Finanza pubblica: art. 9. co-bis D. L. n. 78/2010 e dipendenti con qualifica apicale

NOTA

Con il parere in rassegna la Sezione Lombardia risponde al quesito del Comune di Lanzo d’Intelvi in ordine alle modalità di applicazione dei vincoli relativi al trattamento accessorio del personale desumibili dall’art. 9, co. 2-bis, D. L. 31 maggio 2010 n. 78, convertito con modifiche con L. 30 luglio 2010 n. 122, alle indennità corrisposte ai dipendenti con qualifica apicale degli enti privi di dirigenza ai quali sono corrisposte specifiche responsabilità ex art. 109, co. 2, del D. Lgs. 18 agosto 2000 n. 267.

Il Collegio – sulla scia del precedente parere 8 marzo 2012 n. 59 (che riportiamo in questa pagina) e di SS.RR. (QM 51/CONTR/11, 4 ottobre 2011) – ritiene che “(…) nel calcolo dell’ammontare complessivo delle risorse previste per il trattamento accessorio, tanto per la definizione del limite (totale del 2010) tanto per il computo del monte dell’anno di rifermento, si deve tenere conto solo delle somme rivenienti dal fondo per la contrattazione decentrata e non di quelle attinte direttamente dal bilancio”.

* * *

Lombardia/124/2012/PAR

REPUBBLICA ITALIANA

LA

CORTE DEI CONTI

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO

PER LA LOMBARDIA

composta dai magistrati:

dott. Nicola Mastropasqua Presidente

dott. Giancarlo Astegiano Consigliere – relatore

dott. Gianluca Braghò Primo Referendario

dott. Massimo Valero Primo Referendario

dott. Alessandro Napoli Referendario

dott. Laura De Rentiis Referendario

*******

Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;

vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;

vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;

vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004;

visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;

vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;

vista la legge 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, commi 166 e seguenti;

vista la deliberazione n.1/pareri/2004 del 3 novembre 2004 con la quale la Sezione ha stabilito i criteri sul procedimento e sulla formulazione dei pareri previsti dall’articolo 7, comma 8, della legge n. 131/2003;

vista la nota in data 14 dicembre 2011, con la quale il Sindaco del Comune di Lanzo d’Intelvi (CO) ha chiesto un parere in materia di contabilità pubblica;

vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per l’adunanza del 10 gennaio 2012 per deliberare sulla predetta richiesta;

Udito il relatore, Giancarlo Astegiano;

PREMESSO CHE

Il Sindaco di Lanzo d’Intelvi ha posto alla Sezione un quesito concernente le modalità di determinazione dell’”ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale di cui all’art. 9, comma 2-bis, Decreto Legge n. 78/2010, convertito con modifiche con Legge n. 122/2010, le indennità corrisposte ai dipendenti con qualifica apicale degli enti privi di dirigenza ai quali sono corrisposte specifiche responsabilità ai sensi dell’art. 109, comma 2, del Decreto Legislativo n. 267/2000”.

OSSERVA CHE

La richiesta di parere in esame è intesa ad avvalersi della facoltà prevista dalla norma contenuta nell’art. 7, comma 8, della legge 5 giugno 2003, n. 131, la quale dispone che le Regioni, i Comuni, le Province e le Città metropolitane possono chiedere alle Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti “pareri in materia di contabilità pubblica”.

La funzione consultiva delle Sezioni regionali è inserita nel quadro delle competenze che la legge n. 131 del 2003, recante adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha attribuito alla Corte dei conti.

In relazione allo specifico quesito formulato dal Sindaco del Comune di Lanzo d’Intelvi la Sezione osserva quanto segue.

In merito all’ammissibilità della richiesta

Il primo punto da esaminare concerne la verifica in ordine alla circostanza se la richiesta proveniente dal Comune di Lanzo d’Intelvi rientri nell’ambito delle funzioni attribuite alle Sezioni regionali della Corte dei conti dall’art. 7 comma ottavo, della legge 6 giugno 2003, n. 131, norma in forza della quale Regioni, Province e Comuni possono chiedere a dette Sezioni pareri in materia di contabilità pubblica nonché ulteriori forme di collaborazione ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa.

