Pubblico impiego: nessun rimborso di spese legali per reati che trovino nel servizio la mera occasione di realizzazione

NOTA

La sentenza respinge l’appello contro la decisione del TAR Lazio che aveva ritenuto insussistente il diritto del dipendente al rimborso delle spese legali.

Nella specie, l’appellante era stato prosciolto con formula piena dall’imputazione di concussione.

L’Avvocatura di Stato, nel parere reso nell’ambito del procedimento amministrativo di rimborso, aveva ritenuto insussistente qualsiasi connessione fra i fatti che avevano dato origine al procedimento penale e l’espletamento del servizio o l’assolvimento degli obblighi istituzionali.

La Sezione condivide tale valutazione e ribadisce che la mera connessioneoccasionale delle condotte con la qualifica di pubblico ufficiale non è sufficiente ai fini dell’ammissibilità del rimborso delle spese legali.

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N. 01190/2013REG.PROV.COLL.

N. 02892/2010 REG.RIC.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato

in sede giurisdizionale (Sezione Quarta)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 2892 del 2010, proposto da:
X. Y., rappresentato e difeso dall’avv. Daniela Caponi, con domicilio eletto presso Franco Caponi in Roma, via Anicio Gallo, 3;

contro

Ministero della Difesa, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. LAZIO – ROMA: SEZIONE I BIS n. 03799/2009, resa tra le parti, concernente rigetto istanza di rimborso spese legali

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Ministero della Difesa;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 19 febbraio 2013 il Cons. Sergio De Felice e uditi per le parti gli avvocati Daniela Caponi e l’avvocato dello Stato Melania Nicoli;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

Con ricorso proposto innanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio l’attuale appellante, Y. X., agiva per l’annullamento del decreto del 27 ottobre 2008 del Ministero della Difesa, con cui si rigettava la sua richiesta di rimborso delle spese legali, in relazione al procedimento penale n.895 del 2006, conclusosi con sentenza di assoluzione ex art. 530 c.p.p. dal reato di concussione di cui all’art. 317 c.p. perché “il fatto non sussiste”.

L’amministrazione aveva negato il rimborso sulla base del parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, secondo cui “sebbene l’imputazione di concussione presupponga uno stato giuridico di pubblico ufficiale, non si ravvisa nella specie alcuna connessione fra i fatti che hanno dato origine al procedimento penale e l’espletamento del servizio o l’assolvimento degli obblighi istituzionali”.

Il ricorrente deduceva i vizi di violazione di legge ed eccesso di potere sotto svariati profili.

Il primo giudice, con la sentenza appellata, definita in forma semplificata all’esito della camera di consiglio fissata per la fase cautelare, ha rigettato il ricorso, ritenendo che, pur sussistendo il requisito della completa assoluzione penale, tuttavia manca il primo presupposto necessario e cioè che il giudizio penale sia stato promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento degli obblighi istituzionali. Nella specie, si era trattato di una vicenda di acquisto a titolo personale di telefoni cellulari in cui era stato contestato l’abuso della qualità di pubblico ufficiale (da cui poi era stato assolto). L’imputazione quindi, secondo il primo giudice, non era originata da una attività svolta in diretta connessione con i fini dell’amministrazione o nell’ambito del rapporto di immedesimazione organica tale da consentire una immediata riferibilità della condotta all’ente.

Si era invece trattato di una condotta del tutto estranea ai compiti dell’istituto, in cui il dipendente aveva agito per scopi del tutto personali e in cui la qualità di pubblico ufficiale, che era venuta in rilievo proprio perché se ne contestava l’abuso, era in conflitto con l’interesse proprio dell’amministrazione di appartenenza, non potendosi inoltre escludere elementi potenzialmente rilevanti sotto il profilo disciplinare o amministrativo.

Avverso tale sentenza propone appello il medesimo Y. X. , che deduce in primo luogo la nullità della sentenza, perché la difesa del ricorrente non è potuta comparire alla camera di consiglio fissata per la sospensiva in data 4 marzo 2009, avendo ricevuto la comunicazione della fissazione dell’udienza di discussione soltanto dopo è cioè in data 5 marzo 2009.

