Pubblico impiego: sui compensi assembleari previsti per la partecipazione di dipendenti pubblici ai consigli di amministrazione di società pubbliche

NOTA

Il parere si sofferma sul quesito posto dalla Provincia di Monza Brianza in merito ai compensi assembleari previsti per la partecipazione di dipendenti pubblici ai consigli di amministrazione di società pubbliche.

* * *

Lombardia/96/2013/PAR

REPUBBLICA ITALIANA

LA

CORTE DEI CONTI

IN

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA

LOMBARDIA

composta dai magistrati:

dott. Nicola Mastropasqua Presidente

dott. Giuseppe Roberto Mario Zola Consigliere

dott. Gianluca Braghò Primo Referendario (relatore)

dott. Alessandro Napoli Referendario

dott.ssa Laura De Rentiis Referendario

dott. Donato Centrone Referendario

dott. Francesco Sucameli Referendario

dott. Cristiano Baldi Referendario

dott. Andrea Luberti Referendario

nell’adunanza in camera di consiglio del 26 febbraio 2013

Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;

Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;

Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;

Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004;

Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;

Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;

Vista la nota n. 4186 di protocollo in data 30 gennaio 2013, con la quale il Presidente della provincia di Monza Brianza ha richiesto un parere in materia di contabilità pubblica;

Vista la deliberazione n. 1/pareri/2004 del 3 novembre 2004 con la quale la Sezione ha stabilito i criteri sul procedimento e sulla formulazione dei pareri previsti dall’art. 7, comma 8, della legge n. 131/2003;

Vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per l’adunanza odierna per deliberare sulla richiesta del Presidente della provincia di Monza;

Udito il relatore dott. Gianluca Braghò;

PREMESSO CHE

Il Presidente della provincia di Monza Brianza, mediante nota n. 4186 del 30 gennaio 2013, ha posto un quesito in merito ai compensi assembleari previsti per la partecipazione di dipendenti pubblici ai consigli di amministrazione.

Il Presidente, nella richiesta, fa specifico riferimento all’art. 4, commi 4 e 5 del D.L. 6.7.2012, n. 95, convertito nella legge 7.8.2012, n. 135, il quale ha innovato le modalità di composizione dei consigli di amministrazione delle società cui partecipano gli enti locali purché riconducibili ad una delle due ipotesi da esso previste. E dunque, “nei confronti delle società controllate direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni […], che abbiano conseguito nell’anno 2011 un fatturato da prestazione di-servizi a favore di pubbliche amministrazioni superiore al 90 per cento dell’intero fatturato” quando l’ente pubblico in questione sia “titolare della partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza”. Ipotesi alla quale siaggiunge il caso di “altre società a totale partecipazione pubblica, diretta ed indiretta”. In entrambi i casi, l’ente locale designa propri dipendenti a far parte del consiglio di amministrazione della società, il che determina problemi in ordine alla spettanza degli emolumenti assembleari, posto che “idipendenti dell’amministrazione titolare della partecipazione […], ferme le disposizioni vigenti in materia di onnicomprensività del trattamento economico, […] hanno obbligo di riversare i relativi compensi assembleari all’amministrazione ove riassegnabili, in base alle vigenti disposizioni, al fondo per il finanziamento del trattamento economico accessorio, e alla società di appartenenza”.

La materia tocca da vicino il principio dell’onnicomprensività della retribuzione dei pubblici dipendenti disciplinata dall’art. 24. comma 3 del d.lgs. 30.3.2001, n. 165: “il trattamento economico determinato ai sensi dei commi 1 e 2remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza”.

Lo specifico obbligo di riversamento dei compensi assembleari al fondo per il finanziamento del trattamento economico accessorio da parte dei pubblici dipendenti designati dall’amministrazione di appartenenza membri dei consigli di amministrazione delle società indicate dalla novella legislativa lascia intendere che essi non possano percepire direttamente somme da parte della società, ma che queste ultime possano, eventualmente, essere loro assegnate solo dall’amministrazione di appartenenza.

