Enti locali: sulla possibilità di finanziamento della locale parrocchia per lo svolgimento del servizio di scuola per l'infanzia

NOTA

Il parere in rassegna si pronuncia sulla possibilità per un ente locale, al fine di offrire o potenziare un servizio all’infanzia, di sottoscrivere due convenzioni con la locale parrocchia, che già svolge attività di scuola materna, di cui

–> la prima finalizzata a concedere alla stessa parrocchia un prestito decennale, senza interessi, destinato all’adeguamento infrastrutturale dei locali scolastici;

–> la seconda finalizzata a regolare la prestazione, da parte della scuola parificata, del servizio di scuola per l’infanzia che riceve il finanziamento.

La Sezione – all’esito di un approfondito esame del dato normativo e giurisprudenziale -, ritiene che la complessa operazione che il comune intende porre in essere presenti numerosi profili di criticità tali da farla ritenere di non compatibilecon il quadro normativo vigente, privatistico e pubblicistico, segnatamente in relazione al profilo giuscontabilistico.

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REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO

PER IL VENETO

Nell’adunanza del 15 novembre 2012 composta da:

Dott.ssa Enrica DEL VICARIO Presidente

Dott.ssa Diana CALACIURA TRAINA Consigliere

Dott. Giampiero PIZZICONI Referendario, relatore

Dott. Tiziano TESSARO Referendario

Dott. Francesco MAFFEI Referendario

Dott.ssa Francesca DIMITA Referendario

VISTO l’art. 100, secondo comma, della Costituzione;

VISTO il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con r.d. 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;

VISTA la legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti;

VISTO il Regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti con il quale è stata istituita in ogni Regione ad autonomia ordinaria la Sezione regionale di controllo, deliberato dalle Sezioni Riunite in data 16 giugno 2000, modificato da ultimo con la deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 229 del 19 giugno 2008;

VISTA la legge 5 giugno 2003, n. 131 recante “Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3” , e in particolare, l’art. 7, comma 8°;

VISTI gli indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva approvati dalla Sezione delle Autonomie nell’adunanza del 27 aprile 2004, come modificati e integrati dalla delibera n.9/SEZAUT/2009/INPR del 3 luglio 2009;

VISTA la delibera delle Sezioni riunite in sede di controllo n.54/2010, riguardante gli indirizzi ed i criteri per l’individuazione della nozione di “contabilità pubblica”, di cui all’art.7, comma 8, legge n.131/2003;

VISTA la richiesta di parere in data 6 agosto 2012 del Sindaco del Comune di Musile di Piave, acquisita al protocollo CdC 0005906-07/08/2012-SC_VEN-T97-A;

VISTA l’ordinanza n. 69/2012 con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per l’odierna adunanza;

UDITO il magistrato relatore, dott. Giampiero Pizziconi;

FATTO

La richiesta di parere, presentata dal Sindaco del Comune di Musile di Piave, ha per oggetto la possibilità per l’ente di concedere un prestito, da restituire a rate (per circa una decina di anni) e senza interessi, finalizzato all’adeguamento ed al rinnovo delle strutture delle scuole materne parificate, di proprietà della locale Parrocchia (o di più Parrocchie visto che l’unicità o la pluralità dei soggetti destinatari del prestito non appare chiara allo stato degli atti), che svolgono servizi per l’infanzia destinati alla collettività locale. Specifica il primo cittadino che detta operazione è impostata ad “una logica di collaborazione e di sinergie tra pubblico e privato che consentirebbe di garantire alla collettività un servizio all’infanzia adeguato con minori costi per l’ente locale” (mediante il ricorso ad una convenzione che garantisca l’adeguatezza e correttezza del servizio nonché una gestione contabile trasparente), …“piuttosto che affrontare l’onere della istituzione di nuove sezioni di scuole materne comunali (e delle nuove strutture che si renderebbero necessarie)”.

Il Sindaco richiama poi un ordine di motivazioni, che spiegano effetti diretti sulle finanze dell’amministrazione sintetizzabili di seguito:

  • “ai sensi dell’art. 13 del D.Lgs 267/2000 e ss.mm.ii., spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio comunale, precipuamente nei settori: organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente attribuito ad altri soggetti dalla legge: statale o regionale, secondo le rispettive competenze;
  • ai sensi del d.Lgs 297/1994 e ss.mm.ii. (art. 85) il comune esercita in materia di edilizia scolastica i compiti attribuiti dalla legislazione statale e regionale che sono connessi alla istruzione materna, elementare e media;ai sensi della L. 62/2000, il sistema nazionale di istruzione, è costituito dalle scuole statali e dalle scuole paritarie private e degli enti locali. Si definiscono scuole paritarie, a tutti gli effetti degli ordinamenti vigenti, in particolare per quanto riguarda l’abilitazione a rilasciare titoli di studio aventi valore legale, le istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle degli enti locali, che, a partire. dalla scuola per l’infanzia, corrispondono agli ordinamenti generali dell’istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e sono caratterizzate da requisiti di qualità ed efficacia previsti;ai sensi dell’art. 138 della L.R. 11/2001, spettano ai comuni, in relazione ai gradi inferiori dell’istruzione scolastica, (tra l’altro) i seguenti compiti e funzioni: istituzione, aggregazione, fusione e soppressione di scuole in attuazione degli strumenti di programmazione, redazione dei piani di organizzazione della rete delle istituzioni scolastiche, costituzione, controlli e vigilanza ivi compreso lo scioglimento degli organi collegiali scolastici a livello territoriale, ogni altra attività non mantenuta allo Stato o alla Regione, in forza delle vigenti disposizioni e del presente articolo, promuovere e sostenere con azioni di supporto la coerenza e la continuità in verticale ed in orizzontale tra i diversi gradi ed ordini di scuole, effettuare interventi perequativi, ecc;l’art. 138 bis della L. R. Veneto n. 11/2001, prescrive che, nelle more di una revisione organica delle norme in materia di istruzione e di funzionamento delle istituzioni scolastiche, spetta anche ai Comuni il potere di concedere, con i propri fondi di bilancio, contributi alle scuole materne non statali.conformemente ai principi dì sussidiarietà ed economicità ispiranti l’azione della P.A., il Comune può ritenere, invece di attivare un nuovo servizio pubblico di scuola materna/per l’infanzia (completamente a carico del comune stesso), di sostenere il servizio già offerto da libere forme associative di cittadini;.il servizio privato da sostenere dovrà essere offerto con modalità e caratteristiche comparabili a quelle .essenziali previste per il servizio pubblico e, pertanto, l’intervento pubblico potrà riguardare (in primo luogo) scuole paritarie (di cui alla citata L. 62/2000 e all’art. 1 bis del D.L. 250/2005, conv. in L. 27/2006), con le quali è opportuno venga stipulata un’apposita intesa/convenzione con il Comune, volta a garantire un corretto uso delle risorse pubbliche (aggiuntive) offerte dal Comune stesso…”.

