Fondazioni partecipate da enti locali e contributi straordinari

NOTA

Con il parere in rassegna la Sezione Lombardia si pronuncia sulla richiesta di parere del Comune di Gallarate in merito all’ammissibilità di un intervento dell’ente mediante l’erogazione di un contributo straordinario, finalizzato a ripianare il deficit patrimoniale accumulato da una fondazione partecipata (qualificata dall’ente istante organismo di diritto pubblico).

La Corte, richiamati i principi generali di “legalità finanziaria” già enunciati dalla Sezione anche in riferimento alla partecipazione in fondazioni (v. parere 15 giugno 2011 n. 365) esclude l’ammissibiltà dell’intervento finanziario del Comune, enunciando il principio secondo cui “l’erogazione di contributi straordinari a carico di un ente locale per soddisfare i creditori di una fondazione partecipata dal medesimo si configura quale operazione di mero ripiano dei debiti derivanti dalla gestione corrente, contrastante con il divieto – in capo ai soci pubblici – di “interventi tampone con dispendio di disponibilità finanziarie a fondo perduto, erogate senza un programma industriale o una prospettiva che realizzi l’economicità e l’efficienza della gestione nel medio e nel lungo periodo (da ultimo cfr. Sez. controllo Lombardia n. 12/2012)”.

Riportiamo il testo del parere 19 marzo 2012 n. 72 nonché, a seguire, il parere 15 giugno 2011 n. 365.

* * *

Lombardia/72/2012/PAR

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE DEI CONTI

IN

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA

LOMBARDIA

composta dai Magistrati:

dott. Nicola Mastropasqua Presidente

dott. Giuseppe Zola Consigliere

dott. Gianluca Braghò Primo Referendario

dott. Massimo Valero Primo Referendario

dott. Alessandro Napoli Referendario (relatore)

dott.ssa Laura De Rentiis Referendario

dott. Donato Centrone Referendario

dott. Francesco Sucameli Referendario

dott. Cristiano Baldi Referendario

dott. Andrea Luberti Referendario

nella camera di consiglio del 13 marzo 2012

Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;

Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;

Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;

Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004;

Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;

Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;

Vista la deliberazione n. 1/pareri/2004 del 3 novembre 2004 con la quale la Sezione ha stabilito i criteri sul procedimento e sulla formulazione dei pareri previsti dall’articolo 7, comma 8, della legge n. 131/2003;

Vista la nota pervenuta in data 1 marzo 2012 con la quale il Sindaco del Comune di Gallarate ha chiesto un parere in materia di contabilità pubblica;

Vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per l’adunanza odierna per deliberare sulla richiesta proveniente dal Sindaco del Comune di Gallarate (VA);

Udito il relatore, Alessandro Napoli;

OGGETTO DEL PARERE

Il Sindaco del Comune di Gallarate (VA) ha posto alla Sezione una richiesta di parere in merito ai rapporti finanziari con una fondazione costituita dall’ente locale ed attualmente in liquidazione.

Più precisamente, l’organo rappresentativo dell’ente osserva quanto segue.

Il dubbio interpretativo concerne il possibile intervento da parte dell’Amministrazione comunale a ripiano del deficit patrimoniale di una fondazione senza finalità di lucro, costituita per volontà ed iniziativa della stessa Amministrazione, al fine di operare nei campi artistico-culturali ed ora in liquidazione.

La fondazione risulta costituita ai sensi del D. Lgs. n. 42/2004, e l’Amministrazione comunale aveva, fra l’altro, affidato alla medesima, mediante apposita convenzione, la gestione di alcuni teatri comunali, a titolo di valorizzazione dei beni culturali.

Sulla scorta di quanto osservato dalla Sezione nei referti sugli organismi partecipati dagli enti locali della Lombardia, l’Amministrazione ritiene che le osservazioni relative alla natura di organismo di diritto pubblico della “Fondazione Carnevale di Viareggio” possano essere estese anche alla fondazione del Comune di Gallarate. Infatti per disposizione statutaria l’ente locale ha goduto del potere di esercitare una pregnante influenza nella gestione della fondazione, potere che si è estrinsecato nella nomina da parte del Sindaco della maggioranza dei membri del Consiglio di Amministrazione compreso il Presidente.

Lo statuto della Fondazione prevede, inoltre, che se il consiglio di amministrazione non si riunisce ogni tre mesi, in caso di inerzia vi provvede il Sindaco. Oltre al cospicuo fondo iniziale il Comune, in forza di convenzione, erogava alla fondazione ogni anno somme significative per lo svolgimento della stagione teatrale.

Premesso ciò, il Sindaco osserva che il progressivo cumularsi delle perdite di esercizio registrate dalla fondazione ha, dapprima, determinato l’erosione del fondo di dotazione e quindi, con il definitivo concretizzarsi di una condizione conclamata di crisi economica e finanziaria, l’assunzione di valore negativo del patrimonio netto.

A fronte della mancanza di prospettive di ripiano delle perdite pregresse e della pratica impossibilità di prosecuzione delle attività gestionali, il Consiglio di Amministrazione della Fondazione ne deliberava lo scioglimento, provvedendo contestualmente alla nomina di un liquidatore. Siffatto liquidatore, dopo aver quantificato il complessivo ammontare del deficit della fondazione e prima di avviare il procedimento di liquidazione (secondo le regole della procedura fallimentare ex art. 16 disp. att. c.c.), ha contattato i creditori al fine di raggiungere un accordo transattivo bonario volto alla definizione delle pendenze mediante liquidazione parziale dei crediti medesimi, proponendo – quindi – ai soci di intervenire con un contributo straordinario al fine di fornire le risorse finanziarie necessarie a soddisfare i creditori.

Gli altri soci della fondazione, minoritari in termini di partecipazione al fondo di dotazione della fondazione, non hanno finora aderito all’invito del liquidatore.

In assenza di espressi obblighi statutari o convenzionali di intervento a ripiano delle perdite, il Sindaco chiede se:

a) sia da considerarsi ammissibile e legittimo un intervento dell’Amministrazione Comunale a ripiano del deficit patrimoniale accumulato dalla fondazione attraverso l’erogazione di un contributo straordinario, ciò anche a fronte del fatto che delle attività svolte dalla fondazione medesima hanno beneficiato in misura prevalente i cittadini dell’ente;

b) tale eventuale erogazione sia da qualificarsi quale debito fuori bilancio ai sensi dell’art. 194 TUEL.

PREMESSA

Il primo punto da esaminare concerne la verifica in ordine alla circostanza se la richiesta proveniente dal Sindaco del Comune di Gallarate rientri nell’ambito delle funzioni attribuite alle Sezioni regionali della Corte dei conti dall’art. 7 comma ottavo, della legge 5 giugno 2003, n. 131, norma in forza della quale Regioni, Province e Comuni possono chiedere a dette Sezioni pareri in materia di contabilità pubblica, nonché ulteriori forme di collaborazione ai fini della regolare gestione finanziaria, dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa.

In proposito, questa Sezione ha precisato, in più occasioni, che la funzione di cui al comma ottavo dell’art. 7 della legge n. 131/2003 si connota come facoltà conferita agli amministratori di Regioni, Comuni e Province di avvalersi di un organo neutrale e professionalmente qualificato per acquisire elementi necessari ad assicurare la legalità della loro attività amministrativa.

