Servizio idrico: sulla restituzione dei canoni di depurazione

NOTA

Con il parere in rassegna, la Sezione Campania è chiamata a pronunciarsi sul delicato tema dell’individuazione degli oneri deducibili dall’importo da restituire ai contribuenti a titolo di canone di depurazione non dovuto a seguito della sentenza costituzionale 10 ottobre 2008 n. 335, che ha dichiarato l’incostituzionalità delle disposizioni di cui all’art. 14, co. 1, L. 36/1994, modificato dall’art. 28, L. n. 179/2002 e dell’art. 155, co. 1, primo periodo, D. Lgs. n. 152/06 laddove imponevano agli utenti di corrispondere la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione anche nel caso in cui la fognatura fosse sprovvista dei relativi impianti o questi fossero inattivi.

La Sezione esclude che le risorse qualificate dal Comune richiedente come «a fondo perduto», ancorché inerenti alla realizzazione dell’impianto di depurazione, possano essere decurtate dall’importo da restituire agli utenti a titolo di canone indebito, trattandosi di erogazione di capitale per il quale non viene chiesto alcun rimborso dall’ente finanziatore.

La soluzione trova conferma nella previsione di cui all’art. 5, D.M. Ministero dell’ambiente 30 settembre 2009 (cd. decreto Prestigiacomo – G.U. l’8 febbraio 2010) portante «Individuazione dei criteri e dei parametri per la restituzione agli utenti della quota di tariffa non dovuta riferita ai servizi di depurazione», in attuazione dell’art. 8-sexies, D.L. 30 dicembre 2008, n. 208, conv. in L. 27 febbraio 2009, n. 13, che prevede che non sono deducibili gli oneri connessi a finanziamenti pubblici a fondo perduto.

Il parere merita di essere segnalato per l’attento esame della natura e delle componenti della tariffa del servizio idrico.

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CORTE DEI CONTI

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA CAMPANIA

Del/Par n. 162/2012

Composta dai seguenti magistrati:

Pres. di Sez.Vittorio Lomazzi PresidenteCons.Silvano Di SalvoCons.Tommaso ViciglioneRef.Rossella BocciRef.Rossana De CoratoRef.Raffaella Miranda relatoreRef.Carla Serbassi

Ha adottato la seguente deliberazione nella camera di consiglio del 23 aprile 2012

Visto l’art.100, comma 2, della Costituzione;

Vista la legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3;

Visto il T.U. delle leggi sull’ordinamento della Corte dei conti, approvato con R.D. 12 luglio 1934, n.1214 e le successive modificazioni ed integrazioni;

Vista la legge 14 gennaio 1994, n.20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti;

Vista la legge 5 giugno 2003, n.131, recante disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n.3;

Visto il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, approvato dalle Sezioni riunite con deliberazione n° 14/DEL/2000 del 16 giugno 2000 e successive modificazioni;

Vista, in particolare, la deliberazione n° 229 del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti, approvata in data 19 giugno 2008 ai sensi dell’art. 3, comma 62, della legge 24 dicembre 2007 n° 244;

Vista la deliberazione n° 9/SEZAUT/2009/INPR della Sezione delle autonomie della Corte dei conti in data 4 giugno-3 luglio 2009;

Visto l’art. 17, comma 31, del decreto legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito in legge 3 agosto 2009, n. 102;

Vista la deliberazione della Sezione regionale di controllo per la Campania n° 74 del 30 settembre 2009;

Visti altresì i principi decisionali individuati dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti con la deliberazione n° 8/AUT/2008 del 12 maggio-4 luglio 2008 e le indicazioni procedurali di cui alla nota del Presidente della Corte dei conti n° 2789 del 28 settembre 2009;

Visto il quesito inoltrato dal Sindaco del Comune di Airola (BN) con nota prot. n. 011919 del 21 dicembre 2011 con la quale viene richiesto parere di questa Sezione ai sensi dell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003 n° 131;

