Finanza pubblica: l'art. 5, D.L. n. 78/2010 si applica anche al Consiglio delle Autonomie locali

La Sezione Lazio si esprime in ordine alla possibilità da parte della Regione Lazio di riconoscere forme di indennità o di gettoni di presenza, sia ai componenti del Consiglio delle autonomie locali che rivestono cariche elettive, sia ai componenti che non rivestono alcuna carica elettiva.

Il Collegio conclude, all’esito di un attento esame del dato positivo, che il Consiglio delle Autonomie locali è soggettoall’applicazione delle disposizioni di natura vincolistica contenute nell’art. 5, co. 5 e 11,D.L. 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla L. 30 luglio 2010, n. 122.

Deliberazione n. 79/2012/PAR
Regione Lazio (Consiglio Regionale)

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE DEI CONTI

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER IL LAZIO

Nella Camera di consiglio del 28 novembre 2012

composta dai magistrati:

Ignazio Faso Presidente;

Rosario Scalia Consigliere, relatore;

Maria Luisa Romano Consigliere;

Carmela Mirabella Consigliere;

Rosalba Di Giulio Consigliere;

Maria Teresa D’Urso Primo Referendario;

Donatella Scandurra Primo Referendario.

Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;

Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161, e successive modificazioni;

Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20, e successive modificazioni;

Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, più volte modificato, da ultimo con la deliberazione delle Sezioni riunite n. 229 dell’11/19 giugno 2008;

Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;

Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni e integrazioni;

Vista la legge statutaria 11 novembre 2004, n. 1, recante “Nuovo Statuto della Regione Lazio” come modificata dalla legge statutaria 4 ottobre 2012, n. 1;

Vista la legge regionale 26 febbraio 2007, n. 1, recante «Disciplina del Consiglio delle autonomie locali», in attuazione dell’art. 123, comma 4, Cost.;

Vista la nota n. 3611/GP del 17 ottobre 2012 con la quale il Presidente del Consiglio regionale del Lazio ha trasmesso una richiesta di parere alla Sezione Regionale di controllo per il Lazio ai sensi dell’art. 7, comma 8, della citata legge n.131/2003;

Vista l’ordinanza n. 32 in data 27 novembre 2012, con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per l’adunanza odierna per deliberare, tra l’altro, sulla richiesta sopra indicata;

Udito il relatore, Consigliere Rosario Scalia;

FATTO

Con nota n. 3611/GP del 17 ottobre 2012, il Presidente del Consiglio regionale del Lazio ha inoltrato una richiesta di parere a questa Sezione Regionale di controllo, ai sensi di quanto previsto dall’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e successive modificazioni e integrazioni.

Nel richiamare l’attenzione della Corte sul fatto che la previsione costituzionale di cui all’articolo 123, c. 4, avrebbe inteso riconoscere al Consiglio delle autonomie locali, in quanto organo di consultazione e di raccordo fra la Regione e gli enti locali, un ruolo di rilevanza costituzionale, il Presidente del Consiglio regionale nota come la Regione Lazio abbia assicurato adempimento alla prescrizione richiamata prevedendone l’istituzione con gli articoli 66 e 67 dello Statuto, approvato con legge statutaria 11 novembre 2004, n. 1.

Il richiedente ha ritenuto, poi, di dover sottolineare come il complesso delle funzioni e dei compiti previsti dai richiamati articoli dello Statuto regionale, avrebbe fatto assumere a tale organo collegiale un evidente “ruolo di rappresentanza degli interessi del sistema delle autonomie regionali”; ruolo che sarebbe stato – sempre a dire del richiedente – confermato recentemente dal Parlamento nazionale avendo attribuito ad esso il compito di assicurare un positivo contributo all’elaborazione dello schema di piano per il riordino delle Province con l’art. 17 del decreto legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135.

Il richiamo fatto alla legge regionale 26 febbraio 2007, n. 1, recante la “Disciplina del Consiglio delle autonomie locali” (d’ora in poi, CAL) viene ritenuto necessario per giustificare la richiesta di parere ai sensi dell’art. 7, c. 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131.

