Pensioni: assegno infermità tubercolare e perequazione 

NOTA

Con la sentenza in rassegna, la Sezione Basilicata ribadisce – sulla scia della giurisprudenza prevalente – che l’assegno di cura a favore dei titolari di pensione privilegiata per infermità tubercolare – originariamente previsto dall’art. 5, L. 23 aprile 1965 n. 488/1965 e poi disciplinato dall’art. 108, D.P.R. 29 dicembre 1973 n. 1092 – non beneficia di alcun meccanismo di adeguamento nel tempo dell’importo dell’assegno, escludendo altresì che la mancata previsione nell’art. 108 cit. di qualsiasi meccanismo di adeguamento determini violazione di parametri costituzionali.

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REPUBBLICA ITALIANA Sent. n. 95/2012/C

in nome del popolo italiano

LA CORTE DEI CONTI

Sezione giurisdizionale per la regione Basilicata

in composizione monocratica

Il Giudice

Giuseppe TAGLIAMONTE

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n.7722/C del registro di Segreteria,

proposto dal sig. P. L. rappresentato e difeso per procura in calce al ricorso, dagli avv.ti Daniele OLIVIERO e dall’avv. Antonio SALVIA, ed elettivamente domiciliato presso lo studio di questi sito in Potenza, al viale Marconi n. 219.

contro l’INPDAP – Direzione Interprovinciale Potenza e Matera – Sede di Matera (ora INPS gestione ex INPDAP);

avverso il diniego del diritto alla perequazione dell’assegno di cura sul trattamento pensionistico privilegiato in godimento n.3961472;

Con l’assistenza del segretario dott. Angela MICELE.

Visti tutti gli atti e i documenti di causa.

Uditi, nella pubblica udienza del 15 maggio 2012, l’avv. Rosa PEPE delegata dai difensori costituiti del ricorrente odierno, la dott. Rosa GUANTARIO per l’INPS gestione ex INPDAP.

Ritenuto in

FATTO

Con ricorso ritualmente notificato, e depositato presso la Segreteria di questa Sezione Giurisdizionale in data 17.3.2010, il sig. P. L., come sopra rappresentato e difeso, riferiva che, con istanza del 25.6.2009, aveva chiesto all’INPDAP di Matera la riliquidazione dell’assegno di cura, corrisposto unitamente alla pensione privilegiata, con applicazione ad esso della perequazione automatica e che l’Istituto previdenziale non aveva mai risposto alla propria richiesta.

Parte ricorrente sottolineava come l’assegno di cura – originariamente previsto dall’art. 5 della l.n. 488/1965 e poi disciplinato dall’art. 108 del D.P.R. n. 1092/1973 – a favore dei titolari di pensione privilegiata per infermità tubercolare, fosse prestazione economica accessoria al trattamento pensionistico privilegiato e pertanto ad esso andasse applicato “il meccanismo legale di perequazione automatica di cui all’art. 11 del D.P.R. n. 503/1992, ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 3, comma 2, Cost., 38, comma 2 Cost. e dell’art. 59, comma 4, L.n. 449/1997”.

Pertanto il ricorso e la memoria difensiva depositata in prossimità della odierna udienza di discussione, dopo aver ampiamente richiamato varie pronunce della Corte Costituzionali da cui trae il principio che le prestazioni previdenziali e pensionistiche devono mantenere nel tempo la loro originaria “adeguatezza”, e le statuizioni contenute nella sentenza della Corte dei conti Sez. Lombardia n. 500/2008 favorevole alla richiesta di parte ricorrente, concludevano, in via principale, affinché venisse dichiarato il diritto del sig. Lo Capo alla riliquidazione dell’assegno di cura con applicazione ad esso della perequazione automatica; in via subordinata, si chiedeva che fosse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 108 del D.P.R. n. 1092/1973, nella parte in cui non prevede un meccanismo di periodico adeguamento dell’importo dell’assegno di cui trattasi, per violazione degli artt 2, 3 comma 2 e 38 comma 2 della Costituzione.