Vista l’ordinanza presidenziale n. 12/2012 con la quale la questione, assegnata al magistrato relatore, è stata deferita all’esame collegiale della Sezione;

Udito il relatore Dott.ssa Raffaella Miranda;

Premesso

Il Sindaco del Comune di Airola fa presente che la provincia di Benevento ha progettato e realizzato per il Comune l’impianto di depurazione, consegnato definitivamente nel 2008. Nel frangente in cui il depuratore non era presente nel Comune, si è proceduto comunque alla riscossione del canone di depurazione, così come previsto dalla L. 36/94 e dal successivo decreto legislativo 152/06.

Con l’entrata in vigore della L. 27 febbraio 2009, n. 13 di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2008, n. 208, recante misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente ( erroneamente il Comune indica la L. 27 febbraio 2009, n. 208, ndr), che in attuazione della sentenza della Corte Costituzionale 10 ottobre 2008, n. 335, dispone la restituzione dei canoni non usati dagli enti locali per la depurazione, il Comune chiede a questa Sezione:

a) quale debba essere la valutazione relativa alle somme spese dalla Provincia di Benevento per la progettazione e realizzazione dell’impianto di depurazione, qualificate fondi pubblici; ed in particolare, se dette somme entrano nel calcolo di cui alla citata legge e se si decurtano da quelle da restituire agli utenti idrici a titolo di canone di depurazione.

b) In caso di risposta affermativa in che modo dovranno ripartirsi e se risulta corretto imputare tali spese alle annualità di realizzazione (anni 1999-2008) dell’impianto di depurazione.

Considerato

Preliminarmente, in rito, occorre verificare se la richiesta proveniente dal Sindaco del Comune di Airola (BN) sia ammissibile soggettivamente ed oggettivamente.

Al riguardo, occorre fare riferimento a quanto affermato dalla Sezione delle Autonomie della Corte dei Conti, (cfr. Adunanza 4 giugno 2009, n.9) nonché all’orientamento di questa Sezione circa l’ammissibilità delle richieste di parere in materia di contabilità pubblica. Come noto, le richieste di parere vanno inoltrate per il tramite del Consiglio delle autonomie locali. La mancata costituzione di tale organo non rappresenta tuttavia elemento ostativo alla richiesta di parere, poiché la disposizione normativa usa la locuzione «di norma» non precludendo, quindi, in linea generale, la richiesta avanzata dall’ente. Inoltre, allorquando la richiesta sia proposta dall’organo rappresentativo dell’Ente (Presidente della Regione, Presidente della Provincia, Sindaco e, nel caso di atti di normazione, il Consiglio comunale, nella persona del Presidente, quale organo che può proporre la richiesta) deve ritenersi ammissibile in quanto proveniente dall’organo munito di rappresentanza legale esterna, legittimato ad esprimere la volontà dell’Ente e ad impegnare lo stesso verso l’esterno in tutti i rapporti giuridici ed amministrativi.

La richiesta di parere in esame è stata avanzata dal Sindaco del Comune di Airola (BN); pertanto è da ritenersi ammissibile sotto il profilo soggettivo.