I pareri e le altre forme di collaborazione si inseriscono nei procedimenti amministrativi degli enti territoriali consentendo, nelle tematiche in relazione alle quali la collaborazione viene esercitata, scelte adeguate e ponderate nello svolgimento dei poteri che appartengono agli amministratori pubblici, restando peraltro esclusa qualsiasi forma di cogestione o coamministrazione con l’organo di controllo esterno (per tutte: parere sez. Lombardia, 11 febbraio 2009, n. 36).

Infatti, deve essere messo in luce che il parere della Sezione attiene a profili di carattere generale anche se, ovviamente, la richiesta proveniente dall’ente pubblico è motivata, generalmente, dalla necessità di assumere specifiche decisioni in relazione ad una particolare situazione. L’esame e l’analisi svolta nel parere è limitata ad individuare l’interpretazione di disposizioni di legge e di principi generali dell’ordinamento in relazione alla materia prospettata dal richiedente, spettando, ovviamente, a quest’ultimo la decisione in ordine alle modalità applicative in relazione alla situazione che ha originato la domanda.

AMMISSIBILITA’ SOGGETTIVA

Riguardo all’individuazione dell’organo legittimato ad inoltrare le richieste di parere dell’ente comunale, si osserva che il Sindaco è l’organo istituzionalmente legittimato a richiedere il parere, in quanto riveste il ruolo di rappresentante dell’ente ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L.

Pertanto, la richiesta di parere è ammissibile soggettivamente poiché proviene dall’organo legittimato a proporla.

AMMISSIBILITA’ OGGETTIVA

Con riferimento alla verifica del profilo oggettivo, occorre rilevare che la disposizione, contenuta nel comma 8, dell’art. 7 della legge 131/03, deve essere raccordata con il precedente comma 7, norma che attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di principio e di programma, la sana gestione finanziaria degli enti locali.

Lo svolgimento delle funzioni è qualificato dallo stesso legislatore come una forma di controllo collaborativo.

Il raccordo tra le due disposizioni opera nel senso che il co. 8 prevede forme di collaborazione ulteriore rispetto a quelle del precedente comma rese esplicite, in particolare, con l’attribuzione agli enti della facoltà di chiedere pareri in materia di contabilità pubblica.

Appare conseguentemente chiaro che le Sezioni regionali della Corte dei conti non svolgono una funzione consultiva a carattere generale in favore degli enti locali, ma che, anzi, le attribuzioni consultive si connotano sulle funzioni sostanziali di controllo collaborativo ad esse conferite dalla legislazione positiva.

Al riguardo, le Sezioni riunite della Corte dei conti, intervenendo con una pronuncia in sede di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 17, co. 31 del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, hanno delineato una nozione unitaria di contabilità pubblica incentrata sul “sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici”, da intendersi in senso dinamico anche in relazione alle materie che incidono sulla gestione del bilancio e sui suoi equilibri (Delibera n. 54, in data 17 novembre 2010).

Il limite della funzione consultiva, come sopra delineato, esclude qualsiasi possibilità di intervento della Corte dei conti nella concreta attività gestionale ed amministrativa che ricade nell’esclusiva competenza dell’autorità che la svolge; nonché esclude che la funzione consultiva possa interferire in concreto con competenze di altri organi giurisdizionali.

Dalle sopraesposte considerazioni consegue che la nozione di contabilità pubblica va conformandosi all’evolversi dell’ordinamento, seguendo anche i nuovi principi di organizzazione dell’amministrazione, con effetti differenziati, per quanto riguarda le funzioni della Corte dei conti, secondo l’ambito di attività.

Con specifico riferimento ai quesiti posti dall’Ente, la Sezione osserva che essi, valorizzandone i profili giuridici di portata generale ed astratta, rientrano nel perimetro della nozione di contabilità pubblica, concernendo i rapporti finanziari tra un ente locale ed un proprio organismo partecipato.

MERITO

In via preliminare, il Collegio rammenta che la funzione consultiva è diretta a fornire un ausilio all’Ente richiedente per le determinazioni che lo stesso è tenuto ad assumere nell’esercizio delle proprie funzioni, restando dunque ferma la discrezionalità dell’Amministrazione in sede di esercizio delle prerogative gestorie.

La giurisprudenza della Sezione si è, da tempo, soffermata sui principi generali che governano i rapporti finanziari tra gli enti locali e le fondazioni costituite dai medesimi, nel prosieguo succintamente richiamati.

Il patrimonio della fondazione, sin dal momento genetico della persona giuridica (negozio di fondazione e negozio di dotazione), deve essere sufficiente per consentire all’ente di svolgere la sua attività ordinaria, tant’è che, ove il patrimonio non sia sufficiente per raggiungere lo scopo o addirittura venga meno, il codice civile prevede che la fondazione si estingua (art. 27 c.c.) e il suo residuo patrimonio sia trasferito ad organi che abbiano una finalità analoga (art. 31 c.c.), a meno che la competente autorità provveda alla trasformazione della fondazione in altro ente (art. 28 c.c.). E’ pur vero che manca nell’ordinamento generale o nella disciplina di settore degli enti territoriali uno specifico divieto per l’ente pubblico di erogare contributi straordinari ad una fondazione partecipata. In linea di principio, se l’azione di quest’ultima è intrapresa allo scopo di soddisfare esigenze della collettività rientranti nelle finalità perseguite dall’ente locale, la concessione di un finanziamento non equivale ad un depauperamento del patrimonio comunale, a fronte dell’utilità che l’ente locale (e più in generale la collettività di cui è esponenziale) riceve dallo svolgimento del servizio di interesse pubblico effettuato dal soggetto destinatario del contributo. Cionondimeno, ogni qualvolta l’Amministrazione ricorre a soggetti terzi per raggiungere i propri fini e, conseguentemente, riconosce loro benefici patrimoniali, si impongono maggiori cautele, anche al fine di garantire l’applicazione dei generali principi di buon andamento, di parità di trattamento e di non discriminazione che debbono caratterizzare l’attività amministrativa.

Più precisamente, l’ente medesimo deve contemperare gli interessi di cui è portatore quale esponente della collettività di riferimento (interessi che possono avere anche carattere prettamente sociale come, ad esempio, la promozione della cultura), con gli interessi di conseguire un risparmio di spesa mediante l’impiego dell’ente partecipato.

In concreto, il contemperamento di queste molteplici esigenze deve tradursi in un equilibrio economico e finanziario dell’organismo cui partecipa. Come detto, ciò non significa che, a priori, sia preclusa all’ente locale la possibilità di contribuire finanziariamente o economicamente alla gestione della propria partecipata per rendere un servizio migliore alla collettività di riferimento. Infatti, l’ente locale può prevedere che, nel corso degli esercizi, erogherà una contribuzione in favore della propria partecipata, ma detta previsione da parte dell’Amministrazione locale -partecipante deve essere programmata sulla scorta di un piano industriale e di un piano degli investimenti. Solo in questo caso la contribuzione del Comune in favore dell’ente strumentale è compatibile con l’impiego corretto dell’organismo terzo: infatti, unicamente sulla scorta di una corretta programmazione degli investimenti la contribuzione dell’ente può essere finalizzata a consentire che la propria partecipata raggiunga nel tempo un equilibrio economico e finanziario. In altri termini, l’ente locale non può accollarsi l’onere di ripianare anche occasionalmente le perdite gestionali della fondazione, perché alle stesse deve essere in grado di far fronte la fondazione con il suo patrimonio (ex multis, cfr. Sez. controllo Lombardia n. 365/2011).