A questo proposito, la Provincia di Monza e della Brianza, si trova coinvolta nella problematica segnalata per il solo personale dipendente con qualifica dirigenziale e, per esso, ha enucleato due possibili soluzioni che conducono a risultati antitetici tra di loro.

In primo luogo, l’art. 4, commi 4 e 5 del D.L. 6.7.2012 n. 95, convertito nella legge 7.8.2012 n. 135 dovrebbe essere letto in relazione alla contrattazione collettiva nazionale di comparto, tenendo presente il principio di onnicomprensività della retribuzione. Direttamente rilevante a questi fini sarebbe, pertanto, l’art. 20 del CCNL 22.2.2010, il quale collega, sostanzialmente, la corresponsione di somme provenienti da fonti esterne all’incremento della retribuzione di risultato secondo i meccanismi indicati dalla norma.

Quest’ultima, nella sua fattispecie non contiene, per evidenti ragioni cronologiche, la menzione dei cosiddetti “compensi assembleari”, i quali, previsti da una fonte di regolazione primaria, non potrebbero che integrare l’elencazione contenuta dell’art. 20, comma 2 del CCNL 22.2.2010.

Di qui, la conclusione: i compensi per l’incarico di membro di un consiglio di amministrazione conferito ad un dirigente di un ente locale confluiscono nel fondo di produttività della dirigenza a suo incremento, salva la disciplina prevista dai successivi commi dell’ art. 20 della fonte negoziale in materia di regolamentazione delle modalità di erogazione.

In secondo luogo, l’art. 4, commi 4 e 5 del D.L. 7.8.2012 n. 95, convertito nella legge 7.12.2012 n. 135, risponderebbe ad una ratio più completa, complessa ed articolata propria dell’intero impianto legislativo della cosiddetta normativa sulla “‘spending review”, vera e propria fonte di regolazione speciale ratione materiae. La specialità della normativa risiederebbe pertanto, nella sua natura giuridica di norma di finanza pubblica, preordinata, come tale, all’ottenimento del più intenso risparmio possibile di pubblico denaro a beneficio del bilancio dell’ ente e della cosiddetta finanza pubblica allargata.

Proprio per questi motivi, il corrispettivo assembleare previsto dalle società nei cui consigli di amministrazione sono nominati dirigenti pubblici, dovrebbe essere semplicemente riversato nel fondo di produttività all’unico scopo di alleggerirne la costituzione ad esclusivo vantaggio dell’intero bilancio di esercizio. Il tutto in quanto, stante la specialità della norma, il fondo di produttività dell’amministrazione nominante sarebbe eterocomposto con somme provenienti dall’esterno (i compensi assembleari) senza che esso possa essere eterointegrato.

Secondo questa tesi, pertanto, il dirigente pubblico nominato membro di un consiglio di amministrazione di una società partecipata non può beneficiare di alcun trattamento economico derivante dal relativo ufficio poiché esso va ad esclusivo vantaggio del bilancio di esercizio dell’ente locale che dispone la nomina.

Tutto quanto sopra premesso il Presidente della Provincia di Monza e Brianza chiede se nella materia in oggetto, ed in considerazione della ratio legis sottesa alla fonte di regolazione, sia corretta la prima o la seconda delle tesi prospettate ovvero se, ad avviso della Sezione, i cosiddetti compensi assembleari possano essere altrimenti corrisposti dall’Amministrazione di appartenenza al pubblico dipendente nominato in consigli di amministrazione di società da essa partecipate.

AMMISSIBILITA’ SOGGETTIVA ED OGGETTIVA

La richiesta di parere di cui sopra è intesa ad avvalersi della facoltà prevista dalla norma contenuta nell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, la quale dispone che le Regioni, i Comuni, le Province e le Città metropolitane possono chiedere alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti “pareri in materia di contabilità pubblica”.