Viene poi evidenziato che la “modalità di sostegno finanziario detta “fondo di rotazione” (prestito da parte del Comune, specificamente destinato alla realizzazione dell’opera concordata, restituzione rateale senza interessi), …….presenterebbe una serie di vantaggi: l’’operazione esula dal patto di stabilità (andando imputata a “concessione di crediti” e “riscossione di crediti”) e costituendosi, a fronte dell’esborso comunale, un credito nei confronti della Parrocchia, detta forma di sostegno non impegna le risorse dell’Ente, come invece accadrebbe nel caso di contributi a fondo perduto.

Da ultimo l’ente rappresenta che “l’importo dei prestiti concedibili (stimato complessivamente in 200 — 300.000 euro) dovrà essere compatibile con le giacenze di cassa del Comune, e con l’andamento dei flussi di cassa, onde evitare il rischio di situazioni deficitarie per l’Ente”.

DIRITTO

La richiesta sotto il profilo soggettivo è ammissibile, in quanto trasmessa con nota a firma del Sindaco, rappresentante legale dell’Ente, ai sensi dell’art.50 del d.lgs. n. 267/2000 (di seguito T.U.E.L.).

In ordine poi al requisito oggettivo, occorre preliminarmente accertare se la richiesta di parere sia riconducibile alla materia della contabilità pubblica.

Sul punto, sono di ausilio gli indirizzi ed i criteri generali approvati con le deliberazioni del 27 aprile 2004 e del 10 marzo 2006 dalla Sezione delle Autonomie, che restringono l’ambito oggettivo alla normativa e ai relativi atti applicativi che disciplinano, in generale, l’attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, compresi, in particolare, la disciplina dei bilanci e i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziario – contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi controlli.

Al riguardo, le Sezioni riunite della stessa Corte, in sede di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 17, comma 31 del d.l. 1 luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009 n. 102, , con delibera n. 54 del 17 novembre 2010, hanno delineato un concetto unitario della nozione di contabilità pubblica, ai fini della funzione consultiva, riferito “al sistema di principi e norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli Enti pubblici”.

Per completezza, le Sezioni riunite hanno aggiunto che la funzione consultiva sarebbe incompleta se non potesse svolgersi anche nei confronti di quesiti connessi alle modalità di utilizzo delle risorse pubbliche. Pertanto ulteriori materie estranee, nel loro nucleo originario, alla “contabilità pubblica”, in una visione dinamica che sposta l’angolo visuale dal tradizionale contesto della gestione del bilancio a quello inerente ai relativi equilibri, possono ritenersi ad essa riconducibili.

Ciò però, limitatamente alle questioni che riflettono problematiche interpretative strumentali al raggiungimento degli specifici obiettivi di contenimento della spesa ed idonei a ripercuotersi sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e sui relativi equilibri di bilancio.

Nel caso di specie, la richiesta di parere in esame è da ritenersi ammissibile vertendo su una operazione finanziaria (prestito alle parrocchie) che oltre a determinare effetti sui potenziali equilibri di bilancio dell’ente può riflettersi sull’osservanza dei vincoli posti dal patto di stabilità.

  1. LE MODALITA’ DI FINANZIAMENTO DEI SOGGETTI PRIVATI CHE SVOLGONO SERVIZI A FAVORE DELLA COLLETTIVITA’.

Venendo al merito ed in ordine alla possibilità che il comune intervenga mediante concessione di un prestito per consentire rinnovi e adeguamenti strutturali a scuole paritarie, giova premettere che la Corte dei conti si è espressa più volte in sede consultiva sulla possibilità che gli enti locali intervengano a favore di privati che svolgono servizi a favore della collettività.

Giova, infatti, ricordare che il Comune è ente a finalità generale ai sensi degli articoli 3, 2° comma, e 13 del Decreto Legislativo n. 267 del 18 agosto 2000, proprio perché cura gli interessi e promuove lo sviluppo della propria comunità, esercitando tutte le funzioni amministrative che non siano espressamente attribuite ad altri soggetti: di talché qualsiasi iniziativa, compresa quella che intenderebbe porre in essere il comune di Musile di Piave, potrebbe a buon titolo rientrare nelle competenze dell’ente locale.

In secondo luogo, tuttavia, come già affermato da questa Sezione, è necessario ricordare il “riconoscimento del ruolo che i cittadini, le formazioni sociali e in generale la società civile svolgono nel perseguimento di finalità di interesse generale (sussidiarietà orizzontale art. 118, ult. comma, Cost.) va letto………..non con riferimento all’orizzonte ristretto delle funzioni svolte direttamente dall’ente locale ma in modo ampio, così da assicurare (come è compito della Repubblica alla luce dell’articolo 3 e dell’intera parte prima della Costituzione) a tutti i cittadini l’esercizio effettivo dei diritti costituzionali e le condizioni per “il pieno sviluppo della persona umana”(art. 4, comma 2, Cost.), per cui “ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società” (questa Sezione deliberazione n. 336/2011/PAR).Di tal che, “in una lettura costituzionalmente orientata che fa della persona il valore primigenio della società, il criterio distintivo per l’individuazione di tali funzioni è rappresentato quindi non già dalla pertinenza di queste all’ente, ma dal riconoscimento che questi fa – all’interno dei propri atti normativi statutari e regolamentari – dell’esistenza della peculiarità e potenzialità delle autonomie sociali – anche rispetto alle stesse autonomie locali – quanto all’incidenza nella rete quotidiana, vitale e significativa delle relazioni che si instaurano fra le persone e le famiglie: in altri termini – “lo Stato e ogni altra autorità pubblica proteggono e realizzano lo sviluppo della società civile partendo dal basso, dal rispetto e dalla valorizzazione delle energie individuali, dal modo in cui coloro che ne fanno parte liberamente interpretano i bisogni collettivi emergenti dal sociale” (Consiglio di Stato parere della Sezione consultiva per gli atti normativi n. 1354/2002),in modo da valorizzare adeguatamente il ruolo insostituibile, per quanto “vicine ai cittadini interessati “(art. A del Trattato di Maastricht) delle realtà espressive della sussidiarietà orizzontale. In questo specifico ambito si colloca il sostegno in termini anche di contribuzione dell’ente all’attività di queste entità che sono espressione di originarie manifestazioni di autonomia privata e “soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali” (parere della Sezione consultiva per gli atti normativi n. 1354/2002), senza che queste forme di sostegno economico siano in alcun modo collegate all’utilizzo dell’immagine dell’ente o che a questo siano pienamente sovrapponibili come attività” (questa sezione citata deliberazione n. 336/2011/PAR).