Si costituiva in giudizio l’INPDAP di Matera che, con memoria depositata in Segreteria l’1.12.2011, eccepiva la propria estraneità nella controversia oggi all’esame di questo Giudice in quanto tutti i provvedimenti relativi al trattamento pensionistico privilegiato goduto dal sig. L. erano stati emessi direttamente dal Ministero della Difesa – Marina Militare nella sua qualità di Ordinatore primario di spesa. L’Ente previdenziale, subentrato alla ex D.P.T. nella gestione dei pagamenti della pensioni a far data dall’1.1.2010, all’epoca del pensionamento del sig. L. avvenuto in data 127.12.1968, non aveva alcuna competenza né in materia di liquidazione, né di eventuali successive riliquidazioni. In via gradata, l’INPDAP eccepiva l’avvenuta prescrizione quinquennale del credito vantato ovvero dei singoli ratei mensili e degli interessi richiesti.

Si celebrava cosi l’odierna pubblica udienza, nel corso della quale le parti insistevano per l’accoglimento delle rispettive ed opposte richieste contenute negli atti di causa.

Ritenuto in

DIRITTO

In via preliminare, per quanto riguarda l’eccezione di difetto di legittimazione passiva con conseguente richiesta di estromissione formulata dall’INPDAP, va osservato che il predetto Istituto non è estraneo alla controversia, in quanto allo stesso spetterebbe, in caso di accoglimento del ricorso, l’erogazione della pensione riliquidata.

D’altra parte, per consolidati orientamenti giurisprudenziali, le attribuzioni di ordinatore principale e secondario di spesa costituiscono una ripartizione di competenze all’interno di un unico apparato, che risulta obbligato, sotto il profilo soggettivo, tanto all’emissione del decreto di liquidazione della pensione, quanto all’esecuzione dei relativi pagamenti.

Alla luce di quanto sopra deve pertanto ritenersi che tra il Ministero della Difesa – nel caso di specie Amministrazione datrice di lavoro – e l’INPDAP venga a configurarsi una situazione di litisconsorzio, posto che, in relazione al complesso procedimento di liquidazione della pensione entrambi tali soggetti conservano, seppure in fasi diverse, una propria competenza.

L’eccezione di difetto di legittimazione passiva e la conseguente richiesta di estromissione dal giudizio vanno pertanto respinte.

Nel merito, il ricorso non può trovare accoglimento.

Infatti la decisione della Sez. Lombardia n. 500/2008 favorevole alla richiesta di parte ricorrente, le cui tesi – peraltro fondate su una lettura sistematica di altre norme non riguardanti l’assegno di cura di cui trattasi – sono state richiamate nell’atto introduttivo del giudizio, è del tutto minoritaria rispetto alla prevalente giurisprudenza della Corte dei conti (cfr. ex plurimis: sez. Lombardia n. 205/2009, n.548/2010, n.138/2011, Sez. Piemonte n.171/2010, n.20/2011, Sez. Marche n.59/2011), da cui questo giudice non ha motivo di discostarsi.

Invero, in mancanza di una specifica disposizione di legge che consenta di adeguare l’importo dell’assegno di cura di cui trattasi, la domanda non può essere accolta, non potendosi sopperire in via giurisdizionale ad interventi normativi frutto di scelte insindacabili, prima facie peraltro non irragionevoli.

Difatti l’art. 108 del d.P.R. 29 dicembre 1973 n.1092 che disciplina l’assegno di cura “a favore dei titolari di pensione o assegno privilegiato per infermità tubercolare o di sospetta natura tubercolare, che non abbiano assegno di superinvalidità”, non prevede alcun meccanismo di adeguamento nel tempo dell’importo dell’assegno di cui trattasi.

La tesi di parte attrice si fonda sulla considerazione secondo la quale, costituendo detto assegno prestazione economica accessoria al trattamento pensionistico privilegiato, sarebbe inseribile a tutti gli effetti nella pensione base su cui opera, per legge, la perequazione automatica, per cui esso beneficerebbe della perequazione automatica delle pensioni, prevista dall’art. 59, comma 4, della legge 27 dicembre 1997 n.449, e attuata secondo le modalità di cui all’art. 11 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n.503, “con esclusione di diverse forme, ove ancora previste, di adeguamento anche collegate all’evoluzione delle retribuzioni di personale in servizio”.