In proposito, questa Sezione ha precisato, in più occasioni, che la funzione di cui al comma ottavo dell’art. 7 della legge n. 131/2003 si connota come facoltà conferita agli amministratori di Regioni, Comuni e Province di avvalersi di un organo neutrale e professionalmente qualificato per acquisire elementi necessari ad assicurare la legalità della loro attività amministrativa.

I pareri e le altre forme di collaborazione si inseriscono nei procedimenti amministrativi degli enti territoriali consentendo, nelle tematiche in relazione alle quali la collaborazione viene esercitata, scelte adeguate e ponderate nello svolgimento dei poteri che appartengono agli amministratori pubblici, restando peraltro esclusa qualsiasi forma di cogestione o coamministrazione con l’organo di controllo esterno (per tutte: 11 febbraio 2009, n. 36).

Infatti, deve essere messo in luce che il parere della Sezione attiene a profili di carattere generale anche se, ovviamente, la richiesta proveniente dall’ente pubblico è motivata, generalmente, dalla necessità di assumere specifiche decisioni in relazione ad una particolare situazione. L’esame e l’analisi svolta nel parere è limitata ad individuare l’interpretazione di disposizioni di legge e di principi generali dell’ordinamento in relazione alla materia prospettata dal richiedente, spettando, ovviamente, a quest’ultimo la decisione in ordine alle modalità applicative in relazione alla situazione che ha originato la domanda.

Con specifico riferimento all’ambito di legittimazione soggettiva ed oggettiva degli enti in relazione all’attivazione di questa particolare forma di collaborazione, è ormai consolidato l’orientamento che vede nel caso del Comune, il Sindaco o, nel caso di atti di normazione, il Consiglio comunale quale organo che può proporre la richiesta.

Con riferimento alla verifica del profilo oggettivo, occorre rilevare che la disposizione contenuta nel co. 8, dell’art. 7 della legge 131 deve essere raccordata con il precedente co. 7, norma che attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di principio e di programma, la sana gestione finanziaria degli enti locali.

Lo svolgimento delle funzioni è qualificato dallo stesso legislatore come una forma di controllo collaborativo.

Il raccordo tra le due disposizioni opera nel senso che il co. 8 prevede forme di collaborazione ulteriori rispetto a quelle del precedente comma, rese esplicite in particolare con l’attribuzione agli enti della facoltà di chiedere pareri in materia di contabilità pubblica.

Appare conseguentemente chiaro che le Sezioni regionali della Corte dei conti non svolgono una funzione consultiva a carattere generale in favore degli enti locali, ma che, anzi, le attribuzioni consultive si connotano sulle funzioni sostanziali di controllo collaborativo ad esse conferite dalla legislazione positiva.

Al riguardo, le Sezioni riunite della Corte dei conti, intervenendo con una pronuncia in sede di coordinamento della finanza pubblica ai sensi dell’art. 17, co. 31 del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, hanno delineato una nozione unitaria della nozione di contabilità pubblica incentrata sul “sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici”, da intendersi in senso dinamico anche in relazione alle materie che incidono sulla gestione del bilancio e sui suoi equilibri (Delibera n. 54, in data 17 novembre 2010).

Il limite della funzione consultiva come sopra delineato fa escludere qualsiasi possibilità di intervento della Corte dei conti nella concreta attività gestionale ed amministrativa che ricade nella esclusiva competenza dell’autorità che la svolge o di interferenza, in concreto, con competenze di altri organi giurisdizionali.

Dalle sopraesposte considerazioni consegue che la nozione di contabilità pubblica va conformandosi all’evolversi dell’ordinamento, seguendo anche i nuovi principi di organizzazione dell’amministrazione, con effetti differenziati, per quanto riguarda le funzioni della Corte dei conti, secondo l’ambito di attività.

Con specifico riferimento alla richiesta oggetto della presente pronuncia la Sezione, anche richiamando il contenuto dei precedenti pareri resi in relazione all’interpretazione della disciplina che regolamenta la spesa di personale e le assunzioni nelle Amministrazioni pubbliche, ritiene la domanda proposta dal Sindaco del Comune di Lanzo d’Intelvi ammissibile.