In relazione all’ammissibilità oggettiva della richiesta, bisogna verificare se la stessa attenga alla materia della contabilità pubblica di cui all’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003 n° 131. In tal senso, infatti, la norma – in combinato disposto con il precedente comma 7 – intende fare riferimento alla «attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore, ricomprendendo, in particolare, la disciplina dei bilanci e i relativi equilibri, l’acquisizione delle entrate, l’organizzazione finanziaria – contabile, la disciplina del patrimonio, la gestione delle spese, l’indebitamento, la rendicontazione e i relativi controlli» (cfr. al riguardo Sez. Autonomie atto di indirizzo del 27 aprile 2004, nonché delibera 17 febbraio 2006, n. 5). In altri termini, per poter correttamente individuare i limiti oggettivi delle richieste di parere inoltrate dagli enti locali occorre avere riguardo non solo al comma 8 ma anche al comma 7 dell’art. 7 citato. Se il comma 8 prevede la facoltà di richiedere pareri, è consequenziale che tale funzione consultiva debba avere come punto di riferimento le funzioni sostanziali di controllo collaborativo previste dal precedente comma 7. È in tal senso, del resto, che le Sezioni Riunite della Corte dei Conti in sede di controllo hanno individuato una nozione unitaria e dinamica della contabilità pubblica basata sul «sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici», da rapportarsi alle materie riguardanti la gestione del bilancio e sui suoi equilibri (cfr. delibera 17 novembre 2010, n. 54). Pertanto, la funzione consultiva è ammissibile anche in riferimento a questioni che prima facie sembrerebbero estranee alla contabilità pubblica ma che risultano connesse alla gestione delle risorse pubbliche, con particolare riferimento agli obiettivi di contenimento della spesa pubblica.

L’oggetto del presente parere – per comodità espositiva – può essere suddiviso in due punti (sinteticamente indicati in premessa con le lettere a), b).

La prima questione è oggettivamente ammissibile.

La seconda problematica lo è in parte qua. Infatti, sebbene le due questioni indubbiamente rientrino oggettivamente nella materia della contabilità pubblica, come brevemente illustrata, occorre evidenziare che nell’ambito del secondo punto (lettera b) questa Sezione deve esimersi dal rispondere circa le modalità di ripartizione delle somme di cui si discute, in quanto ciò – pur attenendo alla contabilità pubblica– riguarda esclusivamente una fattispecie concreta di gestione del denaro. Il parere fornito dalla Sezione – anche se scaturisce dalla richiesta dell’ente locale riguardante un caso concreto – deve assumere carattere generale, esulando da ciò qualsiasi forma di cogestione o coamministrazione con l’ente richiedente (cfr. Sez. reg. contr Lombardia, 11 febbraio 2009, n. 36). In tal senso, la Sezione analizza e interpreta principi generali dell’ordinamento e disposizioni normative in relazione alla materia prospettatale, spettando, ovviamente, solo all’amministratore locale la concreta scelta decisionale, che potrà essere orientata in base alle conclusioni prospettate dalla Sezione ( cfr. Sez. Autonomie 17 febbraio 2006, n. 5)

Nel caso in esame, invece, il quesito in oggetto attiene a un caso concreto, che porterebbe la Corte ad entrare nel merito di scelte spettanti alle amministrazioni locali.

merito

Con specifico riferimento all’oggetto della presente pronuncia, occorre prendere le mosse dalla sentenza della Corte Costituzionale 10 ottobre 2008, n. 335. Il Giudice delle Leggi è intervenuto in relazione alla natura giuridica da attribuire al canone idrico pagato dagli utenti.

Al riguardo, occorre specificare che il servizio pubblico di cui si discute riguarda il servizio di depurazione delle acque, servizio pubblico essenziale per garantire l’igiene e la salute collettiva che è stato nel tempo finanziato come parte dell’entrata del servizio idrico; così si è avuta la quota del canone relativa alla depurazione, disciplinata dall’art. 16 L. 319/1976 (cd. Legge Merli); la quota per il servizio idrico prevista dall’art. 13 L. 36/1994 (cd. Legge Galli); infine la quota della tariffa del servizio idrico integrato (cd. S.I.I.) ex artt. 154 e 155 D.Lgs. 152/2006 (cd. codice ambientale).

Il canone in questione è stato definito nel tempo ora come entrata tributarie, ora come entrata commutativa o paracommutativa.

