Beni pubblici: ripetizione dei canoni concessori non dovuti e natura demaniale del bene

NOTA

Con la sentenza in rassegna, la S.C. si pronuncia sulla portata dell’onere della prova in ordine ai fatti costitutivi della pretesa alla restituzione dell’indebito.

Nella specie, si verteva dei canoni concessori che la società (resistente) riteneva non dovuti per carenza di demanialità del bene.

Afferma la S.C. che “nella ripetizione di indebito chi agisce ha l’onere di provare i fatti costitutivi della sua domanda e quindi l’avvenuto pagamento e la mancanza di una causa che lo giustifichi (in tal senso dalla citata Cass. n. 1557 del 1998 a Cass. 10 novembre 2010 n. 22872).Va provata da chi agisce la inesistenza d’una causa debendi (Cass. 9 febbraio 2007 n. 2903 e 17 marzo 2006 n. 5896) che, in rapporto al pagamento di un canone concessorio di bene demaniale, si esaurisce nell’accertamento negativo della demanialità di detto bene, sufficiente ad escludere il titolo a base del pagamento in favore dell’ amministrazione concedente. Si è già rilevato che colui che agisce per la ripetizione di un indebito allega la dazione senza causa della somma di denaro non come adempimento di un negozio giuridico ma come spostamento patrimoniale privo di causa e può, conseguentemente, assolvere l’onere della prova di questo fatto al di fuori dei limiti probatori previsti per i contratti, atteso che detti limiti sono applicabili solo al pagamento dedotto come manifestazione di volontà contrattuale, e non a quello prospettato come fatto materiale estraneo all’esecuzione di uno specifico rapporto giuridico; ne consegue che la prova dell’indebito può essere fornita per testimoni, indipendentemente dai limiti di cui all’art. 2721 c.c.” (Cass. 9 agosto 2010 n. 18483). Esclusa la demanialità del bene per cui si sono pagati i canoni, l’atto concessorio è da qualificare nullo e non meramente annullabile, perchè privo di oggetto, e nessuna necessità vi era quindi della sua disapplicazione ovvero della prova della proprietà del bene in capo alla controricorrente, che ha goduto di un’area della quale è certa la natura non demaniale e di cui nessuna prova vi è della proprietà della Regione, che ha percepito senza titolo il corrispettivo del godimento di tale terreno da parte della controricorrente.”.

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. BERRUTI Giuseppe – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

REGIONE SICILIA, in persona del Presidente della giunta regionale e, per quanto occorra, ASSESSORATO TERRITORIO E AMBIENTE DELLA REGIONE SICILIANA, in persona del legale p.t. – ex lege rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato e presso la stessa domiciliato in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente e controricorrente a ricorso incidentale –

contro

COSTRUZIONI BALNEARI CATANESI s.r.l. (CO.BA.CA. s.r.l), (OMISSIS) elettivamente domiciliato in Roma, presso l’avv. Magnano di San Lio Giovanni, alla Via dei Gracchi n. 187, rappresentata e difesa, anche disgiuntamente, dagli avv.ti TAFURI Gaetano e Luigi di Catania, come da procura a margine del controricorso con ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania, 1A sezione civile, n. 802, del 9 novembre 2005 – 10 agosto 2006.

Udita, all’udienza del 20 aprile 2012, la relazione del consigliere Dott. Fabrizio Forte;

Uditi l’avv. Giovanni Palatiello, per la ricorrente, l’avv. Luigi Tafuri, per la controricorrente, e il P.M. Dott. DESTRO Carlo, che conclude per il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento dell’incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 15 settembre 1994, la CO.BA.CA. Costruzioni Balneari Catanesi s.r.l. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, l’Assessorato al Territorio e all’ambiente della Regione siciliana, in persona dell’Assessore e i Ministeri delle Finanze e della Marina Mercantile, chiedendo che i convenuti fossero condannati a restituirle i canoni erroneamente versati dall’1 gennaio 1987 al 31 dicembre 1992, per complessive L. 15.480.000 o che, in subordine, fosse dichiarato non dovuto per prescrizione il supplemento chiesto dalla Capitaneria di porto a conguaglio degli anni 1987-1989, che essa aveva rifiutato di corrispondere. L’attrice nella citazione si era dichiarata proprietaria di un complesso destinato a bar ristorante al Viale (OMISSIS), cui era annesso un terreno da essa erroneamente considerato demaniale e utilizzato per accesso al suo esercizio e per l’impianto di una stazione di servizio AGIP poi smontata. Per detto terreno la Capitaneria di Porto aveva preteso i canoni concessori, che la società aveva pagato erroneamente e aveva quindi chiesto un conguaglio per gli anni 1987 – 1989 delle somme versate, che la stessa società aveva rifiutato di corrispondere. L’Assessorato al Territorio si costituiva, eccependo il difetto di giurisdizione dell’A.G.O., perchè l’azione aveva ad oggetto l’impugnazione della natura demaniale delle aree su cui aveva cognizione il giudice amministrativo, chiedendo nel merito il rigetto dell’avversa domanda.