Il quesito posto dal Sindaco del Comune di Lanzo d’Intelvi

Il Sindaco del Comune di Lanzo d’Intelvi ha posto alla Sezione un quesito inerente una questione particolare concernente le modalità di determinazione dell’”ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale di cui all’art. 9, comma 2-bis, Decreto Legge n. 78/2010, convertito con modifiche con Legge n. 122/2010, le indennità corrisposte ai dipendenti con qualifica apicale degli enti privi di dirigenza ai quali sono corrisposte specifiche responsabilità ai sensi dell’art. 109, comma 2, del Decreto Legislativo n. 267/2000”.

La questione oggetto della richiesta di parere in esame è stata esaminata già dalla Sezione che ha reso il parere n. 59 in data 8 marzo 2012, a seguito di richiesta proveniente dal Sindaco del Comune di Pellio d’Intelvi.

In quella sede la Sezione ha osservato che le Sezioni Riunite della Corte dei conti, in sede nomofilattica con riferimento alla funzione del controllo, si sono recentemente espresse sulla latitudine operativa della disposizione contenuta nell’art. 9, comma 2-bis, del D.L. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010 (SSRR, QM 51/CONTR/11, 4 ottobre 2011) e che in base alle indicazioni che si evincono dalla delibera in questione le risorse da assoggettare a contenimento sono identificabili con quelle che confluiscono nel fondo delle risorse decentrate, in sostanza elaborando una nozione di trattamento accessorio coincidente con quella delineata dalla Ragioneria generale dello Stato con la circolare n. 12 del 15 aprile 2011 (secondo cui per individuare le risorse oggetto dell’art. 9 comma 2-bis «[…] occorre fare riferimento a quelle destinate al fondo per il finanziamento della contrattazione integrativa determinate sulla base della normativa contrattuale vigente del comparto di riferimento […]. Il fondo così costituito per ciascuno degli anni 2011-2012-2013, nel caso superi il valore del fondo determinato per l’anno 2010, va quindi ricondotto a tale importo».

La Sezione ha rilevato che in base all’orientamento risultante dalle indicazioni contenute nella delibera delle Sezioni riunite ai fini dell’applicazione dell’art. 9 comma 2-bis, viene quindi in considerazione una nozione di “trattamento accessorio” assai specifica che, anche se non affronta tutte le conseguenti problematiche applicative, è vincolante in quanto adottato a norma dell’art. 17, comma 31, del D.L. n. 78/2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 102/2009.

Conseguentemente, nel parere n. 59, ha rilevato che “alla luce di quanto sopra argomentato, si deve ritenere che nel calcolo dell’ammontare complessivo delle risorse previste per il trattamento accessorio, tanto per la definizione del limite (totale del 2010) tanto per il computo del monte dell’anno di rifermento, si deve tenere conto solo delle somme rivenienti dal fondo per la contrattazione decentrata e non di quelle attinte direttamente dal bilancio”.

In merito alla possibilità per i Comuni privi di dirigenza di procedere comunque ed in ogni caso alla retribuzione del personale non dirigente incaricato ai sensi del comma 2 dell’art. 109 T.U.E.L., a prescindere dal superamento del tetto fissato dall’art. 9 comma 2-bis del D.L. n. 78 del 2010, la Sezione ha ritenuto che la questione rimanesse assorbita da quanto sopra richiamato a proposito dell’identificazione della base di calcolo della norma (l’“ammontare complessivo”) con i fondi per la contrattazione decentrata.

Ha concluso ritenendo che “in definitiva, è onere dell’amministrazione adottare moduli organizzativi che consentano di dotarsi di soggetti abilitati ad agire con i poteri dei dirigenti con i necessari risparmi di spesa, come, ad esempio, l’attribuzione di tali funzioni ai componenti dell’organo esecutivo (ai sensi dell’art. 53 della Legge n. 388 del 2000). In ogni caso, resta ferma la necessità per l’amministrazione medesima di verificare la compatibilità di qualsiasi scelta con la vigente disciplina finanziaria”.

In conclusione, la Sezione conferma l’avviso precedentemente espresso e, pertanto, richiama le conclusioni contenute nel parere n. 59 del 8 marzo 2012.

P.Q.M.

