Farmacie: sulla gestione di farmacie comunali tramite associazione in partecipazione

NOTA

La Sezione risponde ai quesiti posti dal Comune di Città della Pieve in ordine alla possibilità di gestire una farmacia comunale mediante contratto di associazione in partecipazione.

Il Collegio ritiene che il comune istante “(…) possa ricorrere all’associazione in partecipazione per la gestione del servizio di farmacia comunale, qualora tale soluzione sia accettata dai farmacisti dipendenti, a condizione che: a) la veste di associato venga assunta dai farmacisti attualmente dipendenti dall’ente locale; b) l’ente stesso assuma e mantenga per l’intera durata del contratto la veste di associante, atteso che la posizione di preminenza che la legge riconosce all’associante nella gestione dell’attività è in grado di assicurare il soddisfacimento dell’interesse pubblico connesso all’esercizio del servizio farmaceutico di cui l’ente locale è titolare.

Questa Corte ritiene altresì che l’utilizzo dell’associazione in partecipazione non comporti per il comune associante alcun onere in termini di spesa per il personale, atteso che, analogamente a quanto espressamente dispone la legge in caso di costituzione della società con i farmacisti dipendenti dell’ente, il rapporto che si instaura tra ente locale associante e farmacista/i associato/i non può essere riconducibile né ad un rapporto di lavoro dipendente né tantomeno ad un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. Discende da quanto sopra l’ulteriore conseguenza che il contratto di associazione in partecipazione non soggiace alla disciplina vincolistica di cui all’art. 9, comma 28, del D.L. 31.05.2010, n. 78, convertito con modificazioni nella legge 122/2010″.

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Deliberazione n. 116/2013/PAR

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER L’UMBRIA

composta dai magistrati:

Dott. Salvatore SFRECOLA Presidente

Dott. Fulvio Maria LONGAVITA Consigliere

Dott. Antonio DI STAZIO Referendario relatore

nella Camera di consiglio del 5 luglio 2013

VISTO l’art. 100, comma 2, della Costituzione;

VISTO il T.U. delle leggi sull’ordinamento della Corte dei conti, approvato con R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 e le successive modificazioni ed integrazioni;

VISTA la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3;

VISTA la legge 5 giugno 2003, n. 131, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3;

VISTA la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti e successive modificazioni ed integrazioni;

VISTO il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali;

VISTE le leggi n. 15 del 4 marzo 2009 e n. 69 del 18 giugno 2009;

VISTO il D.L. 78 del 1 luglio 2009, convertito con modificazioni dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, recante tra l’altro disposizioni in materia di attività consultiva della Corte dei conti;

VISTA la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14 del 16 giugno 2000 recante il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della stessa Corte, come modificata dalle delibere SS.RR. n. 2 del 3 luglio 2003, n. 1 del 17 dicembre 2004 e dalla delibera del Consiglio di Presidenza n. 229/CP del 19 giugno 2008;

VISTA la deliberazione della Sezione delle Autonomie del 4 giugno 2009, n. 9, contenente “Modificazioni ed integrazioni degli indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva da parte delle Sezioni regionali di controllo”;

VISTA la nota n. 3951 prot. del 6 marzo 2013, con la quale il Sindaco del Comune di Città della Pieve, per il tramite del Consiglio delle Autonomie Locali dell’Umbria, ha inoltrato a questa Sezione richiesta di parere, ai sensi dell’articolo 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131.

VISTA l’ordinanza con la quale il Presidente di questa Sezione di controllo ha convocato la Sezione per l’odierna seduta;

UDITO il relatore, referendario dott. Antonio Di Stazio;

RILEVATO in

F A T T O

Con la nota indicata in premessa il Comune di Città della Pieve, dopo aver premesso che:

a) il Comune è titolare di una farmacia comunale fin dai primi anni ’80 gestita in economia diretta con l’impiego di n. 3 farmaciste e un ausiliario di farmacia, personale assunto tramite procedura concorsuale;

b) i modelli di gestione della farmacia comunale previsti dall’art.9 della legge 2.4.1968 n. 475 come sostituito dall’art. 10 della legge di riordino del servizio farmaceutico n. 362 del 08.11.1991, non hanno carattere tassativo;

ha formulato i seguenti quesiti:

1) se l’Amministrazione comunale possa utilizzare, tra gli altri, lo strumento della concessione a terzi o in alternativa utilizzare l’istituto dell’associazione in partecipazione come previsto dagli artt. 2549-2554 del Codice civile, dove l’Amministrazione assume la figura di associante quale titolare dell’impresa e l’associato apporterebbe o solo lavoro o lavoro e capitale;

2) se il contratto di associazione in partecipazione incida nel calcolo della spesa complessiva di personale dipendente per il rispetto delle previsioni di cui all’art. 1. e. 557, L. 27 dicembre 2006, n. 296;

3) se il contratto di associazione in partecipazione rientri tra le limitazioni di cui all’art. 9. comma 28, DL 31.05.2010, n. 78, convertito con modifiche nella legge 122/2010.

