Pubblica amministrazione: le Aziende pubbliche di servizi alla persona (ASP ex IPAB) sono soggette ai vincoli di finanza pubblica

NOTA

La Consulta dichiara l’illegittimità costituzionale – per violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. – delle disposizioni della L.R. Abruzzo 24 giugno 2011, n. 17, che reca «Riordino delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza (IPAB) e disciplina delle Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP)», nella parte in cui sottraggono gli enti risultanti dalla trasformazione delle IPAB alle norme (interposte) dirette alla riduzione della spesa pubblica (artt. 76, co. 7, D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito in L. 6 agosto 2008, n. 133, 6, comma 2, D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in L. 30 luglio 2010, n. 122).

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SENTENZA N. 161

ANNO 2012

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Alfonso QUARANTA; Giudici : Franco GALLO, Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli articoli 5, commi 1 e 2; 6, commi 3, 4, 5, 6 e 7; 11, commi 8 e 9, e 15, commi 3 e 4, della legge della Regione Abruzzo 24 giugno 2011, n. 17, che reca «Riordino delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza (IPAB) e disciplina delle Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP)», promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 12-15 settembre 2011, depositato in cancelleria il 20 settembre 2011, ed iscritto al n. 95 del registro ricorsi 2011.

Visti gli atti di costituzione della Regione Abruzzo;

udito nell’udienza pubblica del 5 giugno 2012 il Giudice relatore Aldo Carosi;

uditi l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Federico Tedeschini per la Regione Abruzzo.

Ritenuto in fatto

1.— Con ricorso notificato il 12-15 settembre 2011 e depositato il 20 settembre 2011, previa deliberazione del 1° settembre 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato in via principale l’articolo 5, commi 1 e 2; l’art. 6, commi 3, 4, 5, 6 e 7; l’art. 11, commi 8 e 9, e l’art. 15, commi 3 e 4, della legge della Regione Abruzzo 24 giugno 2011, n. 17, che reca «Riordino delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza (IPAB) e disciplina delle Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP)», pubblicata sul Bollettino Ufficiale della Regione Abruzzo n. 43 del 13 luglio 2011, deducendo la violazione degli artt. 117, terzo comma, e 97, terzo comma, della Costituzione.

La legge regionale prevede e disciplina la trasformazione delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza (IPAB) in Aziende pubbliche di servizi alla persona (ASP) o in soggetti aventi personalità giuridica di diritto privato senza scopo di lucro, stabilendo l’estinzione delle Istituzioni per le quali risulti accertata l’impossibilità di detta trasformazione.

1.1.— Il ricorrente ha anzitutto lamentato la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. da parte degli artt. 5, comma 2, e 15, comma 4, della legge regionale abruzzese.

La prima norma consente alle IPAB, fino alla loro trasformazione in ASP, di modificare, in deroga al divieto sancito dal comma precedente dello stesso art. 5, la propria dotazione organica, limitatamente all’individuazione di eventuali profili professionali previsti da specifiche normative, qualora sussistano effettive esigenze connesse con il regolare svolgimento delle attività statutarie.

L’art. 15, comma 4, in deroga a quanto disposto dal comma 3 dello stesso articolo – secondo cui le aziende non possono procedere ad assunzione di personale a tempo indeterminato fino all’approvazione della dotazione organica, dovendo utilizzare prioritariamente quello in servizio nelle Istituzioni che hanno dato loro vita – consente alle ASP, una volta costituite, in sede di prima applicazione della legge e fino all’approvazione del regolamento che determinerà le dotazioni organiche, di superare eventuali carenze di personale, connesse con effettive esigenze di assicurare il regolare svolgimento di attività statutarie, mediante specifiche selezioni, secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 2, della medesima legge.

Entrambe le impugnate disposizioni, limitandosi a far salva, con clausola dal ricorrente considerata inadeguata, la «compatibilità con le disposizioni di bilancio», consentirebbero rispettivamente ad IPAB ed ASP di incrementare la dotazione organica senza raccordo con la normativa statale in materia di spesa di personale degli enti comunque riconducibili al sistema delle autonomie. In particolare, risulterebbe violato il principio in materia di coordinamento della finanza pubblica espresso «dall’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 del 2008» [recte: decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133], che impone specifici limiti e divieti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale. Risulterebbe così violato l’art. 117, terzo comma, Cost.

1.2.— Il ricorrente ha altresì dedotto l’illegittimità costituzionale di alcuni commi dell’art. 6 della stessa legge della Regione Abruzzo n. 17 del 2011: a) il comma 3, che prevede che l’estinzione delle IPAB comporti il trasferimento alle ASP – e, fino alla loro costituzione, al Comune o ai Comuni ove siano ubicate le strutture attraverso cui le Istituzioni perseguivano i loro fini – delle situazioni giuridiche pregresse, del personale dipendente di ruolo e dei patrimoni delle prime; b) il comma 4, secondo cui, fino all’istituzione delle ASP, il personale dipendente di ruolo delle IPAB è temporaneamente assegnato, in posizione soprannumeraria rispetto alla dotazione organica, al Comune affidatario delle procedure di estinzione; c) il comma 5, alla stregua del quale con il provvedimento di estinzione tutti gli adempimenti di ricognizione delle situazioni giuridiche in essere, compresi quelli relativi al personale, sono affidati al Sindaco del Comune sede dell’Istituzione estinta, in qualità di organo liquidatore; d) il comma 6, che dispone il trasferimento ai singoli Comuni, con obbligo di successivo trasferimento al patrimonio indisponibile dell’ASP territorialmente competente, delle strutture destinate ad attività socio-assistenziali e socio-educative appartenenti ad Istituzioni intraregionali aventi sede legale in altra Regione, comprese quelle realizzate in regime di convenzione con l’impiego dei fondi pubblici derivanti dall’intervento straordinario nel Mezzogiorno; e) il comma 7, che disciplina il procedimento attraverso cui i Comuni acquisiscono al loro patrimonio le strutture delle Istituzioni in considerazione.

Ad avviso del ricorrente anche tali disposizioni, assegnando, seppure temporaneamente, ai Comuni nuove strutture e nuovo personale senza operare il necessario raccordo con la normativa statale in materia di spesa di personale degli enti riconducibili al sistema delle autonomie, si porrebbero in contrasto con il principio in materia di coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 [recte: d.l. n. 112] del 2008, violando così l’art. 117, terzo comma, Cost.