Conseguentemente, sostiene la nullità della sentenza per violazione del diritto di difesa essendo stata introitata la causa direttamente nel merito in assenza di comparizione delle parti ed essendo stato posto nella impossibilità di comparire.

Nel merito, deduce la erroneità della sentenza appellata, in quanto la formula assolutoria “perché il fatto non sussiste” non può consentire di ritenere esclusa la connessione con il rapporto organico con l’amministrazione; in caso contrario, al Y. non sarebbe stato contestato il reato di concussione.

Il giudice di primo grado non ha tenuto conto che i fatti oggetto di procedimento penale riguardavano fatti avvenuti durante il normale servizio di controllo del territorio da parte del carabiniere e che lo sconto che gli è stato effettuato sull’acquisto dei cellulari rientrava nella libera contrattazione di mercato; contesta che i fatti dai quali è stato assolto possano determinare l’apertura di procedimenti disciplinari o di tipo amministrativo, non avendo l’amministrazione subito alcun danno.

Chiede anche la modifica della statuizione di condanna alle spese.

Si è costituito il Ministero della Difesa chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.

Alla udienza pubblica del 19 febbraio 2013 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

L’appello è infondato.

E’ vero che il mancato invio della comunicazione dell’ avviso di fissazione d’udienza configura un difetto di procedura sancito dall’art. 35 comma 1 l. Tar, che determina la nullità dell’udienza di discussione e di tutti i successivi atti processuali, ivi compresa la decisione finale.

Nella specie, la parte appellante deduce di avere ricevuto la comunicazione della camera di consiglio soltanto successivamente (il giorno dopo, 5 marzo 2009) rispetto al giorno fissato (4 marzo 2009).

Tuttavia, nulla dimostra al riguardo; né diversamente risulta dal fascicolo di primo grado acquisito agli atti, dal quale risulta soltanto che era stato fatto avviso alle parti, con atto datato 26 febbraio 2009, di cui peraltro difetta la prova della comunicazione.

L’appello è infondato nel merito.

L’art. 18 d.l. n. 67/1997 conv. in l. n. 135/1997 individua i presupposti che legittimano l’amministrazione a contribuire alla difesa del suo dipendente imputato in un processo penale: è necessario che il giudizio di responsabilità sia stato promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento degli obblighi istituzionali, e che esso si sia concluso con sentenza od altro provvedimento che abbia escluso la responsabilità dell’istante.

Ai fini dell’applicazione dell’art. 18 comma 1, d.l. 25 marzo 1997 n. 67, conv. nella l. 23 maggio 1997 n. 135, in tema di rimborso di spese legali , la connessione dei fatti con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali va intesa nel senso che tali atti e fatti siano riconducibili all’attività funzionale del dipendente stesso in un rapporto di stretta dipendenza con l’adempimento dei propri obblighi, dovendo trattarsi di attività che necessariamente si ricollegano all’esercizio diligente della pubblica funzione, nonché occorre che vi sia un nesso di strumentalità tra l’adempimento del dovere e il compimento dell’atto, nel senso che il dipendente non avrebbe assolto ai suoi compiti se non compiendo quel fatto o quell’atto.

Nella specie, esaminando gli atti, interrogatori e testimonianze rese nel corso del giudizio, il fatto imputato di abuso della qualità o di concussione esulava del tutto dal servizio pubblico e aveva ad oggetto fatti privati posti in essere dall’appellante.

La vicenda riguarda l’acquisto, a titolo del tutto personale – e tale circostanza assume valore assorbente – di telefoni cellulari in cui è stato contestato l’abuso della qualità di pubblico ufficiale; tra l’altro, l’istruttoria ha portato a concludere da un lato sulla insufficienza degli elementi di prova ai fini della configurabilità del reato di concussione; dall’altro lato, si sarebbe delineata una condotta dell’imputato arrogante e poco consona alla qualità rivestita di appuntato dei Carabinieri.