La sentenza n. 335/2008 ha ritenuto che la somma pagata dall’utente non costituisce un tributo, che prescinde dall’effettuazione di specifiche prestazioni in virtù del principio dell’irrilevanza della corrispettività, ma una tariffa e come tale rappresenta il corrispettivo contrattuale per il servizio effettivamente fruito dall’utente. In tal senso, può ritenersi che i rapporti di utenza pubblica integrano dei rapporti contrattuali, e come tali disciplinati dalle regole proprie del diritto privato (e non da quelle del diritto amministrativo, o del diritto tributario).

La natura non tributaria della quota di tariffa è stata riconosciuta anche dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui con il passaggio alla disciplina dettata dalla L. 36/94, i «canoni» di depurazione si sono trasformati da tributo a «corrispettivo di diritto privato» (Cfr. Cass. civ. Sez. Unite, 20 agosto 2004, n. 16426; Cass. civ. Sez. Unite, 25 marzo 2005, n. 6418; Cass. civ. Sez. Unite, 16 maggio 2008, n. 12375; Cass. civ. Sez. Unite Ord., 25 luglio 2008, n. 20501).

Infatti, la L. 36/94 prevede una tariffa unica, costruita nelle sue componenti in modo da coprire i costi del servizio; il che è fissato direttamente dalla legge pur trovando nel contratto la sua fonte. Del resto, in tal senso, anche il Testo Unico sugli enti locali determina la tariffa di tutti i servizi pubblici locali secondo analoghi criteri di calcolo (vd. art. 117 Tuel).

La tariffa essendo causalmente legata al servizio ed inserita nel rapporto sinallagmatico con l’utente è legittimamente pagata solo allorquando la controprestazione sia effettivamente resa, pena la realizzazione di un ingiustificato arricchimento.

Rebus sic stantibus, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità delle disposizioni ex art. 14, comma 1, L. 36/1994, mod. ex art. 28 L. n. 179/2002 e dell’art. 155, comma 1, primo periodo, D.Lgs. 152/06 laddove imponevano agli utenti di corrispondere la quota di tariffa riferita al servizio di depurazione anche nel caso in cui la fognatura fosse sprovvista dei relativi impianti o questi fossero inattivi.

È evidente come la sentenza del Giudice delle Leggi si inserisca nel filone normativo e giurisprudenziale secondo cui il cittadino non è più (o non solo) un amministrato, ma un cliente; al fianco del provvedimento amministrativo, troviamo il contratto, che veicola obblighi a cui il gestore del servizio non può sottrarsi; e, alle tariffe di natura tributaria si sono sostituiti i corrispettivi contrattuali, anche se determinati tramite atti autoritativi ( al riguardo cfr. anche le sentenze della Corte Costituzionale – ad esempio, in tema di tributo per il deposito in discarica dei rifiuti – 27 luglio 2005, n. 335 nonché 25 ottobre 2005, n. 397; inoltre, la Corte è successivamente intervenuta – sempre in tema di S.I.I. – ribadendo quanto affermato in relazione alla tariffa idrica, cfr. sentenza 11 febbraio 2010 n. 39 ove affronta la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni di cui dell’art. 2, comma 2, secondo periodo, D.Lgs. n. 546/1992 mod. ex art. 3 bis, comma 1, lett. b) D.L. 30 settembre 2005, n. 203 conv. in L. 248/2005, nella parte in cui aveva attribuito alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue di cui agli artt. 13 e 14 L. 36/1994).

La pronuncia della Corte Costituzionale ha inficiato ex tunc le disposizioni dichiarate incostituzionali e ciò ha comportato il diritto degli utenti ad ottenere la restituzione di quanto corrisposto in passato e indebitamente percepito, salvo il normale effetto del termine di prescrizione fra cui Corte dei Conti, sez. contr. Friuli, n.55/09; Corte dei Conti, sez. contr. Veneto, 17/2009; vd. Corte dei Conti, sez. contr. Lombardia 25/2009) ovvero le altre ipotesi di situazioni giuridiche divenute comunque irrevocabili (cc.dd. «rapporti esauriti»), per effetto di sentenze passate in giudicato e/o atti amministrativi inoppugnabili (su cui vd. Corte dei Conti, sez. contr. Molise, 3/2009).

