Edilizia e urbanistica: proprietario e attività di repressione di abusi edilizi commessi dal conduttore

NOTA

La sentenza si segnala per l’esame della posizione delproprietario nei riguardi dell’attività di repressione dell’attività edilizia abusiva posta in opera dal soggetto titolare di contratto di locazione.

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N. 01179/2013REG.PROV.COLL.

N. 08291/2005 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 8291 del 2005, proposto da:
Diocesi di Pozzuoli, rappresentato e difeso dagli avv. Gennaro Macri, Alfredo Contieri, con domicilio eletto presso Michele De Cilla in Roma, via Zara, 16;

contro

Comune di Bacoli;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. CAMPANIA – NAPOLI: SEZIONE VI n. 04336/2005, resa tra le parti, concernente ordinanza di demolizione e acquisizione opera abusiva e area di sedime

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2012 il Cons. Umberto Realfonzo e uditi per le parti l’avvocato Andrea Manzi su delega di Alfredo Contieri;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con il presente gravame l’appellante Diocesi di Pozzuoli impugna la sentenza con cui è stato accolto in parte il suo ricorso ed annullato il provvedimento di acquisizione dell’intera particella di mq. 23.000, il quale è stato dichiarato tuttavia comunque legittimo per la parte relativa ai c.a mq. 3.225 della particella n.218, sui quali insistono le opere edilizie abusive a suo dire realizzate dall’affittuario.

La Diocesi lamenta l’erroneità “in parte qua” della predetta decisione denunciando la violazione degli artt. 6 e 7 della L. 47/85; dell’art.7 L. n. 241/90; perplessità ed ingiustizia manifeste.

L’amministrazione comunale non si è costituita in giudizio.

Con memoria per la discussione la parte appellante ha ulteriormente sottolineato le tesi a sostegno delle proprie argomentazioni.

Chiamata all’udienza pubblica, udito il patrocinatore dall’appellante, la causa è stata ritenuta in decisione.

L’appello è infondato.

Con l’unica rubrica di gravame la Diocesi lamenta che, in caso di inottemperanza dell’ordine di demolizione, il Tar avrebbe ignorato che l’acquisizione gratuita al patrimonio del comune di un terreno costituisce una sanzione autonoma nei confronti della sfera giuridica del responsabile dell’abuso e non potrebbe operare nei confronti di altri soggetti ed in particolare del proprietario dell’area che risulti in modo inequivocabile completamente estraneo al compimento dell’opera abusiva.

Nel caso di specie l’omessa notifica alla Diocesi di Pozzuoli dell’ingiunzione di demolizione avrebbe impedito all’appellante, estranea gli abusi, di attivarsi allo scopo di costringere l’autore dell’abuso a demolire i manufatti realizzati.

In conseguenza il proprietario non potrebbe subire mai gli effetti pregiudizievoli dell’acquisizione gratuita al patrimonio comunale, fatto salvo il caso che egli, sebbene non sia responsabile dell’abuso, sia venuto a conoscenza dello stesso e non si sia comunque adoperato per impedirlo.

Nel caso, la Diocesi di Pozzuoli sarebbe venuta a conoscenza della situazione solo in data 11 ottobre 2001, e cioè al momento della diffida, rimasta senza seguito, al Comune di procedere in autotutela. L’appellante, che sarebbe stata ignara dell’esistenza delle opere abusive realizzate sulla particella 218, non avrebbe quindi in alcun modo potuto impedire la loro realizzazione; né diffidare il locatario ripristinare lo stato dei luoghi, e né provvedere tantomeno alla rimozione dei manufatti abusivi avendo ormai perso la disponibilità del bene.

Erroneamente il Tar Campania con la sentenza impugnata avrebbe affermato che i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia possono essere legittimamente notificati al solo proprietario catastale del fondo, ignorando che la Cassazione Civile, con sentenza n. 3717/1983, aveva invece affermato l’obbligo di notificarlo all’effettivo proprietario.

Il Tar non avrebbe considerato i danni conseguenti dall’omessa notifica dei provvedimenti impugnati. Se il Comune avesse effettuato la comunicazione di avvio del procedimento la Diocesi di Pozzuoli avrebbe potuto immediatamente chiarire la situazione. Ne’ sarebbe decisiva la circostanza per cui l’adozione di provvedimenti di demolizione delle opere abusive realizzate nella particella 218, aveva trovato origine nella reiezione dell’istanza di sanatoria relativa la particella 219.

Pertanto, in caso di rigetto della domanda di condono, l’amministrazione avrebbe dovuto di assegnare un nuovo termine per la spontanea demolizione, non potendo il proprietario essere costretto ad agire in un tempo ridotto.

L’assunto è complessivamente privo di fondamento.

