Finanza pubblica: incarichi di consulenza del Sindaco e vincoli ex art. 6, co. 7, D.L. n. 78/2010

NOTA

Il parere in rassegna ribadisce, in linea con precedenti pronunciamenti delle SS.RR., che anche i compensi degli esperti del Sindaco debbono essere ricompresi nell’obiettivo di riduzione e nel limite massimo consentito per la tipologia di spesa di cui all’art. 6, co. 7, D.L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito in L. 30 luglio 2010 n. 122.

* * *

Deliberazione n. 19/2013/SS.RR./PAR

Corte dei Conti

Sezioni riunite per la Regione siciliana in sede consultiva

nella camera di consiglio del 4 marzo 2013

visto l’art. 23 del R.D.Lgs. 15 maggio 1946, n. 455 (Approvazione dello Statuto della Regione siciliana);

visto il decreto legislativo 6 maggio 1948, n. 655 (Istituzione di sezioni della Corte dei conti per la Regione siciliana);

visto il decreto legislativo 18 giugno 1999, n. 200 (Norme di attuazione dello statuto speciale della Regione siciliana recante integrazioni e modifiche al decreto legislativo n. 655/1948);

vista la richiesta di parere avanzata dal Sindaco del Comune di Palermo con nota prot. n. 909084 del 20 dicembre 2012;

vista l’ordinanza n. 14 del 20 febbraio 2013 con la quale il Presidente delle Sezioni riunite per la Regione siciliana in sede consultiva ha convocato il Collegio per la data odierna;

udito il relatore, Consigliere Maurizio Graffeo;

ha emesso la seguente

D E L I B E R A Z I O N E

Il Sindaco del Comune di Palermo, con la nota indicata in epigrafe, ha richiesto parere in ordine all’applicazione del limite ex art. 6, comma 7, del decreto legge n. 78 del 2010, convertito con legge n. 122 del 2010, agli esperti del sindaco.

A tal fine fa presente che queste Sezioni riunite, con deliberazione n. 72/2011, facendo leva sulla ratio della legge n. 122 del 2010 relativamente alla necessità di operare la ”riduzione di tutte le possibili forme di compenso corrisposte dalle amministrazioni…”, anche nei confronti dei “titolari di incarichi di qualsiasi tipo”, hanno ritenuto che le nomine di esperti in Sicilia soggiacciono al limite di cui all’art. 6, comma 7, della norma sopracitata. Tale recente pronuncia, ad avviso del Sindaco di Palermo, parrebbe contrastare con l’orientamento consolidato di queste Sezioni riunite, le quali hanno ritenuto non applicabile le disposizioni di legge in argomento agli incarichi conferiti dal Sindaco ad esperti estranei all’Amministrazione ex art. 14 della legge regionale n. 7 del 1992, in quanto non rientranti nel novero di quelli per studi e consulenze conferiti dalle Amministrazioni pubbliche.

In considerazione di ciò e tenuto conto che la materia viene ritenuta inerente alla contabilità pubblica, viene richiesto a questa Corte “un parere chiarificatore, volto a stabilire se il conferimento di incarichi ad esperti da parte dei Sindaci in Sicilia ex art. 14 della legge regionale n. 7 del 1992 soggiace al limite di cui all’art. 6, comma 7, del decreto legge n. 78 del 2010 convertito con legge n. 122 del 2010”.

Con successiva nota del 21 gennaio 2013 il Sindaco del Comune di Palermo sottoponeva a questa Corte “ulteriori elementi di riflessione e di approfondimento” sulla base di un documento elaborato il 2 gennaio 2013 dal Segretario Generale dell’amministrazione comunale il quale poneva in evidenza:

a) la peculiarità della previsione di cui al citato art. 14 della legge regionale n. 7/1992 che attribuisce ai Sindaci dei Comuni siciliani – a differenza di quella degli altri Comuni d’Italia – la specifica prerogativa di nominare “esperti estranei all’amministrazione” (quale figura ulteriore rispetto a quella degli incaricati ex art. 6, comma 7, citato) per l’espletamento di attività connesse con le materie di competenza del Sindaco;

b) l’osservanza del citato orientamento di queste Sezioni riunite, in presenza di un non ingente ammontare di spesa sostenuta nell’anno 2009, come nel caso dell’Amministrazione comunale di Palermo, condurrebbe ad una concreta vanificazione della superiore speciale prerogativa riconosciuta dal legislatore regionale al Sindaco di avvalersi dell’apporto collaborativo ad alto contenuto specialistico da parte di professionalità esterne, qualora ritenute essenziali al conseguimento di obiettivi dì pubblico interesse;