A seguito di tale sentenza, è stato emanato il D.L. 30 dicembre 2008, n. 208, conv. in L. 27 febbraio 2009, n. 13.

Per quanto qui d’interesse, l’art. 8 sexies, comma 1, del decreto citato, stabilisce che «gli oneri relativi alle attività di progettazione e di realizzazione o completamento degli impianti di depurazione, nonché quelli relativi ai connessi investimenti, come espressamente individuati e programmati dai piani d’ambito, costituiscono una componente vincolata della tariffa del servizio idrico integrato che concorre alla determinazione del corrispettivo dovuto dall’utente. Detta componente è pertanto dovuta al gestore dall’utenza, nei casi in cui manchino gli impianti di depurazione o questi siano temporaneamente inattivi, a decorrere dall’avvio delle procedure di affidamento delle prestazioni di progettazione o di completamento delle opere necessarie alla attivazione del servizio di depurazione, purché alle stesse si proceda nel rispetto dei tempi programmati».

In tal senso, il legislatore trasforma il corrispettivo dovuto anche in assenza dell’impianto di depurazione in una componente che concorre a determinare la tariffa del servizio idrico. I predetti oneri rappresentano, quindi, una quota «vincolata» della tariffa che ha natura di corrispettivo.

Al fine di tener conto degli effetti conseguenti alla declaratoria d’illegittimità costituzionale il comma 2 della disposizione ha previsto che «in attuazione della sentenza della Corte costituzionale n. 335/2008, i gestori del servizio idrico integrato provvedono anche in forma rateizzata, entro il termine massimo di cinque anni, a decorrere dal 1 ° ottobre 2009, alla restituzione della quota di tariffa non dovuta riferita all’esercizio del servizio di depurazione. Nei casi di cui al secondo periodo del comma 1, dall’importo da restituire vanno dedotti gli oneri derivati dalle attività di progettazione, di realizzazione o di completamento avviate. L’importo da restituire è individuato, entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, dalle rispettive Autorità d’ambito».

Il successivo comma 3 stabilisce che «le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano anche agli enti locali gestori in via diretta dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione. In tali casi all’individuazione dell’importo da restituire provvedono i medesimi enti locali»; si tratta di una precisazione di importante rilievo, in quanto in mancanza della stessa, allorquando non vi fossero i piani d’ambito, non sarebbe possibile trattenere la quota riconducibile agli oneri di progettazione ed avvio per la realizzazione degli impianti, in caso di attività già avviate.

La normativa emanata pone quindi in capo ai soggetti pubblici richiamati (Autorità d’ambito o enti locali) il compito di quantificazione dell’importo da restituire ed i relativi tempi di attuazione, obbligando poi i gestori del servizio idrico integrato alle modalità ed ai tempi di restituzione della quota di tariffa non dovuta, come determinata dai predetti soggetti, in esecuzione del giudizio costituzionale.

La disposizione, inoltre, al comma 4, subordina l’attuazione degli adempimenti previsti dal comma 2, all’emanazione di decreti da parte del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, con i quali devono essere stabiliti i relativi criteri e parametri di riferimento (cfr. comma 4 «Entro due mesi dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, su proposta del Comitato per la vigilanza sull’uso delle risorse idriche, il Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare stabilisce con propri decreti i criteri ed i parametri per l’attuazione, coerentemente con le previsioni dell’allegato al decreto del Ministro dei lavori pubblici, d’intesa con il Ministro dell’ambiente, 1° agosto 1996, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 243 del 16 ottobre 1996, tenute presenti le particolari condizioni dei soggetti non allacciati che provvedono autonomamente alla depurazione dei propri scarichi e l’eventuale impatto ambientale, di quanto previsto dal comma 2, nonché le informazioni minime che devono essere periodicamente fornite agli utenti dai singoli gestori in ordine al programma per la realizzazione, il completamento, l’adeguamento e l’attivazione degli impianti di depurazione previsto dal rispettivo Piano d’ambito, nonché al suo grado di progressiva attuazione, e le relative forme di pubblicità, ivi inclusa l’indicazione all’interno della bolletta»).