1.3.— Il ricorrente ha inoltre denunciato l’illegittimità costituzionale degli artt. 5, commi 1 e 2, 6, commi 3, 4, 5, 6 e 7, e 15, commi 3 e 4, della legge della Regione Abruzzo n. 17 del 2011 per violazione dell’art. 97, terzo comma, Cost., in quanto dette norme prevederebbero il generico trasferimento dalle IPAB alle ASP e, fino alla costituzione di queste ultime, ai Comuni di tutto il personale, anche non selezionato con pubblico concorso, senza specificare i requisiti e le modalità dell’originaria assunzione.

1.4.— Il Presidente del Consiglio dei ministri, infine, ha prospettato l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, commi 8 e 9, della medesima legge regionale, i quali prevedono rispettivamente che al presidente dell’Azienda competa un’indennità determinata in misura percentuale su quella spettante ai direttori generali delle Aziende unità sanitarie locali dell’Abruzzo e che a ciascuno dei componenti del consiglio di amministrazione ne sia riconosciuta una pari al sessanta per cento di quella spettante al presidente.

Tali previsioni si porrebbero in contrasto con il principio di coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art. 6, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122, secondo cui la partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche nonché la titolarità dei predetti enti è onorifica e può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente; qualora già previsti, i gettoni di presenza non possono superare l’importo di 30 euro a seduta giornaliera. In tal modo risulterebbe violato l’art. 117, terzo comma, Cost.

2.— Con atto depositato il 21 ottobre 2011 si è costituita in giudizio la Regione Abruzzo.

2.1.— In via preliminare essa ha eccepito la parziale inammissibilità dell’impugnativa per esser stato erroneamente indicato il parametro interposto, individuato nell’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 del 2008 invece che, correttamente, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008.

2.2.— La Regione ha inoltre dedotto la manifesta infondatezza delle doglianze del ricorrente.

2.2.1.— Anzitutto, secondo la resistente la disposizione richiamata quale parametro interposto – come evincibile anche dalla sua rubrica: «Spese di personale per gli enti locali e delle camere di commercio» – si applicherebbe solamente a detti enti e non anche alle IPAB di natura pubblica (ossia quelle non costituite in associazioni o fondazioni di diritto privato) ed alle ASP, che andrebbero annoverate tra gli enti pubblici non economici. Sul punto, peraltro, il ricorso sarebbe affetto da eccessiva genericità, non essendo stati chiariti i motivi di riconduzione delle Istituzioni e delle Aziende agli enti locali, estendendo loro i limiti ed i divieti di assunzione per questi ultimi previsti.

2.2.2.— In secondo luogo, a dire della Regione, quand’anche si ritenesse riferibile ad IPAB ed ASP il dettato del citato art. 76, comma 7, la sua applicazione non sarebbe impedita dal mancato esplicito richiamo allo stesso da parte della legge regionale censurata (si cita la sentenza di questa Corte n. 43 del 2011), che, anzi, all’art. 5, comma 2, subordina la deroga al disposto del precedente comma 1 del medesimo articolo proprio al «rispetto delle norme di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), come modificato dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e di cui al D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122». Il ricorso, peraltro, peccherebbe di eccesiva genericità, estendendo in via generale il divieto di assunzione di personale, senza alcun riferimento al regime differenziato previsto dalla disposizione statale, che invece distingue in ragione delle percentuali d’incidenza del costo del personale sulla spesa corrente sostenuta dall’ente.

2.3.— La Regione ha infine sostenuto l’infondatezza del ricorso.

2.3.1.— Quanto alle censure mosse agli artt. 5, comma 2, e 15, comma 4, della legge regionale n. 17 del 2011, dopo aver ribadito l’inapplicabilità soggettiva dell’art. 76, comma 7 – per essere esclusivamente riferito ad enti locali e camere di commercio – e, comunque, la sua mancata violazione alla stregua del contenuto effettivo della norma interposta, ha sostenuto che dovrebbero trovare applicazione l’art. 4, comma 3, del decreto legislativo 4 maggio 2001, n. 207 (Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, a norma dell’articolo 10 della L. 8 novembre 2000, n. 328), ai sensi del quale «l’attuazione del riordino non costituisce causa di risoluzione del rapporto di lavoro col personale dipendente», e l’art. 5 dello stesso decreto, che nell’ambito del processo di riordino prevede, per il caso di estinzione, l’assegnazione del patrimonio delle IPAB ad altre Istituzioni del territorio o ai Comuni competenti. A dire della Regione, l’acquisizione temporanea del patrimonio e del personale sarebbe dunque adempimento obbligatorio alla luce della disciplina statale, con conseguente annoverabilità delle spese nella categoria economica dei costi per “le estinzioni delle IPAB” e non in quella dei costi sostenuti per il personale, cui solo si riferirebbe l’art. 76, comma 7. Tale norma, inoltre, stabilendo il divieto per gli «enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 50 per cento delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale», prevederebbe dei limiti di applicabilità al divieto di assunzione, fissato in relazione ad una verifica concreta dell’incidenza delle spese di personale, con la conseguenza che, entro detti limiti, le norme impugnate sarebbero perfettamente legittime. Ne discenderebbe ulteriormente che, al più, esse potrebbero essere censurate nella parte in cui non richiamano tale limite di applicabilità. Ciò, tuttavia, non renderebbe le questioni fondate, sia perché lo stesso comma 2 dell’art. 5 della legge regionale consente la deroga al comma 1 solo «nel rispetto delle norme di cui al D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), come modificato dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 e di cui al D.L. 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito dalla legge 30 luglio 2010, n. 122», sia, comunque, perché il mancato espresso richiamo nella norma regionale delle specifiche disposizioni statali non implicherebbe la loro inapplicabilità (nella memoria di costituzione si citano le sentenze n. 43 del 2011 e n. 45 del 2010).

2.3.2.— In ordine all’art. 6, commi da 3 a 7, la Regione, oltre a ribadire astrattezza e genericità della censura, ha richiamato le argomentazioni esposte al punto precedente.

2.3.3.— In relazione alla dedotta violazione dell’art. 97, terzo comma, Cost. da parte degli artt. 5, commi 1 e 2; 6, commi da 3 a 7, e 15, commi 3 e 4, della legge della Regione Abruzzo, la resistente ha contestato l’assimilabilità della temporanea assegnazione al Comune del personale delle IPAB (in attesa della costituzione delle ASP) alla sua assunzione, considerato anche l’obbligo di prosecuzione dei rapporti di lavoro sancito dal d.lgs. n. 207 del 2001. Inoltre, a suo dire il trasferimento non sarebbe configurabile per le IPAB che si trasformano in ASP, già titolari del rapporto di lavoro in cui subentra il nuovo soggetto. Secondo la resistente, infine, la questione dovrebbe essere limitata esclusivamente al personale delle IPAB di natura privatistica – che, sempre nell’assunto regionale, manterrebbe nelle ASP il medesimo rapporto, quanto a natura, termini e modalità, con conseguente esclusione della possibilità d’inserimento del dipendente in una pubblica amministrazione – atteso che per quelle dotate di soggettività pubblica non sarebbe dato ipotizzare una procedura di selezione del personale diversa dal pubblico concorso.

