Beni pubblici: sui requisiti della strada ad uso pubblico  

NOTA

Con la sentenza in rassegna, la S.C. ribadisce la propria giurisprudenza incline a ritenere che “affinchè un’area privata possa ritenersi assoggettata a uso pubblico di passaggio, è necessario che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati “uti cives”, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale e non “uti singuli”, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene che si pretende gravato. Deve, pertanto, escludersi l’uso pubblico del passaggio quando questo venga esercitato soltanto dai proprietari di determinati immobili in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione.“.

Nel caso di specie, la S.C. ha condiviso le conclusioni della Corte di merito, che, all’esito di una valutazione globale delle risultanze processuali, aveva ritenuto “indici univoci e certi di un uso pubblico della strada in contestazione la sua apertura al pubblico ab immemorabile, la sua idoneità all’uso generalizzato pedonale, l’apposizione da parte dell’ Amministrazione Pubblica della numerazione civica ai fabbricati aventi accesso dalla strada di cui trattasi, la installazione sulla stessa della pubblica illuminazione, la destinazione storica (antico camminamento ad uso del F.)”.

A giudizio della S.C., “Si tratta di elementi che, alla luce dei principi innanzi enunciati, si prestano ragionevolmente ad avvalorare il giudizio espresso dal giudice del gravame circa la destinazione della strada in questione ad un uso pubblico, non limitato ai soggetti aventi un accesso diretto sulla stessa, ma esteso a chiunque ne abbia interesse.”

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. MATERA Lina – rel. Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15337-2010 proposto da:

M.F.P. (OMISSIS), C.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, V. MUGGIA 21, presso lo studio dell’avvocato LIBERATORE ROBERTO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato ROMANO GIUSEPPE;

– ricorrenti –

contro

CA.LI. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO VITT. EMANUELE II 18, presso lo STUDIO GREZ, rappresentata e difesa dall’avvocato ALESSANDRO MASSARELLI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1598/2009 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 09/12/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 23/04/2012 dal Consigliere Dott. LINA MATERA;

udito l’Avvocato Romano Giuseppe difensore dei ricorrenti che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avv. Massarelli Alessandro difensore della controricorrente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 3-9-1999 M.F.P. e C.E. in M. convenivano Ca.Li. dinanzi al Tribunale di Livorno, Sezione Distaccata di Portoferraio, proponendo domanda di negatoria servitutis in ordine al mappale 329 del f. 13 del catasto terreni di (OMISSIS), con preliminare accertamento incidentale della proprietà di tale particella, anche per usucapione.

Nel costituirsi, la Ca. negava la proprietà degli attori, affermando che la particella 329 costituiva una corte comune, e che su di essa gli attori non avevano mai esercitato un possesso esclusivo. La convenuta spiegava altresì domanda riconvenzionale, per sentir accertare il proprio diritto di passo sulla particella in questione, per usucapione o, in subordine, uti cives, trattandosi di immobile di proprietà pubblica o, comunque, soggetto ad uso pubblico.

Con sentenza n. 60 del 2004 il Tribunale dichiarava inammissibile l’accertamento incidentale sulla proprietà; rigettava la domanda attrice per carenza di legittimazione attiva e la domanda riconvenzionale per carenza di legittimazione passiva degli attori;

rigettava la domanda subordinata della convenuta e compensava le spese.

Avverso la predetta decisione proponevano appello principale la convenuta e appello incidentale gli attori.

Con sentenza depositata il 9-12-2009 la Corte di Appello di Firenze ordinava agli appellati di non frapporre turbative di alcun genere al passaggio uti cives esercitato dalla Ca. sulla particella 329, confermando per il resto la sentenza impugnata. In motivazione, la Corte territoriale dava atto, in particolare, che gli attori in negatoria servitutis non avevano allegato alcun valido titolo di proprietà in ordine alla particella 329; che i capitoli di prova testimoniale articolati dagli stessi attori non erano idonei a dimostrare il dedotto possesso ad usucapionem; che, pertanto, in mancanza di accertamento incidentale della proprietà degli attori, andava confermata la carenza di legittimazione attiva di questi ultimi in ordine alla spiegata negatoria servitutis e la carenza di legittimazione passiva degli stessi in ordine alla domanda riconvenzionale della convenuta; che, al contrario, andava riconosciuto il diritto della Ca. a servirsi uti cives della strada in questione, dovendo la stessa essere considerata, sulla base degli elementi acquisiti, di uso pubblico.

Per la cassazione di tale sentenza ricorrono M.F.P. e C.E., sulla base di due motivi.

Ca.Li. resiste con controricorso.

In prossimità dell’udienza le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione dell’art. 2697 c.c., art. 183 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, art. 118 disp. att. c.p.c., nonchè l’insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine al mancato accoglimento della domanda incidentale di acquisto della proprietà della particella 329 per usucapione. Deducono, in particolare, che la Corte di Appello, nel ritenere ininfluenti ai fini della decisione i capitoli di prova testimoniale articolati dagli attori, in quanto inidonei a dimostrare il dedotto possesso ad usucapionem, ha negato agli istanti il diritto di provare i fatti posti a base della domanda, e non ha considerato che il capitolo 1 articolato nella memoria depositata il 14-12-2000 tendeva proprio a provare il possesso esclusivo da sempre esercitato dagli attori e dai loro danti causa, senza intromissione di altri, ad eccezione dei proprietari dei mappali 331 e 333, titolari di servitù di passo.

Il motivo è infondato.