Proprio in linea con tale lettura costituzionalmente orientata si è affermato costantemente che in assenza di specifico divieto non è preclusa al comune la possibilità di contribuire finanziariamente, per la materia che qui interessa, al funzionamento delle scuole private operanti sul proprio territorio. In tal senso, si è sostenuto che la natura pubblica o privata del soggetto che riceve l’attribuzione patrimoniale è indifferente se il criterio di orientamento è quello della necessità che l’attribuzione avvenga allo scopo di perseguire i fini dell’ente pubblico. Se tale attribuzione avviene con un provvedimento, questa Sezione ha ritenuto che la “concessione ad un soggetto di un’utilità a condizioni diverse da quelle previste dal mercato, possa essere qualificata come “vantaggio economico” ai sensi dell’art. 12 della legge 7 agosto 1990, n, 241 (vedi in questo senso la citata delibera della Sezione Lombardia n. 349/2011). Tale norma, sotto la rubrica “Provvedimenti attributivi di vantaggi economici”, stabilisce che “la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi”; poi, al secondo comma, aggiunge che “l’effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1”.(questa Sezione parere n. 716/2012/PAR, Comune di Treviso).

Se, invece, l’atto dispositivo è di diritto privato, questa stessa Sezione ha affermato che “si raccomanda all’ente di garantire comunque un’adeguata forma di pubblicità”. (questa Sezione parere da ultimo citato).

Posto quanto sopra evidenziato, appare necessario tuttavia, procedere ad una attenta qualificazione giuridica dell’operazione che il comune di Musile di Piave intende porre in essere alla luce della parziale descrizione fatta dall’ente nella richiesta di parere. Ciò per verificare come detta operazione possa qualificarsi dal punto di vista giuridico anche al fine di poter effettuare uno scrutinio di compatibilità con le norme dell’ordinamento ed in particolare con quelle giuscontabilistiche.

  1. L’OPERAZIONE CHE IL COMUNE DI MUSILE DI PIAVE INTENDE PORRE IN ESSERE.

Il comune di Musile di Piave al fine di offrire o potenziare un servizio all’infanzia intende porre in essere una convenzione con la locale (o le locali parrocchie in quanto dalla richiesta di parere non emerge se le scuole siano più di una gestite dalla medesima o da più parrocchie) che già svolge un attività di scuola materna ma, per giungere alla stipula di detta convenzione, come rappresenta l’ente, appare necessario rinnovare ed adeguare le strutture (di proprietà della parrocchia).

Le risorse finanziarie per giungere al detto scopo verrebbero messe a disposizione del comune attraverso la concessione di un “prestito” (specificatamente destinato alla realizzazione dell’opera concordata) alla parrocchia di circa 200/300.000 euro da restituire al comune presumibilmente in 10 anni. Detto finanziamento:

  • è stato qualificato dall’ente quale “fondo di rotazione” (ma non viene specifica se trattasi di fondo di rotazione per la gestione dei finanziamenti comunitari in base a specifici programmi regionali (per la realizzazione dei quali ne diverrebbe strumento attuativo) o del fondo di rotazione per la progettualità di cui all’articolo Art. 6 ter del Decreto legge 13.08.2011, n. 138 recante “Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo” o, come ritiene questo Collegio, la mera creazione di una posta contabile nel bilancio, necessaria a gestire l’intera operazione;dovrà essere compatibile con le giacenze di cassa (sembrerebbe dunque che la provvista finanziaria debba essere attinta dalle giacenze di tesoreria);dovrà essere compatibile con i flussi di cassa onde evitare deficienze di cassa;avrebbe il vantaggio di potersi qualificare al fine delle modalità di calcolo del patto di stabilità quale concessione di credito a privati (per la parte del finanziamento) e riscossione di credito (per la parte delle rate del prestito riscosse negli anni).

C. LA QUALIFICAZIONE GIURIDICA DELL’OPERAZIONE CHE IL COMUNE INTENDE PORRE IN ESSERE.

C.1. La Sezione ritiene, ad una prima valutazione dell’operazione che l’ente intende effettuare, che possa integrarsi un collegamento tra il negozio giuridico di concessione di finanziamento, destinato in tal caso ad uno specifico scopo (la ristrutturazione e l’adeguamento delle scuole materne o più correttamente, dell’infanzia) e la successiva convenzione per l’utilizzo da parte del comune del servizio reso dalle scuole per l’infanzia parrocchiali oggetto degli interventi strutturali. Detto collegamento negoziale necessita dunque un attento inquadramento dei negozi giuridici che lo connotano e, soprattutto, della loro compatibilità con i vincoli posti dall’ordinamento vigente (privatistico e pubblicistico) soprattutto in materia di finanza pubblica.

C.2. Giova premettere che il collegamento negoziale, come pacificamente affermato in dottrina e nella consolidata giurisprudenza di Cassazione, è uno strumento giuridico finalizzato ad elevare a causa del contratto un elemento esterno a quest’ultimo e non rinvenibile all’interno dei negozi tra loro collegati. In pratica si rivela “… una particolare tecnica contrattuale mediante la quale le parti predispongono una serie coordinata di atti negoziali in vista del soddisfacimento di un risultato economico unitario (tra le varie sentenze che definiscono chiaramente l’istituto si richiamano: Corte di Cassazione 15 febbraio 1980 n. 1126 e Cassazione Civile Sez. II del 26 marzo 2010 n. 7305).

C.3. Alla luce di quanto evidenziato appare che il negozio principale dell’operazione complessiva che il comune di Musile di Piave intende porre in essere, la cui attuazione diviene prodromica alla conclusione del successivo al quale il primo risulta indissolubilmente collegato, è la concessione di un finanziamento alla parrocchia per la realizzazione di opere di adeguamento delle scuole materne.

Un primo ordine di considerazioni riguarda proprio la qualificazione di detto prestito alla luce della possibilità offerta alle pubbliche amministrazioni dalla vigente normativa di utilizzare strumenti privatistici per il conseguimento degli scopi istituzionali (pubblicistici) dell’ente. Scopi questi ultimi nel caso in specie, connotati dall’offrire non direttamente ma attraverso il ricorso ad una convenzione con gli istituti paritari, un servizio di scuola per l’infanzia. Detto scopo si eleva dunque a causa esterna dell’operazione negoziale complessiva posta in essere in grado di soddisfare sia le aspettative dell’ente (offrire un servizio alla collettività amministrata, che va comunque prestato, esternalizzandolo al fine sostenere oneri minori rispetto a quelli necessari per svolgerlo direttamente) che quelle della controparte (la o le parrocchie) che si sostanziano nel poter effettuare ristrutturazioni ad ambienti scolastici per adeguarli e rendere possibile offrire un servizio al territorio di riferimento in regime di convenzione esclusiva con il comune.