Nelle considerazioni esposte è il parere della Sezione

Il Relatore Il Presidente

(Giancarlo Astegiano) (Nicola Mastropasqua)

Depositata in Segreteria

5 aprile 2012

Il Direttore della Segreteria

(dott.ssa Daniela Parisini)

* *

Lombardia/59/2012/PAR

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE DEI CONTI

IN

SEZIONE REGIONALE DI CONTROLLO PER LA

LOMBARDIA

composta dai Magistrati:

dott. Nicola Mastropasqua Presidente

dott. Giancarlo Astegiano Consigliere

dott. Gianluca Braghò Referendario

dott. Massimo Valero Referendario

dott. Alessandro Napoli Referendario

dott.ssa Laura De Rentiis Referendario

dott. Donato Centrone Referendario

dott. Francesco Sucameli Referendario (relatore)

dott. Cristiano Baldi Referendario

dott. Andrea Luberti Referendario

dott. Fabio Franconiero Referendario

nella camera di consiglio del 20 dicembre 2011

Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con il regio decreto 12 luglio 1934, n. 1214, e successive modificazioni;

Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;

Vista la legge 14 gennaio 1994, n. 20;

Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004;

Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali;

Vista la legge 5 giugno 2003, n. 131;

Vista la deliberazione n. 1/pareri/2004 del 3 novembre 2004 con la quale la Sezione ha stabilito i criteri sul procedimento e sulla formulazione dei pareri previsti dall’articolo 7, comma 8, della legge n. 131/2003;

Vista la nota n.3262 pervenuta in data 30 novembre 2011, con la quale il comune di Pellio Intelvi (CO) ha chiesto un parere in materia di contabilità pubblica;

Vista l’ordinanza con la quale il Presidente ha convocato la Sezione per l’adunanza odierna per deliberare sulla prefata richiesta;

Udito il relatore, Francesco Sucameli.

OGGETTO DEL PARERE

Il Sindaco del comune di Pellio Intelvi (CO) – comune con popolazione inferiore ai 5 mila abitanti e quindi non soggetto al Patto di Stabilità (PSI) – ha chiesto un parere sostanzialmente articolabile in due quesiti:

i) se il compenso previsto per il personale non dirigente che ricopra funzioni afferenti alla dirigenza ai sensi dell’art. 109, comma 2, T.U.E.L sia da considerarsi “trattamento accessorio” ai sensi dell’art. 9 comma 2-bis del D.L. n. 78 del 2010 , convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122;

ii) se in ogni caso – in base ad un’interpretazione che, secondo le prospettazioni dell’ente, sarebbe “costituzionalmente orientata” poiché rispettosa dell’autonomia comunale ai sensi dell’art. 114 Cost. – si debba ritenere sottratta agli effetti di tale norma finanziaria l’attribuzione di posizione organizzativa ai sensi dell’art. 109, comma 2 T.U.E.L., secondo cui, negli enti privi di dirigenza, è possibile affidare le funzioni dirigenziali a risorse prive di tale status. Ciò anche laddove tale scelta si traducesse in uno sforamento del tetto previsto per i trattamenti accessori del personale dal comma 2-bis dell’art. 9 del D.L. n. 78, pari all’ammontare complessivo delle risorse destinate per tale tipo di trattamento nell’anno 2010.

PREMESSA

La funzione consultiva delle Sezioni regionali è inserita nel quadro delle competenze attribuite alla Corte dei conti dalla legge n. 131 del 2003 (recante la disciplina d’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), anche nota come “legge La Loggia”.

Pertanto, la prima questione che si pone, riguardo al descritto quesito, è quella del rispetto delle condizioni di legge per accedere alla funzione consultiva della Corte. A tal fine, si rammenta che ai sensi dell’art. 7, comma 8, della citata legge n. 131 del 2003, Regioni, Province e Comuni possono chiedere alle Sezioni regionali – di norma tramite il Consiglio delle autonomie locali, se istituito – pareri in materia di contabilità pubblica, nonché ulteriori forme di collaborazione ai fini della regolare gestione finanziaria, dell’efficienza e dell’efficacia dell’azione amministrativa.

AMMISSIBILITÀ SOGGETTIVA

Con particolare riguardo all’individuazione dell’organo legittimato a inoltrare le richieste di parere dei Comuni, si osserva che, per consolidata giurisprudenza, gli enti elencati dalla legge possono rivolgersi direttamente alla Corte in funzione consultiva, senza passare necessariamente dal Consiglio delle autonomie locali.