La funzione consultiva delle Sezioni regionali è inserita nel quadro delle competenze che la legge 131/2003, recante adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha attribuito alla Corte dei conti.

La Sezione, preliminarmente, è chiamata a pronunciarsi sull’ammissibilità della richiesta, con riferimento ai parametri derivanti dalla natura della funzione consultiva prevista dalla normazione sopra indicata.

Con particolare riguardo all’individuazione dell’organo legittimato a inoltrare le richieste di parere delle Provincie, si osserva che il Presidente è l’organo istituzionalmente legittimato a richiedere il parere in quanto riveste il ruolo di rappresentante dell’ente ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L.

Pertanto, la richiesta di parere è ammissibile soggettivamente poiché proviene dall’organo legittimato a proporla.

Con riferimento alla verifica del profilo oggettivo di ammissibilità del quesito, occorre rilevare che la disposizione contenuta nell’art. 7, comma 8, della legge 131/2003 deve essere raccordata con il precedente comma 7, norma che attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di principio e di programma, la sana gestione finanziaria degli enti locali.

Lo svolgimento delle funzioni è qualificato dallo stesso legislatore come una forma di controllo collaborativo. Il raccordo tra le due disposizioni opera nel senso che il comma 8 prevede forme di collaborazione ulteriori rispetto a quelle del precedente comma rese esplicite in particolare con l’attribuzione agli enti della facoltà di chiedere pareri in materia di contabilità pubblica.

Appare conseguentemente chiaro che le Sezioni regionali della Corte dei conti non svolgono una funzione consultiva a carattere generale in favore degli enti locali, ma che anzi le attribuzioni consultive si connotano sulle funzioni sostanziali di controllo collaborativo ad esse conferite dalla legislazione positiva.

Al riguardo, le Sezioni riunite della Corte dei conti, intervenendo con una pronuncia in sede di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 17, comma 31 del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, hanno delineato una nozione unitaria di contabilità pubblica incentrata sul “sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici” da intendersi in senso dinamico anche in relazione alle materie che incidono sulla gestione del bilancio e sui suoi equilibri (Delibera 17 novembre 2010, n.54).

Il limite della funzione consultiva come sopra delineato fa escludere qualsiasi possibilità di intervento della Corte dei conti nella concreta attività gestionale ed amministrativa che ricade nella esclusiva competenza dell’autorità che la svolge o che la funzione consultiva possa interferire in concreto con competenze di altri organi giurisdizionali.

Dalle sopraesposte considerazioni consegue che la nozione di contabilità pubblica va conformandosi all’evolversi dell’ordinamento, seguendo anche i nuovi principi di organizzazione dell’amministrazione, con effetti differenziati, per quanto riguarda le funzioni della Corte dei conti, secondo l’ambito di attività.

In sintesi, sotto il profilo oggettivo, il quesito proposto attiene alla corretta applicazione della normativa vigente in merito ai compensi assembleari previsti per la partecipazione di dipendenti pubblici ai consigli di amministrazione, contenuta nella disposizione dell’art. 4 commi 4 e 5 del D.L. 6 luglio 2012, n.95.

Al riguardo, la Sezione osserva che esula dalla materia della contabilità pubblica l’analisi sul principio di onnicomprensività della retribuzione del pubblico dipendente, nonché l’interpretazione di norme contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro, atteso che sulla materia spetta all’ARAN la competenza funzionale a conoscerne le relative questioni (Cfr. Sezione Autonomie, deliberazione n.5/AUT/2006; Sezioni Riunite in sede di controllo nomofilattico, deliberazioni n.50/CONTR/2010 e 56/CONTR/2011).