Il Tribunale di Catania, con sentenza del 19 marzo 2002, accoglieva la domanda della s.r.l. CO.BA.CA., avendo accertato che l’area ad ovest di Viale (OMISSIS), prospiciente il bar ristorante della società non era demaniale per cui erano illegittimi gli ordini di introito dei canoni e le ingiunzioni per il loro pagamento, e i convenuti in solido dovevano condannarsi a restituire i canoni ricevuti.

Con atto di appello notificato il 29 ottobre 2002, i Ministeri delle Finanze e delle Infrastrutture e la Regione siciliana, in persona dell’Assessore al Territorio, impugnavano la sentenza di primo grado, deducendo il difetto di legittimazione sostanziale passiva degli appellanti Ministeri, avendo ricevuto i canoni controversi la sola Regione siciliana. Con l’appello avverso la sentenza, gli appellanti lamentavano pure che il tribunale, avendo ordinato la restituzione dei canoni, aveva implicitamente ritenuto usucapito il terreno da controparte, pure se mancava un titolo di trasferimento di detta proprietà che risultava pubblica , anche se non demaniale; il gravame chiedeva quindi di rigettare la domanda della società a r.l.

CO.BA.C.A. che, costituitasi in secondo grado, chiedeva il rigetto dell’avverso gravame e deduceva inoltre che le spettava la restituzione pure dei canoni successivi al 1987 da essa versati e dal tribunale in alcun modo considerati. La Corte d’appello di Catania, con la sentenza di cui in epigrafe, ha dichiarato il difetto di legittimazione sostanziale dei Ministeri evocati in causa in primo grado e rigettato l’appello della Regione siciliana, nei cui confronti la condanna del tribunale a restituire i canoni percepiti alla s.r.l. CO.BA.CA. era confermato; ha poi respinto l’appello incidentale della società teso ad ottenere il rimborso dei canoni successivi al 1992 versati a seguito di altra ingiunzione della Regione siciliana.

Per la cassazione di tale sentenza, notificata il 20 settembre 2006, è stato proposto ricorso di due motivi notificato a mezzo posta lunedì 20 – e martedi 21 novembre 2006 dalla Regione Sicilia e dall’Assessorato Territorio e Ambiente della Regione alla Costruzioni Balneari Catanesi Co.Ba.Ca. s.r.l., che resiste con controricorso e ricorso incidentale notificato il 29 dicembre 2006 e illustrato da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui replica la ricorrente principale con controricorso, ai sensi dell’art. 371 c.p.c..

Con i ricorsi non vengono più evocati in giudizio i Ministeri definitivamente dichiarati privi di legittimazione passiva dalla sentenza oggetto di ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo del ricorso principale denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2033 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

La ripetizione d’indebito della CO.BA.CA. s.r.l. si sarebbe dovuta accogliere solo con la dimostrazione dell’avvenuto pagamento di somme non dovute e della mancanza di causa di tale erogazione di somme (il ricorso cita in tal senso: Cass. 13 novembre 2003 n. 17146, 23 agosto 2000 n. 11029, e 21 luglio 2000 n. 9694 e 13 febbraio 1998 n. 1557).

Ad avviso della ricorrente, alla CO.BA.CA. s.r.l. incombeva quindi l’onere di provare la sua esclusiva proprietà del bene, che era stato oggetto di concessione e di cui essa aveva fruito, per far rilevare il carattere oggettivo dell’indebito derivato dal pagamento di canoni corrisposti sine titulo per il godimento di un bene proprio.

La Corte di merito ha accolto la domanda sull’erroneo presupposto che le Amministrazioni appellanti dovessero fornire esse la prova della proprietà pubblica del bene oggetto di godimento della società.

Il quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. chiede di affermare che erroneamente nel merito non si è applicato il principio di diritto per il quale, il concessionario di un bene che afferma di avere pagato un canone all’ amministrazione non dovuto, di cui chiede la restituzione ex art. 2033 c.c., cioè quale indebito oggettivo, perchè il bene concesso “non è demaniale ma di sua proprietà privata” ha l’onere, ai sensi dell’art. 2697 c.c., comma 1, di fornire la prova positiva di tale sua esclusiva proprietà.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso, la Regione siciliana lamenta omessa o insufficiente motivazione su una fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la Corte d’appello solo proceduto all’accertamento negativo della demanialità dei beni fruiti dalla società, per accogliere la ripetizione di indebito. Andava invece accertato nel merito se l’appellata fosse la proprietaria del bene, con connessa invalidità della concessione di un bene privato, potendosi solo con detti accertamenti pregiudiziali accogliere la domanda, non bastando la natura non demaniale dell’area a qualificare indebito il pagamento dei canoni, non essendosi mai disapplicati gli atti concessori ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, All. E, artt. 4 e 5.

1.3. L’unico motivo del ricorso incidentale della s.r.l. Co.Ba.CA. denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e dei principi di economia processuale e omessa e insufficiente motivazione, in ordine al rigetto della domanda di rimborso dei canoni successivi al 1992 perchè qualificata “nuova”. In realtà la domanda chiedeva la restituzione dei canoni pagati dall’attrice “dal 1987 in poi” e quindi la precisazione degli importi comprensivi di quelli successivi al 1992 era solo emendatio e non mutatio dell’atto introduttivo del giudizio, come tale pienamente ammissibile, a differenza di quanto affermato nel merito.

