuttavia i due negozi esprimono, nel loro collegamento negoziale, la stessa “causa esterna”.

b. Una variante assai interessante rispetto alla prima tesi, individua la causa del preliminare nel “controllo delle sopravvenienze”, vale a dire, esso non è solo preparatorio dell’effetto finale, ma riserva alle parti la possibilità di cambiare idea a fronte di eventi (dati oppure no) che giustificano la rinegoziazione o il rifiuto delle condizioni inizialmente prospettate.

Secondo questo approccio teorico, articolato nelle sopra citate varianti, il preliminare potrebbe configurarsi già come “acquisto” del bene, tant’è che la Cassazione, nel 1985 e nel 2006 (Sez. un., sentenze n. 1720 del 5 febbraio 1985 e da sez. un. 11624 del 18.05.06), aderendo a questa tesi di fondo, ha anticipato le garanzie per evizione al preliminare di vendita. In questa prospettiva il preliminare finisce per essere la fonte sostanziale (o la co-fonte) delle prestazioni finali.

c. La terza declinazione di questo approccio teorico tende addirittura a negare natura negoziale al contratto definitivo, in quanto atto dovuto, solvendi causa (tesi c.d. reale). Tuttavia, per sostenere l’assunto per il quale il preliminare è la fonte sostanziale del rapporto e quindi già “acquisto” non appare necessario accedere a questa tesi, per la quale il preliminare è addirittura l’unica fonte del rapporto tra le parti e dove il definitivo si riduce a mero adempimento (se contratto ad effetti reali c.d. “pagamento traslativo”). Si tratterebbe invero di un adempimento per sua natura anomalo, perché la soddisfazione dell’obbligazione avverrebbe per necessità con un evento giuridico diverso dall’adempimento, cioè una novazione dell’accordo. L’obbligazione del preliminare, dunque, come sottolineato da alcuni autori, sarebbe “mostruosa” perché ab origine destinata ad essere soddisfatta con la novazione.

d. Rispetto a queste tre tesi di fondo, che si distaccano da quella tradizionale secondo cui il preliminare è una mera “promessa di consensi”, avente ad oggetto solo un “facere”, se ne può tuttavia, sulla scorta del diritto vivente, individuare una quarta, per la quale l’assimilazione del preliminare al definitivo (e quindi la sua capacità di essere, a tal fine, “acquisto”) è funzione della fattispecie normativa considerata (e dell’effetto che ad essa si ricollega).

A tal proposito si può citare, ancora una volta, la Corte di Cassazione la quale ha negato che il preliminare, quando “ad effetti anticipati”, possa essere titolo sufficiente a radicare un rapporto di fatto di tipo possessorio, ma solo detentivo. Si rammenta che il preliminare ad effetti anticipati o “impuro”, infatti, costituisce un’ipotesi estrema di concentrazione della regola del rapporto nel titolo preliminare, con un contratto assimilabile per larghi aspetti ad una vendita obbligatoria: il promittente acquirente e il promissario venditore, infatti, procedono, contemporaneamente alla stipula del preliminare, alla consegna della cosa e al pagamento del prezzo.

In questo caso, la giurisprudenza si è dovuta porre il problema dell’eventuale usucapibilità del bene se le parti tardano nella stipula del definitivo. Al termine di un lungo dibattito, le Sezioni unite della Cassazione hanno accolto la tesi (prevalente anche in dottrina) secondo cui, per questo aspetto, il preliminare non da comunque luogo a possesso, ma solo a detenzione, in quanto insufficiente a radicare un animus possidendi (Cassazione sez. unite civile 27 marzo 2008 n. 7930). Questo arresto, in parziale contrasto con i precedenti citati (spinti ad identificare preliminare e titolo dell’acquisto), pare delineare, nel diritto vivente, il seguente quadro interpretativo: il preliminare, in quanto fonte sostanziale del rapporto, anticipa tutti gli effetti dell’acquisto che sono necessari ad assicurare la conservazione e la stabilità (futura) dell’effetto reale; per contro la disciplina (rectius gli effetti del contratto) che presuppone il radicamento di un rapporto proprietario col bene, rimane comunque collegata al definitivo?. Ciò in quanto la capacità del preliminare di identificarsi con causa ed effetti del definitivo dipende dalla compatibilità di tale anticipazione con la ratio della fattispecie normativa alla base dell’effetto o della regola iuris di riferimento.

3. Riassumendo, in base alle teorie più moderne, il preliminare e il definitivo realizzano un’operazione negoziale, nell’ambito della quale la causa propria del preliminare si rinviene nella produzione di due effetti fondamentali: quello di obbligare le parti alla stipulazione del definitivo (quindi un facere) e quello della preparazione dell’attuazione delle prestazioni finali (che è la causa comune, che integra lo scopo pratico del preliminare medesimo). Il preliminare, quindi, non è solo un pactum de contrahendo (promessa di consensi), ma un pactum de dando (“promessa di prestazioni”).

Tuttavia, la concezione di “acquisto” risulta mobile in funzione degli specifici effetti collegati da una fattispecie normativa. Se si tratta di garanzie, che nell’ottica di procedimentalizzazione del preliminare, consentono di conservare l’effetto reale definitivo, esse hanno titolo già direttamente nel preliminare; se si tratta di effetti che presuppongono il radicamento di un rapporto con la cosa di tipo proprietario, rileva il definitivo, poiché, in questa seconda ipotesi, è la disciplina del possesso e della proprietà che assume rilievo e non quella della vendita e del mezzo del trasferimento del diritto.

4. Quindi, in relazione al caso di specie prospettato, è fondamentale, per capire se il preliminare già stipulato sia titolo di “acquisto”, indagare la ratio del precetto normativo di riferimento. In questo caso, la norma dell’art. 1-quater del D.L. n. 98/2012, intende contenere i fenomeni finanziari (e i flussi di cassa) collegati all’acquisto di immobili. Pertanto, la qualificazione del preliminare, considerata la sua ormai riconosciuta assimilabilità della causa con quella del definitivo, dipenderà dal tipo di effetto che esso produce.

Se il preliminare di cui si tratta, stipulato nel 2012, è un preliminare ad effetti anticipati, in relazione al quale sono presenti tutti gli elementi del rapporto finale, compresa la previsione immediata dell’obbligo alle reciproche prestazioni, l’acquisto può dirsi già realizzato nel 2012 e pertanto l’ente non incorre nel divieto sospensivo di contrarre previsto per gli “acquisti” di immobili a titolo oneroso, nel 2013.

Se invece si tratta di un preliminare “puro”, in relazione al quale l’obbligo delle prestazioni (e il correlativo effetto di cassa) sorgerà (e si produrrà) solo col definitivo, allora l’acquisto non può che identificarsi con la stipula del definitivo e quindi con la produzione dell’effetto reale: in tal ipotesi, quindi, nel 2013 non potrà intervenire la stipula del definitivo. In questo caso, infatti, come evidenziato dalla dottrina e recepito dalla recente giurisprudenza, il preliminare è lo strumento per il “governo delle sopravvenienze”, sopravvenienza che può di certo consistere in un factum principis come quello di una norma che limiti, nel tempo e/o nei modi o presupposti, la potestà di acquisto di una delle parti, legittimandola a non eseguire il contratto definitivo.

P.Q.M.

nelle considerazioni esposte è il parere della Sezione.

L’estensore Il Presidente

(Dott. Francesco Sucameli) (Dott. Nicola Mastropasqua)

Depositata in Segreteria il

19 marzo 2013

Il Direttore della Segreteria

(Dott.ssa Daniela Parisini)