In ottemperanza a ciò, è stato emanato il decreto del Ministero dell’ambiente e tutela del territorio e del mare 30 settembre 2009 «Individuazione dei criteri e dei parametri per la restituzione agli utenti della quota di tariffa non dovuta riferita ai servizi di depurazione », concernente l’attuazione dell’art. 8 sexies, L. 13/2009 (cd. decreto Prestigiacomo pubbl. in G.U. l’8 febbraio 2010).

Con tale decreto si sono stabiliti i criteri e le modalità per la restituzione delle somme indebitamente versate dagli utenti per il canone di depurazione delle acque nonostante la mancanza degli impianti di depurazione o la loro inattività temporanea.

Ora, per quanto d’interesse nel presente parere, l’art. 5 del decreto citato – rubricato «oneri deducibili» – stabilisce che «dall’importo da restituire vanno dedotte le componenti di costo della tariffa di riferimento di cui ai punti 3.2. (ammortamenti e accantonamenti) e/o 3.3 (remunerazione del capitale investito), dell’allegato al decreto del Ministero dei lavori pubblici d’intesa con il Ministro dell’ambiente 1° agosto 1996, determinate in relazione ai costi effettivamente sostenuti per le attività di progettazione, realizzazione, completamento dell’impianto di depurazione a servizio di ciascun utente avente diritto alla restituzione. Le gestioni in via diretta provvedono a determinare le corrispondenti deduzioni in coerenza con le modalità indicate dalle pertinenti delibere CIPE.

Qualora alla copertura dei costi di cui al comma precedente si provveda con risorse prelevate dai fondi vincolati di cui agli artt. 14 della L. n.36/1994, e 155, del D.Lgs. 152/2006, i relativi importi sono deducibili per intero.

Sono da considerare deducibili ai sensi del comma 1 anche i costi sostenuti dal gestore per l’attivazione di impianti temporaneamente inattivi, come definiti all’art. 2 del presente decreto, limitatamente al periodo in cui non hanno fornito il servizio.

Alla deducibilità delle componenti di costi di cui al comma 1 si procede anche nel caso in cui all’attivazione del servizio di depurazione si sia provveduto mediante collegamento ad un impianto al servizio anche di altre comunità di utenti, quando ciò sia previsto e programmato nel Piano d’ambito. In tal caso, al calcolo delle deduzioni si procede in relazione alla quota della capacità depurativa totale utilizzata allo scopo.

Non sono deducibili gli oneri connessi a finanziamenti pubblici a fondo perduto».

Orbene, applicando la normativa richiamata al caso esposto nella richiesta di parere, risulta evidente che le risorse qualificate dallo stesso Comune di Airola come «a fondo perduto» (annualità 1999-2008), inerenti alla realizzazione dell’impianto di depurazione, non devono essere decurtate dall’importo da restituire agli utenti, perché si tratta – in base a quanto dichiarato dal Sindaco – di erogazione di capitale per il quale non viene chiesto alcun rimborso dall’ente finanziatore.

In relazione a tale conclusione, siconsideri che, come esposto nel presente parere nonché in considerazione dell’art. 154, co. 1, D. lgs. 152/2006 (cd. codice ambientale), le modalità di determinazione della tariffa devono assicurare la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero degli stessi (cfr. art. 154, co. 1 «La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed e’ determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonchè di una quota parte dei costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio “chi inquina paga”. Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo»).