Il quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., chiede di enunciare il principio di diritto disapplicato dalla Corte di merito, per cui la domanda di ripetizione di indebito oggettivo, in relazione alla natura non demaniale dell’area per cui erano stati pagati i canoni non dovuti, comprende comunque l’intero rapporto dedotto in causa e si estende anche ai pagamenti corrisposti dopo l’inizio della causa per il medesimo titolo.

2.1. Il primo motivo di ricorso principale è infondato. Come ripetutamente affermato da questa Corte, nella ripetizione di indebito chi agisce ha l’onere di provare i fatti costitutivi della sua domanda e quindi l’avvenuto pagamento e la mancanza di una causa che lo giustifichi (in tal senso dalla citata Cass. n. 1557 del 1998 a Cass. 10 novembre 2010 n. 22872).

Va provata da chi agisce la inesistenza d’una causa debendi (Cass. 9 febbraio 2007 n. 2903 e 17 marzo 2006 n. 5896) che, in rapporto al pagamento di un canone concessorio di bene demaniale, si esaurisce nell’accertamento negativo della demanialità di detto bene, sufficiente ad escludere il titolo a base del pagamento in favore dell’ amministrazione concedente. Si è già rilevato che “colui che agisce per la ripetizione di un indebito allega la dazione senza causa della somma di denaro non come adempimento di un negozio giuridico ma come spostamento patrimoniale privo di causa e può, conseguentemente, assolvere l’onere della prova di questo fatto al di fuori dei limiti probatori previsti per i contratti, atteso che detti limiti sono applicabili solo al pagamento dedotto come manifestazione di volontà contrattuale, e non a quello prospettato come fatto materiale estraneo all’esecuzione di uno specifico rapporto giuridico; ne consegue che la prova dell’indebito può essere fornita per testimoni, indipendentemente dai limiti di cui all’art. 2721 c.c.” (Cass. 9 agosto 2010 n. 18483). Esclusa la demanialità del bene per cui si sono pagati i canoni, l’atto concessorio è da qualificare nullo e non meramente annullabile, perchè privo di oggetto, e nessuna necessità vi era quindi della sua disapplicazione ovvero della prova della proprietà del bene in capo alla controricorrente, che ha goduto di un’area della quale è certa la natura non demaniale e di cui nessuna prova vi è della proprietà della Regione, che ha percepito senza titolo il corrispettivo del godimento di tale terreno da parte della controricorrente.

Nessuna violazione vi è stata dell’art. 2033 c.c., perchè è certo che la Co.Ba.Ca. s.r.l. ha eseguito un pagamento non dovuto, non essendovi prova della demanialità del bene fruito o della proprietà di esso in capo alla Regione siciliana, che ha ricevuto il corrispettivo di tale godimento; ai sensi dell’art. 2697 c.c. l’onere della prova della inesistenza della causa debendi risulta assolto e nessuna violazione di tale ultima norma risulta esservi stata.

2.2. In rapporto a quanto affermato, deve rigettarsi anche il secondo motivo di ricorso, non essendovi ragione di disapplicare un atto nullo o inesistente quale è la concessione di un bene non demaniale.

Deve infatti prescindersi, come accennato, nella materia del pagamento di indebito, dal rapporto intercorso tra solvens e accipiens in mancanza di una causa debendi che giustifichi la corresponsione delle somme versate; tale fatto è per legge la fonte dell’obbligazione di restituzione di quanto ricevuto senza causa, e quindi nessun rilievo ha la prova della proprietà del bene in capo ha chi ha pagato un corrispettivo per il godimento di esso, a soggetto che non aveva titolo per riceverlo.

1.3. Anche il ricorso incidentale deve rigettarsi, in quanto l’art. 2033 c.c. chiarisce che, in caso di pagamento a soggetto che lo ha ricevuto in buona fede, gli interessi si computano dalla domanda, in tal modo escludendo la esistenza di alcun titolo della Regione a ricevere o ritenere quanto dovuto.

La domanda di ripetizione di indebito non può che riferirsi ad esborsi precedenti ad essa e la norma che fa decorrere gli interessi da essa e non dall’esborso, in caso di buona fede di chi ha ricevuto i pagamenti, conferma che essa non può comprendere anche eventuali pagamenti fondati sullo stesso inesistente titolo e intervenuti successivamente, come si pretende dalla ricorrente incidentale, non essendovi nessuna violazione dell’art. 112 c.p.c., essendosi correttamente definita nuova la richiesta in corso di causa dei pagamenti successivi, nessun rilievo potendo avere l’economia processuale o la ragionevole durata del processo, per far comprendere nell’obbligazione ex lege oggetto della presente azione anche fatti materialmente verificatisi dopo la data della notificazione dell’atto introduttivo.

3. In conclusione, i ricorsi riuniti devono entrambi rigettarsi e, per la reciproca soccombenza, le spese del giudizio di cassazione devono interamente compensarsi tra le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta entrambi i ricorsi e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 20 aprile 2012.

Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2012