D I R I T T O

L’art. 7, comma 8, delle legge 5 giugno 2003 n.131 attribuisce alle Regioni e, per il tramite del Consiglio delle Autonomie ove istituito, ai Comuni, alle Province e alle Città Metropolitane la facoltà di richiedere pareri alle Sezioni regionali di controllo in materia di contabilità pubblica.

La Sezione delle Autonomie della Corte dei conti, con documento approvato nell’adunanza del 27 aprile 2004, al fine di garantire l’uniformità di indirizzo in materia, ha fissato principi e modalità per l’esercizio dell’attività consultiva, modificati ed integrati con successive delibere n. 5/AUT/2006 e n. 9/SEZAUT/2009. evidenziando, in particolare, i soggetti legittimati alla richiesta e l’ambito oggettivo della funzione.

Alla luce dei predetti principi va, quindi, verificato in via preliminare la sussistenza dei requisiti, soggettivo e oggettivo, di ammissibilità.

Il Collegio ritiene la richiesta di parere soggettivamente ammissibile, con riguardo sia all’ente legittimato a proporre il parere, cioè il Comune, sia all’organo che formalmente lo ha richiesto, il Sindaco, in quanto organo politico di vertice e rappresentante legale dell’Ente.

Anche sotto il profilo oggettivo la richiesta di parere deve ritenersi ammissibile, investendo questioni di carattere generale concernenti materie della contabilità pubblica, secondo l’accezione, fatta propria dalla Sezione delle Autonomie con delibera 5/AUT/2006 del 10 marzo 2006 e dalle Sezioni riunite della Corte dei conti (delibera n. 54 del 17 novembre 2010), incentrata sul “sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici”, da intendersi in senso dinamico anche in relazione alle materie che incidono sulla gestione del bilancio e sui suoi equilibri, quali l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziario-contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi controlli. Invero, i quesiti proposti, in quanto coinvolgenti la gestione di un servizio pubblico affidato alle cure degli enti locali, vertono sull’interpretazione di norme aventi natura contabile secondo quanto sopra precisato.

Si evidenzia inoltre che, in ossequio al principio secondo il quale le richieste di parere devono avere carattere generale e non possono essere funzionali all’adozione di specifici atti gestionali, al fine di salvaguardare l’autonomia gestionale dell’Amministrazione e la posizione di terzietà della Corte, questa Sezione può esprimersi unicamente richiamando i principi che vengono in considerazione nella fattispecie prospettata, ai quali gli organi dell’Ente, nell’ambito della loro discrezionalità, possono riferirsi.

Nel caso di specie, la Sezione ritiene che la richiesta di parere sia formulata in termini generali ed astratti e che pertanto possa considerarsi ammissibile anche sotto il profilo oggettivo.

Nel merito, il Comune di Città della Pieve intende conoscere l’avviso della Corte in merito alla possibilità di utilizzare lo strumento della concessione a terzi o in alternativa l’istituto dell’associazione in partecipazione per la gestione del servizio farmaceutico, finora gestito dall’ente stesso in economia.

Assume carattere pregiudiziale, ai fini della risposta al quesito, la qualificazione giuridica del servizio di gestione della farmacia comunale che, come già rilevato da altra Sezione del controllo di questa Corte (Sez. Lombardia, del. n. 489 e 657 del 2011, 49 e 532 del 2012), è caratterizzato da elementi di specificità normativa, attesa l’inerenza al diritto costituzionale alla salute dei cittadini.

A tale riguardo, questa Corte ritiene di condividere l’indirizzo interpretativo secondo cui il servizio in questione assume la natura di servizio pubblico locale a tendenziale rilevanza economica (cfr. Sez. Lombardia, deliberazioni n.195 e 196/2009/PAR), richiamando all’uopo le argomentazioni sostenute dalla Corte Costituzionale nella sentenza 10 ottobre 2006 n. 87, a tenore della quale “la complessa regolamentazione pubblicistica dell’attività economica di rivendita dei farmaci è infatti preordinata al fine di assicurare e controllare l’accesso dei cittadini ai prodotti medicinali ed in tal senso a garantire la tutela del fondamentale diritto alla salute, restando solo marginale, sotto questo profilo, sia il carattere professionale sia l’indubbia natura commerciale dell’attività del farmacista”.