Infatti , si fa presente che il CAL risulta costituito sia da componenti titolari di cariche elettive (quali il Sindaco di Roma Capitale, i Sindaci di Comuni Capoluogo di Provincia, i Presidenti di Provincia a norma dell’art. 2, comma 1), sia da rappresentanti dei Comuni non capoluogo di Provincia, delle comunità montane e di arcipelago ai sensi dell’art. 2, comma 3, nonché da rappresentanti dei Consigli provinciali [art. 2, comma 4, lett. a)], sia, infine, da componenti non titolari di cariche elettive, quali i presidenti – a livello regionale – di cinque associazioni rappresentative degli interessi degli enti locali [art. 2, comma 4, lett. b)].

Per quanto di interesse, si richiama l’attenzione sul fatto che la stessa legge prevede sia forme d’indennità nei confronti dei componenti l’Ufficio di presidenza di tale Organo, sia la corresponsione – a favore di tutti gli altri componenti – di un gettone di presenza “in misura pari quello previsto per le sedute del Consiglio comunale del capoluogo di Regione” per ogni giornata di partecipazione a sedute del CAL, rimanendo pur sempre assicurato il rimborso delle spese di viaggio – limitatamente ai non residenti nel Comune di Roma – sempre in relazione all’accertata partecipazione a tali sedute.

In considerazione dei particolari limiti introdotti dall’articolo 5, comma 5, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122 (disposizione quest’ultima che la Corte Costituzionale ha ritenuto, con sentenza n. 151 del 6 giugno 2012, costituire “principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica, ascrivibile alla competenza legislativa dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma 3, Cost.”), il Presidente del Consiglio regionale esprime perplessità sull’applicabilità di tale normativa ai componenti del CAL.

A sostegno della posizione espressa – nell’enucleare, anche se in sintesi, la specifica tipologia di compiti e funzioni affidati a tale Organo dalla legislazione sia statale che regionale, – si ritiene utile, da parte del Presidente del Consiglio regionale, evidenziare la sussistenza di alcune particolarità di natura istituzionale: il fatto che i Consigli delle autonomie locali “ sono organi la cui esistenza discende da espressa previsione costituzionale e che appunto (n.d.a.), svolgono un ruolo del tutto peculiare rispetto alla generalità di organi collegiali a carattere amministrativo”.

Ad ulteriore supporto della tesi così esposta, il Presidente del Consiglio regionale richiama l’attenzione della Sezione, oltre che sulla eventualità di fare ricorso alla disposizione di cui all’art. 6, comma 3, della indicata legge 30 luglio 2010, n. 122 (con possibilità, quindi, di operare una riduzione del 10% degli emolumenti corrisposti dalle pubbliche amministrazioni rispetto agli importi corrisposti alla data del 30 aprile 2010), anche sulla sussistenza di alcune ulteriori peculiarità istituzionali di carattere formale (il fatto che le nomine dei componenti dell’Organo di cui trattasi avvengano con decreto del Presidente della Regione, e che il CAL sia istituito “presso” il Consiglio regionale).

Alla luce delle considerazioni esposte viene richiesto alla Sezione di esprimere parere, i sensi dell’articolo 7, comma 8, della legge n. 131/2003, “in ordine alla possibilità da parte della Regione di riconoscere forme di indennità o di gettoni di presenza sia ai componenti del Consiglio delle autonomie locali che rivestono cariche elettive sia ai componenti che non rivestono alcuna carica elettiva”.

DIRITTO

La Sezione è chiamata, in via preliminare, a pronunciarsi sull’ammissibilità soggettiva e oggettiva della richiesta, con riferimento ai parametri derivanti dalla natura della funzione consultiva prevista dalla normativa vigente.

1. La richiesta di parere di cui sopra è intesa ad avvalersi della facoltà prevista dalla norma contenuta nell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, la quale dispone che le Regioni, i Comuni, le Province e le Città metropolitane possono chiedere alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti “pareri in materia di contabilità pubblica”.

La funzione consultiva delle Sezioni regionali è inserita nel quadro delle competenze che la legge n. 131/2003, recante “Adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3”, ha attribuito alla Corte dei conti.