Poiché il sindaco del comune è l’organo istituzionalmente legittimato a rappresentante l’ente ai sensi dell’art. 50 T.U.E.L., la richiesta di parere è proposta dall’organo legittimato a proporla ed è pertanto soggettivamente ammissibile.

AMMISSIBILITÀ OGGETTIVA

L’idoneità oggettiva di una richiesta di parere ad essere esaminata va valutata in base ad una serie di criteri, alcuni fissati in modo espresso ed in positivo dalla legge, come l’afferenza alla materia della “contabilità pubblica”, altri ricavabili in negativo e per implicito, sulla base del rapporto tra la funzione consultiva delineata dall’art. 7, comma 8, della “legge La Loggia” e, da un lato, l’attività amministrativa, dall’altro, le funzioni giurisdizionali civile, penale, amministrativa.

Una nozione unitaria di contabilità pubblica è stata delineata dalle Sezioni riunite della Corte dei conti, in sede di coordinamento della finanza pubblica, nell’esercizio della funzione attribuitale dall’art. 17, comma 31, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102): con la delibera n. 54 del 17 novembre 2010, le SS.RR. hanno delineato tale nozione come incentrata sul “sistema di principi e di norme che regolano l’attività finanziaria e patrimoniale dello Stato e degli enti pubblici”, da intendersi in senso dinamico, anche in relazione alle materie che incidono sulla gestione del bilancio e sui suoi equilibri.

Per quanto riguarda i limiti impliciti, ed in particolare la natura della funzione consultiva su cui si delinea, in via dinamica, la nozione di contabilità pubblica, occorre rammentare che la disposizione contenuta nell’art. 7, comma 8, della legge 131/2003 deve essere raccordata con il precedente comma 7, norma che attribuisce alla Corte dei conti la funzione di verificare il rispetto degli equilibri di bilancio, il perseguimento degli obiettivi posti da leggi statali e regionali di principio e di programma, la sana gestione finanziaria degli enti locali.

Lo svolgimento delle funzioni è qualificato dallo stesso Legislatore come una forma di controllo collaborativo. Il raccordo tra le due disposizioni opera nel senso che il comma 8 prevede forme di collaborazione ulteriori rispetto a quelle del precedente comma, rese esplicite, in particolare, con l’attribuzione agli enti della facoltà di chiedere pareri in materia di contabilità pubblica. In quest’ottica, appare chiaro che le Sezioni regionali della Corte dei conti non svolgono in favore degli enti locali una funzione consultiva a carattere generale, ma che anzi le attribuzioni consultive “in materia di contabilità pubblica” si ritagliano sulle funzioni sostanziali di controllo collaborativo ad esse conferite dalla legislazione positiva.

Così delineata la funzione consultiva, si deve rammentare che, in negativo, l’esercizio di tale attribuzione della Corte non deve interferire, da un lato, con l’attività amministrativa, dall’altro, con l’esercizio della funzione giurisdizionale civile, penale, amministrativa e contabile.

Rispetto all’attività amministrativa, questa Sezione, in più occasioni, ha riconosciuto che la funzione di cui al comma 8 dell’art. 7 della Legge n. 131/2003, è una facoltà conferita agli amministratori di Regioni ed enti locali per consentire loro di avvalersi, nello svolgimento delle funzioni loro intestate, di un organo neutrale e professionalmente qualificato, in grado di fornire gli elementi di valutazioni necessari ad assicurare la legalità della loro azione: è innegabile che i pareri e le altre forme di collaborazione si inseriscono nello svolgimento dei procedimenti degli enti territoriali consentendo, nelle tematiche in relazione alle quali la collaborazione viene esercitata, scelte adeguate e ponderate. Dal momento che i pareri sono propedeutici all’esercizio dei poteri intestati agli amministratori, la funzione consultiva non può essere utilizzata per asseverare o contestare provvedimenti già adottati.

Inoltre, la stessa giurisprudenza contabile ha puntualmente rammentato che dalla funzione consultiva resta esclusa qualsiasi forma di cogestione o co-amministrazione con l’organo di controllo esterno (cfr. ex multis parere sez. Lombardia, 11 febbraio 2009, n. 36). Quindi, i quesiti, oltre a riguardare una questione di contabilità pubblica, devono avere carattere generale ed essere astratti, cioè non direttamente funzionali all’adozione di specifici atti di gestione, che afferiscono alla sfera discrezionale della potestà amministrativa dell’ente.