In linea generale si deve ricordare che, in materia, la giurisprudenza univoca e maggioritaria ha costantemente affermato che:

– l’Amministrazione non ha alcun obbligo di compiere accertamenti giuridici circa l’esistenza di particolari rapporti interprivati tra autore dell’abuso e proprietari, ma ha solo l’onere di individuare il proprietario catastale (cfr. Consiglio Stato sez. V 31 marzo 2010 n. 1878);

– i provvedimenti sanzionatori sono legittimamente adottati nei confronti dei proprietari catastali degli immobili abusivamente realizzati, dovendosi del tutto prescindersi sia dalle modalità con cui l’abuso è stato realizzato e sia dagli eventuali rapporti intercorrenti tra proprietari e costruttori (cfr. Consiglio Stato sez. V 3 febbraio 1992 n. 87; Consiglio Stato sez. IV 24 dicembre 2008 n. 6554);

– l’ordine di demolizione di opere abusive è legittimamente notificato al proprietario catastale dell’area il quale, fino a prova contraria, è quanto meno corresponsabile dell’abuso (cfr. Consiglio Stato, sez. V 31 marzo 2010 n. 1878; Consiglio Stato, sez. VI 10 dicembre 2010 n. 8705);

– la comunicazione all’ente che risulta catastalmente proprietario del suolo ha infatti una mera funzione conoscitiva, per rendere edotto l’ente delle vicende relative al bene di cui esso ente è proprietario, ma in nessun modo si può ritenere che tale comunicazione costituisca un requisito di legittimità dell’ordine di demolizione (cfr. Consiglio di Stato, Sez. IV 12 aprile 2011 n. 2266);

– ai sensi dell’art. 7, comma 3, l. n. 47/1985, è perciò legittima l’ordinanza di demolizione e di acquisizione di opere edilizie abusive effettuata nei soli confronti del responsabile dell’abuso e non del proprietario dell’immobile, in quanto anche sul piano letterale la norma si riferisce esclusivamente all’uno, e non all’altro, per l’evidente ragione di ancorare l’attività riparatoria in primo luogo all’effettivo autore dell’illecito (cfr. Consiglio di Stato sez. V 27 aprile 2012 n. 2450);

–l’ordinanza di acquisizione gratuita al patrimonio comunale di un’opera abusiva si configura quale atto dovuto, privo di discrezionalità, subordinato al solo accertamento dell’inottemperanza all’ingiunzione di demolizione e al decorso del termine di legge, che ne costituiscono i presupposti (cfr. Consiglio di Stato sez. V 27 aprile 2012 n. 2450).

Sulla base dei predetti principi deve perciò escludere la rilevanza della mancata comunicazione del provvedimento alla Diocesi di Pozzuoli, la quale non risultava affatto essere la proprietaria del terreno, e quindi appariva come un soggetto del tutto estraneo.

Se così non fosse, a chiunque basterebbe trovare chi affermi di essere il “vero” proprietario del terreno su cui insiste l’abuso edilizio, per riuscire ad inficiare qualunque provvedimento di acquisizione, paralizzando così ogni efficacia e la portata sostanziale stessa della norma.

Nello specifico caso in esame infatti, se pure l’appellante ricorda che, con decreto dall’Arcidiocesi di Napoli n. 1175/V.87 del 23.12.1987 ai sensi dell’art.29 quarto comma della l. 23.12.1987 n. 222 (concernente le norme per il sostentamento del clero), la p.lla 218 in questione sarebbe stata assegnata in proprietà alla mensa Vescovile di Pozzuoli, nondimeno è risolvente anche il fatto che, successivamente, con decreto n. 24 dell’Arcidiocesi di Napoli (del quale la parte appellante dimentica di specificare la data esatta) la medesima particella n.218 — a differenza della n. 219 — era stata comunque “erroneamente” individuata come di proprietà della predetta Arcidiocesi di Napoli. Per cui la situazione catastale corrisponde a quella del decreto n.24 cit. .

Inoltre l’ordinanza di reiezione della richiesta di sanatoria con contestuale ingiunzione di demolizione delle opere abusivamente realizzata, concerneva tutti i terreni contraddistinti dalla p.lle 217, 218 e 219 compresi quelli dell’Arcidiocesi di Napoli che risultava essere la proprietaria delle predette aree.

In conseguenza, dato che le risultanze catastali indicavano quale soggetto proprietario l’Arcidiocesi di Napoli, del tutto legittimamente i provvedimenti impugnati erano stati notificati dal Comune solo alla predetta Arcidiocesi, la quale peraltro, ancorché notificata, del tutto singolarmente, non aveva comunque ritenuto di dovere – nell’ambito dei normali rapporti tra istituzioni ecclesiastiche — informare la Diocesi di Pozzuoli dell’esistenza del procedimento sanzionatorio in atto riguardante una particella che sarebbe stata di pertinenza della stessa.

Tale fatto unitamente alla ricordata circostanza che, in base alle stesse allegazioni di parte appellante, il decreto n .24 dell’Arcidiocesi era temporalmente successivo, pone nel cono d’ombra del dubbio l’affermazione per cui l’intestazione catastale sarebbe stata erronea e che la proprietà di fatto farebbe capo all’appellante.

Anche nel caso in cui l’intestatario catastale affermi di non essere il reale proprietario, il medesimo è comunque responsabile a tutti i fini per la mancata tempestiva comunicazione all’effettivo proprietario dei provvedimenti amministrativi che concernono la demolizione degli abusi e l’acquisizione dei terreni interessati.