La richiesta di parere proviene dal Presidente dei Consiglio regionale del Lazio.

Si tratta, quindi, di verificare se e in quale misura è stata rispettata , oltre che nella lettera anche nella sostanza, la disposizione contenuta nell’art. 7, c. 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, alla luce anche delle più recenti innovazioni legislative introdotte dal decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174.

Infatti, tale disposizione individua gli Enti che hanno titolo ad avanzare tale tipologia di richiesta, e, tra questi, l’Ente Regione, senza che il Legislatore si sia preoccupato di indicare quale sia il soggetto, rappresentativo dei relativi interessi abilitato in concreto a esercitare tale “facultas legis”.

A giustificare la scelta di natura politico-istituzionale sinora fatta – quella di individuare il Presidente della Giunta Regionale così come gli Assessori da lui delegati – si è posta la considerazione – peraltro ampiamente espressa in altri precedenti pareri di questa Sezione (delib. n. 4 e n. 28/2009/PAR; più recentemente, delib. n. 55/2012/PAR e delib. n. 56/2012/PAR;) – che la Corte dei conti, nello svolgimento delle sue funzioni poste dagli artt. 100 e 103 della Costituzione a tutela e salvaguardia della finanza pubblica “allargata”, è da qualificare ormai organo ausiliare, nelle materia della contabilità pubblica, non solo del Governo nazionale ma anche degli altri livelli di governo.

È ben nota, poi, la interpretazione fornita alla norma all’esame dalla Sezione nei casi in cui la richiesta sia stata avanzata dai componenti politici della Giunta regionale, quindi, da chi risulti essere stato incaricato di svolgere le funzioni di assessore (cfr. Sez. controllo Lazio, delib. 61/2011/PAR).

Nel caso di specie, si tratta di chiarire ulteriormente se, nel contesto ordinamentale quale risulta definito dal richiamo che la Corte Costituzionale ha più volte fatto al ruolo della Corte dei conti, cioè di Organo a supporto dello Stato – comunità (cfr., ex multis, Corte Cost., sent. n. 470/1997; sent. n. 267/2006; sent. n. 170 e 285/2007), il Presidente del Consiglio regionale possa qualificarsi organo corresponsabile delle scelte politico-amministrative imputabili all’Ente Regione (cfr. Sez. controllo Lazio, delib. 44/2010/PAR).

La risposta non può essere data se non a seguito dell’analisi che si deve necessariamente fare delle funzioni che tale Organo è tenuto a svolgere in base alla legislazione vigente.

Non sembra sussistere alcun dubbio, comunque, sul fatto che tale organo previsto dall’art. 21 dello Statuto regionale – risultando essere espressione della maggioranza di governo (Presidente e Giunta regionale), in conseguenza dei ben noti meccanismi di elezione dei rappresentanti politici anche di livello regionale – ne condivide pienamente le responsabilità sia di natura politica – che si concretizzano nella produzione/abrogazione di leggi che hanno sempre effetti sul bilancio regionale (art. 23 – 26 St. cit.) – sia di natura amministrativa – che si concretizzano, peraltro, nell’azione di sindacato ispettivo che il Consiglio regionale svolge nei riguardi dell’Amministrazione attiva ai sensi dell’art. 33, comma 5, della L.R. statuaria n. 1/2004 già richiamata.

In ordine al primo fascio di responsabilità assumono particolare rilievo le funzioni previste dall’art. 4 (Presidente del Consiglio), dall’art. 7 (Ufficio di Presidenza), dall’art. 8 (Conferenza dei Presidenti dei gruppi consiliari), nonché quelle previste nei Titoli II e III del Regolamento di funzionamento del Consiglio regionale, assunto con delibera dello stesso in data 4 luglio 2001, n. 62 (pubblicata in BURL 30 agosto 2001, n. 24).

In ordine al secondo fascio di responsabilità assumono ulteriore e specifico rilievo le diverse forme in cui si esplicita il sindacato ispettivo del Consiglio regionale sull’attività svolta dal Presidente e dalla sua Giunta in ordine all’esecuzione che quest’ultimi sono tenuti a fare della legislazione che regolamenta le diverse politiche pubbliche di competenza.