Appare, poi, necessario che l’ente locale svolga un effettivo controllo sulla gestione dell’organismo (cfr. Sez. controllo Lombardia n. 199/2011). La carente attività di controllo dell’amministrazione locale sugli organi dell’ente strumentale, infatti, denota ex se una gestione non sana dell’Amministrazione, in quanto è dovere dell’ente locale di riferimento svolgere un controllo puntuale sulle risorse finanziarie conferite in dotazione ad organismi partecipati.

Del tutto inconferente in questa sede è la verifica della natura giuridica di organismo di diritto pubblico della fondazione, evidenziata nel quesito, trattandosi di profilo che concerne esclusivamente l’assoggettamento alle norme di evidenza pubblica comunitaria e nazionale di attuazione, senza legittimare ex se interventi di sostegno finanziario da parte dell’ente pubblico costituente.

All’esito di tale richiamo dei principi generali in materia di “legalità finanziaria”, il Collegio rammenta che – nel caso di specie – la Civica Amministrazione è tenuta a valutare con estremo rigore la sussistenza di eventuali responsabilità dei competenti organi (comunali e della fondazione), adottando i provvedimenti conseguenti.

Come esposto in precedenza, lo specifico dubbio del Comune di Gallarate attiene alla possibilità (ed in caso di risposta affermativa alle modalità) di un intervento finanziario da parte dell’ente locale, laddove la fondazione costituita dal medesimo si trovi in liquidazione a causa di ripetute perdite che hanno eroso l’originario conferimento del fondo di dotazione fino a comportare un valore negativo del patrimonio netto.

Orbene, emerge inequivocabilmente dall’illustrato quadro normativo ed ermeneutico che – nella fattispecie oggetto del presente parere – non appare possibile per il Comune procedere al predetto intervento finanziario: l’erogazione di contributi straordinari a carico di un ente locale per soddisfare i creditori di una fondazione partecipata dal medesimo si configura quale operazione di mero ripiano dei debiti derivanti dalla gestione corrente, contrastante con il divieto – in capo ai soci pubblici – di “interventi tampone con dispendio di disponibilità finanziarie a fondo perduto, erogate senza un programma industriale o una prospettiva che realizzi l’economicità e l’efficienza della gestione nel medio e nel lungo periodo” (da ultimo cfr. Sez. controllo Lombardia n. 12/2012).

Per l’effetto, a fronte di tale conclusione il secondo quesito sulle modalità dell’eventuale ripiano è assorbito.

P.Q.M.

Nelle considerazioni esposte è il parere della Sezione.

L’ Estensore Il Presidente

(Alessandro Napoli) (Nicola Mastropasqua)

Depositato in Segreteria il

19 marzo 2012

Il Direttore della Segreteria

(dott.ssa Daniela Parisini)

* * *

Lombardia/365/2011/PRSE

REPUBBLICA ITALIANA

LA

CORTE DEI CONTI

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA

LOMBARDIA

composta dai magistrati:

dott. Nicola Mastropasqua Presidente

dott. Antonio Caruso Consigliere

dott. Gianluca Braghò Referendario

dott. Massimo Valero Referendario (relatore)

dott. Alessandro Napoli Referendario

dott.ssa Laura De Rentiis Referendario

nella adunanza del 10 maggio 2011

Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;

vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;

vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;

vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004;

visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;

vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;

vista la legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, commi 166 e seguenti;

Udito il relatore, referendario dott. Massimo Valero;

Premesso in fatto

In sede di esame della relazione trasmessa dall’Organo di revisione del Comune di Lovere (Bg), relativo al rendiconto 2009, redatto ai sensi dell’articolo 1, commi 166-168, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 – Finanziaria 2006, è emerso che l’Amministrazione comunale nel corso del 2009 ha attivato la procedura diretta a riconoscere quale debito fuori bilancio l’importo relativo a servizi e lavori effettuati al di fuori delle regolari procedure di spesa. Inoltre, sono emerse criticità in relazione ai rapporti con la Fondazione di Santa Maria in Valvendra e con le società L’Ora S.r.l e Società Alto Sebino Srl.

Con note istruttorie n. 1044 del 01.02.2011 e n. 2380 del 14.03.2011 il magistrato istruttore ha chiesto all’Organo di revisione chiarimenti e supporti documentali in merito.

Il revisore dei conti del Comune, con lettera dell’8 marzo 2011, ha provveduto ad inviare, come documentazione richiesta sul riconoscimento di debito fuori bilancio, la deliberazione del Consiglio comunale n. 36 del 26 settembre 2009, oltre a riferire il dettaglio dei debiti riconosciuti dall’ente.

Inoltre, con la stessa lettera il Revisore Unico ha fornito i chiarimenti richiesti sugli organismi partecipati, precisando quanto segue: “Per quanto riguarda L’ORA S.R.L si evidenzia che:

a) l’oggetto sociale consiste nella: 1) realizzazione, incremento e gestione delle attrezzature e degli immobili risultanti dal progetto di intervento pubblico previsto dall’Accordo di Programma approvato con DPGR Lombardia n. 53622 in data 8 aprile 1997; 2) gestione di impianti sportivi con particolare riguardo alla promozione degli sport dell’acqua; 3) promozione turistica di Lovere e dell’area territoriale della Comunità Montana Alto Sebino; 4) promozione di iniziative nel settore dello spettacolo e delle arti atte all’incremento turistico nel territorio; 5) organizzazione di eventi e/o pacchetti turistici atti all’incremento di utenti nel territorio;

b) la perdita del 2009, pari a euro 154.531,00 è originata principalmente dagli ammortamenti dei beni materiali e immateriali;

c) l’Assemblea dei Soci, con Verbale del 28 giugno 2010, ha approvato il bilancio 2009 deliberando di coprire la perdita d’esercizio mediante l’utilizzo del capiente fondo di riserva ex art. 13 Legge 80/1991.

Passando ora alla FONDAZIONE DI SANTA MARIA IN VALVENDRA si precisa che:

a) l’oggetto sociale consiste nella conservazione e valorizzazione della Basilica, la promozione della Basilica quale bene per l’esercizio del culto religioso, nonché bene di interesse culturale e turistico, la divulgazione culturale del patrimonio della Basilica, promozione di visite culturali, convegni, mostre ed altre analoghe iniziative della fondazione e la buona conservazione della Chiesa Santa Maria;

b) all’art. 4 dello statuto è previsto che il Comune di Lovere, in quanto socio fondatore ma non sostenitore, assegna alla fondazione, in concessione d’uso e per le finalità istituzionali conferite con il suddetto statuto, la Basilica di S. Maria in Valvendra, bene appartenente al demanio comunale;

c) all’art. 24 dello statuto è previsto che in caso di estinzione della Fondazione tutto il patrimonio esistente diviene di proprietà del Comune di Lovere;

d) la Fondazione deve essere considerata a tutti gli effetti organismo di natura privata in quanto le risorse utilizzate nello svolgimento dell’attività derivano dalle liberalità dei privati e l’attività è gestita in completa autonomia;