2.3.4.— Quanto all’art. 11, commi 8 e 9, la Regione ha evidenziato come presupposto del divieto sancito dall’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010 sia che l’ente riceva contributi a carico delle finanze pubbliche. Poiché nessuna norma della legge impugnata prevederebbe l’erogazione di contributi o finanziamenti pubblici a favore delle ASP e poiché la norma interessata non si riferisce agli enti previsti dal d.lgs. n. 165 del 2001 – nel cui novero rientrerebbero le ASP quali enti pubblici non economici regionali – nella fattispecie la disposizione non sarebbe applicabile.

2.4.— In prossimità dell’udienza la Regione ha depositato memoria illustrativa, sostanzialmente reiterando le argomentazioni già svolte nell’atto di costituzione.

Considerato in diritto

1.— Con ricorso notificato il 12-15 settembre 2011 e depositato il 20 settembre 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato in via principale l’articolo 5, commi 1 e 2; l’art. 6, commi 3, 4, 5, 6 e 7; l’art. 11, commi 8 e 9, e l’art. 15, commi 3 e 4, della legge della Regione Abruzzo 24 giugno 2011, n. 17, che reca «Riordino delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza (IPAB) e disciplina delle Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP)», in riferimento agli artt. 97, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost. ed alle norme interposte costituite dall’art. 76, comma 7, del decreto legislativo n. 12 del 2008 [recte: decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133] e dall’art. 6, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122.

Detta legge, secondo quanto disposto dal d.lgs. 4 maggio 2001, n. 207 (Riordino del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, a norma dell’articolo 10 della L. 8 novembre 2000, n. 328), prevede e disciplina la trasformazione delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza (IPAB) in Aziende pubbliche di servizi alla persona (ASP) o in soggetti aventi personalità giuridica di diritto privato senza scopo di lucro, stabilendo l’estinzione delle istituzioni per le quali risulti accertata l’impossibilità della trasformazione.

1.1.— Il ricorrente ha anzitutto lamentato la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. da parte degli artt. 5, comma 2, e 15, comma 4, della stessa legge della Regione Abruzzo n. 17 del 2011.

La prima norma consente alle IPAB, fino alla loro trasformazione in ASP, di modificare, in deroga al divieto sancito dal comma precedente dello stesso art. 5, la propria dotazione organica, limitatamente all’individuazione di eventuali profili professionali previsti da specifiche normative, qualora sussistano effettive esigenze connesse con il regolare svolgimento delle attività statutarie.

La seconda, in deroga a quanto disposto dal precedente comma 3, consente alle ASP, una volta costituite, in sede di prima applicazione della legge e fino all’approvazione del regolamento che determinerà le dotazioni organiche, di superare eventuali carenze di personale, connesse con effettive esigenze di assicurare il regolare svolgimento di attività statutarie, mediante specifiche selezioni, secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 2.

Entrambe le menzionate disposizioni, limitandosi a far salva, con clausola dal ricorrente considerata inadeguata, la «compatibilità con le disposizioni di bilancio», consentirebbero ad IPAB ed ASP di incrementare la dotazione organica senza raccordo con la normativa statale in materia di spesa di personale degli enti comunque riconducibili al sistema delle autonomie. In particolare, risulterebbe violato il principio di contenimento della spesa pubblica sancito dall’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 [recte: d.l. n. 112] del 2008, principio in materia di coordinamento della finanza pubblica che impone specifici limiti e divieti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale.

1.2.— Il ricorrente ha altresì dedotto l’illegittimità costituzionale di alcuni commi dell’art. 6 della medesima legge regionale n. 17 del 2011: a) il comma 3, il quale prevede che l’estinzione delle IPAB comporti il trasferimento alle ASP e, fino alla loro costituzione, al Comune o ai Comuni ove siano ubicate le strutture attraverso cui le Istituzioni perseguivano i loro fini, delle situazioni giuridiche pregresse, del personale dipendente di ruolo e dei patrimoni; b) il comma 4, secondo cui, fino alla costituzione delle ASP, il personale dipendente di ruolo delle IPAB è temporaneamente assegnato, in posizione soprannumeraria rispetto alla dotazione organica, al Comune affidatario delle procedure di estinzione; c) il comma 5, alla stregua del quale con il provvedimento di estinzione tutti gli adempimenti di ricognizione delle situazioni giuridiche in essere, compresi quelli relativi al personale, sono affidati al Sindaco del Comune sede dell’Istituzione estinta, in qualità di organo liquidatore; d) il comma 6, che dispone il trasferimento ai singoli Comuni, con obbligo di successivo trasferimento al patrimonio indisponibile dell’ASP territorialmente competente, delle strutture destinate ad attività socio-assistenziali e socio-educative appartenenti ad Istituzioni infraregionali aventi sede legale in altra Regione, comprese quelle realizzate in regime di convenzione con l’impiego dei fondi pubblici derivanti dall’intervento straordinario nel Mezzogiorno; e) il comma 7, che disciplina il procedimento attraverso cui i Comuni acquisiscono al loro patrimonio le strutture delle Istituzioni in considerazione.

Ad avviso del ricorrente anche tali disposizioni, assegnando, seppure temporaneamente, ai Comuni nuove strutture e nuovo personale senza operare il necessario raccordo con la normativa statale in materia di spesa di personale degli enti riconducibili al sistema delle autonomie, si porrebbero in contrasto con il principio in materia di coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 [recte: d.l. n. 112] del 2008, violando così l’art. 117, terzo comma, Cost.

1.3.— Il ricorrente ha inoltre denunciato l’illegittimità costituzionale degli artt. 5, commi 1 e 2; 6, commi 3, 4, 5, 6 e 7; 15, commi 3 e 4, della legge regionale per violazione dell’art. 97, terzo comma, Cost. perché dette norme prevedono il generico trasferimento dalle IPAB alle ASP e, fino alla costituzione di queste ultime, ai Comuni di tutto il personale, anche non selezionato con pubblico concorso, e ciò senza specificare i requisiti e le modalità dell’originaria assunzione.

1.4 — Viene, infine, prospettata l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, commi 8 e 9, della medesima legge regionale n. 17 del 2011, secondo cui al presidente dell’Azienda compete un’indennità determinata in misura percentuale su quella spettante ai direttori generali delle Aziende unità sanitarie locali dell’Abruzzo ed a ciascuno dei componenti del consiglio di amministrazione una pari al sessanta per cento di quella spettante al presidente.