Per quel che concerne invece la portata della normativa finanziaria richiamata nel presente interpello, il quesito riveste portata generale ed astratta e non interferisce né con la sfera di discrezionalità riservata dalla legge alla pubblica amministrazione locale, né con possibili questioni attinenti alla giurisdizione civile, amministrativa o di responsabilità amministrativo-contabile.

Ne consegue che la richiesta parere, rientrando nella nozione di contabilità pubblica in parte qua, è oggettivamente ammissibile e può essere esaminata nel merito.

MERITO

Il quesito verte sulla destinazione e sulle regole di corresponsione dei compensi assembleari previsti in favore dei dipendenti pubblici che partecipano ai consigli di amministrazione delle società a partecipazione pubblica totale, maggioritaria o di controllo, ai sensi dell’art. 4 commi 1, 4 e 5 del D.L. 6 luglio 2012, n.95, convertito nella legge 7 agosto 2012, n.135.

L’amministrazione interpellante richiama due possibili (ma non esaustive) letture delle disposizioni legislative, da integrarsi con il principio di onnicomprensività della retribuzione e con i richiami alla contrattazione collettiva, nazionale e di comparto, che si occupa della composizione dei fondi per il trattamento economico accessorio.

Al riguardo, la Sezione osserva che la materia dei compensi assembleari nelle società in mano pubblica ha ricevuto specifica disciplina contenuta nella normativa finanziaria sulla revisione della spesa (art. 4 commi 4 e 5 de D.L. 6 luglio 2012, n.95).

La recente regolamentazione della materia, sulla falsariga delle ultime legislazioni finanziarie sul governo della crisi, mira alla riduzione delle spese, al risparmio pubblico, alla liquidazione delle società pubbliche e all’apertura del mercato delle partecipazioni locali ai privati.

Consequenziale è quindi il riassetto delle spese di funzionamento degli apparati pubblicistici connessi con la gestione e l’amministrazione delle società in mano pubblica.

Si rammenta che la normativa in tema di revisione della spesa è preordinata alla produzione di economie pubbliche derivanti dalla diminuzione dei costi di funzionamento della pubblica amministrazione, nell’ottica di contenimento del debito pubblico nazionale, cui il comparto degli enti locali partecipa in sede di coordinamento della finanza pubblica allargata.

Ciò posto, si evidenzia che il criterio esegetico, in presenza di divergenti letture delle disposizioni di legge, debba essere orientato a garantire le opzioni tese ad ottenere il massimo effetto utile alle disposizioni di contenimento dei costi di apparato.

In disparte delle argomentazioni in ordine ai criteri ermeneutici che presiedono all’interpretazione del c.d. diritto finanziario della crisi, la ricostruzione della corretta disciplina applicabile ai compensi assembleari contenuta nel citato art. 4 presuppone una verifica sostanziale degli assetti ordinamentali che sono sottesi al governo delle società pubbliche.

Le ipotesi normative contemplano due ipotesi: i compensi erogati ai dipendenti pubblici nominati nei consigli di amministrazione delle società controllate, direttamente o indirettamente dalle pubbliche amministrazioni di cui all’art. 1 comma 2 del D. Lgs. 30 marzo 2001 n.165; i compensi erogati ai dipendenti che partecipano ai consigli di amministrazione delle società a totale partecipazione pubblica diretta o indiretta.

Nel primo caso, trattandosi di posizioni di mero controllo o di partecipazione anche non maggioritaria, ciò che rende applicabili i limiti ai compensi e alla loro destinazione è il conseguimento per l’anno 2011 del fatturato da prestazione di servizi a favore delle pubbliche amministrazione per una percentuale superiore al novanta per cento.

Nel secondo caso, la soggezione ai vincoli pubblicistici sui compensi discende direttamente dall’essere la società totalmente in mano pubblica, secondo i meccanismi dell’in house providing e del controllo analogo.