c) l’ulteriore profilo di inconciliabilità tra la previsione di un tetto di spesa per il conferimento di incarichi ai sensi dell’art. 6, comma 7, e l’obbligo di cui al comma 5 dell’art. 14 della legge regionale n. 7/1992 di corrispondere “agli esperti (sino a “quattro nei comuni con oltre 250.000 abitanti”) un compenso pari a quello globale, previsto per dipendenti in possesso della seconda qualifica dirigenziale”;

d) la competenza legislativa esclusiva della Regione Siciliana in subiecta materia (ordinamento degli enti locali ex art. 14, lett. p) e 15 dello Statuto regionale siciliano) verrebbe ad essere intaccata in ragione della pedissequa adesione al nuovo orientamento interpretativo di questa Corte, sulla scorta di una normativa statale – di emanazione successiva alla norma regionale – con finalità di mero contenimento della spesa pubblica.

* * *

Il Collegio, ritenendo preliminarmente sussistenti tutti i requisiti soggettivi ed oggettivi per l’esercizio della propria attività consultiva, non può non richiamare nella fattispecie in esame le conclusioni alle quali queste Sezioni riunite sono pervenute in casi analoghi con i pareri n. 72 del 2011 e 95 del 2012 non verificandosi, infatti, ragioni per doversi discostare da quanto già negli stessi esposto.

Ciò non di meno, tenuto conto dell’arresto giurisprudenziale segnato dagli anzidetti pareri e degli spunti di riflessione offerti dal Comune richiedente, si ritiene di dover dedicare alla problematica in questione le seguenti ulteriori considerazioni.

Ed invero, nell’ambito della cornice istituzionale disegnata in Sicilia con la legge regionale 26 agosto 1992, n. 7 recante “Norme per l’elezione con suffragio popolare del Sindaco. Nuove norme per l’elezione dei consigli comunali, per la composizione degli organi collegiali dei comuni, per il funzionamento degli organi provinciali e comunali e per l’introduzione della preferenza unica”, l’art. 14 della stessa prevede che il Sindaco, per l’espletamento di attività connesse con le materie di sua competenza, può conferire ad esperti estranei all’amministrazione incarichi a tempo determinato, con la precisazione che gli stessi “non costituiscono rapporto di pubblico impiego”.

Tenuto conto di tale esclusione, non v’è dubbio che gli incarichi di che trattasi vanno ricondotti nell’ambito della categoria generale delle consulenze. Come osservato, infatti, dalla Sezione di controllo per la Regione siciliana (deliberazione n. 3 del 2008 – Indagine in materia di conferimento di incarichi di consulenza degli enti locali – anno 2005), la diversa terminologia utilizzata da alcune leggi finanziarie (quelle per il 2005, 2006 e 2007) con riferimento ad incarichi occasionali – individuati in quelli di studio, ricerca e consulenza, caratterizzati dalla temporaneità – ed incarichi di collaborazione coordinata e continuativa – caratterizzati dalla continuità della prestazione e dal potere di direzione dell’Amministrazione, risulta, infatti, finalizzata esclusivamente alla individuazione dei limiti di spesa ivi indicati, mentre non incide sulla comune qualificazione delle due categorie di incarichi quali prestazioni altamente qualificate da svolgersi in maniera autonoma (sul punto, cfr. Sezioni centrali Riunite della Corte dei conti in sede di controllo, deliberazione n. 6 del 2005).

Al riguardo, infine, occorre far riferimento alla deliberazione n. 17 del 19 ottobre 2005, con la quale la Sezione di controllo per la Regione siciliana, in sede di approvazione delle linee applicative e dei criteri organizzativi in materia di affidamento di incarichi di cui ai commi 11 e 42 dell’art. 1 della legge n. 311 del 2004, nel presupposto della sostanziale omogeneità di tale tipologia di incarichi conferiti dai Sindaci ( e dai Presidenti delle Province regionali) ai sensi delle leggi regionali n. 7 del 1992 e n. 26 del 1993 rispetto alle consulenze stricto sensu, ha esteso anche ai primi l’obbligo di trasmissione alla Corte dei conti espressamente previsto dalla normativa sopra richiamata solamente per queste ultime.

Assodato, alla luce delle considerazioni innanzi effettuate, che gli incarichi conferiti dal Sindaco ad esperti estranei all’amministrazione ex art. 14 della legge regionale n. 7 del 1992, non costituendo rapporti di pubblico impiego, vanno ascritti alla categoria delle consulenze, v’è da segnalare come il legislatore statale sia intervenuto in materia con il decreto legge 31 maggio 2010, n. 78 convertito in legge 24 dicembre 2010, n. 122. L’art. 6, comma 7, di tale provvedimento normativo, dispone, infatti, che ”al fine di valorizzare le professionalità interne alle amministrazioni, a decorrere dall’anno 2011 la spesa annua per studi ed incarichi di consulenza, inclusa quella relativa a studi ed incarichi di consulenza conferiti a pubblici dipendenti, sostenuta dalle pubbliche amministrazioni … non può essere superiore al 20 per cento di quella sostenuta nell’anno 2009.” Il comma 20 precisa, poi, che “le disposizioni del presente articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica”.