Tali previsioni si porrebbero in contrasto con il principio di coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, secondo cui: «la partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti, che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, nonché la titolarità dei predetti enti è onorifica; essa può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente; qualora siano già previsti, i gettoni di presenza non possono superare l’importo di 30 euro a seduta giornaliera. La violazione di quanto previsto dal presente comma determina responsabilità erariale e gli atti adottati dagli organi degli enti e degli organismi pubblici interessati sono nulli». Risulterebbe in tal modo violato l’art. 117, terzo comma, Cost.

2.— Con atto depositato il 21 ottobre 2011 si è costituita in giudizio la Regione Abruzzo.

2.1.— In via preliminare essa ha eccepito la parziale inammissibilità dell’impugnativa per essere stato erroneamente indicato il parametro interposto, individuato nell’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 del 2008 invece che, correttamente, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008.

2.2.— Nel merito la difesa regionale ha sostenuto che la disposizione richiamata quale parametro interposto si applicherebbe solamente ad enti locali e camere di commercio, come specificato nella stessa rubrica della disposizione, e non anche alle IPAB di natura pubblica (ossia quelle non costituite in associazioni o fondazioni di diritto privato) ed alle ASP, che andrebbero annoverate tra gli enti pubblici non economici. Sul punto, peraltro, il ricorso sarebbe affetto da eccessiva genericità, non essendo stati chiariti i motivi di riconduzione delle Istituzioni e delle Aziende agli enti locali, estendendo loro i limiti ed i divieti di assunzione per questi ultimi previsti.

Secondo la resistente, quand’anche si ritenesse riferibile ad IPAB ed ASP il dettato del citato art. 76, comma 7, la relativa applicazione non sarebbe impedita dal suo mancato espresso richiamo ad opera della normativa regionale censurata.

Quanto, in particolare, agli artt. 5, comma 2, e 15, comma 4, la Regione ne ha sostenuto la legittimità, argomentando dalla necessità di dare applicazione agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 207 del 2001.

In ordine all’art. 6, commi da 3 a 7, la Regione, oltre a lamentare l’astrattezza e la genericità della censura, ha richiamato le argomentazioni difensive esposte con riferimento alle disposizioni testé menzionate.

2.3.— Quanto agli artt. 5, commi 1 e 2; 6, commi da 3 a 7, e 15, commi 3 e 4, in riferimento all’art. 97, terzo comma, Cost., la resistente ha contestato l’assimilabilità della temporanea assegnazione al Comune del personale delle IPAB (in attesa della costituzione delle ASP) alla sua assunzione, considerato anche l’obbligo di prosecuzione dei rapporti di lavoro sancito dal d.lgs. n. 207 del 2001. Ha inoltre evidenziato la necessità di limitare le questioni al personale delle IPAB di natura privatistica, atteso che per quelle dotate di soggettività pubblica non sarebbe dato ipotizzare una procedura di selezione diversa dal pubblico concorso.

2.4.— Per quel che concerne l’art. 11, commi 8 e 9, la resistente ha evidenziato che il presupposto del divieto sancito dall’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010 consiste nella ricezione di contributi a carico delle finanze pubbliche e che nessuna norma della legge impugnata prevederebbe l’erogazione di contributi o finanziamenti pubblici a favore delle ASP. La norma interposta, peraltro, non potrebbe trovare applicazione nella fattispecie in quanto non si riferisce agli enti previsti dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nel cui novero rientrerebbero le ASP quali enti pubblici non economici regionali.

3.— In punto di fatto va rilevato che il ricorso è stato notificato il 12 settembre 2011, dunque oltre il termine di sessanta giorni previsto per l’impugnazione delle leggi regionali, che è scaduto l’11 settembre 2011. La data in questione, tuttavia, è coincisa con una domenica e, pertanto, il ricorso risulta tempestivo. Infatti, a norma dell’art. 22 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), nei procedimenti davanti alla Corte si osservano, in quanto applicabili, le norme del regolamento per la procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. I procedimenti giurisdizionali davanti al Consiglio di Stato sono disciplinati, ora, dal codice del processo amministrativo, approvato dall’art. 1 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), il quale, all’art. 52, comma 3, prevede che «Se il giorno di scadenza è festivo il termine fissato dalla legge o dal giudice per l’adempimento è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo». Tale regola si applica dunque ai giudizi davanti alla Corte costituzionale, sia per effetto del rinvio dinamico contenuto nel citato art. 22 della legge n. 87 del 1953, sia perché – essendo espressa anche dall’art. 155, quarto comma, del codice di procedura civile — la stessa costituisce ormai principio generale dell’ordinamento (sentenza n. 85 del 2012).

4.— Quanto all’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione Abruzzo circa l’inesatta individuazione del parametro interposto da parte del ricorrente, essa non può essere accolta.

In effetti, la norma interposta alla quale si correlano le questioni non è contenuta nell’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 del 2008, erroneamente invocato dal Presidente del Consiglio, bensì nell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008. Nel caso in esame, tuttavia, l’inesatta indicazione non ha impedito alla Regione convenuta di identificare con chiarezza la consistenza delle questioni di legittimità sollevate e di svolgere pertinenti difese, risultando agevolmente enucleabile il parametro con il quale le norme censurate contrasterebbero (sentenza n. 533 del 2002).

Questa Corte ritiene, pertanto, di dover procedere all’esame nel merito delle questioni.

5.— Preliminarmente occorre prendere atto che, successivamente alla proposizione del ricorso, l’art. 76, comma 7 («È fatto divieto agli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipologia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente. Ai fini del computo della percentuale di cui al periodo precedente si calcolano le spese sostenute anche dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esigenze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica. La disposizione di cui al precedente periodo non si applica alle società quotate su mercati regolamentari. Per gli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o inferiore al 35 per cento delle spese correnti sono ammesse, in deroga al limite del 20 per cento e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le assunzioni per turn-over che consentano l’esercizio delle funzioni fondamentali previste dall’articolo 21, comma 3, lettera b), della legge 5 maggio 2009, n. 42»), del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008, ha subito alcuni interventi di modifica per effetto dell’art. 28, comma 11-quater («All’articolo 76, comma 7, primo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, le parole: “40 %” sono sostituite dalle seguenti: “50 per cento”»), del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214; dell’art. 4, comma 103, lettera a) («All’articolo 76 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 7, primo periodo, dopo le parole: “i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale” sono inserite le seguenti: “a tempo indeterminato”»), della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2012), ed, infine, dell’art. 4-ter, comma 10 («All’articolo 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo periodo, le parole: “20 per cento” sono sostituite dalle seguenti: “40 per cento”; b) dopo il primo periodo è inserito il seguente: “Ai soli fini del calcolo delle facoltà assunzionali, l’onere per le assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale è calcolato nella misura ridotta del 50 per cento; le predette assunzioni continuano a rilevare per intero ai fini del calcolo delle spese di personale previsto dal primo periodo del presente comma”; c) al secondo periodo, le parole: “periodo precedente” sono sostituite dalle seguenti: “primo periodo”; d) dopo il secondo periodo è inserito il seguente: “Ferma restando l’immediata applicazione della disposizione di cui al precedente periodo, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e dell’interno, d’intesa con la Conferenza unificata, possono essere ridefiniti i criteri di calcolo della spesa di personale per le predette società”; e) al terzo periodo, la parola: “precedente” è sostituita dalla seguente: “terzo”; f) al quarto periodo, le parole: “20 per cento” sono sostituite dalle seguenti: “40 per cento”; al medesimo periodo sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “; in tal caso le disposizioni di cui al secondo periodo trovano applicazione solo in riferimento alle assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in materia di istruzione pubblica e del settore sociale”»), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito in legge 26 aprile 2012, n. 44, che ne hanno variato il contenuto complessivo.