Sempre secondo tale indirizzo, la natura pubblicistica del servizio di gestione della farmacia comunale viene altresì avvalorata da una serie di indici di carattere formale e sostanziale, in presenza dei quali la legge 2 aprile 1968 n. 475 (c.d. legge “Mariotti”) subordina il concreto esercizio dell’attività. In particolare, è stato osservato che: l’apertura di una farmacia è soggetta ad autorizzazione amministrativa rilasciata con provvedimento definitivo a cura dell’autorità sanitaria competente per territorio (art. 1 comma 1); la pianta organica delle farmacie, l’ubicazione e il numero devono essere previsti da un atto amministrativo comunale (art. 2); il numero delle farmacie presenti sul territorio è stabilito in proporzione alla popolazione comunale (art. 1 commi 2 e 3); la resa del servizio è affidato ad esercenti la professione di farmacista (artt. 10-13); la legge determina le forme con le quali i comuni possono gestire il servizio (art. 9). Anche sotto il profilo sostanziale, la messa a disposizione e la distribuzione dei farmaci alla cittadinanza rappresenta una delle più esplicite espressioni del diritto alla salute dei cittadini, soprattutto per i farmaci alla cui commercializzazione il Servizio Sanitario Nazionale contribuisce, in tutto o in parte, mediante il pagamento del costo di produzione e di vendita.

Ad ulteriore sostegno di tale indirizzo sovviene, secondo la Sezione, la volontà del legislatore di mantenere ferma la disciplina dettata per le farmacie comunali dalla legge 2 aprile 1968 n. 475, anche a seguito della legge n. 362/1991 di riordino del servizio farmaceutico. Invero, il D. Lgs. 1° dicembre 2009 n. 179, nell’elencare i provvedimenti normativi emanati anteriormente al 1970, ha ritenuto indispensabile la permanenza in vigore della legge 475/1968, limitatamente agli articoli 1, 2, da 9 a 15 e da 17 a 26. Va aggiunto che il D.L. n. 135/2009, convertito con modificazioni nella legge n. 166/2009, ha escluso le farmacie comunali dalla disciplina dei servizi a rilevanza economica, dettata dall’art. 23 bis del d.l. n. 112/2008 (convertito con legge 6 agosto 2008, n. 133). Inoltre, l’art. 4, comma 34, del D.L. n. 138/2011, recante “adeguamento della disciplina dei servizi pubblici locali al referendum popolare e alla normativa dell’Unione Europea”, esclude dal proprio campo operativo (ad eccezione dei commi da 19 a 27), alcuni servizi, fra cui la gestione delle farmacie comunali, regolate dalla legge n. 475/1968.

Allo stato dell’attuale normativa, pertanto, le farmacie di cui i Comuni sono titolari, o quelle acquisite in seguito all’esercizio del diritto di prelazione a tale enti riconosciuto dall’ordinamento, possono essere gestite in una delle seguenti forme: a) in economia; b) a mezzo di azienda speciale; c) a mezzo di consorzi tra Comuni per la conduzione di farmacie di cui sono titolari; d) a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui l’ente abbia la titolarità (all’atto della costituzione della società cessa di diritto il rapporto di lavoro dipendente tra l’amministrazione comunale e i predetti professionisti). A tale ultimo riguardo va comunque precisato che la possibilità di gestire il servizio farmaceutico a mezzo di società di capitali costituite tra il comune e i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità (lett. d) dell’art. 9 L. 475/1968), è stata di recente sottoposta dal legislatore (v. art. 14, comma 32, del D.L. n. 78 del 2010) a limiti assai rigorosi. Infatti, la gestione delle farmacie comunali attraverso lo strumento societario (rectius: società di capitali) è consentita soltanto agli enti locali con popolazione superiore ai 30.000 abitanti, mentre per gli enti locali con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti ciò è possibile solo attraverso l’associazione con altri enti che insieme superino detta soglia, assumendo una partecipazione societaria paritaria o proporzionale al numero degli abitanti (cfr. Sez. Lombardia, n. 70/2011).