Giova rammentare che, per la configurabilità del possesso “ad usucapionem”, è necessaria la sussistenza di un comportamento continuo, e non interrotto, inteso inequivocabilmente ad esercitare sulla cosa, per tutto il tempo all’uopo previsto dalla legge, un potere di fatto corrispondente a quello del proprietario o del titolare di uno “ius in re aliena” (“ex plurimis” Cass. 9-8-2001 n. 11000), manifestato con il compimento puntuale di atti di possesso conformi alla qualità e alla destinazione della cosa e tali da rilevare, anche esternamente, una indiscussa e piena signoria sulla cosa stessa contrapposta all’inerzia del titolare del diritto (Cass. 12-4-2010 n. 8662; Cass. 24-8-2006 n. 18392; Cass. 29-11-2005 n. 25922; Cass. 11-8-1996 n. 4436; Cass. 13-12-1994 n. 10652). Accanto all’elemento oggettivo del possesso (ed. corpus), è richiesto l’animus possidendi, il quale consiste nell’intento di tenere la cosa come propria, mediante l’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale, indipendentemente dall’effettiva esistenza del relativo diritto o della conoscenza del diritto altrui (Cass- 5-4-2011 n. 7757; Cass. 21-5- 2003 n. 8422).

Nel caso in esame, la Corte di Appello ha ritenuto ininfiuenti, ai fini della decisione, i capitoli di prova testimoniale articolati dagli attori (nei quali si fa riferimento ad attività da questi compiute, quali la periodica pulizia, lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria, la sistemazione della pavimentazione in cemento, la cura di un’aiuola, nonchè all’esecuzione, da parte del dante causa, verso la fine degli anni 50, di lavori di trasformazione per rendere praticabile la strada, all’epoca sassosa), in quanto inidonei a fornire in maniera univoca la prova del possesso ad l’usucapionem, sotto i profili soggettivo ed oggettivo; e ciò sul rilievo che nei fatti che si vorrebbero dimostrare non è dato ravvisare nè l’intenzione di escludere altri dall’accesso, nè l’intenzione del rem sibi habendum, bensì un semplice interesse alla funzionalità del bene, correlata all’uso personale prevalente.

La valutazione espressa al riguardo si sottrae al sindacato di questa Corte, essendo supportata da una motivazione immune da vizi logici, che vale a dar conto della inidoneità dei fatti dedotti nei capitoli di prova a provare che la relazione di fatto degli attori con l’immobile in questione si sia estrinsecata attraverso comportamenti corrispondenti all’esercizio del diritto dominicale, con la volontà di tenere il bene quale proprietari. Come è noto, infatti, l’apprezzamento del giudice di merito in ordine alla validità degli eventi dedotti dalla parte, al fine di accertare se, nella concreta fattispecie, ricorrano o meno gli estremi di un possesso legittimo, idoneo a condurre all’usucapione, non è soggetto al sindacato di legittimità, se sorretto, come nel caso in esame, da corretta e congrua motivazione (Cass. 11-5-2010 n. 11410; 21-2-2007 n. 4035; Cass. 1-8-1980 n. 4903, Cass. 5-10- 1978 n. 4454).

2) Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la violazione della L. n. 126 del 1958, artt. 7 e 9 e del D.Lgs. 30 aprile 1992, art. 2 nonchè vizi di motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui, pur avendo escluso che la particella 329 sia una strada pubblica , ha attribuito alla stessa la qualifica di strada privata ad uso pubblico. Sostengono, in particolare, che la Corte di Appello ha erroneamente valutato le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio e le altre emergenze processuali, da cui si evince che la particella in questione è uno strabello privato non gravato da servitù di uso pubblico, ma solamente da servitù in favore delle particelle 331 e 333.

Anche tale motivo risulta privo di fondamento.

Secondo il costante orientamento di questa Corte, affinchè un’area privata possa ritenersi assoggettata a uso pubblico di passaggio, è necessario che l’uso avvenga ad opera di una collettività indeterminata di soggetti considerati “uti cives”, ossia quali titolari di un pubblico interesse di carattere generale e non “uti singuli”, ossia quali soggetti che si trovano in una posizione qualificata rispetto al bene che si pretende gravato. Deve, pertanto, escludersi l’uso pubblico del passaggio quando questo venga esercitato soltanto dai proprietari di determinati immobili in dipendenza della particolare ubicazione degli stessi o da coloro che abbiano occasione di accedere ad essi per esigenze connesse alla loro privata utilizzazione (Cass. 21-5-2001 n. 6924; Cass. 13-2-1999 n. 1205; Cass. 29-5-1998 n. 5312).

Nella specie, la Corte di Appello, all’esito di una valutazione globale delle risultanze processuali, ha ritenuto indici univoci e certi di un uso pubblico della strada in contestazione la sua apertura al pubblico ab immemorabile, la sua idoneità all’uso generalizzato pedonale, l’apposizione da parte dell’ Amministrazione Pubblica della numerazione civica ai fabbricati aventi accesso dalla strada di cui trattasi, la installazione sulla stessa della pubblica illuminazione, la destinazione storica (antico camminamento ad uso del F.). Si tratta di elementi che, alla luce dei principi innanzi enunciati, si prestano ragionevolmente ad avvalorare il giudizio espresso dal giudice del gravame circa la destinazione della strada in questione ad un uso pubblico, non limitato ai soggetti aventi un accesso diretto sulla stessa, ma esteso a chiunque ne abbia interesse.

La sentenza impugnata, pertanto, risulta sorretta, sul punto, da una motivazione corretta sul piano logico e giuridico, che la rende immune dai vizi denunciati. E’ evidente, al contrario, che i ricorrenti, nel censurare il giudizio espresso dalla Corte di Appello e nel sostenere che gli elementi acquisiti portano ad escludere la destinazione della strada ad uso pubblico, sollecitano, al riguardo, una nuova e diversa valutazione del materiale probatorio, preclusa in sede di legittimità.

3) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese sostenute dalla resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2012