L’articolato ius superveniens non ha comportato, tuttavia, rilevanti modifiche ai termini delle questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri poiché nelle formulazioni normative succedutesi nel tempo permane – con modalità applicative tutte inconciliabili con alcune delle norme regionali impugnate – la regola limitativa delle assunzioni di personale, invocata dal ricorrente e contestata, quanto alla sua applicabilità alla fattispecie in esame, dalla Regione. Ne consegue che la questione risulta del pari pertinente, sia in riferimento alla precedente che alle intermedie ed alla vigente formulazione dell’art. 76, comma 7.

6.— Nel merito, la ricorrente prospetta tre diversi gruppi di questioni di legittimità costituzionale: il primo ed il terzo presentano come riferimento l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto risulterebbero violati i principi di coordinamento della finanza pubblica espressi da due distinte norme interposte, individuate rispettivamente nell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008 (della cui complessa evoluzione si è dato conto precedentemente), e nell’art. 6, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito in legge n. 112 del 2010. Il secondo inerisce alla pretesa violazione dell’art. 97, terzo comma, Cost. in quanto non sarebbero state rispettate le regole di accesso all’impiego pubblico mediante concorso.

7.— Le questioni relative agli impugnati artt. 5, comma 2, 6, commi 3, 4, 6 e 7 e 15, comma 4, della legge regionale n. 17 del 2011 sono fondate in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. ed alla norma interposta invocata.

7.1.— L’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008, dispone che, quando le spese di personale per gli enti locali e per le camere di commercio superano il 50 per cento (al momento della proposizione del ricorso la norma prevedeva il 40 per cento) delle spese correnti, gli enti in questione non possono procedere a nuove assunzioni, a qualsiasi titolo e con qualsiasi tipologia contrattuale; quando invece l’incidenza delle spese di personale è pari o inferiore al 35 per cento delle spese correnti, sono consentite deroghe parziali in relazione al turn-over.

Tale disposizione ha natura di principio di coordinamento della finanza pubblica, come già riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 148 del 2012 e n. 108 del 2011).

L’impugnato art. 5, comma 2, della stessa legge regionale prevede una deroga implicita al principio espresso dal comma 1 del medesimo art. 5, secondo cui le Istituzioni sottoposte al riordino, fino alla trasformazione in ASP ovvero in fondazioni o associazioni, non possono procedere all’ampliamento della dotazione organica né all’assunzione di personale a tempo indeterminato per i posti vacanti in organico. In particolare, la disposizione riconosce alle IPAB la possibilità di assunzione in presenza di condizioni del tutto diverse e non compatibili con quelle specificate dalla norma interposta: oltre all’introduzione della fattispecie derogatoria inerente a profili professionali previsti da specifiche normative, collega la menzionata deroga al semplice presupposto che l’assunzione comporti invarianza di spesa rispetto a quella sostenuta nell’esercizio precedente alla data di entrata in vigore della legge regionale stessa e al fatto che la nuova spesa risulti compatibile con le disponibilità di bilancio.

Preso atto dell’inconciliabilità tra le due disposizioni, non superabile nemmeno attraverso un’interpretazione sistematica delle norme impugnate, dirimente ai fini del decidere appare la riconducibilità o meno delle Istituzioni sottoposte al riordino all’ambito soggettivo di applicazione della disciplina contenuta nell’art. 76, comma 7.

Sulla natura delle IPAB esiste in dottrina ed in giurisprudenza uno storico dibattito, via via alimentato e condizionato dalle modifiche normative succedutesi nella disciplina delle stesse. Anche questa Corte ha avuto modo di rilevare la peculiarità di detti enti (sentenza n. 173 del 1981) e del loro regime giuridico, caratterizzato dall’intrecciarsi «di una intensa disciplina pubblicistica con una notevole permanenza di elementi privatistici, il che conferisce ad esse una impronta assai peculiare rispetto ad altre istituzioni pubbliche» (sentenza n. 195 del 1987), giungendo ad affermare che «devesi convenire con quella dottrina che parla di una assoluta tipicità di questi particolari enti pubblici, in cui convivono forti poteri di vigilanza e tutela pubblica con un ruolo ineliminabile e spesso decisivo della volontà dei privati, siano essi i fondatori, gli amministratori o la base associativa» (sentenza n. 396 del 1988).

L’importanza rivestita in un lungo arco temporale da tali Istituzioni di natura pubblica, la rilevanza degli statuti e delle tavole di fondazione, peraltro notevolmente eterogenei, ed i poteri di vigilanza e di tutela pubblica inducono ad affermare un’indubbia peculiarità di questo genere di soggetti, non catalogabili in precise categorie di enti pubblici. In questa sede, tuttavia, è utile sottolineare come l’evidenziata peculiarità delle IPAB non impedisca la riconducibilità delle stesse alle regole degli enti locali, quanto alla specifica disciplina della spesa ed, in particolare, di quella – di carattere rigido – concernente il personale. La disposizione interposta costituita dall’art. 76, comma 7, si riferisce all’intero complesso delle funzioni amministrative ascrivibili alle competenze delle autonomie locali, come testimonia l’inserimento, nel calcolo degli oneri del personale, della spesa sostenuta anche dalle società partecipate che integrano, sotto questo profilo, l’attività degli enti azionisti.

Nella prospettiva della finanza pubblica allargata, d’altronde, la presenza di enti già impegnati nel settore dei servizi sociali – nel quale operano parallelamente agli enti locali – e per di più soggetti ad un riordino che ne determina l’integrazione funzionale a livello infraregionale, comporta la necessità di un coordinamento complessivo onde evitare che il riordino possa diventare occasione per il superamento di quei limiti di spesa di personale, che il legislatore vede con notevole preoccupazione nel particolare momento storico in cui cade il riassetto.