e) nel bilancio consuntivo 2009 del Comune di Lovere non sono presenti spese per contratti, trasferimenti e concessione di crediti. Inoltre, non ci sono state spese sia per copertura di perdite che per aumenti di capitale. Non sono altresì presenti concessioni di fideiussione o altre forme di garanzia;

f) la quota di partecipazione del Comune di Lovere non è determinabile in quanto dal bilancio consuntivo 2009 non risulta un fondo di dotazione e, per la natura intrinseca della Fondazione stessa, nello statuto non è previsto che il patrimonio sia suddiviso in quote attribuibili ai soci;

g) la perdita evidenziata nel bilancio originario della Fondazione in oggetto, riportata nel questionario Consuntivo 2009, ammonta a € 42.487,79. A tal proposito il Comune ha chiesto delucidazioni inerenti la metodologia utilizzata per le rilevazioni contabili. Dopo un incontro con gli esponenti di entrambi gli organi, la Fondazione di Santa Maria Valvendra ha provveduto a consegnare in data 03/03/2011 il bilancio ridefinito per l’anno 2009, con relativi allegati, dove il disavanzo ora risulta essere di € 10.678,22. Il bilancio è stato meglio riclassificato in quanto sono transitati nello Stato Patrimoniale tutte quelle voci, inizialmente presenti nel conto economico, inerenti gli interventi di ristrutturazione della Basilica (trattasi, appunto, di opere ad utilità pluriennale);

g) la perdita definitiva risulta essere generata dagli interessi passivi bancari e dalle spese per l’apertura della Basilica;

h) il Comune di Lovere ha avanzato anche la richiesta di avere il documento di approvazione del bilancio con relativa decisione sulla copertura della perdita. Tuttavia in data odierna l’organo amministrativo non ha ancora prodotto alcun documento limitandosi a fornire indicazioni che presuppongono il riporto a nuovo.

Infine per la SOCIETÀ DI SERVIZI ALTO SEBINO SRL si fa presente che:

a) il Comune di Lovere è socio di minoranza in quanto detiene una partecipazione del 16,48% del capitale sociale;

b) nel bilancio consuntivo 2009 del Comune di Lovere non sono presenti spese per contratti, trasferimenti e concessione di crediti. Inoltre, non ci sono state spese sia per copertura di perdite che per aumenti di capitale. Non sono altresì presenti concessioni di fideiussione o altre forme di garanzia;

c) la società, nella persona dell’Amministratore Unico (…), non ha mai provveduto ad evadere le molteplici richieste, orali e scritte, di delucidazioni e di consegna dei bilanci 2008 e 2009 avanzate dal Comune di Lovere anche su istanza del sottoscritto. Si precisa, comunque, che (l’Amministratore Unico) ha comunicato, tramite e-mail del 16 febbraio 2011, che è stata convocata l’Assemblea dei Soci per giovedì 10 marzo 2011 alle ore 18.00 per deliberare sul seguente “ordine del giorno: 1) Bilancio esercizio 2010, ed esercizi pregressi; delibere inerenti e conseguente 2) Analisi proposta di acquisto della totalità delle quote sociali, quale opportunità alla luce delle problematiche relative alla legge n. 122 del 30/07/2010.”

A tal proposito si allega la documentazione pervenuta in data 7 marzo 2011”.

Con successiva nota del 15 marzo 2011 il Revisore Unico del Comune ha integrato le informazioni richieste in istruttoria, comunicando che, per quanto concerne la Fondazione Santa Maria di Valvendra, “i trasferimenti indicati nella relazione del Rendiconto 2009, allegato 2.2, scheda n. 7, ammontano a € 20.000,00 anziché a 72.500,00, in quanto il criterio seguito per la compilazione dei presenti quadri è stato quello di competenza e non di cassa. L’importo di € 72.500,00 si riferisce, infatti, alle esposizioni effettivamente disposte nell’anno 2009, di cui € 20.000,00 per impegni assunti nel medesimo anno”. Inoltre, il Revisore ha affermato che nella relazione del Rendiconto 2009, allegato 2.1, i dati di bilancio indicati dal Revisore erano stati forniti all’epoca dalla Fondazione Santa Maria di Valvendra. “In tale bilancio”, ha affermato il Revisore, “erano stati erroneamente imputati a conto economico sia i costi di restauro e ristrutturazione della Basilica che i correlati proventi per liberalità (vedasi voce A5 – “Altri ricavi e proventi” composta da: proventi per liberalità € 188.363,06, liberalità per campane € 20.500,00 e proventi diversi per € 72.500,00. Il tutto per un Valore della produzione pari a € 281.363,06). Dopo un incontro tra esponenti del Comune e della Fondazione di Santa Maria Valvendra è emersa la necessità di riclassificare totalmente il bilancio imputando i suddetti costi e ricavi nelle voci dello Stato Patrimoniale in quanto trattasi di componenti pluriennali aventi fecondità ripetuta”. Esaminando, infine, la problematica collegata alla Società Alto Sebino Srl, il Revisore ha comunicato che l’Assemblea dei Soci, in data 10 marzo 2011, ha rinviato l’approvazione del bilancio alla data presunta del 5 aprile 2011, impegnandosi ad inviare documentazione in merito non appena saranno formalizzati gli atti a corredo dei bilanci 2008 e 2009.

In occasione dell’adunanza pubblica convocata per affrontare le questioni suesposte, l’Ente ha fatto pervenire ulteriore nota del 9 maggio 2011, prot. 7447 con cui il Sindaco ha ulteriormente e dettagliatamente illustrato i motivi del riconoscimento dei debiti fuori bilancio ed i rapporti con gli organismi partecipati dal Comune.

In particolare, relativamente alla Società Alto Sebino S.r.l., viene segnalato che l’Assemblea dei soci nella seduta del 3 maggio 2011 ha respinto i bilanci presentati dall’Amministratore Unico relativamente agli esercizi 2008/2009/2010, ritenendo non condivisibili le scelte di gestione effettuate dallo stesso. Inoltre, l’Assemblea dei soci ha proposto di procedere alla liquidazione della società, avendo la stessa esaurito il proprio oggetto sociale e non avendo più alcuna utilità nel perseguimento delle finalità istituzionali dei Comuni soci.

All’adunanza della Sezione del 10 maggio 2010 non è intervenuto alcun rappresentante del Comune di Lovere.

Considerato in diritto

1) La legge 23 dicembre 2006, n. 266 ha delineato una nuova e significativa modalità di verifica del rispetto degli obiettivi previsti dalla normativa sul Patto di stabilità interno, stabilendo una specifica competenza in capo alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti.

Proseguendo in un disegno legislativo avviato dopo la riforma del Titolo V, Parte seconda della Costituzione con la legge 5 giugno 2003, n. 131 che vede il progressivo riconoscimento del ruolo delle Sezioni regionali di controllo della magistratura contabile di garanti della corretta gestione delle risorse pubbliche nell’interesse, contemporaneamente, dei singoli enti territoriali e della comunità che compone la Repubblica (posizione già riconosciuta alla Corte dei conti dalla giurisprudenza costituzionale a partire dalla nota sentenza 27 gennaio 1995, n. 29), il legislatore ha ritenuto di rafforzare ulteriormente questo ruolo.