Per quanto riguarda la specifica posizione dell’appellante, l’affermata mancata conoscenza dell’ordine di demolizione non vale affatto automaticamente a provare che il proprietario “di fatto” — se pure sia estraneo alla realizzazione del manufatto abusivo soggetto alla sanzione edilizia — possa essere per ciò stesso comunque esente da responsabilità.

Infatti, anche a prescindere dalla intestazione catastale, si deve rilevare che, secondo gli ordinari canoni della diligenza media (o del buon padre di famiglia) che è alla base della nozione di colpa, nel caso in esame non risulta che la stessa Diocesi di Pozzuoli abbia esercitato quel minimo dovere di sorveglianza che fa capo ad ogni proprietario, sul quale comunque incombe l’onere impedire indebite modificazioni degli immobili stessi; l’utilizzo dell’aree per fini illeciti; o comunque il possibile verificarsi di fatti dannosi per i terzi.

In ogni caso ha dunque ragione il TAR quando afferma che “ …la Diocesi di Pozzuoli non ha offerto in giudizio elementi di fatto che potessero valere a considerare la stessa completamente estranea; anzi, il fatto che, come ammesso in ricorso, le opere fossero risalenti nel tempo, induce a ritenere che l’effettivo proprietario fosse a conoscenza della loro esistenza.”

Né vale ad escludere l’incombenza dei doveri di gestione dominicale, la circostanza per cui nel caso era stato stipulato un contratto di locazione. Tale negozio, se infatti comporta il trasferimento al conduttore dell’uso e del godimento di un immobile, non fa affatto venir meno l’esercizio dei poteri di cura, controllo, di vigilanza spettanti al proprietario-locatore il quale – ancorché in un ambito in parte diverso da quello in cui si esplica a sua volta il potere di custodia del conduttore – conserva un effettivo potere fisico sull’entità immobiliare locata con conseguente obbligo, sotto tutti i profili, di vigilanza sull’immobile (cfr. Cassazione civile sez. III 27 luglio 2011 n. 16422).

Pertanto anche le Diocesi, come qualsiasi privato, sono tenute a rispettare i doveri di diligenza, di prudenza e di correttezza nella gestione dei propri beni immobiliari.

Nel caso in esame peraltro, si ravvisa non solo una “culpa in vigilando” ma anche una “culpa in agendo”, che porta quindi a ritenere comunque sussistente un nesso con-causale diretto tra la responsabilità dell’autore dell’abuso ed il proprietario del fondo.

In tale prospettiva infatti — oltre al fatto che l’incontestata preesistenza nel tempo dell’abuso avrebbe offerto comunque più occasioni di venirne a conoscenza e di provvedere in conseguenza — appare rilevante anche la circostanza per cui nemmeno al momento in cui la Diocesi di Pozzuoli asserisce di aver avuto comunque conoscenza dell’abuso, la stessa ha assunto una qualsiasi iniziativa diretta a far demolire le opere edilizie abusive, anche a mezzo di un’azione in sede civile.

Al riguardo è anche evidente che, in tale ipotesi, i soggetti responsabili dell’abuso — ai quali è stata ritualmente notificata l’ordinanza di demolizione e di acquisizione e che non hanno proceduto alla demolizione — in ogni caso rispondono direttamente nei riguardi di chi afferma essere il vero proprietario, per i danni conseguenti alla perdita definitiva dei terreni interessati all’abuso.

Né ha pregio ai fini dell’illegittimità dell’acquisizione, la pretesa mancata riassegnazione di un nuovo termine a demolire. Al contrario il provvedimento di accertamento dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e ripristino dello stato primitivo dei luoghi e quello successivo di acquisizione gratuita delle opere abusive e dell’area di sedime sono atti dovuti, conseguenziali, connessi e conseguenti l’uno dell’altro (cfr. Consiglio di Stato sez. IV 24 gennaio 2012 n. 297) per cui deve ritenersi legittimo il provvedimento che contiene sia la preliminare dichiarazione di diniego della concessione edilizia in sanatoria e sia la conseguenziale demolizione delle opere abusive a pena di acquisizione (cfr. Cons.giust.amm. Sicilia sez. giurisd. 19 marzo 2002 n. 155).

L’acquisizione è l’automatica conseguenza del mancato dispetto dell’ordine di demolizione che si avvera decorso infruttuosamente il termine assegnato per la demolizione(cfr. recentemente Consiglio Stato, sez. V 12 dicembre 2008 n. 6174 ed in precedenza Consiglio Stato, sez. V 26 gennaio 2000 n. 341).

In conclusione, la sentenza impugnata merita pertanto integrale conferma e l’appello deve dunque essere respinto.

In assenza di costituzione del Comune non vi è luogo a pronuncia sulle spese.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) definitivamente pronunciando:

___ 1. respinge l’appello, come in epigrafe proposto.

___ 2. Nulla per le spese.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 21 dicembre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Anna Leoni, Presidente FF

Raffaele Potenza, Consigliere

Andrea Migliozzi, Consigliere

Umberto Realfonzo, Consigliere, Estensore

Giulio Veltri, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 26/02/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)