C.4. La descritta complessa operazione, si attuerebbe dunque, mediante il ricorso da parte dell’ente di strumenti tipicamente privatistici la cui possibilità di utilizzo è rinvenibile all’interno dell’ordinamento giuridico pubblicistico. Tra le varie disposizioni che ne incentivano l’utilizzo si segnalano:

  • l’articolo 1 comma 1 bis della legge 241/90 laddove si prevede che “La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”;
  • di recente, il decreto Legge 13 agosto 2011 n. 138 convertito con modificazioni dalla legge 14 settembre 2011 n. 148 che ha previsto, nell’ottica di una politica di liberalizzazioni, all’articolo 3 rubricato “Abrogazione delle indebite restrizioni all’accesso e all’esercizio delle professioni e delle attività economiche”, al comma 1, che “Comuni, Province, Regioni e Stato, entro un anno dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, adeguano i rispettivi ordinamenti al principio secondo cui l’iniziativa e l’attività economica privata sono libere ed è permesso tutto ciò che non è espressamente vietato dalla legge nei soli casi di: a) vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali; b) contrasto con i principi fondamentali della Costituzione; c) danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l’utilità sociale; d) disposizioni indispensabili per la protezione della salute umana, la conservazione delle specie animali e vegetali, dell’ambiente, del paesaggio e del patrimonio culturale; e) disposizioni relative alle attività di raccolta di giochi pubblici ovvero che comunque comportano effetti sulla finanza pubblica”. Mentre al successivo comma 2 è stato previsto che “Il comma 1 costituisce principio fondamentale per lo sviluppo economico e attua la piena tutela della concorrenza tra le imprese”.

D. LA VERIFICA DELLA COERENZA DELL’INTERA OPERAZIONE CON I VINCOLI POSTI DALL’ORDINAMENTO GIURIDICO.

D.1. Fatte le evidenziate premesse appare necessario approfondire la valutazione del primo negozio che il comune intende porre in essere: il finanziamento alla parrocchia. Questo sembra atteggiarsi come mutuo ed in particolare come un mutuo di scopo.

Com’è noto, il mutuo è un contratto tipico in cui paradigmaticamente si esprime la funzione creditizia. Ai sensi dell’art. 1813 c.c., il mutuo è il contratto con il quale una parte consegna all’altra una determinata quantità di denaro o di cose fungibili, e l’altra si obbliga a restituire cose della stessa specie e qualità. Il mutuo è un contratto reale che si incentra su due obbligazioni principali: la consegna del denaro in capo al soggetto mutuante e la restituzione del tantundem da parte del mutuatario. Il mutuo si atteggia quale accordo naturalmente oneroso nel senso che, salva diversa volontà delle parti, il mutuatario deve corrispondere gli interessi al mutuante (art. 1815 c.c.). Gli interessi rappresentano il corrispettivo della prestazione del mutuante e sono un effetto naturale del tipo contrattuale.

Lo sviluppo del tipo negoziale sotto il profilo dell’arricchimento dello schema causale del contratto, si ha con il c.d. mutuo di scopo, in cui il mutuatario si obbliga non solo a restituire il capitale e a pagare gli interessi, ma anche a realizzare lo scopo previsto.

Nel mutuo di scopo la funzione economico-sociale del contratto non si limita a perseguire la funzione creditizia, consentendo al sovvenuto di fruire della somma di denaro, ma ricomprende altresì la destinazione del prestito all’obiettivo stabilito per legge o per volontà delle parti. Il vincolo di scopo è oggetto di una specifica obbligazione che rappresenta l’elemento causale distintivo del tipo negoziale e si manifesta in tutti quei casi in cui l’utilizzo della somma mutuata realizza anche gli interessi del mutuante. Il mutuo di scopo è una tradizionale forma di credito incentivante che tende a promuovere il perseguimento degli obiettivi programmatici della pubblica amministrazione. Detto mutuo “si caratterizza rispetto al contratto di mutuo “ordinario”, ed in contrapposizione ad esso, come “mutuo speciale” la cui caratteristica maggiormente qualificante è ravvisabile nella previsione di una cd. “clausola di destinazione o di reimpiego” (di fonte pattizia o come nel caso in specie legale), in forza della quale il finanziato è tenuto a utilizzare la somma concessagli a credito per la realizzazione di uno scopo prefissato. Mentre nel modello codicistico la ragione del prestito rimane confinata tra i motivi del negozio, nel mutuo “di scopo” l’obbligo (legale nel caso in specie) di destinazione integra una vera e propria obbligazione a carico del sovvenzionato, che si aggiunge a quelle, caratteristiche del mutuo ordinario, di restituire la somma mutuata e, se eventualmente stabilito, di pagare gli interessi. La clausola di destinazione è generalmente accompagnata da obblighi rinforzati a carico del sovvenzionato o addirittura da vere e proprie sanzioni tra le quali la più grave è costituita dallo scioglimento del rappor­to (causa di nullità del contratto per difetto di causa o clausola risolutiva espressa o facoltà di recesso a favore del mutuante)”. (Questa Sezione deliberazione n. 155/2012/PAR).

Attesa la sua natura creditizia sopra richiamata, il mutuo trova largo impiego nella prassi bancaria, pur non essendo un contratto bancario in senso proprio. Non appare superfluo rimarcare che la legge disciplina l’esercizio dell’attività bancaria e la forma imprenditoriale dell’attività creditizia secondo regole settoriali che si applicano agli istituiti di credito mutuanti ai sensi del Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia (D. Lgs. n.385/1993 e successive integrazioni e modificazioni). Dette regole impongono in prima istanza che l’attività creditizia possa essere effettuata solo dai soggetti individuati dal Testo Unico bancario nel quale all’articolo 10 rubricato “Attività bancaria” si prevede che “1. La raccolta di risparmio tra il pubblico e l’esercizio del credito costituiscono l’attività bancaria. Essa ha carattere d’impresa. 2. L’esercizio dell’attività bancaria è riservato alle banche. 3. Le banche esercitano, oltre all’attività bancaria, ogni altra attività finanziaria, secondo la disciplina propria di ciascuna, nonché attività connesse o strumentali. Sono salve le riserve di attività previste dalla legge”.

D.2. Alla luce di quanto evidenziato al punto D.1., la Sezione ritiene potrebbe costituire elemento di criticità la concessione da parte dell’ente locale di un mutuo di scopo ad un soggetto privato (la o le parrocchie) di fatto esercitando, seppur in modo occasionale, attività bancaria e creditizia pur non avendo la qualificazione di ente concedente che la norma speciale (Testo Unico Bancario e Creditizio) impone.