Ha affidato, quindi, alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti il compito di vigilare sul rispetto della normativa relativa al Patto di stabilità, con lo specifico compito di indirizzare alle Amministrazioni interessate apposite e specifiche segnalazioni in modo che ciascuna di esse possa assumere, nella sua autonomia e nel rispetto dei vincoli di solidarietà con le altre entità che costituiscono la Repubblica, ogni più opportuna decisione.

La verifica affidata alla Corte dei conti non è invasiva dell’autonomia degli enti ma, nel solco della funzione collaborativa della funzione di controllo, è diretta, nell’interesse del singolo ente e della comunità nazionale, a rappresentare agli organi elettivi la reale ed effettiva situazione finanziaria in modo che gli stessi possano responsabilmente assumere le decisioni più opportune, sia nell’interesse dell’ente amministrato che della più vasta Comunità cui l’ente appartiene.

2) L’esame della relazione sul rendiconto predisposta dall’organo di revisione e la successiva attività istruttoria hanno messo in luce che l’Amministrazione comunale di Lovere (BG) nel corso del 2009 ha attivato la procedura diretta a riconoscere l’importo relativo a prestazioni effettuate al di fuori delle regolari procedure di spesa, quale debito fuori bilancio, per complessivi 27.086,07.

Il Consiglio comunale ha adottato formale deliberazione di riconoscimento, dalla quale si evince che le spese in questione si riferiscono a servizi e lavori. Effettuate le opportune verifiche, emergeva che la richiesta di pagamento riguardava prestazioni effettivamente rese, relativamente alle quali non risultava né formale affidamento, né alcuna imputazione contabile e pertanto si sostanziavano in debiti fuori bilancio.

L’esame della deliberazione stessa suscita alcune perplessità in ordine alle procedure seguite dall’Amministrazione: non è esplicitato se il mancato impegno di spesa che ha originato il riconoscimento sia dovuto alla circostanza che al momento dell’affidamenti dei servizi e lavori le somme per la spesa non fossero disponibili e, in caso fossero state disponibili, per quale motivo non siano state impegnate secondo la corretta procedura di spesa.

Sussistono anche dubbi circa la correttezza della procedura adottata, posto che per il pagamento delle spese in questione l’Ente avrebbe potuto adottare, nei termini di legge, idonea variazione di bilancio senza ricorrere al riconoscimento di cui alla lett. e), del co. 1, dell’art. 194 del TUEL.

3) L’attività di acquisizione dei beni e servizi da parte degli enti locali, così come quella di ogni altro ente pubblico, è disciplinata dalle norme di contabilità che individuano in modo analitico la procedura che deve essere seguita ogni volta che l’ente intende procurarsi all’esterno un’utilità della quale non dispone.

In particolare, in relazione ai Comuni ed alle Province è previsto che il Dirigente responsabile di settore adotti una specifica determinazione a contrattare che deve contenere quale elemento essenziale l’impegno ovvero la prenotazione della spesa occorrente per l’acquisizione del bene o servizio (artt. 183 e 192 TUEL).

L’impegno contabile, registrato in uno specifico intervento o capitolo di previsione, e l’attestazione della copertura finanziaria costituiscono condizioni essenziali per poter effettuare spese da parte degli enti locali (art. 191 TUEL).

Ove l’ente proceda all’acquisizione di un bene o servizio in assenza della citata determinazione da parte del Dirigente responsabile di settore si è in presenza di una situazione anomala che, in linea di principio, non può dar luogo ad alcun obbligo a carico dell’ente locale.

Tuttavia, ove ricorrano le condizioni previste dalla lett. e), del co. 1, dell’art. 194 del TUEL l’ente può procedere al riconoscimento del debito che deriva dall’acquisizione del bene o servizio effettuato in assenza del previo impegno di spesa, riportando l’attività irregolarmente svolta all’interno della contabilità dell’ente. Il riconoscimento del debito non è conseguenza di alcun automatismo ma presuppone una valutazione da parte dell’ente e, in particolare, da parte dell’organo consiliare che può ricondurre l’acquisto del bene o del servizio all’interno della contabilità dell’ente solo se accerta, in modo rigoroso, l’esistenza delle condizioni espressamente previste dalla norma.

Occorre mettere in luce, però, che può procedersi al riconoscimento del debito solamente nei limiti nei quali il bene o il servizio acquisito rientrino “nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza” e venga accertata, con delibera motivata, sia l’utilità del bene o del servizio che l’arricchimento che l’attività ha comportato per l’ente (art. 194, co. 1, lett. e).

Il riconoscimento del debito fuori bilancio che derivi dall’acquisizione di un bene o servizio in assenza di impegno di spesa risulta essere, quindi, possibile, semprechè sussistano le condizioni previste dalla norma citata sopra; con la conseguenza che ogni volta che l’ente abbia seguito una procedura irregolare può procedere ad una sorta di regolarizzazione a posteriori che, però, non è automatica poiché viene demandata al Consiglio dell’ente una valutazione discrezionale in ordine all’esistenza, in concreto, dei presupposti della norma e solo in caso positivo potrà procedersi all’effettivo riconoscimento.

In sostanza, il Consiglio deve valutare l’utilità dell’acquisto per l’ente e, solo in caso positivo, assumersi la responsabilità di riportare la procedura nella contabilità, senza che, però, l’irregolarità venga meno.

Conseguentemente, la necessità che venga compiuta una specifica valutazione in ordine all’accertamento della sussistenza dei requisiti previsti dalla lett. e), del co. 1, dell’art. 194 TUEL per poter procedere al riconoscimento, comporta che il Consiglio sia tenuto ad accertare anche le ragioni in base alle quali gli organi di amministrazione attiva dell’ente non hanno seguito la regolare procedura di esecuzione dei lavori e servizi in questione, sia al fine di accertare eventuali responsabilità che per evitare che si ripetano situazioni di irregolarità nella gestione delle procedure di esecuzione dei lavori e servizi stessi.

4) A seguito dell’esame della documentazione inviata dal Comune di Lovere (BG) sorgono dubbi sulla correttezza della procedura adottata, posto che per il pagamento delle spese in questione l’Ente avrebbe potuto adottare, nei termini di legge, idonea variazione di bilancio senza ricorrere al riconoscimento di cui alla lett. e), del co. 1, dell’art. 194 del TUEL.

Inoltre, sebbene dal punto di vista formale l’ente ha rispettato la disciplina posta dagli artt. 194 e segg. del TUEL, approvando con delibera del Consiglio comunale il riconoscimento (sebbene sul punto valgono le riserve sopra espresse in ordine all’effettiva possibilità di ricorrere a tale strumento), nella delibera di riconoscimento del debito, l’ente non ha provveduto ad accertare le cause che avevano impedito di attivare la normale procedura di spesa prevista dagli artt. 183 e 192 del TUEL, nè evidenziato le eventuali responsabilità.

In altre parole, il Consiglio comunale non ha approfondito le questioni inerenti le procedure amministrative seguite dal Comune al fine di verificare se si siano verificate eventuali manchevolezze o anomalie ascrivibili a funzionari comunali, limitandosi ad approvare la spesa, riportandola nella contabilità comunale.