Proprio la natura finanziaria strutturale dei principi richiamati nell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008 induce a ritenere che agli stessi parametri sia soggetta la gestione delle IPAB, soprattutto nel momento transitorio del trapasso dalle vecchie Istituzioni alle nuove Aziende.

Per questi motivi, la questione sollevata dal Presidente del Consiglio in merito all’art. 5, comma 2, della legge della Regione Abruzzo n. 17 del 2011 deve ritenersi fondata, con conseguente accoglimento del ricorso sul punto.

7.2.— Analoghe considerazioni riguardano la censura sollevata nei confronti dell’art. 15, comma 4, della legge regionale impugnata, secondo cui in sede di prima applicazione, e comunque fino all’approvazione del regolamento delle costituende ASP, queste ultime possono procedere a selezioni di personale in presenza di carenze correlate ad effettive esigenze di assicurare il regolare svolgimento delle attività statutarie. Poiché, per quel che riguarda le modalità attuative, l’art. 15, comma 4, richiama l’art. 5, comma 2, precedentemente esaminato, dall’illegittimità di quest’ultimo deriva quella della norma in esame, sebbene essa si riferisca ad un ente, l’ASP, diverso dalle IPAB. Anche in questo caso non si rinviene un’univoca classificazione di tale nuova tipologia di aziende, che mutuano caratteri misti e peculiari sia dalle disciolte Istituzioni che dal contesto programmatorio ed operativo in cui vengono inserite. Le accomuna alle IPAB la natura di ente pubblico, le differenzia certamente da esse il carattere imprenditoriale dell’attività esercitata, improntata a criteri di economicità anche se non rivolta a fini di lucro. Nondimeno, le stesse ragioni sistematiche che inducono a ricomprendere la gestione delle IPAB nel complesso della finanza pubblica allargata ed a sottoporle a coordinamento riguardano anche le ASP, per le quali si accentua l’integrazione nella programmazione e nella gestione dei servizi sociali su base locale nonché l’esigenza che detta integrazione si ispiri a criteri di efficienza ed economicità. Ciò comporta la conseguente preclusione normativa ad un loro utilizzo che possa concretarsi in strumento elusivo dei limiti di spesa corrente ed, in particolare, di quella rigida di personale, il cui contenimento il legislatore concepisce come misura strutturale per il risanamento dei conti pubblici nella loro consolidata consistenza.

Anche il regime delle assunzioni delle ASP deve dunque rispettare i limiti prescritti dall’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, risultando conseguentemente illegittima la prescrizione contenuta nell’art. 15, comma 4, della legge regionale impugnata.

7.3.— Ad analoga conclusione si perviene con riguardo ai commi 3 e 4 dell’art. 6 della medesima legge.

Dette disposizioni, con riferimento al caso di estinzione delle IPAB, prescrivono che, fino alla costituzione delle ASP, il personale dipendente ed i patrimoni delle Istituzioni siano assegnati temporaneamente ai Comuni nei quali risultano ubicate le strutture attraverso cui esse perseguivano i loro fini istituzionali; ciò con l’obbligo di successivo conferimento alle ASP territorialmente competenti (art. 6, comma 3). In particolare, fino alla costituzione delle Aziende il personale dipendente di ruolo delle Istituzioni estinte è assegnato, in via temporanea ed in posizione soprannumeraria rispetto alla dotazione organica, al Comune affidatario delle procedure di estinzione (art. 6, comma 4).

Secondo la Regione le prescrizioni in esame sarebbero perfettamente in linea con i principi contenuti nella legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e nel d.lgs. n. 207 del 2001 ed, in ogni caso, l’assegnazione temporanea del personale non costituirebbe “assunzione”, secondo l’accezione giuridica che questo termine riveste.

L’assunto non è condivisibile.

La posizione soprannumeraria, infatti, non può evitare l’incremento degli oneri del personale e la violazione delle percentuali in relazione alle quali l’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008 fissa i limiti strutturali per la gestione di detta categoria di spesa. Né può ritenersi che la temporanea assegnazione al Comune, pur in difetto di specifica previsione, debba avvenire nei limiti di compatibilità con le percentuali indicate dal parametro interposto, come dedotto dalla Regione, atteso che le norme regionali nulla dispongono per il caso in cui ciò non sia possibile a causa dell’eccessivo numero di unità di personale eventualmente interessate, implicitamente disponendone il transito integrale, quale che sia il contingente coinvolto.

Nel caso in esame non è revocabile in dubbio la piena operatività dell’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 207 del 2001, che dispone il subentro delle Aziende in tutti i rapporti attivi e passivi delle disciolte od estinte IPAB, e dell’art. 4, comma 3, dello stesso decreto, secondo cui l’attuazione del riordino non costituisce causa di risoluzione del rapporto di lavoro con il personale dipendente: non è in contestazione la volontà del legislatore statale di salvaguardare i livelli occupazionali, garantendo la continuità dei rapporti di lavoro. Anzi, il principio di continuità invocato dalla Regione non riguarda soltanto i rapporti di lavoro con il personale delle IPAB estinte, ma la stessa gestione dei servizi che il legislatore assegna alle istituende ASP.

Tuttavia, mentre la successione nei rapporti attivi e passivi viene sancita dal legislatore statale per quel che concerne il passaggio alle nuove Aziende, analoga previsione manca con riferimento ai Comuni, cui è semplicemente assegnato un ruolo gestionale nelle operazioni amministrative propedeutiche alla creazione ed al subentro delle ASP.

Il principio di successione e di mantenimento dei rapporti di lavoro può pertanto essere invocato soltanto in riferimento al subentro delle ASP e non in ordine al transito temporaneo nei Comuni, non contemplato dalla normativa statale.

Poiché, dunque, l’assegnazione temporanea del personale al Comune come momento attuativo del processo di riordino delle Istituzioni non trova fondamento legittimante nel d.lgs. n. 207 del 2001, il relativo onere non attiene ai rapporti di successione passiva e deve essere considerato quale mero fattore di incremento della spesa di personale, finendo in tal modo per collidere con i rigorosi precetti contenuti nell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008 e con le percentuali costituenti parametro di contenimento della spesa pubblica per la categoria in esame. Pertanto, l’art. 6, commi 3 e 4, della legge impugnata è costituzionalmente illegittimo per contrasto con la suddetta norma interposta e, dunque, con l’art. 117, terzo comma, Cost.