D.3. Il Collegio, poste le debite premesse sulla qualificazione giuridica del primo negozio che l’ente intende porre in essere, ritiene di dover esaminare il negozio ad esso collegato che si atteggia, a detta dell’ente, come una convenzione finalizzata alla resa di un servizio di educazione per l’infanzia a favore delle famiglie residenti nel territorio comunale da parte delle scuole paritarie a fronte di una controprestazione da parte del comune sulla cui entità e natura non emergono elementi certi nella richiesta di parere. In tale contesto sembra che la scelta delle strutture scolastiche parrocchiali cui concedere il mutuo avvenga senza una preventiva procedura di scelta comparativa o qualsivoglia procedura selettiva ma solo come conseguenza necessaria della concessione del mutuo di scopo di cui trattasi.

In pratica il collegamento negoziale che, come visto, rende indissolubile il rapporto tra la stipula della convenzione e la concessione del mutuo, determina una consequenzialità del secondo negozio che l’ente intende stipulare con l’ente religioso. Di tal che, la scelta del contraente per la stipula della convenzione non avverrebbe mediante una procedura comparativa, preventivamente pubblicizzata tra soggetti che offrono le stesse prestazioni ma, si eleverebbe a mera conseguenza degli effetti del mutuo di scopo.

Sul punto, dunque, al fine di valutare quale sia la specifica normativa da applicare, che non può comunque prescindere dalla tutela dei principi della trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, si pone il problema di accertare se il servizio privato di scuola materna da sostenere e che “dovrà essere offerto con modalità e caratteristiche comparabili a quelle .essenziali previste per il servizio pubblico” sia qualificabile come prestazione di servizi a rilevanza economica oppure sia privo di tale carattere. Con la conseguenza che nel primo caso l’affidamento degli stessi rientrerebbe pacificamente nella disciplina del Codice degli Appalti di cui al d.lgs 163/2006 (che ne verrebbe vulnerata atteso che l’affidamento consequenziale all’ente religioso sopra evidenziato di fatto si atteggia come una sorta di affidamento con procedura ristretta ma priva di profili comparativi) mentre nel secondo caso si tratterebbe di servizi che seppur privi di rilevanza economica l’ente sarebbe tenuto a prestare alla propria collettività e rispondenti alla relativa disciplina di settore. In tale ultimo caso si tratta di stabilire se il servizio di scuola per l’infanzia sia qualificabile come obbligatorio e se rientri poi nella categoria dei servizi socio assistenziali: categoria quest’ultima anch’essa soggetta a regole di pubblicità, trasparenza e selezione, ma differenziate rispetto a quelle del Codice degli Appalti. Ciò, anche in considerazione del fatto che l’ente ritiene come “l’intervento pubblico potrà riguardare (in primo luogo) scuole paritarie (di cui alla citata L. 62/2000 e all’art. 1 bis del D.L. 250/2005, conv. in L. 27/2006), con le quali è opportuno venga stipulata un’apposita intesa/convenzione con il Comune, volta a garantire un corretto uso delle risorse pubbliche (aggiuntive) offerte dal Comune stesso…”.

D.4. Il Collegio, in relazione alle problematiche evidenziate al precedente punto D.3. preliminarmente intende richiamare brevemente il dibattito che anima giurisprudenza e dottrina sulla collocazione dei servizi di scuola per l’infanzia nell’alveo dei servizi con rilevanza economica oppure nell’ambito dei servizi socio assistenziali, obbligatori per taluni, facoltativi o a domanda individuale per altri, che vedono un concorso dell’ente al loro conseguimento con forme di contribuzione tese a sostenere la parte dei costi che le prestazioni dei fruitori non sarebbero in grado di coprire.

Come spesso evidenziato dalla giurisprudenza di questa Corte, si osserva che i servizi pubblici in generale costituiscono una categoria interpretativa aperta comprendente prestazioni e processi fra loro molto diversi il cui comune denominatore è rappresentato dalla soddisfazione di interessi e bisogni della collettività.

La giurisprudenza amministrativa propende, invece, per un significato più ampio, qualificando servizio pubblico qualsiasi attività, che si concretizzi nella produzione di beni e servizi in funzione di un’utilità sociale per una comunità locale, resa indistintamente al pubblico, anche in via indiretta e per il tramite di un ente pubblico.

Tra le varie sentenze del giudice amministrativo in tema di qualificazione del servizio pubblico e per quel che qui interessa del servizio di scuola per l’infanzia, può richiamarsi quanto affermato dal Consiglio di Stato laddove “sono da considerare a rilevanza economica i servizi di gestione del centro educativo diurno per minori, servizio di mensa sociale, assistenza domiciliare in favore di persone anziane e/o svantaggiate, consegna di pasti caldi a domicilio, servizi di gestione del centro di aggregazione per anziani, servizi relativi a parcheggi pubblici, servizi connessi ad impianti sportivi, servizi di trasporto pubblico scolastico, turistico, di disabili, ecc. . I suddetti servizi pubblici possiedono rilevanza economica, poiché si tratta di attività suscettibili, in astratto, di essere gestite in forma remunerativa e per le quali esiste certamente un mercato concorrenziale” (C.d.S. sez. V 30/8/2006 n. 5072).

Conseguenza della qualificazione del servizio di cui trattasi come a rilevanza economica nel caso in cui un ente pubblico voglia affidarlo è l’applicazione delle regole dell’evidenza pubblica imposte dal Codice degli appalti che, come noto, impongono la pubblicità e per quel che interessa la procedura comparativa basata sui vari criteri di scelta individuati nelle disposizioni dello stesso Codice.

Quanto alla qualificazione del servizio di scuola per l’infanzia come obbligatorio o a domanda individuale sembra comunque rilevare ai fini dell’individuazione del serviziocome pubblico non è tanto l’imputabilità dell’attività ad un soggettopubblico, quanto piuttosto la rilevanza dell’interesse pubblico, intrinsecamente caratterizzante l’attività, ancorché non riconducibile ad operatori pubblici.

Come più volte osservato in dottrina, per servizio pubblico locale deve intendersi uninsieme di attività poste in essere dagli enti locali che non possono né essere ricomprese nel concetto di funzione amministrativa, né possono qualificarsi come attività meramente economiche (cfr. Indagine sulla gestione di taluni servizi pubblici (indispensabili o a domanda individuale) erogati in Lombardia approvata con deliberazione Sezione Lombardia n. 1051/2010/COMP).