Ogni volta che un ente si trova in presenza di una spesa effettuata al di fuori delle ordinarie procedure di spesa disciplinate dal TUEL, il Consiglio comunale può procedere al riconoscimento ai sensi dell’art. 193, lett. e) solo in presenza di particolari ragioni che vanno evidenziate nella delibera e previo accertamento di eventuali responsabilità, anche al fine di evitare che si ripetano situazioni che denotano anomalie nella gestione contabile.

L’art. 194 TUEL consente la riconoscibilità della legittimità di un debito fuori bilancio per acquisizione di beni e servizi “nei limiti degli accertati e dimostrati utilità ed arricchimento per l’ente, nell’ambito dell’espletamento di pubbliche funzioni e servizi di competenza” e richiede, quindi, una più approfondita ricognizione delle cause che hanno determinato la spesa in questione, anche in relazione alla rilevante entità della stessa. Il Consiglio comunale deve inoltre tener presente che, in caso di affidamenti ad imprese non conformi alle procedure di legge, dell’obbligazione sorta violando le prescrizioni dettate dall’ordinamento contabile, deve essere chiamato a risponderne il soggetto (dipendente o amministratore) che ne ha dato causa, in virtù dell’avvenuta soluzione del rapporto di immedesimazione organica tra agente e Pubblica Amministrazione (determinate la conseguenza che nei confronti della P.A. non è consentito al terzo appaltatore l’esperimento dell’azione generale di arricchimento disciplinata dall’art.2042 del codice civile).

Pertanto, si richiama l’Amministrazione al rispetto delle procedure previste dall’art.191 TUEL ed a porre maggiore attenzione al corretto utilizzo della procedura prevista per il riconoscimento di legittimità di debiti fuori bilancio dall’art. 194 TUEL, valutando tutti i summenzionati aspetti di tutela dell’ente e le eventuali conseguenti responsabilità.

5) Relativamente alle perdite della Società L’Ora S.r.l e Società Alto Sebino Srl si richiama quanto già espresso da questa Sezione nel parere n. 1081 del 30.12.2010, relativamente alla possibilità di mantenimento della partecipazione societaria alla luce della nuova disciplina introdotta dall’art. 14 comma 32 della legge 30 luglio 2010, n.122, con riferimento alla normativa già in vigore stabilita dall’art. 3, comma 27, della legge 27 dicembre 2007, n.244.

Questa Sezione, rimettendo alla necessaria scelta discrezionale dell’Ente ogni decisione sulla partecipazione societaria sopra descritta, osserva che il Comune, pur avendo tutti gli elementi idonei alla valutazione in merito, non ha idoneamente provveduto nella sede a ciò deputata, ossia con deliberazione di Consiglio Comunale (che non risulta trasmessa a questa Sezione).

La possibilità di ricorrere allo strumento societario è per legge correlato ai fini dell’ente pubblico ed è inerente allo svolgimento di attività di competenza dell’ente medesimo, anche al fine di evitare che lo schema societario sia il veicolo per eludere le normative pubblicistiche in tema di controlli sulla finanza pubblica ed in materia di patto di stabilità interno, nonché strumento abusivo per evitare le procedure ad evidenza pubblica che presiedono all’attività contrattuale delle amministrazioni locali.

Conseguentemente, la scelta delle predette caratteristiche dell’intervento pubblico nell’economia locale, è elettivamente demandata all’organo consiliare che detiene i compiti di amministrazione e di programmazione dell’attività dell’ente comunale e che deve effettuare le opportune verifiche di compatibilità e di inerenza alle finalità istituzionali ancor prima di decidere la costituzione di nuove società, ovvero la sorte delle partecipazioni pubbliche in società già esistenti ed operanti nel mercato.

Ciò premesso, è opportuno rimarcare che la legge finanziaria per il 2008 (art. 3, commi da 27 a 33, della legge 244/2007 e successive modificazioni ed integrazioni) ha posto una disciplina vincolistica di tipo formale e sostanziale in tema di costituzione di società e di partecipazioni pubbliche, a tenore della quale, una volta accertata l’esistenza dei requisiti di legge ostativi alla costituzione di nuove società o al mantenimento di partecipazioni, le pubbliche amministrazioni devono cedere a terzi, nel rispetto delle procedure ad evidenza pubblica, le società e le partecipazioni vietate entro il 31.12.2013 (termine attualmente in vigore).

Si richiama il disposto del comma 27: “al fine di tutelare la concorrenza ed il mercato le amministrazioni di cui all’art.1, comma 2, del D. Lgs. 30 marzo 2001 n.165, non possono costituire società aventi per oggetto attività di produzione di beni e di servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né assumere o mantenere direttamente o indirettamente partecipazioni, anche di minoranza, in tali società. E’ sempre ammessa la costituzione di società che producono servizi d’interesse generale e l’assunzione di partecipazioni in tali società da parte delle amministrazioni di cui all’art.1, comma 2, del D. Lgs. 30 marzo 2001 n.165, nell’ambito dei rispettivi livelli di competenza”.

La norma distingue marcatamente fra intervento pubblico consentito e partecipazioni vietate e dunque da dismettere entro i termini di cui al comma 29, demandando alla previsione del successivo comma 28 la formalizzazione della decisione mediante una delibera di autorizzazione rilasciata dall’organo competente, congruamente motivata in ordine alla sussistenza o meno dei presupposti di cui al comma 27.

L’art. 19 comma 2 lett. a) della legge 3 agosto 2009 n.102 di conversione del decreto legge 1° luglio 2009 n.78, ha radicato la competenza delle Sezioni regionali di Controllo della Corte dei conti in materia di verifica della ricognizione della partecipazioni locali, al fine di accertare se gli enti e le amministrazioni territoriali osservino i limiti imposti dall’art.3, commi da 27 a 33, della legge n.244/2007.

La trasmissione delle delibere ricognitive delle partecipazioni deve, pertanto, ritenersi strumentale al loro esame e ad un eventuale pronuncia della Sezione regionale. In relazione alla natura dell’atto, il controllo della Corte dei conti è ascrivibile alla categoria del riesame di legalità e regolarità, dovendosi assumere a parametro dei criteri individuati dal Consiglio comunale nella delibera ricognitiva, i limiti normativi di settore ed, in particolare, quelli delineati dall’art. 3, commi da 27 a 33, della legge 24 dicembre 2007 n.244.

Va rammentato che le disposizioni da ultimo richiamate rivestono un particolare valore giuridico, poiché hanno positivizzato principi affermati dalla giurisprudenza quasi univoca della Corte di Giustizia delle Comunità Europee a tutela della libertà di concorrenza, contro forme di limitazione dell’accesso al mercato comune dovute alla presenza di organismi di diritto pubblico gestiti secondo i modelli dell’in house providing. Tali criteri costituiscono regole di organizzazione non derogabili da disposizioni regolamentari ed in gran parte neppure da norme di rango superiore in quanto trovino fondamento in principi costituzionali e comunitari.

Peraltro, è da rimarcare che, sebbene l’art. 3 comma 28 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 non preveda un termine esplicito per l’adempimento in questione, è da ritenersi che la citata disposizione contenga un precetto necessariamente funzionalizzato, ossia mirato al tempestivo controllo magistratuale, al fine di evidenziare agli enti le irregolarità ed anomalie eventualmente riscontrate, nella richiamata ottica collaborativa. In ossequio a tali prescrizioni normative, gli Enti locali sono tenuti a trasmettere senza ritardo le singole delibere ricognitive delle partecipazioni alla competente Sezione regionale di Controllo della Corte dei conti.