Infatti, ai sensi dell’art. 93 del richiamato Regolamento di funzionamento del Consiglio regionale n. 62/2001, il Presidente è tenuto a ricevere le mozioni e le interpellanze (Sez. IV – Sez. V) al fine di guidare l’eventuale dibattito che ne consegue.

Se di tale normativa si da, poi, una lettura integrata con le più recenti disposizioni contenute nel decreto legge 10 ottobre 2012, n. 174 (art. 1, c. 4, 7, 12 e 15), viene in immediato rilievo la sussistenza di una nuova e autonoma capacità di interlocuzione tra tale organo e l’Istituzione superiore di controllo, quale è la Corte dei conti in Italia.

Si devono ritenere confermative, quindi, della tesi che riconosce a tale soggetto istituzionale la qualità di organo corresponsabile della conduzione politico-amministrativa dell’Ente Regione – con una capacità di influenza sulla regolazione degli interessi socio-economici della comunità regionale più alta di quanto non si esercitabile da un singolo componente di Giunta, le disposizioni contenute nell’art. 1, c. 4 (Il Consiglio regionale risulta destinatario delle relazioni quadrimestrali sulla tipologia della copertura finanziaria adottata nelle leggi regionali approvate), nello stesso articolo, al c. 7 (Il Presidente del Consiglio è destinatario del referto della Corte dei conti sulla regolarità della gestione e sulla efficacia e sulla adeguatezza del sistema dei controlli interni) e, infine, al comma 12 e al comma 15 (delibera della Corte dei conti trasmessa sul rendiconto dei Gruppi assembleari e sul rendiconto generale dell’Assemblea) del su richiamato provvedimento.

In relazione a ciò, si può ritenere condivisibile la tesi che riconosce a tale Organo la facoltà di presentare richieste in tema di contabilità pubblica in considerazione del fatto che egli è responsabile, sotto il profilo dell’indirizzo, circa il suo utilizzo, del bilancio del Consiglio regionale, pur essendo la gestione assegnata, per l’estensione a tale organizzazione del principio di cui all’art. 4, commi 1 e 2, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, a un apparato amministrativo, costituito dal Segretario generale e dal personale di qualifica dirigenziale preposti ai diversi servizi in cui è articolato il Segretariato generale.

2. Non sussistono dubbi in ordine all’ammissibilità sotto il profilo oggettivo.

A tal riguardo, appare dirimente – anche ai fini del richiamo che la Sezione ritiene di dover fare alle indicazioni contenute nelle deliberazioni della Sezione delle Autonomie (delib. n. 5 del 17 febbraio 2006 e n. 9 del 4 giugno 2009) – la decisione assunta dalla Corte Costituzionale con la sentenza 6 – 14 giugno 2012, n. 151, secondo cui le disposizioni contenute nell’art. 5, c. 5 della legge n. 122/2010 – sulla cui portata (estensione della loro applicazione al CAL) è stata richiesta pronuncia di natura interpretativa – sono da qualificare norme riconducibili nell’alveo della legislazione posta dallo Stato a tutela della finanza pubblica sotto il profilo della ricerca del continuo perseguimento di misure atte a contenere la spesa pubblica e, in particolare, quella improduttiva.

Occorre, rilevare comunque che la disposizione contenuta nel comma 8, dell’art. 7 della legge n. 131/2003 – a tenore della quale le richieste di parere devono vertere sulla materia della contabilità pubblica – va raccordata con il precedente comma 7, che attribuisce alle Sezioni Regionali della Corte dei conti la funzione di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di principio e di programma, la sana gestione finanziaria degli enti locali.

Il raccordo tra le due disposizioni opera nel senso che il comma 8 prevede forme di collaborazione ulteriori rispetto a quelle del precedente comma, rese esplicite in particolare con l’attribuzione agli enti della facoltà di chiedere, tra l’altro, anche pareri in materia di contabilità pubblica.

Al riguardo, pur essendo stato più volte affermatoche le Sezioni regionali della Corte dei conti non svolgono una funzione consultiva a carattere generale in favore delle regioni e degli enti locali, e che le attribuzioni consultive si connotano su quelle di controllo, anch’esse conferite dalla legge in funzione collaborativa, è da rammentare che le Sezioni riunite della Corte dei conti, intervenendo con una pronuncia in sede di coordinamento ai sensi dell’art. 17, comma 31, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, hanno delineato una nozione unitaria della materia della contabilità pubblica, fondata sul “sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici”, da intendersi tuttavia in senso dinamico, anche in relazione alle materie che incidono sulla gestione del bilancio e sui suoi equilibri (cfr. deliberazione n. 54, in data 17 novembre 2010).

In relazione a ciò si può dare ingresso alle valutazioni di merito.

  1. La questione che la Sezione ritiene di dover delibare, in primis, è se la previsione, contenuta nell’art. 123, c. 4, Cost. – di dovere ogni Regione procedere alla istituzione, nel relativo statuto, del Consiglio delle autonomie locali possa costituire uno schermo (ostacolo) all’applicazione dell’art. 5, c. 5, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122, alla totalità, o a una parte, dei soggetti che hanno i requisiti per ricoprire l’incarico di componenti di tale organo collegiale.

In sostanza, la qualificazione di Organo “a rilevanza costituzionale”, alla quale ha ritenuto di dover fare insistito riferimento il richiedente, sembrerebbe costituire, prima facie, un elemento da poter utilizzare a garanzia del sereno svolgimento di funzioni e compiti che condividono ora la natura di missioni poste a supporto dell’azione di governo ora la natura di missioni poste a supporto del potere legislativo.

Se si dovesse accedere a tale tesi, la Sezione ritiene che non si riuscirebbe ad assicurare una interpretazione coerente del complesso sistema di norme che il Parlamento, non certo a iniziare dal 2010, ha ritenuto di dover porre a presidio dell’obiettivo fondamentale da conseguire, quello di effettuare economie reali “negli Organi costituzionali, in quelli di governo e negli apparati politici” (tale è il tenore della rubrica dell’art. 5 richiamato).

Infatti il Legislatore nazionale, preoccupato della grave situazione economica e finanziaria in cui versava il Paese, ha voluto che, a ricadere nell’area delle istituzioni chiamate ad assicurare il loro impegno al perseguimento dell’obiettivo politico dichiarato (riduzione del deficit accumulato anche con riferimento alle spese di natura amministrativa e per il personale) dovessero essere anche – è opportuno chiarirlo in questa sede e per il prosieguo delle valutazioni che si effettueranno sulla fattispecie sottoposta all’esame – la Presidenza della Repubblica, il Senato della Repubblica, la Camera dei deputati nonché la Corte Costituzionale.

A tali Organi costituzionali l’art. 5 citato ne aggiunge altri. Infatti, si prevede espressamente che tali restrizioni riguardino anche “i trattamenti economici degli organi indicati nell’art. 121 della Costituzione”, cioè dei Consigli regionali, delle relative Giunte e dei rispettivi Presidenti.

Lasciando il Legislatore nazionale alla sfera decisionale di tali Organi la responsabilità morale di decidere essi stessi delle riduzioni, risultando dettate dal grado di eticità che i suoi componenti sarebbero stati in grado di esprimere, alla Corte Costituzionale – a fronte delle critiche mosse da alcune regioni (Liguria – Emilia Romagna) – è stato possibile dichiarare la manifesta inammissibilità dell’impugnativa effettuata in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Se tale è la platea dei destinatari, l’interprete delle disposizioni all’esame non può fare a meno di considerare priva di pregio l’osservazione, che è stata svolta a pro della tesi di una sottrazione dei componenti dei Consigli delle autonomie Locali alla regola posta dal richiamato art. 5, c. 5.

Tale tesi dimostra, poi, tutta intera la sua illogicità – al di là della “ratio legis” che si ritiene di dover rinvenire nel complesso del sistema normativo che da tempo tende a porre un argine all’incremento non giustificato di trattamenti economici legati o derivati dall’autoproduzione di organismi nel contesto delle autonomie territoriali – quando si cerca di applicare le disposizioni richiamate alle diverse situazioni che la realtà locale propone all’interprete.

3. Esclusa l’applicabilità al caso sottoposto all’esame delle disposizioni contenute nell’art. 6, c. 3, della più volte richiamata legge n. 122/2010, – caso che si deve, quindi, ritenere impropriamente richiamato dal richiedente il parere – in quanto tale norma si riferisce chiaramente a “organi a composizione singola o collegiale” ma esplicanti poteri decisionali (cioè che hanno responsabilità gestionali), si rende, ora, necessario porre attenzione a due aspetti che si dimostra utile approfondire per assicurare una giusta interpretazione alle disposizioni all’esame.

In primo luogo, è utile definire, più approfonditamente, la tipologia dei potenziali destinatari delle prescrizioni contenute nel richiamato art. 5, c. 5; in secondo luogo, sembra necessario chiarire la nozione di “incarico conferito dalle pubbliche amministrazioni di cui al comma 3 dell’art. 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196”.

Ritenendo necessario affermare che tale disciplina, in via principale, si applica a quanti sono eletti a livello di autonomie territoriali, sembra utile individuare la ragione giustificativa che lega ciò al complesso delle regole che hanno inteso operare la riduzione di quella che, da qualche tempo, la Corte dei conti ha chiamato con il termine onnicomprensivo di “amministrazione indiretta”, cioè quel complesso di mondo fatto di enti, organismi, società e istituzioni nei cui riguardi si sono fatte esternalizzazioni di compiti/funzioni, di ogni tipo, da parte del sistema delle autonomie locali.

Le disposizioni di natura vincolistiche, contenute sia nel comma 5 che nel comma 11 dell’art. 5 all’esame vanno lette, quindi, sulla scia di quell’orientamento legislativo che si è proposto di disboscare il sistema delle c.d. “esternalizzazioni”.

Per capire la portata cioè, della disposizione (cioè per valutare la sua estensione in termini di identificazione dei destinatari) occorre individuare ad avviso della Sezione, la ratio legis , cioè l’obiettivo che con tale disposizione il Legislatore (Parlamento nazionale) ha ritenuto di dover perseguire non solo nel breve ma anche nel medio e lungo periodo.

La lettura, al riguardo, di tale norma non può essere limitata all’analisi letterale del testo così come appare prima facie.

Essa, infatti, costituisce il corollario di una diversa visione politica del ruolo che l’”amministrazione indiretta” (organismi/enti/società) sinora generata dagli Enti Locali utilizzando il potere che il TUEL assegna ad essi, dovrebbe affermarsi nel contesto ordinamentale nazionale.

Tale nuova visione politica, che risulta leggibile nelle disposizioni contenute, – per la soluzione più meditata possibile della questione che qui ci interessa – nell’art. 3, c. 27, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008); nell’art. 3, c. 28 e 29, della stessa legge; nell’obbligo di procedere, dal 1 ° gennaio 2014, alla elaborazione del c.d. “conto consolidato” con il quale tutte le pubbliche amministrazioni sono tenute a esporre le conseguenze di natura finanziaria determinate dall’eventuale deficit generati da organismi/istituzioni/società sempre dagli Enti Locali promossi; nell’art. 23-bis della legge 6 agosto 2008, n. 133 (di conversione del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112), così come modificata e integrato dall’art. 15 della legge 20 novembre 2009, n. 166 (di conversione del decreto legge 25 settembre 2009, n. 135), intende evitare, in linea con la interpretazione fornita recentemente dalla Corte Costituzionale con sent. n. 325/2010, la proliferazione di enti/organismi/società che finiscono per svuotare l’attività istituzionale del livello di governo più vicino ai cittadini (quello Comunale).

A conclusione di tale percorso, la classe politica dirigente – attraverso la richiamata normativa – intende, nella sostanza, ridurre i costi della politica, che finiscono per scaricarsi sui cittadini e, in particolare, su quelli che – in un sistema di federalismo fiscale – dovrebbero trovare soddisfazione nella migliore organizzazione possibile dei servizi pubblici locali.

La auspicata riduzione (così come la richiesta razionalizzazione) di enti/organismi/società inutili perché duplicato dall’organizzazione diretta dei comuni passa, quindi, attraverso la corretta applicazione della disposizione contenuta nell’art. 5, c. 5, del richiamato d. l. n. 78/2010; norma che si è resa necessaria in conseguenza del ritardo con cui gli Enti Locali – a poco meno di due anni dall’entrata in vigore dell’art. 3, c. 27, 28 e 29 della legge finanziaria 2008 – hanno dato esecuzione a tali disposizioni.

D’altra parte, la Corte Costituzionale stessa – con la richiamata sentenza n. 151/2012 – ha ritenuto di dover considerare l’art. 5, c. 5, della richiamata legge n. 122/2010, come norma posta a salvaguardia della finanza pubblica locale; orientata, quindi, ad arginare – in maniera più efficace di quanto non avessero fatto altri divieti/obblighi fino ad allora resi ostensibili dal Parlamento nei sui provvedimenti legislativi – l’intreccio di incarichi tra i responsabili dell’Amministrazione diretta e i responsabili dell’”amministrazione indiretta” scelti, in fin dei conti, dai primi (cumulabilità abnorme degli incarichi).

3.1 Come ha osservato il richiedente, la composizione del Consiglio delle Autonomie Locali (40 membri) si presenta alquanto eterogenea.

Di essa sono chiamati a farne parte di diritto, infatti, coloro che sono titolari di cariche elettive quali il Sindaco di Roma Capitale, i Sindaci dei Comuni capoluogo di Provincia e i Presidenti di ciascuna di esse (art. 2, c. 1).

Essi possono, di volta in volta delegare a rappresentarli alle sedute, il vice Sindaco o il vice Presidente.

Poi, ne fanno parte – a seguito dell’esito delle elezioni previste dall’art. 3 della L.R. cit. – coloro che si sono candidati a rappresentare i Comuni capoluogo di Provincia, le comunità montane e di arcipelago (art. 2, c. 3), nonché coloro che si sono candidati a rappresentare i Consigli provinciali (art. 2, c. 4, lett. a).

Sia nell’uno che nell’altro caso, perché essi possano essere eletti, è necessario che ricoprano l’incarico di consigliere comunale o di consigliere provinciale, debbono, cioè, rivestire, già, una carica elettiva (ciò si evince dall’art. 8, c. 2, della L.R. cit.).

Infine vi sono componenti non titolari di cariche elettive: tali sono i Presidenti – a livello regionale – di cinque Associazioni degli Enti Locali (artt. 2, c. 4, lett. b).

Tranne che nei riguardi di quest’ultima categoria di componenti (anche se nei riguardi di essa sarebbe auspicabile una sostanziale omogeneizzazione nel trattamento economico di cui trattasi), nei confronti di tutti gli altri si deve ritenere possa essere applicata la disposizione richiamata, la quale va declinata nei seguenti termini:

a) il gettone di presenza, in ragione di ciascuna delle sedute programmate (anche più di una al giorno), va corrisposto anche al Presidente e ai componenti dell’Ufficio di presidenza (art. 9, c. 1, L.R. cit.) nella misura massima di 30 euro;

b) il rimborso delle spese sostenute (non limitato, quindi, alle spese di viaggio) deve essere effettuato sulla base dei documenti probatori presentati e della cui veridicità è tenuta a rendersi garante il presentatore degli stessi con dichiarazione resa all’Amministrazione.

Nel caso in cui risultassero esborsi superiori al limite indicato al punto a), l’Amministrazione dovrebbe manifestare massima cura nel richiedere la restituzione o, comunque, nel comunicare il debito costituitosi a carico di ciascun componente con l’impegno di effettuarne la debita compensazione, ove possibile, anche in tempi successivi.

3.2 Il Legislatore volendo ben individuare il campo del suo intervento, ricorre, innanzitutto, al termine “incarico” e ciò per evitare che si possa darne una interpretazione tale che finisca per attenuarne la reale portata.

Tale temine viene volutamente rafforzato con l’anteposizione ad esso dell’aggettivo “qualsiasi”; quest’ultimo aggettivo, ripetuto nella frase successiva (inclusa la partecipazione ad organi collegiali di qualsiasi tipo,…) è da considerare posto nell’intento di evitare, ancora una volta, interpretazioni di natura riduttiva.

Il surrichiamato orientamento risulta suffragato dal giudizio espresso, a tal riguardo, dalla Corte Costituzionale con la sentenza 6-14 giugno 2012, n. 151, che ha fugato qualsiasi dubbio sui termini e sulle modalità di esecuzione da dare alla disposizione contenuta nell’art. 5, comma 5, all’esame, riconoscendo ad essa la specifica qualità di “norma di principio” posta a tutela della finanza pubblica.

Con tale sentenza si è, per la prima volta, venuta confermando la giustezza della scelta politica (tradotta in norme di legge) secondo cui – in determinate situazioni di grave crisi economica – il Parlamento ha il potere di sollecitare (esercizio di moral suasion) anche gli Organi costituzionali a ridurre i costi dei propri apparati, inteso quest’ultimo termine nel modo più ampio e comprensivo possibile.

Naturalmente, posto siffatto assunto di ordine costituzionale, l’interpretazione che del complesso delle disposizioni è chiamato a fornire il giudice contabile non può non essere guidata dal rispetto sostanziale degli altri principi rinvenibili nella carta costituzionale e posti, comunque a salvaguardia della dignità umana; tra questi, quello rinvenibile nell’art. 36, c. 1, Cost. che, con riferimento alla lettura integrata che occorre assicurare alle disposizioni contenute nell’art. 6, c. 3, della stessa legge n. 122/2010, (articolo rubricato con il titolo “Riduzione dei costi degli apparati amministrativi”), non può consentire la perdita “tout court” della retribuzione o il ridimensionamento eccessivo della sua entità.

Intendendo, poi, abbracciare la totalità delle amministrazioni pubbliche, il Legislatore ricorre alla tecnica del rinvio all’elenco di esse quale previsto dall’art. 1, c. 3, della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilità e finanza pubblica dello Stato).

Tale elenco viene, infatti, predisposto dall’ISTAT e aggiornato annualmente, risultando garantito, in tal modo, un alto grado di attendibilità della realtà amministrativa del Paese e, quindi, della sua evoluzione determinata dalle scelte della politica ai diversi livelli di governo.

Tale elenco, quindi, presenta un livello di esaustività che è sicuramente maggiore di quello che il Legislatore ha ritenuto di dover assicurare, in altre occasioni, quando si limitava a rinviare alle amministrazioni “ di cui all’art. 2, c. 1, del d. lgs. 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni e integrazioni”.

Prevalendo, nell’area della contabilità pubblica di livello europeo (EUROSTAT), il principio della veridicità sostanziale (prevalenza, cioè, della realtà sul dato giuridico economico-finanziario), il rinvio all’elenco predisposto, appunto, dall’ISTAT ai fini del consolidamento dei conti pubblici dei Paesi dell’Eurozona (SEC95), fuga qualsiasi dubbio circa la portata della norma.

Non sussiste alcun dubbio, peraltro, sul fatto che – nel caso concreto – alla copertura della spesa per il pagamento degli emolumenti previsti dall’art. 9, c. 1-3, della L.R. n. 1/2007, provveda la Regione Lazio con risorse finanziarie allocate nel capitolo R11513 del proprio bilancio annuale; risorse che sono passate dagli € 80.000,00 dell’esercizio finanziario 2007 a € 130.000,00 dell’esercizio finanziario 2009, rimanendo da tale anno costantemente invariato l’indicato importo (art. 17, L.R. cit.).

P. Q. M.

La Sezione Regionale di controllo per il Lazio rende parere nei termini sopra esposti.

Copia della presente deliberazione sarà trasmessa, a cura della Segreteria, all’Amministrazione che ne ha fatto richiesta.

Così deliberato in Roma, nella Camera di consiglio del 28 novembre 2012.