Venendo al caso di specie, appare evidente l’ammissibilità oggettiva di entrambi i quesiti, poiché attinenti all’esegesi della portata applicativa di una norma di contabilità pubblica (segnatamente, il limite di spesa per i trattamenti accessori del personale dipendente ai sensi dell’art. 9, comma 2-bis del D.L. n. 78 del 2010). Inoltre, i quesiti non appaiono interferire con altre competenze di controllo o giurisdizionali intestate alla Corte, né con l’esercizio di funzioni giurisdizionali di altre magistrature.

MERITO

1. Il quesito sub i), concerne la portata applicativa dell’articolo 9, comma 2-bis, del D.L. n. 78/2010, convertito nella legge n. 122/2010, a mente del quale «a decorrere dal 1° gennaio 2011 e sino al 31 dicembre 2013 l’ammontare complessivo delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale, anche di livello dirigenziale, di ciascuna delle amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, non può superare il corrispondente importo dell’anno 2010 ed è, comunque, automaticamente ridotto in misura proporzionale alla riduzione del personale in servizio».

Peraltro, non è dato rinvenire una definizione di diritto positivo di “trattamento economico accessorio”. Ciò in ragione del fatto che la legislazione in materia di pubblico impiego affida alla dinamica negoziale collettiva la definizione del trattamento economico, fatti salvi i limiti fissati dal Legislatore medesimo (cfr. gli artt. 24 e 45 del Dlgs. n. 165 del 2001, rispettivamente per il personale dirigente e non dirigente).

Tra i limiti che si impongono alla contrattazione collettiva ritroviamo la distinzione tra trattamento fondamentale ed accessorio, i cui contenuti, peraltro, sono individuati in sede negoziale.

1.2 Come più volte precisato da questa Sezione (si rinvia, per tutte, alle Delibere n. 608, 609, 611 e 635 del 2011), con l’art. 9, comma 2-bis, del D.L. n. 78 del 2010 si introduce il divieto di superamento dell’ammontare delle risorse destinate annualmente al trattamento accessorio del personale rispetto al corrispondente importo dell’anno 2010.

Viene, in sostanza, introdotto un tetto all’ammontare complessivo delle risorse destinate alla contrattazione decentrata, escludendo, quindi, qualsiasi possibilità di alimentazione automatica del fondo.

La disposizione non è nuova e trova i suoi precedenti all’art. 1, comma 189, della Legge 23 dicembre 2005, n. 266 (con la quale si è inteso cristallizzare l’ammontare dei fondi unici da destinare alla contrattazione integrativa al livello accertato al termine del 2004) e nell’art. 67, comma 5, del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133 (che ha previsto una riduzione del 10% dei fondi unici per la contrattazione integrativa rispetto ai valori riferibili al 2004).

1.3. Le Sezioni Riunite, in sede nomofilattica con riferimento alla funzione del controllo, si sono recentemente espresse sulla latitudine operativa della disposizione vincolistica (SSRR, QM 51/CONTR/11, 4 ottobre 2011).

Per effetto della ricostruzione operata con tale recente deliberazione, si può affermare che, nel contesto di tale norma, in linea di principio, le risorse da assoggettare a contenimento sono identificabili con quelle che confluiscono nel fondo delle risorse decentrate, in sostanza elaborando una nozione di trattamento accessorio coincidente con quella delineata dalla Ragioneria generale dello Stato con la circolare n. 12 del 15 aprile 2011 (secondo cui per individuare le risorse oggetto dell’art. 9 comma 2-bis «[…] occorre fare riferimento a quelle destinate al fondo per il finanziamento della contrattazione integrativa determinate sulla base della normativa contrattuale vigente del comparto di riferimento […]. Il fondo così costituito per ciascuno degli anni 2011-2012-2013, nel caso superi il valore del fondo determinato per l’anno 2010, va quindi ricondotto a tale importo».