L’evoluzione legislativa recente, riprodotta nell’art. 19, comma 2 lettera b, del D.L. 1 luglio 2009, n.78 in tema di misure anticrisi, ha ribadito la strada della ricognizione normativa obbligatoria per tutte le partecipazioni societarie di primo livello nei servizi pubblici locali.

Non solo: l’art. 14 comma 32 del citato decreto, convertito con modificazioni nella legge 30 luglio 2010, n.122, sancisce che “fermo quanto previsto dall’art. 3 commi 27, 28 e 29 della legge 24 dicembre 2007, n.244,i comuni con popolazione inferiore ai 30.000 abitanti non possono costituire società. Entro il 31 dicembre 2011, i comuni mettono in liquidazione le società già costituite alla data di entrata in vigore del presente decreto ovvero ne cedono le partecipazioni”.

In sede di conversione l’art. 14, comma 32, è stato modificato con l’aggiunta di un ulteriore enunciato normativo del seguente tenore: “la disposizione di cui al presente comma non si applica alle società, con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite da più comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti; i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società; entro il 31 dicembre 2011 i predetti comuni mettono in liquidazione le altre società già costituite. Con decreto del Ministro per i rapporti con le regioni e per la coesione territoriale, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e per le riforme per il federalismo, da emanare entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono determinate le modalità attuative del presente comma nonché ulteriori ipotesi di esclusione dal relativo ambito di applicazione”.

Mediante l’entrata in vigore dell’art. 2, comma 43, del D.L. n. 225 del 29 dicembre 2010, convertito nella legge 26 febbraio 2011, n.10, il legislatore ha posticipato il termine per la dismissione delle società partecipate è al 31 dicembre 2013, prevedendo che “le disposizioni di cui al secondo periodo non si applicano ai comuni con popolazione fino a 30.000 abitanti nel caso in cui le società già costituite:

a) abbiano, al 31 dicembre 2013, il bilancio in utile negli ultimi tre esercizi;

b) non abbiano subito, nei precedenti esercizi, riduzioni di capitale conseguenti a perdite di bilancio;

c) non abbiano subito, nei precedenti esercizi, perdite di bilancio in conseguenza delle quali il comune sia stato gravato dall’obbligo di procedere al ripiano delle perdite medesime.

La disposizione di cui al presente comma non si applica alle società, con partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero di abitanti, costituite da più comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti; i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società; entro il 31 dicembre 2013 i predetti comuni mettono in liquidazione le altre società già costituite”.

La disciplina prevista dal citato art. 3, comma 27, della legge 244/2007 conforma la capacità di diritto privato dell’ente locale a mantenere le partecipazioni vietate dalla norma, di cui occorre avviarne la dismissione entro il termine previsto dalla legge (attualmente: 31 dicembre 2013).

La manovra finanziaria posta con l’art. 14, comma 32, della legge 30 luglio 2010, n.122 ha ulteriormente inasprito il regime limitativo, salvaguardando il precetto descritto dall’art.3 comma 27. La disposizione contenuta nell’art. 14, comma 32, precisa che il divieto non si applica ai comuni che costituiscano società con “partecipazione paritaria ovvero con partecipazione proporzionale al numero degli abitanti, costituite da più comuni la cui popolazione complessiva superi i 30.000 abitanti” e che i comuni con popolazione compresa tra 30.000 e 50.000 abitanti possono detenere la partecipazione di una sola società, anche in questo caso stabilendo l’obbligo di mettere in liquidazione le altre società costituite in precedenza, sempre entro il 31 dicembre 2013.

Le norme contenute nelle due leggi finanziarie esplicano effetti su profili diversi. L’art. 14, comma 32, incide sul piano numerico ed operativo stabilendo in ogni caso che ciascun ente, in ragione della sua soglia demografica, non possa detenere un numero di partecipazioni superiori a quelle quantificate dalla norma. L’art. 3, comma 27, incide sulle finalità e sugli scopi strettamente istituzionali che l’ente è autorizzato a raggiungere attraverso la partecipazione societaria.

Ne consegue che l’inciso “fermo restando quanto previsto dall’art. 3, commi 27, 28 e 29 della legge 24 dicembre 2007, n.244”, costituisce una clausola di salvaguardia normativa e può solo significare che, entro i limiti numerici delle partecipazioni che ciascun ente può detenere in base alle disposizioni dell’art.14, comma 32, le stesse dovranno, in ogni caso, essere conformi ai canoni previsti dall’art.3, comma 27 della legge finanziaria per l’anno 2008.

I vincoli più rigidi sono stati previsti per i comuni demograficamente minori che dopo l’entrata in vigore delle nuove disposizioni, se presentano una popolazione inferiore ai 30.000 abitanti, non possono più procedere alla costituzione di società di capitali, né detenere partecipazioni, se non associandosi con altri enti al fine di raggiungere una quota minima di popolazione pari almeno a 30.000 abitanti.

Con la legge 30 luglio 2010, n.122, il legislatore ha compiuto una decisa virata in favore delle dismissioni e della privatizzazione delle partecipazioni locali per i comuni demograficamente minori. E ciò non solo per potenziare la concorrenza e agevolare l’entrata di operatori privati nel mercato dei servizi pubblici locali gestiti in forma societaria, ma anche per limitare la capacità amministrativa dei comuni più piccoli impossibilitati a sostenere col proprio bilancio gli oneri di gestione di una o più società partecipate. La dimensione demografica diviene un vincolo di legge per parametrare la sostenibilità di partecipazioni societarie.

Inoltre, è d’uopo rimarcare che l’art. 23 bis della legge 6 agosto 2008 n.133 (e sue successive modificazioni e integrazioni) ha delineato ulteriori criteri restrittivi per le società pubbliche locali che gestiscono servizi pubblici a rilevanza economica, sempre al fine di tutelare la libera esplicazione della concorrenza sul territorio dello Stato (con esclusione della gestione delle farmacie comunali di cui alla legge 2 aprile 1968, n.475, in base a quanto previsto anche dall’art. 1, comma 3 lett. d, del D.P.R. 7 settembre 2010, n.168, contenente il regolamento in materia di servizi pubblici locali di rilevanza economica).

A tal proposito, la Sezione con il parere 14 marzo 2011 n. 124, recante l’analisi sui criteri di valutazione del mantenimento della partecipazione pubblica ha ritenuto che i parametri fossero i seguenti:

1. se l’attività riguarda la produzione di beni e servizi c.d “non inerenti”, ossia non strettamente necessari al perseguimento delle proprie finalità istituzionali, la partecipazione è interdetta, con conseguente alienazione a terzi secondo procedure di evidenza pubblica;

2. laddove, però, si tratti di servizi di interesse generale o di committenza, la partecipazione è comunque consentita ex lege, purché nell’ambito dei livelli di competenza dell’ente locale.

3. Secondo un consolidato orientamento, la categoria dei servizi di interesse generale coincide tout court con quella dei servizi pubblici locali; ergo, la più volte citata valutazione di stretta inerenza delle attività di produzione di beni o servizi della società con il perseguimento delle finalità istituzionali dell’ente è limitata alle c.d. “società strumentali.