Ritiene questo Giudice che tale tesi non sia condivisibile. Al riguardo, appaiono condivisibili le argomentazioni già espresse dal Giudice delle pensioni della Sezione giurisdizionale lombarda nella sentenza n.548/2010, in cui si sostiene che “sebbene l’assegno in questione rientri sicuramente nella materia pensionistica intesa in senso ampio, l’estensione pura e semplice della normativa, relativa alla perequazione delle pensioni in genere, non appare corretta; infatti, è agevole osservare che l’art. 59, comma 4, della legge 27 dicembre 1997 n. 449 ha introdotto restrizioni in materia di perequazione delle pensioni; esso va pertanto interpretato secondo un criterio limitativo, piuttosto che estensivo, delle disposizioni che contiene. A favore di tale considerazione milita anche un altro elemento: non vi è dubbio che la legislazione in materia pensionistica abbia seguito, fin dall’inizio degli anni ’90, una linea tendenzialmente restrittiva in merito alla scelta dei meccanismi di perequazione. Come affermato dalla Corte Costituzionale (cfr., fra le altre, n. 226/93), la materia dell’aggiornamento delle pensioni rientra esclusivamente nella discrezionalità del legislatore, il quale, scegliendo in concreto il meccanismo di perequazione, è chiamato a operare il bilanciamento tra le varie esigenze, nel quadro della politica economica generale e delle concrete disponibilità finanziarie”.

Alla luce delle considerazioni sopra illustrate, il ricorso in esame non merita accoglimento.

Appaiono manifestamente infondate anche le prospettate (in via subordinata) questioni di legittimità costituzionale dell’art. 108 del D.P.R. n.1092/1973, nella parte in cui non prevede un meccanismo di periodico adeguamento dell’importo dell’assegno di cui trattasi, per violazione degli artt 2, 3 comma 2 e 38 comma 2 della Costituzione.

Infatti più volte la Corte Costituzionale (ex plurimis la succitata sentenza n.226/93) ha osservato che rientra nella piena discrezionalità del legislatore stabilire – col solo limite della palese irrazionalità – nell’ambito di un più vasto disegno di attuazione dei principi costituzionali, l’istituzione, la misura, le variazioni o, addirittura, la soppressione di qualsivoglia provvidenza o assegno accessorio.

Dunque, spetta unicamente al legislatore, sulla base di un ragionevole bilanciamento dei valori contrapposti, legati alle esigenze di vita dei beneficiari (artt. 2, 3, 32, 36 e 38 Cost.) e ai vincoli e alle esigenze di bilancio (art. 81 Cost.), dettare la disciplina di un adeguato trattamento pensionistico.

Pertanto va dichiarata manifestamente infondata la segnalata questione di legittimità costituzionale (in senso conforme Sez. Lombardia n. 548/2010, Sez. Marche n. 45/2011 e n. 59/2011, n. 80/2011).

Sussistono gravi motivi, considerata la complessità della questione in trattazione e le passate oscillazioni giurisprudenziali in materia, per disporre la compensazione delle spese di giudizio, ai sensi dell’art. 92 c.p.c..

P.Q.M.

La Corte dei conti – Sezione Giurisdizionale della Basilicata – definitivamente pronunciando sul ricorso proposto dal sig. P. L. nei confronti dell’INPDAP – Direzione Interprovinciale Potenza e Matera – Sede di Matera (ora INPS gestione ex INPDAP), contrariis reiectis, così decide:

a) respinge l’eccezione di difetto di legittimazione passiva e la conseguente richiesta di estromissione dal giudizio dell’INPS gestione ex INPDAP;

b) nel merito respinge il ricorso;

c) dichiara manifestamente infondata l’eccezione di legittimità costituzione subordinatamente sollevata;

d) compensa le spese.

Così deciso in Potenza nella Camera di Consiglio successiva all’udienza del 15 maggio 2012

Si dà atto, inoltre, dell’avvenuta lettura delle ragioni di fatto e di diritto, secondo il novellato art. 429 c.p.c., in forma equipollente, attraverso il deposito della sentenza nello stesso giorno dell’udienza.

Il Giudice

f.to Giuseppe TAGLIAMONTE

Depositata in Segreteria il 15 maggio 2012

il Collaboratore amm.vo

f.to dott. Angela MICELE