Nelle società di cui all’art. 4 commi 1 e 4 del citato decreto, la soggezione ai vincoli sulla composizione, sulla corresponsione e sulla destinazione dei compensi assembleari è meramente occasionale ed è ancorata alla storicizzazione del fatturato 2011. In tale evenienza la disciplina vincolistica discende dal rilievo che le società de quibus svolgono la propria attività quasi esclusiva a favore della pubblica amministrazione, che sostanzialmente ne alimenta la gestione caratteristica e le sostiene in equilibrio finanziario.

Di contro, nelle società detenute interamente dalla mano pubblica, l’applicazione dei vincoli è in re ipsa, poiché detti organismi societari altro non sono che l’espressione operativa delle pubbliche amministrazioni di riferimento (bracci operativi della PA).

Ergo, l’attività prestata dal dipendente pubblico nominato, proprio per la sua pregressa investitura di pubblico funzionario, quale membro del consiglio di amministrazione della società pubblica, interamente partecipata, rappresenta una mera modalità di incarico al medesimo conferito in ragione dell’ufficio ricoperto o comunque conferito dall’amministrazione in cui si presta il servizio o su designazione della medesima; prestazione lavorativa che soggiace tout court al principio di onnicomprensività della retribuzione, a mente del quale il trattamento economico complessivo remunera tutte le funzioni e compiti attribuiti al pubblico dirigente (per rispondere al caso di specie).

In tal senso deve intendersi il mancato richiamo all’art. 4 comma 5 al principio dell’onnicomprensività della retribuzione del pubblico dipendente, inciso, invero, necessario per includere nella speciale disciplina i compensi dei pubblici dipendenti che partecipano ai consigli di amministrazione di società partecipate non totalitarie (art. 4 comma 4 in riferimento al comma 1).

In altri termini, il precetto normativo contenuto nell’art. 4 commi 4 e 5, sottopone alla medesima disciplina vincolistica differenti fattispecie, uniformando i trattamenti economici in favore del dipendente pubblico derivanti dalla partecipazione agli organi amministrativi delle società a partecipazione pubblica.

La disciplina così delineata prevede un trattamento comune circa la destinazione e la distribuzione dei compensi assembleari. Detti compensi dovuti dalle società in mano pubblica, ut supra individuate, ai dipendenti pubblici che siedono nei consigli di amministrazione non possono essere erogati direttamente al funzionario o dirigente che espleta l’incarico, ma devono essere corrisposti direttamente alla pubblica amministrazione designante, per poi confluire nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio (fondo di produttività).

Sul piano normativo lo specifico obbligo di riversamento è disciplinato testualmente dalla seguente proposizione normativa, sancita dall’art. 4 comma 4: “i dipendenti dell’amministrazione titolaredella partecipazione o di poteri di indirizzo e vigilanza, ferme le disposizioni vigenti in materia di onnicomprensività del trattamento economico, ovvero i dipendenti della società controllante hanno obbligo di riversare i relativi compensi assembleari all’amministrazione, ove riassegnabili, in base alle vigenti disposizioni, al fondo per il finanziamento del trattamento economico accessorio, e alla società di appartenenza” (in caso di partecipazione indiretta). L’art. 4 comma 5 rinvia alla medesima disciplina, a tenore dell’inciso: “resta fermo l’obbligo di riversamento dei compensi assembleari di cui al comma precedente”.

Infine, quanto al termine di decorrenza della nuova disciplina, entrambi i commi 4 e 5 dell’art. 4 fissano l’applicazione al primo rinnovo dei consigli di amministrazioni, successivo alla data di entrata in vigore del D.L. 6 luglio 2012, n.95.

Si osserva, inoltre, che le disposizioni finanziarie testé richiamate si limitano a disciplinare l’aspetto pubblicistico della destinazione dei compensi assembleari (divieto di percezione diretta e confluenza nei fondi per il trattamento accessorio connesso con il raggiungimento di un risultato premiale), ma non impattano sulla sfera di applicazione della disciplina legislativa previgente, contenuta negli artt. 24 e 53 del D. Lgs. 30 marzo 2001 n.165.