Tale identificazione muove dalla constatazione che le risorse destinate a tale fondo sono in generale quantificate e gestite autonomamente dalle amministrazioni interessate e, pertanto, possono influire sulla crescita della dinamica retributiva, in contrasto con gli obiettivi di riduzione enunciati dalle norme finanziarie.

Per effetto di tale orientamento, ai fini dell’applicazione dell’art. 9 comma 2-bis, viene quindi in considerazione una nozione di “trattamento accessorio” assai specifica; orientamento, peraltro che, pur non affrontando tutte le conseguenti problematiche applicative, è vincolante per questa Sezione in quanto adottato a norma dell’art. 17, comma 31, del D.L. n. 78/2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 102/2009 (per analoghe considerazioni cfr. SRC Lazio, deliberazione n. 93/2011/PAR).

Come è noto, infatti, la richiamata disposizione normativa prevede che il Presidente della Corte dei conti, al fine di garantire la coerenza nell’unitaria attività svolta dalla Corte medesima, possa assegnare alle Sezioni riunite la risoluzione di «questioni definite in maniera difforme dalle sezioni regionali di controllo, nonché casi che presentino una questione di massima di particolare rilevanza. Tale facoltà è riservata alle questioni che risultino rilevanti ai fini di coordinamento della finanza pubblica, anche in relazione al federalismo fiscale. Le pronunce di orientamento generale adottate dalle Sezioni riunite sono vincolanti per tutte le sezioni regionali di controllo che vi si devono conformare.».

Alla luce di quanto sopra argomentato, si deve ritenere che nel calcolo dell’ammontare complessivo delle risorse previste per il trattamento accessorio, tanto per la definizione del limite (totale del 2010) tanto per il computo del monte dell’anno di rifermento, si deve tenere conto solo delle somme rivenienti dal fondo per la contrattazione decentrata e non di quelle attinte direttamente dal bilancio.

Resta ferma l’applicabilità degli altri vincoli di finanza pubblica in materia di personale, in particolare occorre ricordare che ai sensi dell’art. 1, comma 562 della legge 296/06, i comuni non soggetti al Patto di stabilità devono contenere la spesa del personale entro il livello di quella sostenuta nel 2004 e possono procedere a nuove assunzioni nei soli limiti delle cessazioni avvenute nell’anno precedente, sempreché la loro spesa complessiva di personale incida in misura inferiore al 50 per cento sulla spesa corrente (percentuale indicata dall’attuale formulazione del comma 7 dell’art. 76 D.L. n. 122/08 dopo l’ultima modifica introdotta da D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modificazioni dalla L. 22 dicembre 2011, n. 214).

2. Quanto al quesito sub ii) sulla possibilità o meno dei comuni privi di dirigenza, di procedere comunque ed in ogni caso alla retribuzione del personale non dirigente incaricato ai sensi del comma 2 dell’art. 109 T.U.E.L., a prescindere dal superamento del tetto fissato dall’art. 9 comma 2-bis del D.L. n. 78 del 2010, la Sezione ritiene che la questione rimanga assorbita da quanto sopra richiamato a proposito dell’identificazione della base di calcolo della norma (l’“ammontare complessivo”) con i fondi per la contrattazione decentrata.

Peraltro, in generale, le considerazioni effettuate dal comune meritano qualche riflessione, in quanto le argomentazioni spese potrebbero in linea di massima trasportarsi sul piano degli altri vincoli di finanza pubblica in materia di personale, pur non rilevando, nel caso di specie, l’applicazione del ridetto art. 9 comma 2-bis: l’ente richiedente, infatti, nella sua prospettazione ritiene possibile sottrarsi ad un vincolo di spesa per la necessità di assicurare la distinzione tra politica e amministrazione, anche nei comuni di piccoli dimensioni, separazione che avrebbe un fondamento costituzionale e che imporrebbe, perciò, una “interpretazione costituzionalmente orientata” della summenzionata disciplina vincolistica.

Si tratta perciò di capire se ed in che modo una simile argomentazione possa essere posta a fondamento di deroghe agli altri limiti posti in tema di spesa per il personale, in particolare l’art.1, comma 562 della legge 296/06.