Questa Corte, ha già avuto modo di sottolineare che:“…essendo rilevanti per i cittadini-utenti, i servizi pubblici locali devono essere erogati a prezzi sostenibili e secondo adeguati modelli qualitativi, garantendo la sicurezza, la capillarità e la continuità delle prestazioni. la riconducibilità dei servizi in questione a circoscritte realtà territoriali è coerente con il ruolo dei comuni quali “soggetti istituzionali” più vicini ai cittadini e, quindi, particolarmente idonei ad interpretarne e soddisfarne le esigenze (principio di sussidiarietà verticale). alcuni servizi locali sono pubblici in modo sostanzialmente irreversibile, nel senso che la loro essenzialità e trasversalità e, parallelamente, l’inadeguatezza di un’eventuale offerta privata rispetto alle esigenze collettive (non solo economiche ma anche di tutela della legalità, uguaglianza, ecc.) si presentano pressoché immutate nel tempo e nello spazio, pur potendo variare le condizioni e le modalità concrete di erogazione. si tratta dei c.d. “servizi indispensabili” – connessi al funzionamento degli organi costituzionali, alla giustizia, alla tutela dell’ordine pubblico, all’istruzione, alla distribuzione di acqua potabile, alla tutela dell’igiene urbana, alla regolazione. gli stessi “servizi indispensabili” si possono distinguere in funzione dell’intervento pubblico, nello specifico settore di servizio, rispetto al superiore interesse del conseguimento dei livelli essenziali delle prestazioni civili e sociali, che devono essere garantite, per obbligo costituzionale (art. 117, comma 2, lett. m), in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. con ciò introducendosi una distinzione tra servizi obbligatori (o indispensabili) e dei servizi facoltativi…”. (Indagine sulla gestione di taluni servizi pubblici (indispensabili o a domanda individuale) erogati in Lombardia, citata).

Quindi i servizi obbligatori sono connotati proprio dall’obbligo normativo per l’ente locale di produrre ed erogare determinate tipologie di servizi ritenuti indispensabili nell’attuale contesto economico e sociale per garantire i livelli minimi di qualità della vita ai cittadini della comunità. I servizi facoltativi o a domanda individuale sono, invece, rimessi ad autonome determinazioni di auto- organizzazione dei vari enti locali, sulla scorta dei propri vincoli di bilancio e statutari. Mentre per i servizi indispensabili non è necessaria una decisione amministrativa a supporto della loro istituzione, per quelli facoltativi l’art 42, comma 2, lett e) T.U.E.L. attribuisce alla competenza esclusiva del Consiglio Comunale, l’adozione di atti di “..organizzazione dei pubblici servizi, costituzione di istituzioni e aziende speciali, concessione dei pubblici servizi, partecipazione dell’ente locale a società di capitali, affidamento di attività o servizi mediante convenzione…”. (cfr. Indagine sulla gestione di taluni servizi pubblici (indispensabili o a domanda individuale) erogati in Lombardia citata).

I servizi indispensabili erogati dalle Amministrazioni comunali, sono stati individuati con il D.M. 28 maggio 1993 che all’art. 1, in forza della delega contenuta nell’art. 11 del D.L. 18 gennaio 1993 n. 8 recante “Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilità pubblica” e successive modificazioni ed integrazioni seppur la finalizzazione della norma fosse tesa all’inapplicabilità della procedura di esecuzione forzata. Tra gli stessi si annoverano, i servizi relativi all’istruzione primaria e secondaria mentre per quel che interessa in questa sede, non rientrerebbe nell’elenco l’erogazione di servizi relativi alla scuola dell’infanzia. Questa in base alle disposizioni normative in vigore (d.lgs 19 febbraio 2004 n. 59) seppur differenziata dalla scuola primaria e secondaria costituisce un servizio con finalità sociali: tanto è vero che il D.P.R. 31 gennaio 1996 n. 194 recante il “Regolamento per l’approvazione dei modelli di cui all’art. 114 del D.Lgs. 25 febbraio 1995, n. 77, concernente l’ordinamento finanziario e contabile degli enti locali” contempla nelle materie ricomprese nella funzione 10 degli enti locali (attività sociali tipiche): gli asili nido, i servizi per l’infanzia, quelli per la prevenzione e la riabilitazione nonché quelli con finalità sociali.

A conferma di tale inquadramento si segnala che, ai sensi dell’art. 25 della legge 18 marzo 1968, n. 444, il comune, nell’istituzione e gestione di scuole dell’infanzia, agisce nell’ambito dei suoi compiti istituzionali e che le scuole stesse sono riconducibili nell’ambito della scuole pubbliche contemplate dall’art. 9, punto 2, della legge 25 marzo 1985, n. 121 (confronta anche C.d.S., VI, 970, 21 novembre 1990) mentre in base al medesimo articolo le spese degli enti pubblici territoriali per l’istituzione delle scuole dell’infanzia da essi gestite sono, per gli stessi, obbligatorie.

In relazione a quanto da ultimo evidenziato si rileva come il servizio relativo alla scuola per l’infanzia potrebbe ben collocarsi nel novero dei servizi obbligatori alla persona di cui all’art. 5 della Legge 8 novembre 2000, n. 328 e, di conseguenza, l’affidamento dello stesso da parte dell’ente locale andrebbe disciplinato dal D.PC.M. 30 marzo 2001 recante “Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona previsti dall’art. 5 della legge 8 novembre 2000, n. 328″. Disposizione quest’ultima alla quale hanno fatto seguito numerose Leggi regionali che si sono adeguate al disegno del legislatore nazionale.

Il richiamato D.P.C.M. all’articolo 5 recante “Acquisto di servizi e prestazioni” prevede al comma 1 che “I Comuni, al fine di realizzare il sistema integrato di interventi e servizi sociali garantendone i livelli essenziali, possono acquistare servizi e interventi organizzati dai soggetti del Terzo Settore” individuati questi ultimi in base alle previsioni di cui all’articolo 2 quali “…..le organizzazioni di volontariato, le associazioni e gli enti di promozione sociale, gli organismi della cooperazione, le cooperative sociali, le fondazioni, gli enti di patronato, altri soggetti privati non a scopo di lucro”.