7.4.— I commi 6 e 7 dell’art. 6 non presentano profili di diretta interferenza con la norma interposta invocata dall’Avvocatura dello Stato poiché dispongono il trasferimento ai Comuni, con obbligo di successivo conferimento al patrimonio indisponibile dell’ASP territorialmente competente, delle strutture già destinate ad attività socio-assistenziali e socio-educative delle Istituzioni infraregionali aventi sede legale in altra Regione.

Tuttavia, trasferire al Comune strutture prive del personale che le utilizza renderebbe improduttiva e disfunzionale l’operazione, anche in considerazione del rilievo che nessuna norma autorizza il Comune stesso a gestioni stralcio, in attesa del subentro delle ASP. In tal modo, anche il principio di continuità dei servizi invocato dalla Regione non sarebbe salvaguardato, risultando assolutamente inutile ed irragionevole il passaggio temporaneo di tali cespiti patrimoniali nella sfera giuridica dell’ente locale. Pertanto, in considerazione dell’inscindibile connessione funzionale esistente tra i commi 3 e 4 dell’art. 6 afferenti al personale e le due disposizioni in esame, l’illegittimità costituzionale dei primi deve estendersi in via consequenziale alle seconde, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953 (ex plurimis, sentenza n. 131 del 2012).

Restano assorbite le ulteriori censure formulate con riguardo alle norme in esame.

8.— Quanto alle residue questioni di legittimità costituzionale proposte in riferimento agli artt. 97, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost. in relazione all’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, nessuna di esse è fondata.

8.1.— In particolare, l’art. 5, comma 1, e l’art. 15, comma 3, entrambi impugnati, sanciscono il divieto di ampliamento delle dotazioni organiche e di assunzione di personale a tempo indeterminato per posti vacanti in organico, sia per le IPAB sottoposte a riordino che per le istituende ASP.

Alla stregua di tale contenuto normativo non è configurabile una violazione dell’art. 97, terzo comma, Cost., unico parametro invocato con riguardo a dette norme.

8.2.— Neanche le censure proposte nei confronti dell’art. 6, comma 5, sono fondate, né in riferimento all’art. 97, terzo comma, Cost. né in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.

La disposizione, infatti, si limita a disciplinare e specificare gli adempimenti propedeutici al riordino già elencati all’art. 4, comma 1, della medesima legge regionale n. 17 del 2011. Tali incombenti consistono in una serie di operazioni indispensabili al riordino, quali la ricognizione delle situazioni giuridiche pendenti; dei saldi di tesoreria; del patrimonio mobiliare ed immobiliare; del personale già in servizio.

Non è dato vedere sotto quale prospettiva dette prescrizioni, finalizzate a raggiungere gli scopi previsti dalla normativa statale e da quella regionale, risultino lesive del principio di coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008 e del dettato dell’art. 97, terzo comma, Cost.

Anche in relazione all’esposta censura la questione deve dunque essere dichiarata non fondata.

9.— La questione sollevata nei confronti dell’art. 11, commi 8 e 9, della legge regionale n. 17 del 2011, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. ed alla norma interposta costituita dall’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, convertito in legge n. 122 del 2010, è fondata.

Quest’ultima disposizione afferma in modo incontrovertibile il principio di gratuità della partecipazione ad organi di enti che «comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche».

Essa si inquadra nelle misure di coordinamento della finanza pubblica ed assume una posizione autonoma e distinta dalle altre norme di analoga natura contenute nel medesimo art. 6, in ordine alle quali questa Corte ha avuto modo di affermare che l’articolo stesso «al fine di ridurre il costo degli apparati amministrativi, ha prescritto un taglio, secondo percentuali prestabilite, di numerose voci di spesa proprie delle amministrazioni statali, stabilendo altresì, al comma 20, che le singole disposizioni con cui tali tagli sono stati indicati nel corpo dello stesso art. 6 costituiscono principi di coordinamento della finanza pubblica per Regioni, Province autonome ed enti del Servizio sanitario nazionale» (sentenza n. 182 del 2011) e che «Il legislatore statale può, con una disciplina di principio, legittimamente imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti» (sentenza n. 132 del 2012).

Pur inserendosi in un contesto autonomo e distinto, sia sotto il profilo soggettivo che funzionale, dai restanti commi dell’articolo precedentemente evocato dalle richiamate sentenze, il parametro interposto di cui all’art. 6, comma 2, prima parte, del d.l. n. 78 del 2010 è anch’esso infatti norma di coordinamento della finanza pubblica ed, in quanto tale, indefettibile riferimento per la legislazione regionale. Detta norma si ispira alla finalità di contenimento dei costi della politica e degli apparati amministrativi così come il successivo comma 3 del medesimo art. 6, ma si differenzia da quest’ultimo sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo.

Per quel che riguarda il profilo soggettivo, occorre rilevare come la prima parte del comma 2 («A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto la partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti, che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, nonché la titolarità di organi dei predetti enti è onorifica; essa può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente; qualora siano già previsti i gettoni di presenza non possono superare l’importo di 30 euro a seduta giornaliera») si riferisca in generale agli enti fruitori di contributi a carico delle finanze pubbliche mentre l’ultimo periodo ne delimita l’ambito in senso negativo, escludendo espressamente l’operatività della norma nei confronti degli «enti previsti nominativamente dal decreto legislativo n. 300 del 1999 e dal decreto legislativo n. 165 del 2001, e comunque alle università, enti e fondazioni di ricerca e organismi equiparati, alle camere di commercio, agli enti del Servizio sanitario nazionale, agli enti indicati nella tabella C della legge finanziaria ed agli enti previdenziali ed assistenziali nazionali, alle ONLUS, alle associazioni di promozione sociale, agli enti pubblici economici individuati con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze su proposta del Ministero vigilante, nonché alle società».

Le ASP, in quanto enti infraregionali connotati da una gestione di tipo imprenditoriale delle proprie risorse secondo criteri di economicità (art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 207 del 2001 ed art. 7, comma 1, della legge regionale impugnata), non rientrano tra gli enti esclusi dall’applicazione del principio di gratuità, non essendo comprese nelle tipologie individuate per relationem mediante i richiami normativi operati dalla norma interposta e neppure tra quelli espressamente menzionati.

Anche sotto l’aspetto oggettivo, la fattispecie in esame rientra nella prescrizione dell’art. 6, comma 2, prima parte, del d.l. n. 78 del 2010. In particolare, non può essere condivisa la tesi della resistente, secondo cui la legge regionale impugnata non prevederebbe ipotesi di ricezione di «contributi a carico delle finanze pubbliche».

Diversi elementi, sia testuali che conseguenti all’interpretazione sistematica delle norme in materia, inducono a ritenere il contrario.