In questa prospettiva, il servizio di depurazione costituisce parte di una prestazione complessache riguarda l’intero «ciclo delle acque», che come tale è considerato e tutelato nel codice dell’ambiente. Alla riconduzione ad unità degli assetti organizzativi del servizio e con la previsione della gestione unitaria del ciclo integrato delle acque si è affiancata l’unitarietà della tariffa – anche se articolata in quote– intesa quale corrispettivo globale del servizio ed orientata alla copertura integrale dei costi di investimento ed esercizio. In tal senso, può parlarsi di una «tariffa di depurazione» quale «quota» di un quantum dovuto dall’utente a titolo di tariffa idrica (art. 154) calcolata per il servizio di depurazione.

Secondo la prospettiva delineata dal legislatore la tariffa deve essere determinata in relazione all’obbligazione di fornitura e raccolta d’acqua, ma anche secondo la prognosi delle opere da compiere («adeguamenti necessari») nonché in base all’entità dei costi di gestione e delle aree di salvaguardia, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito, e infine considerando i costi di funzionamento dell’Autorità d’ambito; il tutto comunque in modo da rispettare il pari ordinato principio del «chi inquina paga» (al riguardo cfr. anche la Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento Europeo e al Comitato Economico e sociale «Politiche di tariffazione per una gestione più sostenibile delle riserve idriche» (COM 477/2000),ove si sostiene che, in ossequio al principio «chi inquina paga», le tariffe devono incorporare tanto i costi finanziari della fornitura dei servizi idrici (gestione, manutenzione e di capitale) quanto quelli «ambientali» e per il reintegro delle risorse).

Nella prospettiva delineata è evidente la funzione finanziaria della norma che intende tutelare e bilanciare gli interessi pubblici coinvolti, raccogliendo risorse per la costruzione e la manutenzione degli impianti di depurazione che devono afferire a un fondo vincolato (cfr. art. 155 T.U. ambiente).

Nel caso in esame, lo stesso rappresentante legale dell’ente, con riferimento alle spese sostenute per la gestione e per oneri derivanti dalle attività di progettazione, di realizzazione o di completamento avviate, ai sensi del citato art. 8 sexies, nell’affermare che “(…) l’Ente ha provveduto ad effettuare i calcoli necessari sottraendo varie voci di costo compresi i costi sopportati direttamente per gli investimenti pluriennali per la quota parte gravante sui singoli esercizi interessati (spese per indebitamento)” sembra riconoscere esplicitamente la valenza dell’esposto principio della copertura integrale dei costi.

Infine, si evidenzia come un elemento corroborante l’impostazione proposta potrebbe dedursi dall’art. 153, co. 2, del codice ambientale, che nel disciplinare le dotazioni dei soggetti aggiudicatari del servizio ai sensi dell’art. 150, esclude, nella determinazione della tariffa, il computo degli eventuali contributi a fondo perduto in conto capitale e/o in conto interessi connessi all’ammortamento dei mutui (cfr. art. 153, co. 2, cit. «Le immobilizzazioni, le attività e le passività relative al servizio idrico integrato, ivi compresi gli oneri connessi all’ammortamento dei mutui oppure i mutui stessi, al netto degli eventuali contributi a fondo perduto in conto capitale e/o in conto interessi, sono trasferite al soggetto gestore, che subentra nei relativi obblighi. Di tale trasferimento si tiene conto nella determinazione della tariffa, al fine di garantire l’invarianza degli oneri per la finanza pubblica»).

Per questi motivi

nelle suesposte considerazioni è il parere della Sezione in riferimento alla richiesta inoltrata dal Sindaco del Comune di Airola (BN) con nota prot. n. 011919 del 21 dicembre 2011.

Copia della presente deliberazione sarà trasmessa, per il tramite del Servizio di supporto, all’Amministrazione interessata.

Così deliberato in Napoli, nella Camera di Consiglio del 23.04.12

Il relatore Il Presidente

F. to Raffaella Miranda F. to Vittorio Lomazzi

Depositato in Segreteria in data 23 aprile 2012

Il Direttore del Servizio di supporto

F. to Mauro Grimaldi