In primo luogo, è indubitabile che la separazione tra gestione e indirizzo politico sia un principio fondamentale dell’organizzazione pubblica delineatosi nel corso degli anni ‘90; tuttavia, come ricavabile dalla giurisprudenza della Consulta in materia di spoils system (sentenze nn. 233 del 2006; 103 e 104 del 2007; 161 del 2008; 81 del 2010; 124 del 2011), si tratta di un principio che – pur avendo un fondamento costituzionale – rimane di matrice legislativa ordinaria.

Il principio, infatti, esprime uno dei possibili moduli organizzativi attraverso cui realizzare i principii di buon andamento e imparzialità di cui all’art. 97 Cost. ed il Legislatore è libero di individuare modelli alternativi e diversi, che prevedono vari livelli di compenetrazione o separazione tra politica e gestione, salvo il limite costituzionale di ragionevolezza di tale scelte, imposto dal citato art. 97 Cost. Tale diposizione costituzionale, infatti, impone al Legislatore di bilanciare il buon andamento dell’azione amministrativa (principio che può giustificare – ad esempio, con riferimento ai ruoli di dirigenza apicali – l’assottigliamento dei diaframmi tra organi politici e amministrazione, in modo da consentire un’immediata traduzione in atti amministrativi delle direttive politiche, cfr. sent. 233, punto 4.1. in diritto) con il principio di imparzialità, che nella separazione e nel giusto procedimento vede dei precipitati certamente essenziali (cfr. sent. 103, punto 9.2. e sent. 104 punto 2.8.-2.10 in diritto).

Del resto, come ha ben ricordato il comune nella propria istanza di parere, l’art. 53, comma 29, della Legge n. 388 del 2000 ha stabilito che, nei Comuni con popolazione inferiore a 5 mila abitanti, le funzioni dirigenziali possono essere attribuite ai componenti della giunta, previa introduzione di apposite disposizioni regolamentari. Si tratta di un caso paradigmatico in cui il Legislatore, in presenza di un’esigenza ragionevole, costituzionalmente rilevante in quanto collegata al buon andamento (segnatamente l’esigenza di contenere i bilanci nei Comuni di più modeste dimensioni) ha optato per un parziale ritorno alla commistione fra politica e amministrazione, il cui superamento ha invece rappresentato un principio cardine delle riforme nell’ultimo decennio del secolo scorso (cfr. in tal senso TAR Campania, Napoli, sez. V, sentenza 22 ottobre 2003, n. 13054).

In secondo luogo, la caratteristica fondamentale della disciplina finanziaria è quella di non interferire mai, direttamente (a meno di deroghe espresse), con la disciplina ordinamentale (cfr. deliberazioni di questa Sezione nn. 679 e 680/2011/PAR): in linea di massima, essa tiene fermi capacità, facoltà, obblighi, e divieti sostanziali imputabili all’amministrazione; piuttosto introduce indirette limitazioni alla discrezionalità operativa degli enti che, a causa dei predetti limiti, sotto la propria responsabilità, devono effettuare scelte gestionali che li mettano in condizione di esercitare facoltà e adempiere doveri compatibilmente con il rispetto di tali obbiettivi di spesa.

Questo vale anche per l’esercizio di legittime prerogative, come, nel caso di specie, l’affidamento di funzioni dirigenziali a soggetti privi della qualifica dirigenziale, laddove manchino dipendenti con lo status di dirigente, ai sensi dell’art. 109 T.U.E.L.. Tale scelta, infatti, non può prescindere dalla valutazione degli effetti economici sul bilancio dell’ente e dal rispetto del tetti massimi per la spesa per il personale.

In definitiva, è onere dell’amministrazione adottare moduli organizzativi che consentano di dotarsi di soggetti abilitati ad agire con i poteri dei dirigenti con i necessari risparmi di spesa, come, ad esempio, l’attribuzione di tali funzioni ai componenti dell’organo esecutivo (ai sensi dell’art. 53 della Legge n. 388 del 2000). In ogni caso, resta ferma la necessità per l’amministrazione medesima di verificare la compatibilità di qualsiasi scelta con la vigente disciplina finanziaria.

P.Q.M.

nelle considerazioni esposte è il parere della Sezione.

L’estensore Il Presidente

(Dott. Francesco Sucameli) (Dott. Nicola Mastropasqua)

Depositata in Segreteria il

08/03/2012

Il Direttore della Segreteria

(Dott.ssa Daniela Parisini)