In ordine al primo quesito, la Sezione ritiene meritevole di accoglimento la tesi secondo cui non è configurabile, alla luce dell’attuale quadro normativo, la gestione del servizio farmaceutico comunale mediante l’utilizzo dello strumento concessorio. Infatti, pur riconoscendo all’ente locale la piena discrezionalità di compiere la scelta più opportuna nel perseguire in concreto la cura dell’interesse pubblico connesso alla gestione delle farmacie di cui l’ente stesso ha la titolarità, va osservato che la normativa settoriale anzi citata non consente una scissione fra la titolarità del servizio e il suo concreto esercizio mediante lo strumento della concessione a terzi. Su tale specifica questione questa Corte dei conti si è più volte espressa (ex multis, Sez. contr. Lombardia, deliberazione n.70/2011/PAR), affermando che “nell’attuale quadro normativo, non è possibile condurre una farmacia municipale in regime concessorio a terzi, sia pur individuati con gara ad evidenza pubblica”, ritenendo necessario che l’ente locale mantenga il controllo e la gestione diretta di una propria funzione istituzionale, in coerenza con la finalità di servizio pubblico essenziale insita nel servizio farmaceutico. Siffatta “inerenza con una pubblica funzione deve ritenersi caratteristica prevalente rispetto all’indubbia natura commerciale dell’attività di farmacista” (sic Sez. Lombardia, deliberazione n. 657/2011/PAR). E’ altresì da condividere l’affermazione secondo cui “l’impraticabilità del modello concessorio riposa sul fine pubblico in vista del quale è stata concepita la prelazione legale in favore dei comuni per le farmacie resesi vacanti o di nuova istituzione. Si è osservato al riguardo che, in tanto la legge conferisce ai comuni il diritto di preferenza rispetto ai privati, in quanto il servizio di farmacia comunale si connota di tratti pubblicistici, di matrice assistenziale e sanitaria, la cui cura concreta richiede l’intervento della pubblica amministrazione nella gestione dell’attività”.

Chiarita, quindi, l’inapplicabilità nel caso di specie sia del modello societario, non ricorrendo le condizioni previste dalla legge, sia della concessione a terzi per le considerazioni sopra esposte, va ora affrontato il secondo quesito proposto dal comune di Città della Pieve, concernente la possibilità di utilizzare, per la gestione della farmacia comunale, l’istituto civilistico dell’associazione in partecipazione. A tale riguardo l’ente adduce che, qualora fosse applicabile detto istituto, il comune dovrebbe assumere la figura di associante quale titolare della farmacia e i farmacisti, attualmente alla dipendenze del comune, apporterebbero o solo lavoro o lavoro e capitale.

In disparte ogni considerazione sull’aleatorietà del contratto in questione in relazione alla posizione dell’associato (nel caso di specie, i farmacisti e l’ausiliario di farmacia attualmente dipendenti del comune), secondo lo schema civilistico l’associante in partecipazione riveste di norma la posizione di imprenditore, atteso che l’associazione in partecipazione costituisce uno strumento per realizzare la cooperazione economica di due o più persone nell’esercizio di una attività di impresa.

Assume, pertanto, carattere pregiudiziale verificare la compatibilità di uno strumento negoziale di gestione dell’impresa, quale l’associazione in partecipazione, con l’espletamento del servizio farmaceutico comunale che, da un lato, non è riconducibile ad alcuna delle funzioni fondamentali dei comuni elencate nell’art. 19, comma 1 del D.L. 95/2012, dall’altro neppure può essere equiparato ad una attività imprenditoriale in senso stretto proprio in ragione della natura del comune in quanto ente esponenziale della comunità locale e delle finalità pubblicistiche della sua azione.

L’applicabilità dell’istituto civilistico dell’associazione in partecipazione, ai fini della gestione delle farmacie comunali, deve essere verificata alla luce del processo di evoluzione di un sistema normativo che dall’assetto originario, dettato dal R.D. n. 2578 del 15 ottobre 1925, è pervenuto ad una prima modifica con la legge 2 aprile 1968 n. 475 (cosiddetta “legge Mariotti”) ed ha raggiunto l’attuale configurazione con la legge n. 362 dell’8 novembre 1991 contenente norme di riordino del settore farmaceutico.

Questa Sezione ritiene, in particolare, che le peculiari esigenze di tutela dell’interesse pubblico correlate al servizio della farmacia comunale – esigenze rappresentate dalla giurisprudenza contabile al fine di escludere, come sopra detto, l’utilizzabilità della concessione a terzi a causa della scissione, insita nella struttura dello strumento concessorio, tra titolarità ed esercizio dell’attività di farmacia – non sussistano nei riguardi dell’associazione in partecipazione. Ciò in quanto detto strumento negoziale consente di mantenere in capo al comune-associante non soltanto la titolarità ma la gestione stessa dell’attività di farmacia. Infatti, mediante l’associazione in partecipazione una parte, l’associante, attribuisce ad un’altra, l’associato, una partecipazione agli utili della sua impresa o di uno o più affari verso il corrispettivo di un certo apporto che può consistere nel conferimento di una somma di denaro, di un diritto reale di godimento o in una prestazione di opera e/o servizi resa senza vincolo di subordinazione. E’ quindi connaturale in tale fattispecie contrattuale la posizione assolutamente preminente dell’associante, al quale la legge riserva la titolarità e la gestione dell’impresa o dell’affare oltre che la responsabilità esclusiva per gli atti compiuti.