Sempre nel medesimo parere la Sezione ha osservato che le “nellesingole delibere ex l. n. 244/2007 si impone una puntuale illustrazione dei presupposti di fatto e del conseguente iter logico seguito dall’amministrazione. In altri termini quest’ultima deve enucleare in modo specifico in base a quali elementi di fatto, acquisiti in sede istruttoria, sia giunta alle proprie conclusioni, chiarendo altresì nel dettaglio quale percorso logico – argomentativo abbia seguito.”

Sul punto è chiaro anche l’art. 3 della l. n. 241/1990 secondo la quale: “la motivazione deve indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione alle risultanze dell’istruttoria.”

Il seguente principio è rafforzato nella fattispecie anche dall’art. 3 comma 28 legge n. 244/2007: “l’assunzione di nuove partecipazioni e il mantenimento di quelle attuali devono essere autorizzati dall’organo competente con delibera motivata in ordine alla sussistenza dei presupposti di cui al comma 27”.

La delibera del Consiglio comunale di ricognizione delle società partecipate, deve quindi contenere la motivazione di tale decisione, non essendo in alcun modo rispettose di tali parametri normativi delibere contenenti mere ripetizioni del dato legale, attesa la natura apodittica e perplessa di siffatta pseudo-motivazione. Al contrario, può ritenersi assolto l’obbligo della motivazione del provvedimento amministrativo, anche se succinta, purché capace di disvelare l’iter logico e procedimentale che consenta di inquadrare la fattispecie nell’ipotesi astratta considerata dalla legge.

Nella valutazione che il Consiglio comunale è tenuto a compiere sulle proprie società partecipate si deve comunque avere particolare riguardo alla situazione economica e patrimoniale della società, applicando i principi di legalità finanziaria e di buon andamento che conformano l’azione amministrativa.

Relativamente alla Società Alto Sebino S.r.l. questa Sezione prende atto di quanto dichiarato dal Sindaco di Lovere nella memoria del 9 maggio 2011, ossia che l’Assemblea dei soci nella seduta del 3 maggio 2011 ha respinto i bilanci presentati dall’Amministratore Unico relativamente agli esercizi 2008/2009/2010, ritenendo non condivisibili le scelte di gestione effettuate dallo stesso e che l’Assemblea stessa ha proposto di procedere alla liquidazione della società, avendo la stessa esaurito il proprio oggetto sociale e non avendo più alcuna utilità nel perseguimento delle finalità istituzionali dei Comuni soci.

Anche per quest’ultima società, comunque, valgono le osservazioni sopra esposte relativamente alla necessità, anche per il futuro, che l’ente ottemperi tempestivamente all’obbligo di effettuare l’analisi e verifica delle partecipazioni societarie in modo approfondito, al fine di evitare il ripetersi di analoghe situazioni. Inoltre, considerata la natura pubblica delle risorse impegnate per il ripiano delle perdite, gli organi comunali dovrebbero accertare la causa della formazione delle perdite, reiterate sino alla decisione della messa in liquidazione, accertando anche la presenza di eventuali responsabilità.

6) Per quanto concerne la Fondazione Santa Maria di Valvendra, occorre qui ricordare che sui rapporti finanziari fra un ente locale ed una Fondazione di diritto privato che opera sul territorio comunale, e sulla possibilità per l’ente locale di impegnarsi a ripianare le perdite della gestione ordinaria dell’ente morale, questa Sezione si è già espressa in passato con alcuni pareri. In particolare, qui si richiamano i pareri n. 1138/2009 e n. 1/2010, in quanto particolarmente sovrapponibili le fattispecie ivi trattate con la situazione evidenziata dal Comune di Lovere.

Giova ricordare, come già evidenziato da questa Sezione nelle predette pronunce in sede consultiva, il contrario avviso sulla possibilità che il Comune non solo si accolli parte delle ordinarie spese di gestione che l’ente morale deve sostenere, ma provveda anche al ripiano delle perdite riferite alla gestione annuale. Infatti, l’ente locale non può accollarsi l’onere di ripianare di anno in anno, mediante la previsione di un generico contributo annuale o anche occasionalmente, le perdite gestionali della fondazione, perché alle stesse deve essere in grado di far fronte la fondazione col suo patrimonio. Se la fondazione non ha un patrimonio che consenta il raggiungimento dello scopo per il quale è stata costituita non può che estinguersi e trasformarsi in un altro ente.

Ove l’ente locale assuma l’impegno di far fronte alle perdite della gestione corrente della fondazione, sia mediante l’erogazione di generici contributi annuali che con formale ripiano di perdite accertate al termine dell’esercizio, verrebbe meno la natura di fondazione dell’organismo agevolato che, di fatto, si trasformerebbe in ente strumentale del Comune, assumendo natura pubblica alla stessa stregua di un’azienda speciale o di un organismo societario. Lo stesso concetto di “perdita gestionale” da ripianare deve ritenersi estraneo alla nozione di fondazione che, al fine di soddisfare lo scopo per il quale è costituita, normalmente, intraprende un’attività nell’ambito della quale può concludere specifici accordi con soggetti privati o pubblici; questi possono erogare sia corrispettivi per i servizi ricevuti che erogare contributi, in considerazione dell’utilità che l’ente o la collettività ricevono dallo svolgimento del servizio pubblico o di interesse pubblico.

Se le risorse proprie della fondazione non permettono di sostenere le ordinarie spese di gestione l’ente deve cessare la sua attività, così come previsto dal codice civile.

Ove, al contrario, fosse previsto un intervento sussidiario dell’ente locale che si accollasse, comunque, l’onere di ripianare eventuali perdite, la natura di organismo privato autonomo verrebbe meno e l’ente assumerebbe la qualifica di organo strumentale del Comune.

Inoltre, considerata la natura pubblica delle risorse impegnate per il ripiano delle perdite gli organi comunali dovrebbero accertare la causa della formazione delle perdite, accertando anche la presenza di eventuali responsabilità e ponendo in essere ogni azione affinché la futura gestione dell’organismo sia condotta in modo da evitare il formarsi di perdite non previste.

P.Q.M.

La Corte dei conti Sezione regionale di controllo per la Lombardia

1) invita l’Amministrazione comunale a rispettare rigorosamente le previsioni legislative in ordine al riconoscimento dei debiti fuori bilancio, poiché la violazione di dette previsioni costituisce grave irregolarità finanziaria;

2) invita l’amministrazione comunale ad esplicitare nella propria deliberazione consiliare ai sensi dell’art. 3, comma 27, della legge 244/2007, le ragioni del mantenimento delle partecipazioni societarie intestate al Comune, in particolare sotto il profilo della stretta inerenza della partecipazione rispetto ai fini istituzionali dell’ente locale;

3) segnala le criticità sopra evidenziate riguardo ai rapporti con la Fondazione Santa Maria di Valvendra.

Dispone che la presente deliberazione sia trasmessa al Sindaco, al Presidente del Consiglio comunale, ed al Revisore dei conti del Comune di Lovere (BG).

Il Relatore Il Presidente

(dr. Massimo Valero) (dr. Nicola Mastropasqua)

Depositata in Segreteria

il 15 giugno 2011

Il Direttore della Segreteria

(dott.ssa Daniela Parisini)