Il comma 2 dell’articolo 5 prevede poi che “Le Regioni disciplinano le modalità per l’acquisto da parte dei Comuni dei servizi ed interventi organizzati dai soggetti del terzo settore definendo in particolare:

a. le modalità per garantire una adeguata pubblicità del presumibile fabbisogno di servizi in un determinato arco temporale;

b. le modalità per l’istituzione dell’elenco dei fornitori di servizi autorizzati ai sensi dell’articolo 11 della legge n. 328 del 2000, che si dichiarano disponibili ad offrire i servizi richiesti secondo tariffe e caratteristiche qualitative concordate;

c. i criteri per l’eventuale selezione dei soggetti fornitori sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa…..”. Inoltre, viene imposto dall’atto di indirizzo al successivo articolo 6 ai commi 2, 3 e 4 comma 2 che “2. Nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza dell’azione della Pubblica Amministrazione e di libera concorrenza tra i privati nel rapportarsi ad essa, sono da privilegiare le procedure di aggiudicazione ristrette e negoziate. In tale ambito le procedure ristrette permettono di valutare e valorizzare diversi elementi di qualità che il Comune intende ottenere dal servizio appaltato. 3. I Comuni, nell’affidamento per la gestione dei servizi, utilizzano il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa, tenuto conto anche di quanto previsto all’articolo4. 4. I contratti previsti dal presente articolo prevedono forme e modalità per la verifica degli adempimenti oggetto del contratto ivi compreso il mantenimento dei livelli qualitativi concordati ed i provvedimenti da adottare in caso di mancato rispetto”.

D.5. In base al quadro ricostruttivo sopra richiamato appare evidente che l’affidamento del servizio di scuola per l’infanzia, indipendentemente dalla relativa qualificazione, che sia a rilevanza economica, obbligatorio o socio assistenziale, imponga comunque, ai sensi delle citate normative (Codice degli Appalti oppure D.P.C.M. 30 marzo 2001), il ricorso a idonea pubblicità, a delineate procedure comparative ed all’applicazione di specifici criteri di selezione.

D.6. Alla luce delle considerazioni sopra esposte, appare evidente che la scelta della modalità con le quali affidare il servizio di scuola per l’infanzia alle sole scuole paritarie parrocchiali di fatto potrebbe determinare un vulnus nei confronti di tutti gli altri operatori economici o del terzo settore che svolgono nel territorio comunale il medesimo servizio e che non sarebbero chiamati a partecipare ad una eventuale procedura aperta o ristretta che sia.

A parere del Collegio detti richiamati effetti appaiono critici in relazione al rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea, ai principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, ai principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità.

E. I LIMITI ALL’UTILIZZO DELLE GIACENZE DI TESORERIA.

Un ulteriore profilo di esame da parte di questa Sezione è quello costituito dalla natura delle risorse destinabili al finanziamento tramite concessione di mutuo, delle ristrutturazioni scolastiche: risorse da utilizzare come accennato nel punto B, compatibilmente con le giacenze di cassa (sembrerebbe dunque che la provvista finanziaria debba essere attinta dalle giacenze di tesoreria).

In relazione al funzionamento del sistema di tesoreria degli enti locali giova ricordare che il comma 8 dell’art. 35 del D.L. 24 gennaio 2012 n.1 recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” convertito con modificazioni nella Legge n.27/2012, ai fini della tutela dell’integrità, dell’unità economica della Repubblica e del coordinamento della finanza pubblica, ha sospeso il regime di tesoreria unica “mista”, così come previsto dal d.lgs. n.279/1997, ripristinando per gli enti assoggettati a tale regime tra i quali si annoverano gli enti locali, il sistema di tesoreria unica “pura”, così come disciplinato dall’art.1 della L. n.720/1984, con esclusione delle disponibilità derivanti da mutui e prestiti non garantiti da organismi pubblici. Pertanto, le operazioni di incasso e di pagamento devono ora essere effettuate sulle contabilità speciali aperte presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato. Di tal che le entrate proprie, costituite da introiti tributari ed extratributari, per vendita di beni e servizi, per canoni, sovracanoni e indennizzi, o da altri introiti provenienti dal settore privato, devono essere versate in contabilità speciale fruttifera presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato mentre entrate e le assegnazioni, i contributi e quanto altro proveniente dal bilancio dello Stato devono affluire in contabilità speciale infruttifera.

Appare evidente che il nuovo sistema determina per gli enti locali il mancato incasso degli interessi sulle proprie giacenze, così erano stati come concordati con i propri tesorieri, interessi che per quel che qui preme segnalare, erano certamente superiori ai tassi previsti dalla tesoreria statale. Peraltro, giova ricordare che questa Sezione, in relazione all’utilizzo delle giacenze di cassa seppur in periodo anteriore all’entrata in vigore della richiamata riforma del sistema di tesoreria, ha avuto modo di affermare (anche se la questione affrontata riguardava un prestito a partecipata in house) che “……l’operazione appare possibile in virtù delle rilevanti giacenze di cassa del Comune, e, quindi, verrebbe fatta rientrare nel novero delle operazioni di reimpiego temporaneo delle somme giacenti presso il conto corrente di tesoreria (c.d. gestione attiva della liquidità), non disciplinate da apposita normativa ma comunque consentite se e in quanto non comportino una sostanziale distrazione delle risorse rispetto alla destinazione loro impressa dalla legge o dai documenti di bilancio dell’ente (la presenza di giacenze di cassa corrisponde per lo più a sfasamenti temporali tra riscossioni e pagamenti), costituendo un’alternativa più vantaggiosa rispetto al deposito presso il conto del tesoriere. Difatti, la gestione attiva della liquidità (c.d. cash management) depositata presso il tesoriere, resa possibile a partire dal 1° gennaio 2009 per tutti gli enti locali a seguito dell’estensione del sistema di tesoreria unica mista di cui all’art. 7 del Dlgs. 279/1997 per effetto dell’art. 77-quater del DI- 112/2008, comporta l’impiego temporaneo di tali somme al fine di ottenere rendimenti netti superiori a quelli del semplice deposito sul conto corrente di tesoreria. Dai vincoli sulle giacenze espressi da talune norme e dalla ratio sottesa a tali operazioni, quindi, è agevole ricavare le seguenti condizioni di ammissibilità della gestione attiva della liquidità, riconducibili al più generale principio di sana gestione finanziaria:

  • elevato rating sul merito di credito della controparte;
  • garanzia di un vantaggio economico superiore a quello ricavabile dal deposito presso il proprio tesoriere;
  • rispetto della normativa sulla tesoreria unica mista (impossibilità di utilizzare le somme affluite sulle contabilità speciali infruttifere costituite presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato);
  • estinzione dell’operazione in breve termine (in genere nell’arco massimo di 18 mesi) o possibilità garantita di pronto disinvestimento anticipato del capitale impiegato per far fronte ai pagamenti ai quali le giacenze di cassa sono destinate (per tale motivo è da escludersi la possibilità di ricorrere ad anticipazioni di tesoreria nella misura in cui al deficit di cassa possa sopperirsi con il disinvestimento delle operazioni di cash management), anche in relazione all’obbligo di prioritario utilizzo di cui all’art. 7, comma 5, del DLgs 279/2007, che investe, oltre le giacenze libere di cassa, le liquidità “temporaneamente reimpiegate in operazioni finanziarie”;
  • deposito dei titoli presso il tesoriere ai sensi dell’art. 209, comma 3, e 211, comma 2, del TUEL.