Ai fini della risposta al quesito debbono, tuttavia, essere presi in considerazione ulteriori elementi. La Sezione osserva che il legislatore nazionale, nonostante l’apertura ai principi dell’ordinamento comunitario, non ha sancito la piena liberalizzazione del servizio farmaceutico comunale, atteso che, allo stato, non è consentito ai comuni di scegliere qualsiasi forma di gestione. Peraltro, l’adozione del modello societario è sottoposta dalla legge a limiti invalicabili, in presenza di farmacisti dipendenti dei comuni. Infatti, l’art. 9 della citata “legge Mariotti£, alla lettera d), prevede che il comune possa dar vita, per la gestione della farmacia comunale, a società di capitali esclusivamente con i farmacisti che, al momento della costituzione della società, prestino servizio presso farmacie di cui il comune abbia la titolarità. In tal caso, la norma dispone che “all’atto della costituzione della società cessa di diritto il rapporto di lavoro dipendente tra il comune e gli anzidetti farmacisti.”.

L’impianto della norma citata esprime la chiara volontà del legislatore di obbligare il comune, qualora intenda adottare la gestione societaria, ad utilizzare come socio esclusivamente il farmacista eventualmente presente nella dotazione organica dell’ente locale. La predetta limitazione negoziale imposta all’ente locale appare dettata, a giudizio della Corte, dall’esigenza di ottimizzare in ogni caso le risorse di cui l’ente stesso dispone, specialmente in presenza di professionalità specifiche indispensabili, come nella specie, per il soddisfacimento dell’interesse pubblico connesso alla titolarità del servizio farmaceutico comunale. Ciò nell’ottica della necessaria conformità dell’azione dei pubblici poteri ai canoni di economicità, efficienza ed efficacia sanciti dall’art. 97 Cost.

Nell’ottica di una lettura costituzionalmente orientata della normativa di settore, ritiene pertanto la Sezione che la suesposta ratio legis imponga ai comuni l’utilizzo dei farmacisti eventualmente presenti nella relativa dotazione organica, quale che sia la forma prescelta per la gestione del servizio.

Conclusivamente, ritiene la Sezione che il comune di Città della Pieve possa ricorrere all’associazione in partecipazione per la gestione del servizio di farmacia comunale, qualora tale soluzione sia accettata dai farmacisti dipendenti, a condizione che: a) la veste di associato venga assunta dai farmacisti attualmente dipendenti dall’ente locale; b) l’ente stesso assuma e mantenga per l’intera durata del contratto la veste di associante, atteso che la posizione di preminenza che la legge riconosce all’associante nella gestione dell’attività è in grado di assicurare il soddisfacimento dell’interesse pubblico connesso all’esercizio del servizio farmaceutico di cui l’ente locale è titolare.

Questa Corte ritiene altresì che l’utilizzo dell’associazione in partecipazione non comporti per il comune associante alcun onere in termini di spesa per il personale, atteso che, analogamente a quanto espressamente dispone la legge in caso di costituzione della società con i farmacisti dipendenti dell’ente, il rapporto che si instaura tra ente locale associante e farmacista/i associato/i non può essere riconducibile né ad un rapporto di lavoro dipendente né tantomeno ad un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa. Discende da quanto sopra l’ulteriore conseguenza che il contratto di associazione in partecipazione non soggiace alla disciplina vincolistica di cui all’art. 9, comma 28, del D.L. 31.05.2010, n. 78, convertito con modificazioni nella legge 122/2010.

P. Q. M.

nelle suestese considerazioni è il parere di questa Sezione.

Dispone

che, a cura della Segreteria, la presente deliberazione sia trasmessa al Comune di Città della Pieve.

Così deciso nella Camera di consiglio del 5 luglio 2013.

Il Relatore Il Presidente

f.to Dott. Antonio Di Stazio f.to Dott. Salvatore SFRECOLA

Depositato in Segreteria l’8 luglio 2013

Per Il Direttore della Segreteria

f.to Funz. Nicola Mendozza