L’amministrazione ha correttamente negato il rimborso sulla base del parere dell’Avvocatura Generale dello Stato, secondo cui “sebbene l’imputazione di concussione presupponga uno stato giuridico di pubblico ufficiale, non si ravvisa nella specie alcuna connessione fra i fatti che hanno dato origine al procedimento penale e l’espletamento del servizio o l’assolvimento degli obblighi istituzionali”.

Ai fini del rimborso delle spese legali sostenute da un pubblico dipendente (nella specie, un maresciallo aiutante), affinché sia ravvisabile una connessione tra la condotta tenuta e l’attività di servizio del dipendente, è necessario che la suddetta attività sia tale da poterne imputare gli effetti dell’agire del pubblico dipendente direttamente alla Amministrazione di appartenenza, poiché il beneficio del ristoro delle spese legali richiede un rapporto causale con una modalità di svolgimento di una corretta prestazione lavorativa le cui conseguenze ricadrebbero sull’Amministrazione nè è sufficiente che l’evento avvenga durante e in occasione della prestazione (tra tante, Consiglio Stato sez. III, 1 marzo 2010, n. 275).

L’imputazione basata sulla qualifica di pubblico ufficiale muove da giudizi prognostici ed astratti che non possono valere ad indebitamente estendere il perimetro applicativo dell’art. 18 d.l. n. 67 del 1997 modificandone il paradigma legale, il quale richiede che le condotte siano connesse con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali, e dunque rientranti nell’alveo della riferibilità al valore dell’Amministrazione, con esclusione di quelle che siano occasionalmente ricollegabili ad un incarico – come per esempio, come nella specie, l’acquisto a titolo privato di beni quali telefoni cellulari, abusando della qualità – e non pure al diretto svolgimento delle funzioni istituzionali e i cui effetti non siano imputabili all’Amministrazione, in quanto non ascritte al novero delle incombenze direttamente promananti dalla posizione funzionale ed organizzativa rivestita dall’interessato nell’ambito della struttura dell’Amministrazione di appartenenza.

La mera connessione occasionale delle condotte con la qualifica di pubblico ufficiale non è, quindi, sufficiente ai fini dell’ammissibilità del rimborso delle spese legali, altrimenti dovendo farsi rientrare nel campo applicativo della norma tutte le imputazioni relative ai reati propri inerenti a condotte che trovino nel servizio la mera occasione di realizzazione.

Non è sufficiente a dimostrare la connessione, se non a titolo meramente occasionale, la circostanza, evidenziata dall’appellante a sostegno delle sue pretese, che il venditore disponeva del cellulare del carabiniere avendo subito alcuni furti, né che l’appellante era solito recarsi presso quel rivenditore.

Il giudizio di responsabilità si considera promosso in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con l’assolvimento degli obblighi istituzionali solo nei casi in cui l’imputazione riguardi un’attività svolta in diretta connessione con i fini funzionali dell’ente e, come tale, ad esso imputabile.

La possibilità del rimborso delle spese legali è da escludersi qualora vi sia conflitto di interessi tra dipendente ed amministrazione, emergendo o comunque potendo emergere estremi di natura disciplinare ed amministrativa, per mancanze attinenti al compimento dei doveri d’ufficio.

Per le sopra esposte considerazioni, l’appello deve essere respinto.

Sussistono giusti motivi per disporre tra le parti la compensazione delle spese di giudizio del presente grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione quarta, definitivamente pronunciando sul ricorso indicato in epigrafe, così provvede:

rigetta l’appello, confermando la impugnata sentenza. Spese compensate.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2013 con l’intervento dei magistrati:

Giorgio Giaccardi, Presidente

Sergio De Felice, Consigliere, Estensore

Raffaele Greco, Consigliere

Diego Sabatino, Consigliere

Raffaele Potenza, Consigliere

DEPOSITATA IN SEGRETERIA

Il 26/02/2013

IL SEGRETARIO

(Art. 89, co. 3, cod. proc. amm.)