L’anzidetta normativa è stata censurata sotto diversi profili dinanzi alla Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 139 del 2012, ha rigettato le impugnative proposte da alcune regioni e ha affermato significativi principi in questa sede rilevanti.

Innanzitutto è stato precisato che “le disposizioni in esame prevedono puntuali misure di riduzione parziale o totale di singole voci di spesa, ma ciò non esclude che da esse possa desumersi un limite complessivo, nell’ambito del quale le Regioni restano libere di allocare le risorse tra i diversi ambiti e obiettivi di spesa. Questa possibilità è espressamente prevista dal comma 20 dell’art. 6, che precisa che le disposizioni di tale articolo non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica. L’art. 6 citato «consente un processo di induzione che, partendo da un apprezzamento non atomistico, ma globale, dei precetti in gioco, conduce all’isolamento di un principio comune». In base a tale principio, le Regioni devono ridurre le spese di funzionamento amministrativo di un ammontare complessivo non inferiore a quello disposto dall’art. 6 per lo Stato. Ne deriva che il medesimo articolo «non intende imporre alle Regioni l’osservanza puntuale ed incondizionata dei singoli precetti di cui si compone e può considerarsi espressione di un principio fondamentale della finanza pubblica» (sentenza n. 182 del 2011)”.

Per la Consulta, poi, i principi di coordinamento della finanza pubblica sono applicabili alle Regioni e Province ad autonomia speciale atteso che la giurisprudenza costituzionale (da ultimo, sentenze n. 30 del 2012 e n. 229 del 2011) è costante nell’affermare che anche gli enti ad autonomia differenziata sono soggetti ai vincoli legislativi derivanti dal rispetto dei principi di coordinamento della finanza pubblica.

Per quanto riguarda, infine, la pretesa interferenza delle misure impugnate con l’autonomia organizzativa delle Regioni o con altre materie di competenza esclusiva o concorrente regionale, la Corte ha affermato che tale profilo non è censurabile poiché le norme impugnate devono essere complessivamente intese come disposizioni di principio di coordinamento della finanza pubblica (art. 117, terzo comma, Costituzione) riconducibili alla potestà legislativa concorrente. Nella stessa sentenza è stato poi precisato che “la previsione contenuta nel comma 20 dell’art. 6, inoltre, nello stabilire che le disposizioni di tale articolo «non si applicano in via diretta alle regioni, alle province autonome e agli enti del Servizio sanitario nazionale, per i quali costituiscono disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica», va intesa nel senso che le norme impugnate non operano in via diretta, ma solo come disposizioni di principio, anche in riferimento agli enti locali e agli altri enti e organismi che fanno capo agli ordinamenti regionali”.

La citata giurisprudenza costituzionale, pertanto, consente ad avviso del Collegio di risolvere nella fattispecie il rapporto tra le disposizioni di cui all’art. 6, comma 7, del decreto legge n. 78 del 31 maggio 2010 convertito con legge n. 122 del 30 luglio 2010 (il quale prevede che a decorrere dall’anno 2011 la spesa annua sostenuta dalle pubbliche amministrazioni per studi ed incarichi di consulenza non può superare il limite del 20% rispetto a quella sostenuta nell’anno 2009) e quelle regionali di cui agli artt. 14 della L.R. n.7/1992 e 35 della L.R. n. 9/1986 e s.m.i. (le quali rispettivamente prevedono che il Sindaco ed il Presidente della Provincia possono conferire incarichi ad esperti estranei all’Amministrazione per sostenere l’organo politico nell’espletamento delle proprie funzioni), nel senso del prevalere delle prime sulle seconde.

In effetti, come si desume anche dalla denominazione della rubrica dell’articolo 6 del d.l. 78 del 2010 (Riduzione dei costi degli apparati amministrativi), l’intento del legislatore statale è palesemente rivolto a tale finalità, in un più generale disegno di coordinamento della finanza pubblica, con conseguente necessità di riduzione di tutte le possibili forme di compenso corrisposte dalle amministrazioni ai componenti degli organi “comunque denominati” come specificato nel testo dell’articolo citato. L’ampiezza e la generalità della formulazione della norma di cui all’art. 6 del d.l. 78/2010 – che fa riferimento a componenti di organi “comunque denominati” e ai “titolari di incarichi di qualsiasi tipo” e non opera delle distinzioni al riguardo – non consentono, a loro volta, all’interprete di distinguere, secondo un consolidato canone ermeneutico. Tale orientamento, peraltro, risulta condiviso da altre articolazioni della Corte (cfr. Sezione regionale di controllo Lombardia, delibera 13/2011/PAR; Sezione regionale di controllo Toscana, delibera n. 204/2010/PAR; Sezione regionale di controllo Campania, delibera n. 173/2011/PAR).