Anzitutto occorre rilevare come nella locuzione generale di enti «che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche» rientrino non solo quelli che ricevono erogazioni finanziarie bensì tutti quelli che ricevono qualunque beneficio in risorse pubbliche, in grado di incrementare le componenti attive del bilancio dell’ente destinatario o di diminuirne quelle passive. In proposito non v’è dubbio che le costituende ASP ricevano diversi cespiti di natura pubblica, sia di carattere finanziario che patrimoniale. Il decreto legislativo di riordino n. 207 del 2001, infatti, prevede all’art. 4, comma 1, che «Le istituzioni riordinate in aziende di servizi o in persone giuridiche private a norma del presente decreto legislativo conservano i diritti e gli obblighi anteriori al riordino. Esse subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza di cui alla legge 17 luglio 1890, n. 6972, dalle quali derivano». Pertanto sia i cespiti immobiliari che i contributi ed i finanziamenti già attribuiti dalle pubbliche amministrazioni rientrano nelle operazioni di successione.

Inoltre, le operazioni di trasformazione delle IPAB in ASP sono incentivate dal legislatore nel rispetto della finalità di attuare il processo di riorganizzazione: così gli atti relativi al riordino sono ad esempio esenti dalle imposte di registro, ipotecarie e catastali (art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 207 del 2001).

Con riguardo all’aspetto strettamente finanziario non può ignorarsi come esse acquisiscano le dotazioni di cassa delle preesistenti IPAB, alle quali hanno indubbiamente concorso i contributi regionali ad esse precedentemente spettanti per effetto delle leggi della Regione Abruzzo 2 ottobre 1998, n. 110, recante «Norme sulle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (I.P.A.B.) aventi sede ed operanti nel territorio regionale» (art. 9, commi 1 e 2: «1. La Regione eroga contributi a favore delle I.P.A.B. al fine di favorire il miglioramento dei servizi erogati agli utenti. 2. A tale scopo vengono stanziati nel bilancio regionale fondi per l’erogazione di: a) contributo in c/capitale per costruzioni e ristrutturazioni fabbricati; b) contributi in interessi su mutui per gli interventi di cui sopra; c) contributi per riqualificazione e formazione del personale; d) garanzie per i mutui CC.DD.PP.»), e 29 novembre 1999, n. 125, recante «Interventi per l’attivazione di R.S.A. pubbliche» (art. 2, comma 3: «Ai fini del finanziamento dei predetti adeguamenti – ossia, per adeguare le strutture delle IPAB che svolgono in via prevalente attività socio-sanitaria di assistenza ad anziani non autosufficienti, disabili o inabili comunque denominati –, si provvede con le risorse stanziate nel bilancio regionale di cui al successivo art. 7 nonché, con parte del risparmio ottenuto dalla decurtazione del 13% del tetto di spesa per l’acquisto di prestazioni dalle strutture private accreditate, al sensi della L.R. n. 37/1999»).

L’erogazione di tali contributi rimane confermata fino al completamento del riordino delle Istituzioni (art. 21, comma 4, della legge regionale impugnata). A sua volta, il d.lgs. n. 207 del 2001 dispone che le Regioni definiscano «le risorse regionali eventualmente disponibili per potenziare gli interventi e le iniziative delle istituzioni nell’ambito della rete dei servizi» (art. 2, comma 2, lettera c) e che, per «incentivare e potenziare la prestazione di servizi alla persona nelle forme dell’azienda pubblica di servizi alla persona» stabiliscano «i criteri per la corresponsione di contributi ed incentivi alle fusioni di più istituzioni» (art. 19, comma 1), eventualmente anche disciplinando procedure semplificate di fusione ed istituendo forme di incentivazione mediante iscrizione nel proprio bilancio di un apposito fondo cui destinare una quota delle risorse di cui all’art. 4 – rubricato «Sistema di finanziamento delle politiche sociali» – di cui alla legge n. 328 del 2000 (art. 19, comma 2).

La stessa legge regionale n. 17 del 2011 prevede l’inserimento delle ASP nel sistema integrato di interventi e servizi sociali realizzato sul territorio regionale (art. 1, comma 3) e la legge n. 328 del 2000 precisa che «la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali si avvale di un finanziamento plurimo a cui concorrono, secondo competenze differenziate e con dotazioni finanziarie afferenti ai rispettivi bilanci» gli enti locali, le Regioni e lo Stato (art. 4, comma 1).

Inoltre, l’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 207 del 2001 prevede che l’ASP «informa la propria attività di gestione a criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi, in questi compresi i trasferimenti» effettuati dalle pubbliche amministrazioni, mentre l’art. 14, comma 1, lettera e), dello stesso decreto prevede la redazione di un piano di valorizzazione del patrimonio immobiliare anche attraverso eventuali dismissioni, evidentemente produttive di corrispettivi finanziari.

Dal punto di vista più specificamente patrimoniale l’art. 7, commi 4, 6 e 7, della legge regionale n. 17 del 2011 prevede che i Comuni, nella fase di costituzione delle ASP, assicurino «il necessario apporto patrimoniale», sia in sede di confluenza nei nuovi soggetti degli organismi comunali preposti ai servizi alla persona (comma 4), sia in caso di partecipazione volontaria (comma 6), sia in caso di conferimento alle ASP di beni già trasferiti ai Comuni a seguito di pregresse estinzioni (comma 7).

Sotto il profilo sistematico non è altresì indifferente, ai fini della qualificazione della natura pubblica delle risorse gestite dalle ASP, il regime di controllo e vigilanza sulle aziende stesse, attribuito al competente servizio dell’assessorato regionale (art. 18 della legge regionale) ed il potere sostitutivo della Regione, di cui all’art. 19 della stessa legge impugnata.

Alla luce delle esposte ragioni deve ritenersi che al presidente e ai consiglieri di amministrazione delle ASP si applichi l’art. 6, comma 2, prima parte, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito in legge n. 122 del 2010, e che, pertanto, l’esercizio delle loro cariche sia gratuito, potendosi dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente. Ne deriva l’illegittimità dell’art. 11, commi 8 e 9, della legge regionale n. 17 del 2011 — in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. – che prevede la corresponsione di un’indennità agli organi suddetti, con conseguente accoglimento del ricorso anche sotto questo profilo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 5, comma 2, 6, commi 3, 4, 6 e 7, 15, comma 4, e 11, commi 8 e 9, della legge della Regione Abruzzo 24 giugno 2011, n. 17, che reca «Riordino delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza (IPAB) e disciplina delle Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP)»;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, 6, comma 5, e 15, comma 3, della medesima legge della Regione Abruzzo n. 17 del 2011, promosse, in riferimento agli artt. 97, terzo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2012.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI