Procedimento amministrativo: annullamento in autotutela e valutazione comparativa dell'interesse pubblico all'annullamento con il contrapposto interesse del privato

NOTA

La sentenza in rassegna annulla – per violazione dei principi che reggono l’attività di autotutela della P.A. e, in particolare, per omessa valutazione comparativa dell’interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento con il contrapposto interesse del privato – la delibera con la quale il ricorrente, a quattro anni di distanza dal precedente inquadramento nella qualifica di vice direttore amministrsativo, era stato reinquadrato, in epoca successiva alle sue dimissioni, nella qualifica originaria.

Richiamandosi al precedente n. 2567/2012, il Collegio osserva che “(…) il principio dell’affidamento, da tempo enunciato dalla giurisprudenza amministrativa in via pretoria (invero già la risalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, sez. IV 24 ottobre 1958, n. 748, sez. VI, 12 novembre 1958, n. 844, sez. V, 22 settembre 1959, n. 597 affermava il principio secondo cui la rimozione degli atti amministrativi illegittimi in via di autotutela dve essere preceduta dalla ricognizione di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento ed alla sua comparazione con il contrapposto interesse del privato, a maggior ragione quando il tempo trascorso abbia prodotto il consolidarsi degli effetti, l’emanazione di provvedimenti ulteriori che a loro volta abbiano dato vita ad aspettative giuridiche tutelate, etc.), ha trovato, in epoca successiva all’originario ricorso in primo grado, esplicito riconoscimento normativo nella legge n. 15 del 2005, con l’introduzione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 (v., per tutte, Cons. St., IV, 21 dicembre 2009, n. 8516).”.

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N. 05733/2012REG.PROV.COLL.

N. 01689/2006 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 1689 del 2006, proposto da:
La Ruffa Antonio, rappresentato e difeso dall’avv. Graziella Colaiacomo, presso il cui studio ha eletto il domicilio in Roma, via dei Due Macelli, 60;

contro

Regione Lazio, in persona del Presidente pro tempore; U.S.L. Rm/10, ora Rm/D, in persona del Direttore pro tempore, nessuno dei quali è costituito nel presente giudizio;

per la riforma

della sentenza del T.A.R. LAZIO – ROMA: sezione I BIS n. 913/2005, resa tra le parti, concernente l’inquadramento nel IX° livello retributivo

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 26 ottobre 2012 il Cons. Hadrian Simonetti, presente per la parte appellante l’Avvocato Graziosi su delega di Colaiacomo;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. Il sig. Antonio La Ruffa, collaboratore coordinatore in servizio presso l’USL RM 10, fu dapprima reinquadrato nella qualifica di vice direttore amministrativo, con delibera del 9.2.1990, per poi essere nuovamente inquadrato nella qualifica originaria, per effetto della delibera dell’11.4.1994 con la quale, in epoca successiva alle sue dimissioni, fu annullata in autotutela la precedente determinazione.

2. Proposto ricorso avverso tale secondo atto, per violazione dell’art. 64 del d.p.r. 761/1979 e dell’art. 3 della l. 241/1990, il Tar lo ha respinto sul fondamentale rilievo che il ricorrente non fosse in possesso del titolo di studio del diploma di laurea e che tale requisito fosse necessario ai fini dell’inquadramento nella qualifica di vice direttore amministrativo, non essendo sufficiente il possesso della sola anzianità di servizio.

3. Con il presente appello il Signor La Ruffa ha censurato la sentenza, deducendone l’erroneità sul presupposto che, ove sia consentito l’accesso ad una qualifica funzionale che necessiterebbe il titolo di laurea, come è previsto per il collaboratore professionale, non potrebbe poi pretendersi il possesso di tale titolo per gli avanzamenti di carriera o, detto altrimenti, il titolo di studio occorrente per la progressione di carriera non potrebbe essere diverso da quello richiesto per l’ingresso nella carriera medesima. Ha inoltre riproposto il motivo concernente la carenza di motivazione dell’atto impugnato, incentrata sulla sola mancanza del titolo di studio.

Nessuno si è costituito per gli enti resistenti e all’udienza pubblica del 26.10.2012 la causa è passata in decisione.

4. Osserva il Collegio, preliminarmente, come l’appello sia stato notificato tanto nei confronti della Gestione liquidatoria della vecchia Usl quanto all’indirizzo della nuova Asl RM D, che è succeduta alla prima, fatti salvi i debiti pregressi. Il che vale a scongiurare qualunque possibile dubbio sulla corretta individuazione dell’amministrazione legittimata passivamente: se debba essere la nuova Asl, in quanto la domanda proposta in giudizio ha formalmente ad oggetto l’inquadramento del Sig. Fausti; ovvero la gestione liquidatoria della vecchia Usl, considerato che il fine ultimo dell’azione di annullamento proposta è chiaramente, a distanza di tanti anni dalla cessazione dal servizio, la conservazione della maggiore retribuzione ottenuta a suo tempo in applicazione della delibera n. 300 del 1990.

5. Ciò posto, nel merito delle questioni dedotte – data in premessa la circostanza storica che il sig. La Ruffa non era in possesso del titolo di laurea – la tesi di parte appellante è nel senso che una volta consentitogli l’accesso alla qualifica di collaboratore professionale pur in difetto di tale titolo, non potrebbe essergli precluso il progredire nella medesima carriera, grazie all’esperienza maturata, sino a raggiungere la qualifica di vice direttore amministrativo. Tanto più che, nell’ente di provenienza (l’Enpdedp), tale progressione sarebbe stata pacificamente del tutto possibile.

L’amministrazione aveva invece motivato nell’atto impugnato che, una volta confluito nel Servizio sanitario nazionale, La Ruffa non poteva più beneficiare della deroga originaria alla regola del possesso della laurea, anche ai fini dell’inquadramento nella nuova qualifica di vice direttore amministrativo, né a tale mancanza poteva supplire il possesso di una determinata anzianità di servizio.

6. Se queste sono le contrapposte tesi di parte in ordine al primo motivo di appello, reputa questo Collegio come si possa prescindere dall’approfondimento di tale questione, sul rilievo che è fondato il secondo motivo di ricorso, con il quale è dedotta la carenza, ovvero l’insufficienza, della motivazione della delibera impugnata.

6.1. Infatti, qualificata correttamente la delibera impugnata come un atto di autotutela, adottata all’esito di un procedimento di secondo grado in riforma di una precedente deliberazione, si impone di verificare se, al di là dei contestati profili di illegittimità del primo atto, l’amministrazione abbia valutato comparativamente l’interesse pubblico con l’interesse del destinatario.

6.2. Come è ben noto, in termini generali, l’annullamento di ufficio presuppone una congrua motivazione sull’interesse pubblico, attuale e concreto, a sostegno dell’esercizio discrezionale dei poteri di autotutela, con una adeguata ponderazione comparativa, che tenga anche conto dell’interesse dei destinatari dell’atto al mantenimento delle posizioni che su di esso si sono consolidate e del conseguente affidamento derivante dal comportamento seguito dall’amministrazione.

6.3. Tanto più nel caso in esame, nel quale al momento dell’annullamento in autotutela, ad aprile del 1994, dalla prima delibera erano oramai trascorsi più di quattro anni e che nel corso di tale lasso di tempo il dipendente aveva persino rassegnato le proprie dimissioni, confidando ragionevolmente sulla stabilità della qualifica professionale riconosciutagli nel 1990.

6.4. Ebbene, richiamando il precedente della Sezione n. 2567/2012, reputa il Collegio che, sotto tale profilo, che investe la tutela del principio dell’affidamento del privato derivante dal comportamento dell’amministrazione, il ricorso sia fondato, non avendo la motivazione dell’atto affrontato tale nodo fondamentale della questione.

6.5. È appena il caso di precisare come il principio dell’affidamento, da tempo enunciato dalla giurisprudenza amministrativa in via pretoria (invero già la risalente giurisprudenza del Consiglio di Stato, sez. IV 24 ottobre 1958, n. 748, sez. VI, 12 novembre 1958, n. 844, sez. V, 22 settembre 1959, n. 597 affermava il principio secondo cui la rimozione degli atti amministrativi illegittimi in via di autotutela dve essere preceduta dalla ricognizione di un interesse pubblico concreto ed attuale all’annullamento ed alla sua comparazione con il contrapposto interesse del privato, a maggior ragione quando il tempo trascorso abbia prodotto il consolidarsi degli effetti, l’emanazione di provvedimenti ulteriori che a loro volta abbiano dato vita ad aspettative giuridiche tutelate, etc.), ha trovato, in epoca successiva all’originario ricorso in primo grado, esplicito riconoscimento normativo nella legge n. 15 del 2005, con l’introduzione dell’art. 21-nonies della legge n. 241 del 1990 (v., per tutte, Cons. St., IV, 21 dicembre 2009, n. 8516).

7. Ne consegue, per le ragioni evidenziate, la fondatezza dell’appello e, quale ulteriore conseguenza, in riforma della sentenza impugnata, l’accoglimento del ricorso di primo grado e l’annullamento dell’atto impugnato.

8. Sussistono giustificati motivi per esonerare le amministrazioni resistenti dal pagamento delle spese di lite, per la particolarità della fattispecie in esame.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza)

definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, accoglie il ricorso di primo grado annullando l’atto impugnato.

Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 26 ottobre 2012 con l’intervento dei magistrati:

Pier Giorgio Lignani, Presidente

Roberto Capuzzi, Consigliere

Hadrian Simonetti, Consigliere, Estensore

Dante D’Alessio, Consigliere

Lydia Ada Orsola Spiezia, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 13/11/2012

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)