L’applicabilità agli Enti locali territoriali è peraltro confermata dal riferimento – anch’esso contenuto nel testo del medesimo articolo – all’omologa norma di cui all’art. 1, comma 58, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, che diversamente non avrebbe avuto alcun senso e che cumula la riduzione di cui all’art. 6 del d.l. 78/2010 con quella precedentemente disposta per i medesimi organismi.

Sul punto, è da ritenere che la specialità delle norme in questione, tese alla riduzione della spesa pubblica, consenta di introdurre un’ulteriore disciplina della determinazione delle modalità di compenso edittale ovvero una deroga alla disciplina stessa, pur in presenza della disposizione di cui all’art. 1 comma 4 del T.U.E.L., rispetto alla quale la norma di cui all’art 6 del d.l. 78/2010 convertito in legge, costituisce fonte giuridica di pari rango primario, destinata a prevalere sulla precedente pari ordinata, in virtù del criterio cronologico (cfr. anche Sezioni Riunite centrali in sede di controllo, delibera n. 13/2011/CONTR).

Va inoltre osservato che l’applicazione delle disposizioni statali in questione, che costituiscono norme di coordinamento della finanza pubblica, è da ritenersi confermata anche dalla circostanza che esse incidono sul livello complessivo di una tipologia di spesa (qual è quella per le consulenze) e non su singoli atti, con la conseguenza che è fatta salva la possibilità per le amministrazioni di conferire incarichi realizzando economie di spesa in altri settori.

Relativamente all’ulteriore e rilevante profilo dell’invocata specifica disciplina della materia da parte dell’ordinamento statutario regionale, il Collegio, in disparte le considerazioni svolte in merito dalla Corte Costituzionale al par. 6.2. della citata sentenza n. 139 del 2012 e delle quali si è fatto già cenno, osserva che le norme regionali riguardano specificamente non già gli amministratori locali, ovvero il loro status giuridico – economico, materie per le quali si potrebbe legittimamente opporre il limite della riserva a favore della legislazione esclusiva della Regione siciliana nella materia dell’ordinamento degli enti locali situati nel proprio territorio, bensì “gli incarichi ad esperti“ tra l’altro “estranei all’amministrazione”.

Pertanto, è da escludersi che la questione attenga alla materia dell’organizzazione locale, ovvero alla libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti ed obiettivi di spesa, tematiche per le quali vanno ribadite le riserve di competenza propria della Regione siciliana in base allo Statuto di autonomia speciale ed ulteriormente specificate dalla giurisprudenza costituzionale, quanto alle caratteristiche necessarie delle leggi statali che fissano limiti alla spesa pubblica affinché possano applicarsi anche alle autonomie speciali, in considerazione dell’obbligo generale di tutte le componenti della Repubblica di contribuire all’azione di risanamento della finanza pubblica ( sul punto, si vedano, da ultimo, le sentenze della Corte Costituzionale n. 229/2011 e 30/2012).

Del resto anche l’art. 46 del D.L. n.112/2008, convertito in legge n. 133/2008, al comma 2, nel sostituire l’art. 3, comma 55, della legge n.244/2007, ha stabilito che “Gli enti locali possono stipulare contratti di collaborazione autonoma, indipendentemente dall’oggetto della prestazione, solo con riferimento alle attività istituzionali stabilite dalla legge o previste nel programma approvato dal Consiglio ai sensi dell’articolo 42, comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”, affermando il principio di esclusione di qualsiasi tipologia di apporto collaborativo esterno dalla generale nozione di attività di studio o incarico di consulenza, ecc.

In conclusione queste Sezioni Riunite, in conformità, peraltro, alle considerazioni espresse nei propri pareri n. 72 del 2011 e 95 del 2012, ribadiscono che anche i compensi degli esperti del sindaco (previsti dal citato art. 14) debbono essere ricompresi nell’obiettivo di riduzione e nel limite massimo consentito per la tipologia di spesa di cui all’art. 6, comma 7, del D.L. n. 78 del 2010 convertito in legge n. 122 del 2010.

P. Q. M.

Nelle esposte considerazioni è il parere delle Sezioni Riunite per la Regione siciliana in sede consultiva in ordine alla richiesta in epigrafe.

Manda al Servizio di supporto la trasmissione di copia della presente deliberazione al Sindaco del Comune di Palermo.

L’ESTENSORE IL PRESIDENTE

(Maurizio Graffeo) (Luciano Pagliaro)

Depositato in segreteria il 02 aprile 2013

IL FUNZIONARIO RESPONSABILE

(Fabio Guiducci)