In quanto integrano le predette condizioni, tra le operazioni generalmente ammesse figurano quelle in titoli di Stato e in pronti contro termine (vedasi pareri n. 23/2008 e 16/2009/par della Sezione regionale di controllo per la Campania). Nel caso specifico, diversamente, alcune delle condizioni citate non si realizzerebbero. Innanzitutto, l’impiego delle giacenze di cassa avverrebbe non per fini remunerativi per l’ente locale (gli interessi attivi percipiendi sarebbero pari a quelli riconosciuti dal proprio tesoriere), ma per sostenere la fase di start-up e gli investimenti di una società partecipata In tal modo, l’ente locale, ove pervenga alla decisione di gestire attivamente la liquidità, si priverebbe di soluzioni d’investimento del proprio capitale maggiormente remunerative, trasferendo di fatto sulla collettività amministrata il costo che la società partecipata avrebbe dovuto sostenere con i proventi della tariffa dei servizi dalla stessa offerti ai propri utenti per contrarre un prestito eventualmente più oneroso”.(questa Sezione deliberazione n. 40/2009/PAR).

Il Collegio, alla luce di quanto evidenziato, ritiene che l’utilizzo delle richiamate giacenze per finanziare il mutuo alle scuole paritarie e la convenienza finanziaria dell’operazione mostrino profili di criticità atteso che, comunque, dette giacenze attualmente, vedono la tesoreria statale liquidare degli interessi, seppur minori. Nel caso prospettato dal comune di Musile di Piave della concessione di mutuo almeno decennale senza interessi, questi ultimi, seppur ridotti non verrebbero certo maturati sulle somme destinate a finanziare la ristrutturazione delle scuole paritarie ne recuperati nelle singole rate in quanto queste ultime sarebbero composte dalla sola sorte capitale.

F. GLI EFFETTI DELL’INTERA OPERAZIONE SUI VINCOLI IMPOSTI DAL PATTO DI STABILITA’ INTERNO.

F.1. Un altro elemento di riflessione alla luce delle considerazioni sopra emerse riguarda il complessivo effetto dell’operazione sui saldi del patto di stabilità interno dell’ente, atteso che il mutuo in esame non verrebbe ad incidere nell’anno dell’effettivo esborso, sui saldi di competenza mista del patto. Infatti, come anche evidenziato dal comune di Musile di Piave l’operazione “…..presenterebbe una serie di vantaggi: l’’operazione esula dal patto di stabilità (andando imputata a “concessione di crediti” e “riscossione di crediti”) e costituendosi, a fronte dell’esborso comunale, un credito nei confronti della Parrocchia, detta forma di sostegno non impegna le risorse dell’Ente, come invece accadrebbe nel caso di contributi a fondo perduto…”.Effettivamente il mutuo concesso alla parrocchia potrebbe essere iscritto al TITOLO II della spesa, Intervento 10, Voce economica 19, Codice Siope 2093 Concessioni di crediti da Istituzioni sociali private (Spese per la concessione di disponibilità temporanea di risorse finanziarie a istituzioni sociali private (per le quali è previsto il rimborso) per fondi di rotazione).

F.2. Quanto alla durata dell’operazione di finanziamento, che si attesta a circa 10 anni, la stessa farebbe venir meno il carattere di finanziamento di breve periodo che dovrebbe contraddistinguere gli interventi degli enti locali per incentivare, in un ottica di sussidiarietà, alcuni servizi resi da privati per conto dell’ente e i cui limiti di operatività sono stati ben evidenziati al precedente punto E.

F.3. Dal lato dell’entrata le singole rate che coprono il rimborso della sola sorte capitale (in quanto il mutuo viene concesso senza interessi), verrebbero annualmente iscritte al TITOLO 4, Categoria 6, Voce economica 19, Codice Siope 4683 – Riscossione di crediti da Istituzioni sociali private (Proventi derivanti dalla restituzione di somme ai fondi di rotazione prestate a istituzioni sociali private).

Sul punto, ferme restando le riserve sull’utilizzo delle giacenze di tesoreria richiamate nel precedente punto E, si evidenzia che dette entrate che incidono sugli equilibri di bilancio dell’ente, potrebbero risentire di un eventuale difficoltà del soggetto che ha ricevuto il mutuo ad effettuare i pagamenti nel corso dell’ampio periodo di durata del rimborso delle relative quote (10 anni). In merito, giova evidenziare che l’ente seppur abilitato ad adottare i moduli privatistici (sopra richiamati) per il conseguimento dei propri fini istituzionali, è comunque chiamato ad osservare i vincoli rinvenibili nelle disposizioni che regolano l’attività finanziaria e contabile degli enti locali. Ne consegue che l’eventuale scelta da parte del comune di Musile di Piave di dover ricorrere alla concessione di un mutuo di scopo ad un soggetto privato andrebbe comunque assistita da una serie di cautele, tese a porre al sicuro gli equilibri di bilancio dell’ente da eventuali situazioni conseguenti a disfunzioni del sinallagma funzionale insorto tra ente mutuatario e privato mutuante.

Nel caso in specie, infatti, le rate di rimborso annuale della somma ricevuta in mutuo sono ascrivibili nelle poste contabili dell’entrata quali residui attivi. Detti residui si espongono dunque, in mancanza di un eventuale forma di garanzia prestata dal mutuante e che si imporrebbe quale necessario adempimento per la concessione stessa del mutuo, ad una non auspicabile ma possibile inesigibilità, con le relative ricadute sul bilancio dell’ente.

La Sezione, in relazione a quanto evidenziato nei punti B, C, D, E, F della presente deliberazione, ritiene che la complessa operazione, che il comune di Musile di Piave intende porre in essere e che è stata ampiamente descritta, presenti numerosi profili di criticità come sopra evidenziati.

Detta operazione non parrebbe compatibile dunque, con il quadro normativo, privatistico e pubblicistico, sopra richiamato e, soprattutto, in relazione al profilo giuscontabilistico.

PQM

La Sezione regionale di controllo della Corte dei conti per il Veneto rende il parere nei termini su richiamati.

Copia della deliberazione sarà trasmessa, a cura del Direttore della Segreteria, al Sindaco del Comune di Musile di Piave .

Così deliberato in Venezia, nella Camera di Consiglio del 15 novembre 2012.

Il Relatore Il Presidente

f.to Dott. Giampiero Pizziconi f.to Dott.ssa Enrica Del Vicario

Depositato in Segreteria il 28/11/2012

IL DIRETTORE DI SEGRETERIA

f.to (Dott.ssa Raffaella Brandolese)