Venendo più propriamente alle questioni sottese al quesito posto dall’amministrazione interpellante, il Collegio ribadisce che le finalità indicate dalla legislazione finanziaria si completano con le modalità di erogazione dei compensi assembleari aventi titolo nelle prestazioni rese dai dirigenti pubblici previste dalla contrattazione collettiva, alla stregua del rinvio normativo testualmente previsto dall’art. 24 comma 1 e 3 del D. Lgs. 30 marzo 2001, n.165 e salvi i divieti di cumulo d’incarichi e le incompatibilità previsti dall’art. 53 del medesimo decreto legislativo.

L’art. 20, comma 1 e 2 del CCNL del 22 febbraio 2010, prescrive che “in aggiunta alla retribuzione di posizione e di risultato possono essere erogati, a titolo di retribuzione di risultato, solo i compensi espressamente previsti da specifiche disposizioni di legge, come espressamente recepite nelle vigenti disposizioni della contrattazione collettiva nazionale e secondo le modalità da queste stabilite”.

Ne deriva che la soluzione al quesito risiede nello specifico recepimento che la fonte legislativa e la fonte contrattuale individuano per i compensi assembleari maturati per l’incarico dirigenziale in seno al consiglio di amministrazione delle società partecipate pubbliche.

In carenza di specifica previsione legislativa circa la destinazione del compenso al dirigente (attualmente il compenso è disciplinato dal richiamato art. 4 commi 4 e 5 del D.L. 6 luglio 2010, n.95), ovvero in difetto di espresso richiamo contenuto in apposita disposizione del contratto collettivo nazionale di lavoro, il corrispettivo assembleare previsto dalla società in mano pubblica è posto ad esclusivo vantaggio del bilancio della pubblica amministrazione cui appartiene il dipendente che partecipa nel consiglio di amministrazione e riversato nel fondo di produttività, con contestuale alleggerimento degli oneri finanziari dell’amministrazione su cui grava l’onere di comporne la quantificazione, senza possibilità di eterointegrazione mediante i meccanismi non espressamente previsti dalla contrattazione collettiva, tesi ad incrementare la retribuzione di risultato.

Se, invece, il compenso assembleare in astratto spettante al dirigente, è espressamente disciplinato dalla contrattazione collettiva (nell’an e nel quomodo) applicabile al comparto, ne deriva che le modalità ed i limiti di corresponsione troveranno colà la specifica disciplina, salvi i limiti previsti per l’invarianza del trattamento economico individuale (fisso continuativo ed accessorio) e dei fondi per la produttività previsti dagli artt. 9 commi 1, 2 e 2 bis del D.L. 31 maggio 2010,n.78, convertito nella legge 30 luglio 2010, n.122 (Sulla questione cfr. Sezioni Riunite in sede di controllo, deliberazione n.51/QM/2011).

L’ulteriore questione di diritto posta dall’amministrazione circa la ricomprensione dei compensi assembleari nell’alveo applicativo del vigente contratto collettivo di lavoro applicabile alla dirigenza pubblica (art. 20 CCNL 22 febbraio 2010) si qualifica quale tematica che attiene alla stretta interpretazione delle norme in materia di contrattazione collettiva su cui la Sezione, per il consolidato orientamento consultivo richiamato in punto di ammissibilità oggettiva, non può esprimersi in ragione del travalicamento dalla nozione di contabilità pubblica (Cfr. Sezioni Riunite in sede d controllo, deliberazione n.54/QM/2010; Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n.469/2011/PAR).

P.Q.M.

nelle considerazioni esposte è il parere della Sezione.

Il Relatore Il Presidente

(Dott. Gianluca Braghò) (Dott. Nicola Mastropasqua)

Depositata in Segreteria

Il 18/03/2013

Il Direttore della Segreteria

(dott.ssa Daniela Parisini)